Ombre furtive tra il piòver sen vanno,
e dìcono a maggio:
"Forse spegneste voi il cero de' i nùvoli,
il Sole!".
E appena dopo svanìscono. È tardi;
e i miei occhi non scrùtano
la Luna bianca,
né le lontane vette e l'alte pietre,
né questo caro sorriso di Vita,
né quel mellifluo fiòr che vibra e sogna,
e che saltella,
Amòr.
E quando suona del primo rosario
l'Ave, e come a me l'eco la riporta,
e mentre piove,
così mi pingo in solitario éremo;
e in questa steppa assente ci sono io...
io, e il Nulla.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì I del Mese di Maggio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.
Il presente Blog vuole riproporre un ritorno critico e ragionato della Poesia romantica e, per questo, farsi portavoce di un Neo-Romanticismo più vicino alla corrente culturale del secolo XIX. Con il titolo si vuole pensare e sognare di poter onorare i fratelli Schlegel che, con molti altri, sono i Padri del Romanticismo tedesco.
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mercoledì 2 maggio 2018
venerdì 23 dicembre 2016
Intorno è il Nulla
Trascorre come foglia la mia Vita
su un freddo lago di onde, e ghiaccio e neve,
eternamente appassiti gli sguardi
suoi, dondolàndosi al vento irrequieto,
e intorno è nulla.
La campagna di inverno si riposa,
e la terra che germoglia le rose
ormai rigùrgita ànime di nebbia
dov’io passo, sospiro, sogno… spero,
e intorno è nulla.
Il mio cuore ha finito di pensare,
e fuggire vorrèbbe dai suoi íncubi,
annegare nel vacuo di una Notte
che non mi dia più le chimere attese,
che non mi illuda con i suoi sorrisi,
vorrei vìvere e… éssere il folle arreso
che proclama: «Morite! oh Sogni miei!»;
e intorno è nulla.
Dio! Non m’hai ancora detto qual è, ov’è
il mio Destino.
Forse ho confuso i miei Sogni con quelli
dell’Eterno. Fors’anche pensai eterni
tali Sogni per credere non fòssero
mio anèlito. E in cotanta confusione
intorno è nulla.
Nulla… solo il mistero.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Vernet, L'Ultimo Granatiere di Waterloo, Tardo-Romanticismo francese, Seconda Metà del XIX Secolo |
In Dì di
Venerdì XXIII del Mese di Dicembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di
Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI.
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mercoledì 17 agosto 2016
Arbogna!
Fischiàr gavòtte allo specchio di un vento
che fa ritornàr l’eco da i suoi ansi occhi
di invisìbile giorno,
e sibilàr alle frasche dei sàlici
e delle querce, e dei pioppi, e dei plàtani…
urlàr dei sovrumani
sospìr indefiniti come le ombre
delle più attese sere,
e qui sedèr al davanzàl del ponte
presso il più vecchio mulino in mattoni
rossi di smorto fuoco, e quasi spenti
in un tramonto! Arbogna!
Immane possa e tremenda e inumana
nella tua cateratta sotto i miei
piedi, dove zampilli i tuoi cristalli
che ricascando da un pìccolo calle
quasi perpetuamente si moltiplicano,
per poi spègnersi tosto
dissolvèndosi con le altre tue onde
in un così perenne e oscuro ciclo
di Nàscita e di Morte…
una potenza inferma dov’io pùr
mi perdo, e ne’ i suoi vòrtici che scòrrono
per le tue ignude pietre,
come un naufragio eterno nel passàr
di questi flutti irrequieti e furiosi
che sono fiori che nàscono e muojono
nelle tue piogge di torrente estivo!
Arbogna! Sacro
Reno mio, e del mio päèse nei campi,
che i seni culli delle Ondine dei
miei Sogni, e i ventri delle Ninfe d’àëre,
e che sei l’ìnguine söàve e spoglio
di una fanciulla immortale, dannata
a giacèr nuda
nella danza delle acque che rispècchiano
i tuoi infantìli tallòni di Dea,
mentre il discinto peplo scende e crolla, e
per bruciàrsi nel Sole dell’Estate;
e che vai… vai oltre, verso la campagna,
dove sovente io più lìbero e quieto
il cuòr dischiudo ai lenti singhiozzi
della Natura!
Arbogna! Dove io affogo,
e ne’ i tuoi bàratri angosciosi e mesti,
sepolto vivo da’ il scòrrere tuo,
recònditi pensieri di un Pöèta
che vive per il Sogno,
per mèttere alla prova le sue ordìte
sete, i velluti… per vedèr se mai
si avvèrano nei pròssimi suoi giorni,
perché ei ama l’illusione!
Arbogna mia!
Dove nella tua guancia sovrumana
scorgo io più volte riflèttersi il Cielo,
e le nubi sue d’oro,
e l’ìri sua;
e nell’Oltre del ciclo naturale:
nel crepùscolo amaro delle gioje, e
nell’alba della Morte,
e nel riposo della Vita assente,
e negli illusi àttimi dell’Amore,
e nei perduti Sogni della mente,
e oltre ogni via e ogni corso
v’è l’Infinito…. E è Iddio!
E come tu sei bella, oh Arbogna mia!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
William-Adolphe Bouguereu, Venere-Danzatrice, Neo-Classicismo francese, Seconda Metà del Secolo XIX |
In Dì di Mercoledì
XVII del Mese di Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di
Divina Misericordia AD MMXVI
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giovedì 28 aprile 2016
Frammenti della Coscienza di un Madrigale notturno
Cupo
ùlulìo, in profondo un Sogno oscuro,
e fu la
Luna. Trema forse il mio
cuòr che
meditabondo urla, ei pensando:
le gioie
perdute, e le sue ore di gèmiti,
e i
moltèplici pianti, quando l'alba
annienta le
ali di ogni mio sognàr.
Perché
l'aurora è fatale agli istanti
dei
sognatori, e dissolve la nebbia
della più
trasognata delle Notti.
Così
trascorre la mia gioventù:
tra i
pàlpiti insistenti e questi anèliti
alla Vita
medèsima; che sono
muti
ululati di Sogni di un lupo, e
sordi sensi
d'Ignoto, dove questo
sognàr m'è
solo un promiscuo, osceno
spettro del
mio Destìn.
Come si
chiama l'alba che è assassina
di questi
sonni d'uomo e di morente
giovinezza?
Qual è
l'arcano
oltre quest'Incògnito suo?
Rispòndimi,
oh tu, sentinella della
Notte!
Dimmi... e t'annienta!
Massimiliano
Zaino di Lavezzaro
Arseny Meshcherskij, Presso il Fiume, Scuola tardo-romantica russa, Seconda Metà del Secolo XIX |
In Dì di Giovedì
XXVIII Aprile dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina
Misericordia AD MMXVI
domenica 18 ottobre 2015
La Visionaria
«Dove vai, fanciulla, bella e ridente?»
E la fanciulla passeggiava. Nero
era il suo crine, poiché avea dormito
tra il cenere funereo del camino,
mentre nel letto un misero dormiva.
Lo accolse nella Notte e lo accudiva,
ed egli era soltanto un pargolino.
E ora ella andava… e andava, e all’Infinito
muoveva il passo a un ignoto sentiero.
«Dove vai, fanciulla, bella e ridente?»
Venìr scorgeva un lontàn falconiero,
e un Principe a cavallo. E era smarrito
il volto suo all’ombra di un vecchio pino:
guardò più volte. Nulla! E il dì svaniva.
«Sono l’ombra d’un falco che lamenta!».
E all’orizzonte fuggivano i sogni:
e ella vedeva la Vita e il suo Nulla,
piànger udiva i neonati infelici.
Ma… ma v’era una donna alle pendìci
d’un tenue colle: «Guarda come culla!».
E un Mostro qui era il vento: «E a che vergogni?».
«Sono l’ombra d’un falco che lamenta!».
Niente! Svanìvan sogni:
e ella guardava i questuänti intorno,
poveri in cerca del pane del giorno.
«Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
dove vai solitaria e bella e bionda?
Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
perché la treccia è nera a questa sponda?».
«Ier ho dormito nel camino oscuro
per dare il letto a un bimbo vagabondo.
Ier ho dormito nel camino oscuro
il cenere annerì il mio crine biondo».
«Non era il bimbo quei di questa donna?
Vedi! Lo porta lontano e al sicuro.
Non era il bimbo quei di questa donna?
Ha paüra dell’Orco, il monte oscuro».
«Perché fugge e va via? Il mio tetto è il loro.
Forse la madre ha fame. Venga: ho i pani.
Perché fugge e va via? Il mio tetto è il loro.
No… no! Non farli andàr tanto lontani!».
«Fanciulla hai un cuore buono. Tu ami i poveri!
Hai visto la miseria della guerra?
Fanciulla hai un cuore buono. Tu ami i poveri!
Sii la speranza di questa tua terra».
Ed ella discorreva… e discorreva,
e con chi non si sa, né ella ‘l mirava,
tra un trasognato istante e un’aspra veglia,
forse al suo cuore, o forse alla Natura.
E lontano… lontano ella volgeva,
e fuori del villaggio se ne andava.
Era felice e - saltellando - sveglia,
una fanciulla visionaria e pura.
E quando fu la sera tornò indietro,
verso il tugurio. Cenava nel tetro
legno del lare; e disse sotto un perno:
«Padre, padre… lo sai? Che oggi ho parlato con
l’Eterno?».
Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
ascolta e taci!.... Ascolta il cuore mio:
quest’Eterno che ti chiama non è che Iddio!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica XVIII Ottobre AD MMXV
domenica 11 ottobre 2015
Il Singulto
Cuore, mio cuore, non senti un singulto
tra le tue vene che tremano tanto?
È forse il gelo della brezza, e il vespro
che in furie irrora il vento della Notte,
o forse è un sogno di un’Anima inquieta
che per queste campagne è vagabonda.
E tu, davvero, che taci e che gemi,
cuore, mio cuore, non senti un singulto?
È l’agnellino che al materno canto
s’addormenta, sul fieno e sul suo vepro,
l’eco del monte che scuote le grotte,
dove dimora l’irrequieto asceta,
è il murmure del mar che il ciel affonda.
E tu così sentendo e urlando tremi?
Cuore, mio cuore, non senti un singulto?
È il sonnambulo trillo, è una canzone,
sogno, follia; è Poësia e visiöne.
Cuore, mio cuore, non senti un singulto
tra le serali furie e tra le selve?
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica XI Ottobre AD MMXV
domenica 27 settembre 2015
La Sera delle Danze e delle Maschere
E fu la sera della danza immane.
I musici strillàvano i violini.
Volteggiàvan le maschere e le vane
ombre delle fanciulle. E serotini
e dolci i chiassi s’altercàvan. Dame
di pizzo e d’oro e argento in sguardi arcigni
danzavano d’intorno; e pur lontane
sembravano le spire dei Destini. E…
e era un torneämento di sottane, e
stretti corsetti, e ai calici i vini.
Ma tu, oh maschera, oh bella, oh tu, divina,
quali occhi nascondevi, e quale cuore? E…
e eri forse una triste madamina? - Luna
di gioventù? -. Ebbèn, dimmi il tuo dolore e…
e che mai ti affannava! E eri tu spina
dei miei sogni e miraggio. E il nòm? Amore!
Maschera ignota, e fatàl, femminina, - e bruna,
e come può che questo sogno muore?
Danzàvano quest’ore! E or…
e il passato silenzio il ballo inghiotte, e
non v’è più danza, ma resta la Notte!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Sabato XXVI Settembre AD MMXV
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giovedì 24 settembre 2015
A una Rosa selvatica di Montagna
E mai ti rimirerò, dunque, o mia melliflua rosa rossa
dell’estate e…
e mai più i tuoi incandescenti petali, e la tua, e la
mia - e la nostra montagna - alta e irridente,
là, dove tra le selve delle vipere del tristo Fato ti
mirai per la prima volta; e…
e mai gli occhi dei rosseggianti tuoi e giovanili e
dolci stami, e…
e ne mai più e ancora intenderò novellamente quei tuoi
profumi di miele,
che discendono dal tuo più gemmato crine, capelli di
fiore, e…
e né mai le ambrate e addolcite tue guance fatte di
una pòrpora sanguigna,
e sdrucite nella rimembranza or mentre le mattutine
rugiade di adamanti ordite e composte,
discendono dal fresco e ottenebrato cielo e
dall’ultimo argento di Luna piena. E…
e così dovrò forse anch’io assaporare
l’incommensurabile e sempiterna tua assenza,
e la sua fuggevole impronta che si proietta ombra nel
Nulla osceno che mi rimane:
questo vacuo e futile mare di sensi inappagati e
storditi che tu mi abbandonasti,
dopo le impetuose folgori che su di me scatenarono le
tue indomate Tempeste. Eh! No! Mai più ti ammirerò taciturno, e silenzioso e
insofferente, e…
e incapace di gridare un Sentimento più dolce d’un
favo di miele,
e mai più potrò rimirarti a rosseggiare d’accanto ai
miei segreti sogni dettati dalle mie più secrete cure, e…
e solamente nei nuovi sogni che si susseguono come
onde d’un Oceano selvatico,
tu mi apparirai, e sempre più giovane, e sempre bella,
immortale e…
e eternata dall’invisibile plasmarti dei pennelli
dell’occhio mio, l’amante dei fiori tuoi compagni,
immortalata in un affresco notturno che rimarrà una
Vita inanimata,
e che sarà una quieta abnegazione della tua Morte.
Eppur non mi soddisfa, o rosa, quest’incauto sognare,
né il ricordo della tua ombra che muore e…
e che si infrange sui più irrequieti e commossi scogli
del Tempo e delle sue Furie,
l’Erinni dell’Ecate che il Tutto universale
seppelliscono nella tomba, e…
un sognàr che non è che una debole nebbia autunnale,
ora lambita da un labbro che con il calòr del suo
sospiro la allontana fendendola come un cuore trafitto e…
e che non può che essere che uno spettro di Nulla.
No! Mai più ti rivedrò, o fiorellino, e…
ed è per questo che sarà il canto che oserò lamentare:
e una nenia mortuäria e sconfinata e infinita, e una
ghirlanda per il tuo ignoto sepolcro di montagna, e…
e non dovrò far altro che piangere e deplorare il
nostro ormai separato Destino!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Giovedì XXIV Settembre AD MMXV
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martedì 22 settembre 2015
Introspezioni poetiche notturne di un giovane Poeta romantico
Fuor è la Notte, e la biancheggiante Luna rosseggia al
mio cuore, e…
e io giaccio, - e io sogno; - e nell’alito del vento
che odo gridàr, e nel suo tenue ululato, - io – (che
farò?) -
resterò tremante. E come or m’è, così mi sarà una cura
eterna l’oscuro Fato, e il
mio conturbante senso, e il suo arcano tenebrore. - E…
e tu, Notte, non odi? - Lo sai che: è un mio Sentimento?
Eh! - Ma
l’Anima mia così beändo sogna, ed è insonne d’Amore,
e…
e questo tempo notturno dove sento le civette - ah! -
passa e va lento, - e il
mio restàr nei miei svenuti sogni insensati e
l’accordato
mio vecchio liuto, e il mio frinìr che non è che un
detto intemerato
fluïscono in un canto che si pasce d’insania e d’irredento
dolore, e…
ed è questa una nenia, ed è forse costei il mistero
del mio labbro: il mio lamento.
Penso! Ho perduto qualcosa, un’impronta della mia
stessa Vita, e…
e l’ammiràr delle foglie che multiformi e variopinte
cadono a terra, e
i canti allegri delle vicine e serene e placide
vendemmie lungo i monti, e…
e le feste del paëse, e le loro danze e i sorrisi
delle fanciulle, e…
e le prime brine dell’autunno cadèr all’alba sopra i
salici e sulle betulle, e
il mio più dolce desidèrio, mai noto a nessuno, e mai
gridato agli orizzonti,
questo volèr, bramàr, desideràr segreto che al mio
Destino muove una guerra, e
che è insana questua d’una gioia che ha e che porta molti
nomi e che è infinita; e
questo mio desidèrio è: un ballo mascherato dai sogni
rimasti inavverati, e…
e il rosso labbro del rubino d’una guancia di
fanciulla arrossata lievemente, e
gli inavvertiti sguardi ricercarsi tra i danzanti
trilli d’un quasi muto fortepiano, e
il scialbo collo adornato di trasognato oro, e il
piede che muove lontano, e…
e la sua giovinezza femminile, che davanti a me danza
soävemente, e
il quieto seno ora ristretto dai veli più sontuosi, e
i biondi capelli gemmati; e…
e penso! Penso combattendo i miei dolorosi Fati!
Occasiöni perdute e irrequiete, e che ho sprecato nei
sogni del mio cuore, e…
e ora so che non è per me più il tempo propizio per un
desidèrio che è Amore.
Eh! Ma mi resta pur nei reconditi ed eterni spettri
del mio Spirito deluso - un
incognito e furente senso di vivere e di gioia, che mi
chiede molto: e
voglio ancora sapere com’è l’ebbrezza d’un bacio, e il
tintinnio che mi ha illuso
di due ansimanti labbri che si incontrano su un unico
e misterioso volto, e
il sospiro di quel bacio, di quel bacio che entra nel
cuore e lo corrompe di Vita,
e che mi sfugge, alato pensiero d’una immeritevole e
spenta chimera, e…
e che sogno continuamente non appena il Sole tramonta
e viene la sera, e
la cui mancanza la coscienza mi rende impotente, e
l’Anima mi fa smarrita. E
ancora passo questa nuova Notte pensando e sognando; e
tutto è un vano ardire,
nemico della speranza, e irremovibile nell’atrio
insonne d’un cuor che vuol dormire; e…
e dopo i sognati palpiti, e dopo la sognata e
incognita e mai conosciuta fanciulla,
a me Poëta non rimane che un rimorso, e la tenebra che
regna. E tutto è Nulla!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Notte tra i Dì Lunedì XXI e Martedì XXII Settembre AD
MMXV
lunedì 21 settembre 2015
Desiderio e Poesia
Ghermii alle frasche l’autunno d’un sogno, e…
e i sensi delle foglie ivi cadute e spente,
e il seno loro e il svelto sonno, e
e il ventre delle querce, e l’irredente
cere dell’alba, quando sovveniva la brina, e…
e strinsi i nembi infiniti
dove la rondinella ad altri e più estivi nidi
era inquieta e pellegrina; e…
e ghermii i salci, e i cespi moribondi, e
e i campi un dì mietuti, e l’ombre intense e oscure
delle nebbie autunnali, e fonti e
selvagge felci d’inquiete radure, - e
ho ghermito gli sguardi d’una Notte eterna,
e l’orizzonte e cime e valli, e
gli ultimi fiori sui quali sovvenne
il mio settembre e i suoi fogliami gialli. - E il
nome mio è Desidèrio: un sogno osceno
che tramonta lontano presso un monte ignoto
terribilmente e oscuro e immoto, e - io
ghermii la Vita e la sua età. - E ora tremo
domandando alle doglie sulle quali mi giacio
che cosa sia un labbro, un bacio;
e non intendo una muta risposta al cuore, - se
non che ho infranto un sogno d’Amore. - E
spettro ghermente io mi dolgo, e col mesto canto
piango al Destino che mi tolse
la giovinezza, e il sospìr del cuor blando, e
che come un mare m’annegò e mi avvolse. - E
ghermii un dì e in sogno un bacio di fanciulla; e…
e il sonno si destava… all’alba… il Nulla!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Lunedì XXI Settembre AD MMXV
mercoledì 16 settembre 2015
In Ode di una Mattinata di Settembre
Oh cupo e - mio - mattino, dove - esasperato - e
in freddi trilli, e - in scialbe cere -
càdon le piogge, - oh tu! - ciel che è sempre rado
di nebuloso Sole, - oh voi! - che aria fiera, e
geli annunciate, uditemi! - E così io vi imploro; e -
e
chiedo: - e pietà, - ove s’arena
il sogno mio, e - vendemmia al dolce suono
d’una zampogna, e: - e miràr queste foglie
che cadono, e - appassite querce; e - udìr i cori
dei svelti stormi, e - la lor doglia - e
l’orizzonte beärsi, e - nubi - le più improbe. - E
tu, autunno mio, oh! - che? - non raccogli
queste frasche ingiallite? - E qui, la mia canzone
per te si stende, e - ed è il dolore! - E -
io - cavaliere - e - io - vagabonda impronta -
ombra dei visionari: - e sogni, e - istinti perduti -
a te mi volgo, oh mattìn, - onda
dei miei singhiozzi, e - preso in man un liuto - e
andando a un monte, e - per sentieri osceni -
canto una nenia, e - mesta, e - muta - e
funeraria. - E la Morte, e - il suo sereno
Fato, procedono - a divoràr la Natura, e - a
uccidere l’estate. - E così io qui tremo, - e
l’autunno mi languisce; e - la Luna -
il mio antico astro - ora e già si alza e viene; e - e
tu, mio cuor, sei ricolmo delle cure
che il sogno tuo perduto ti dà, e - pena - è
quest’alba nuova che non è - per me - che mille sere.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Mercoledì XVI Settembre AD MMXV
sabato 12 settembre 2015
Pensiero di un Cuore inattuale
Non hai più, oh cuor, le
concitate corti
dove potèr cantare! E
non hai più desidèri? E a che
sognare? E
qui i volti assorti e
ombrosi e forti
delle nuvole in cielo, e i
fiori morti
ti dissolvono. - Oh mare
d'ire e tempeste, eh! vuoi tu
divorare
i miei, i miei accordi? E
i miei ricordi?
E le mie vene or stilleranno
avare
foglie di pianto; - e i torti
e forse il Fato, oh
cuoricino, e i fiordi -
li odi? - Oh tu, oh mare? Eh!
Vanno a gridare! Eh!
E forse sono questi i sogni
muti
del tuo secreto vino,
oh cuore! E non senti? E son
liuti? E
or la tua Poësia cade. - È il
Destino! E
voi, miei sogni perduti,
ci siete? - E io inclino
all'ombre dello spino,
dove vanno le nebbie oscure e
autunnali,
Anima morta nei ciel
sepolcrali! E
addio, sogno, cui inchino,
di allegre danze, e aspetti
di fanciulle,
e addio, betulle, e
e addio, a te, pellegrino
e sempre tetro e appassito,
oh mio cuore,
trapassato da due urla e
dall'Amore!
Massimiliano Zaino di
Lavezzaro
Sabato XII Settembre AD MMXV
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lunedì 7 settembre 2015
In Ricordanza d'un ultimo Fiore d'Estate
Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
Una cura mi opprime.
Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
È il Destino sublime!
Canto!
Vien settembre; e che? il mio cuor non lo aspetta?
lì, dove mie si svolgono le sere
dei ricordi; e or sedendo a un’ombra - vetta
di nivee nebbie - e or gridando preghiere,
e qui dormendo scagliandomi a un sogno,
esterrefatto, io che rimembro? è un fiore
che vien da un monte; e nel suo tenebrore
autunnale a che gemo? E mi vergogno?
Era una rosa, e sangue d’uno stelo
che si volgeva alle nubi del cielo.
E ora che giaccio a questa oscura riva,
lo so! so che il mio fior svelto appassiva!
E cosa chiedo a questo fior perduto?
Forse l’amato avello.
E cosa chiedo a questo fior perduto?
Lì scorreva un ruscello.
Canto!
Eri tu rosa? O eri viola? O ninfea?
E il mio labbro taceva, ebbro di orgoglio;
e perché non sapevo che una Dea
fatta di fior, discorresse? E or? cosa voglio?
Tu, oh tu, oh mio fiore, sei defunto; e sei
tu la mia giovinezza? e indefinita
corolla? e forza della muta Vita?
E voi, tacete! Oh desidèri miei!
E odo che invecchio come un ramo all’alba,
quando d’intorno va la brina scialba;
ed eri tu con corolle dorate
l’ultimo fiore di questa mia estate!
E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Il tuo stelo è sepolto!
E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Guardami il pianto in volto!
Canto!
E tu, oh mio cuore, rimembri il suo spino?
e ivi, i giovani e suoi lineämenti?
e il piccolo e leggiadro corpicino?
E quali furono? i tuoi Sentimenti?
Ed era un sogno, e il sognàr trapassava
all’ombra fresca d’un monte selvatico,
e ai sassi impuri d’un eterno valico;
e la rosa melliflua m’inquietava.
Così mi resta un sospìr interrotto,
ed è un dolòr col quale sempre io lotto;
e con la fede verso il Ciel d’Iddio
che debbo dir? Se non l’ultimo addio?
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica VI e Lunedì VII Settembre AD MMXV
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