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mercoledì 8 settembre 2021

Ballata - Mi manca il rosso Vel de' le tue Labbia

Mi manca il rosso vel de’ le tue labbia

che ti tratteggia una falce di Luna,

quando hai sorriso, come alla laguna

s’inabissa nel mar la vecchia sabbia.

 

Oh Ebe! Tu ridi e sei lontana e canti,

vorrei chiamare il tuo nome divino,

contenderti agli Dei, vorrei adamanti

per ricoprire d’oro il tuo cammino.

Ma feroce e crudele è il mio Destino:

attendi che finisca Autunno, è il verno,

che possa il nuovo esilio esserti eterno,

mentre ti scrivo inni d’Amore e rabbia.

 

Pur non riesco a scordare le tue labbia,

i tuoi occhi giovanili e la tua bruna

essenza. Ma scompari come Luna

si inabissa nel mar di vecchia sabbia.

 

Allor che sarai spenta io piangerò

nel ricordarmi dell’ultimo incontro,

quando il mio cuor sovente ti disiò

mentre il Fato mi fea il tremendo affronto.

Ritorna Autunno: due anime a confronto,

un Pöeta devoto e la sua Dea,

lo stagno smorto senza più ninfea,

foglie che cadon malate di scabbia.

 

Oh Ebe! Ho sognato baciarti le labbia

con una rossa, uno strale di Luna,

quando hai sorriso, come alla laguna

si inabissa nel mar la vecchia sabbia.

Dipinto di John William Waterhouse (1849-1917), Ophelia, Tardo-Romanticismo, Accademismo inglese, Confraternita dei Preraffaelliti, 1889. Olio su Tela. Collezione privata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì VIII Settembre AD MMXXI.

lunedì 1 marzo 2021

Ballata romantica - La Lettera della Rondine

Va una rondine, le ale sue planando

dei fiori in su’ i germogli. Dice: “Ho

abbandonato il deserto lontano,

il canto dei minareti ad Allah,

e ora ritorno al mio nido per darti

il risveglio d’un cerulo mattino.

Ti porto un vezzo di sabbia dall’Africa,

una conchiglia di Venere, il mare..

ho pregato per te dalle alte torri

che distillano balsami d’Arabia…

Io ti domando: lasciami nel mio

nido! Lasciami nel mio nido! Tua

devota amica, corsiere del cielo!”…

 

E la rondine torna nel suo nido,

i suoi piccoli alleva e disfama…

Quando viene il mattino nel ricordo

canta le calde canzoni degli ermi..

poi, un monello annoiato lancia un sasso

contro il suo tetto. Non ha più una casa,

non ha più i piccoli, e ha solo dolore.

Morendo dice: “Io andrò in Paradiso!

Sì, io andrò in Paradiso!... Orbene, vattene!

Io ti domando: lasciami nel mio

nido! Lasciami nel mio nido! Tua

devota amica, corsiere del Cielo!”.

 

Veder non voglio più rondini morte

in questa Primavera che sovviene,

debole effigie di primule finte!

Dipinto di Gaston Bussiere (1862-1928), Abbraccio nella Luce della Sera, Tardo-Romanticismo, Simbolismo, Accademismo francese, 1927.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì I Marzo AD MMXXI.

domenica 17 gennaio 2021

Ballata senza Rime - Ehi, c’è Qualcuno in questo Regno di Ombre

Ehi, c’è qualcuno in questo regno di ombre

e nebbie?.... Dimmi, oh Ignoto, il tuo aspetto!

Ma d’un folle sconforto il labbro sordo

dimentica le parole e il respiro.

 

Dilaniando foschie dai vagabondi

orizzonti, consuma il mio gennaio

i miei pensieri. Non v’è più la speme

a rinutrirli in mezzo alla tormenta,

e il Sole scivola e vola e va via,

e la campagna mi diventa nera…

e io divento soltanto un nome… un fango.

 

Ehi, c’è qualcuno in questo regno di ombre

e nebbie?.... No! C’è soltanto una trista

eco… è un silenzio che gridando muto

dimentica le parole e il respiro.

Quadro di Caspar David Friedrich (1774-1840), Monaco in Riva al Mara, Romanticismo tedesco, 1808-1809.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica XVII Gennaio AD MMXXI.

 

domenica 20 ottobre 2019

Gran Ballata brillante senza Rime - E viene il Gusto delle Caldarroste

E viene il gusto delle caldarroste 
amare. Né di domenica ho un senso
di gioia, né l'Autunno vagabondo
mi parla dei suoi vïaggi gitani.

Ma dirò che era felice la zingara
bella, che la gioia s'è persa per via,
che opprimente al par della noia è la festa,
che la mestizia vien solo di sera.
Dirò che buone erano le castagne,
arrostite in un giorno burrascoso...
che nel cortil dell'Oratorio, stavo
ad aspettar la fine della domenica... e
che ora mi trovo dinnanzi alla mia ombra.

E viene il gusto delle caldarroste 
amare. Né di domenica ho un senso
di gioia, né l'Autunno vagabondo
mi parla dei suoi vïaggi gitani.

Eppure un giorno dire dovrò ai posteri
che una castagna è stata mia compagna,
quando il silenzio ottenebrò il meriggio,
e un solitario istante venne a urlare.
Anche nel mezzo di altre ombre la mia ombra
era sola; e sperava nelle dolci parole
d'un altro labbro umano. Fu una fiaba!
Ora soltanto il Tramonto mi fischia.

E viene il gusto delle caldarroste 
amare. Né di domenica ho un senso
di gioia, né l'Autunno vagabondo
mi parla dei suoi vïaggi gitani.

Così uscii di casa. Sentii il murmure
d'una foglia caduta. Almeno il suo
labbro m'ha detto una parola ignota,
un incomprensibile fruscio oscuro.
E il mondo mi divenne giallo, e rosso,
e ocra. Scoprii i colori dell'Autunno,
il bianco teschio della Luna morta,
il tristo sapor d'una bocca chiusa.

E viene il gusto delle caldarroste 
amare. Né di domenica ho un senso
di gioia, né l'Autunno vagabondo
mi parla dei suoi vïaggi gitani.

Lowell Birge Harrison, Una Giornata d'Autunno, Tardo-Romanticismo e Tonalismo statunitensi, Fine del Secolo XIX. Inizio del Secolo XX.

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XX del Mese di Ottobre AD MMXIX.

mercoledì 25 settembre 2019

E viene la Mestizia del cadente

E viene la mestizia del cadente
meriggio, quando prima della sera
io so che si languisce il Sole.... Oh! Mi era
dolce l'Estate! Ma ora sono spente

le lunghe giornate, e dell'Agosto
le cerule onde degli stagni. Oh come
viene presto il Tramonto! e dove io accosto
il guardo alle campagne e alle corone
degli ultimi selvaggi iris, dolor
mi cape che più non fugge. Così
saluto il giorno, e la Notte, e più in qui,
la nuova Luna che il mio cuor non sente. 

E torna la mestizia del cadente
meriggio; e il buio mi assale della sera.
E so che quelle luci di quel che era,
cioè d'Estate, per sempre mi son spente.

August Cappelen, Le Cascate impetuose, Romanticismo francese, Prima Metà del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì XXV del Mese di Settembre AD MMXIX.

martedì 24 settembre 2019

E fu l'Autunno uno Sguardo di bianca

E fu l'Autunno uno sguardo di bianca
nebbia, donde lo sguardo l'infinita
bruma insegue. Ma questa invigorita
noia e questo albeggiar di trista e stanca

mestizia a me di Settembre il crüento
sopor riportano; e i canti lontani
della vendemmia, e il lieve torneamento
delle foglie, e i latrati dei vecchi cani
mi prendon al par di quelli. Ma ora ali
di passeri che restan nel lor bosco -
né fuggon quei tuttora! - qui men fosco
mi fanno l'orizzonte. Pur mi manca

la spenta Estate, con la Luna bianca,
e il vivo Sole... con la gioia smarrita
dei suoi fiori. Ora s'è poi invigorita
la sua noia.... Ed ella mi offende e mi stanca.

John Atkinson Grimshaw, Paesaggio autunnale di Novembre, Tardo-Romanticismo inglese, Fine del XIX Secolo

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XXIV del Mese di Settembre AD MMXIX.

martedì 6 febbraio 2018

The Last Rose of Summer - Al Silenzio della Notte

Tanto pregai; ma questa Notte è muta.
Oh vespro estinto, speme o Sogno, e cuore!
Perché i desìri miei tacesti ancora?...
fu forse eccesso chièderti portàrli
al giovinetto stame di quell'ùltima
rosa? e dovevi tu strùggermi, e urlàrmi,
e ferìrmi!.... Il silenzio oscuro impèra;
e tu, per sempre, e ancora, andrai a tacèr.
Tanto pregai; ma questa Notte è muta.
Era serrato, forse, il varco ambìto
che nel suo sonno ardisce il regno onìrico
cògliere? O insonne 'la giacea nel vento
in bufera? O fu, forse, ahi! svelta l'alba?....
E tu, per sempre, e ancora, andrai a tacèr.
Tanto pregai; ma questa Notte è muta.
Forse che l'arpa tìmida non serve,
a te mi confidài. E fu follia... è vano!
Allòr tuo messaggero, Ermète, oh Notte,
non ha lasciate l'orme sue in sul ghiaccio
del cèspite bramato; e la mia lèttera
composta a' sangue e a' inchiostro de' i miei Sogni
la mèta or non raggiunse, e inulta spira...
'la forse tintinnando per la neve,
la sento, intendo... la scruto... la pingo:
come una slitta il cui Fato è d'oblìo...
donde codesta rosa gelerà
senza conòscere il fiòr d'un mio bacio.
E tu, per sempre, e ancora, andrai a tacèr.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì VI del Mese di Febbraio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

martedì 6 settembre 2016

Romanticismo in Elegia di una Ballata lirica a un Ricordo di Montagna

Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché io non rivedo le erte, e il Tòce
e il Melèzzo privato della voce,
e le croci delle pievi
bianche, splèndide come le alte nevi,
e la valle della Svìzzera d’intorno
da cui io vedèa rinàscere il mio giorno,
e la chiesetta bella di montagna,
l’alba che bagna
i campi dei trifogli e degli ovìli,
e i falbi pètali ingrigiti e ansiosi
lungo i fienili
delle pècore, e il pianto dei vitelli
dove forse sorgèvano castelli,
là… un dì, quando Brunnìlde raccoglieva
la mietitura degli Eroi più forti,
i cavalieri morti…
e il Sogno trapassò, e divenne il regno
di questa ricordanza.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché più ivi io non scorgo andàr al pozzo
coperte con gli stracci come un mozzo
le ombre possenti delle femminine
cime, dal confine,
l’eco delle scarpette delle valli,
la montagnìna bella dei miei Sogni
che rimembro nei sonni,
il baldo corno che ìncita alla caccia,
l’orgoglio d’un tristo arco
che la vìttima attende presso il varco,
con un dardo la manda in su’, nel cièl,
sguardo di Tell…
la quiete delle frasche e delle fonti,
la bellezza dei plàcidi orizzonti.
E il Sogno trapassò, e divenne il regno
di questa ricordanza.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché più non ascolto il rumòr dei
bïàcchi e degli augèi,
e l’Ave che risuona, fatta sera,
per la pietrosa schiera,
la campana che chiama alla raccolta
la piccolina scolta
del pàësello solitario e muto,
quasi perduto,
alla tìmida Messa del Signore,
e del Sole i singulti di tepore,
e le fole di nomi innominàbili
che dèstano il sorriso
segretamente ai labbri di ogni viso:
la vecchia fiaba di uno spettro nero,
l’infelice Gualtièro….
Ed io?.... Di’!…. ed io?
Stavo vicino, cullato da Dio!
E il Sogno trapassò e divenne il regno
di questa ricordanza. E
la fanciulla dei monti va alla danza:
tra i pastori è contesa pe’ i sponsali,
la scorgo da una tènera finestra,
hanno in màn la balestra…
chi colpisce dovrà sposàrla e sempre
vìverle accanto,
e penso or mentre:
oh mia perduta e ardita gioventù,
smorta e fuggita su’ un cenno di canto!
E il ricordo mi è tomba dei sospiri,
scrigno geloso di ìncubi e deliri.
E nel vacuo confusamente io prego
di questa orma di ciò che fu, e ove annègo.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu…
e il Sogno trapassò e divenne il regno
di questa ricordanza.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Homer Dodge Martin, Fiume e Montagne, Tardo-Romanticismo statunitense, Seconda Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Lunedì V e Martedì VI del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

sabato 23 luglio 2016

La Ballata del Lupo di Montagna

V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’eterno suo Destino: Notte… vacua
Notte, vacuo vagàr di spettri in ghigni
beffardi, e vacui lumi della Luna,
reciso cranio sulla lancia del
fuggente vespro, lungo le faràndole
dei rivoltosi fùlmini del vento;
e in giù, la valle si coprì del suo
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’invitta fame del suo oscuro manto,
tetro artiglio di Morte e di vergogna,
re delle vette intorno e dei torrenti,
laddove ei spaventava il gregge in sonno,
e il respiro dei pesci dei ruscelli,
ei! occhio di un mare che ovunque divora
gli scogli inquieti e le irrequiete arene,
e il non quieto ondeggiàr delle onde inferme,
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
se stesso, ed era la mia Ànima assente
al giorno e alla quïète delle selve,
e al Sole splèndido, estivo… orbato
io come ghiaccio perenne di un vàlico,
per sempre condannato al regno dei
sepolcri dei miei Sogni, tombe ignude
di una Vita cadente nel nervoso
bàratro del non-senso, e del deserto
più solitario, esteso. E fu!... e fu un ìncubo. 
E quivi io aspetterò la più nuova alba,
un sorriso di Dio. 


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Joseph Adam, Il Valico segreto, Romanticismo vittoriano, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Sabato XXIII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

giovedì 26 maggio 2016

La Ballata della Notte

Dimmi, oh Notte, qual sia il tuo insano orrore,
se Spettri o Luna, se tessuto Fato
inesoràbile e sublime, o se ore
di Morte eterna nel vento agitato;

se così oscura tu appassisca il fiore
che nel meriggio tra le frasche è nato;
di’, oh Notte, artèfice or di empio terrore,
di Morte eterna nel vento agitato!

E io qui attendendo il tuo responso arcano
sogno forse il venìr delle tue Villi,
e degli Elfi tuoi, e Ninfe, e l’inumano
cantàr lagnoso dei tàciti grilli;
e io qui attendendo il tuo responso arcano
bevo le ombre dei sàlici dei Fati,
e il vento viene, e vola e va lontano
di Morte eterna tra i faggi agitati.

Dimmi, oh Notte, qual sia il tuo insano orrore,
il tuo secreto Mistero velato,
questo venìr, questo andàr di alto Amore,
la Morte eterna nel vento agitato!

Dimmi, oh Notte, qual sia il tuo insano orrore,
se Spettri o Luna, se tessuto Fato,
se Morte eterna nel vento agitato,
inesoràbili e ùltime le tue ore!

E forse or vesti le larve dei Sogni
miei, e con l’argento della Luna scialba
pur ti incammini - ahimè - e non ti vergogni
a uccìderli nel soffiàr della nuova alba.
E, infatti, vièn l’aurora eterea e falba,
e lentamente lasci gli orizzonti,
tu giurando più nuovi e bei tramonti,
inesoràbili e ùltime le tue ore.

Dimmi, oh Notte, qual sia il tuo insano orrore,
se Spettri o Luna, se tessuto Fato
inesoràbile e sublime, o se ore
di Morte eterna nel vento agitato!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Albert Bierstadt, Un Tramonto, Hudson Rive School, XIX Secolo


In Dì di Giovedì XXVI Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI


venerdì 18 marzo 2016

Attila: il Vaticinio delle Norne

Figliuolo della steppa, Attila, l’Unno,
le Norne dìcono, afferra il suo Reno,
Streghe del Fato, esse prime fanciulle, e
tetre ombre di Ygdrasìl. Oh Erda… Erda, oscura,
vaticinio in tempesta della Sorte!
Le selvàtiche schiere vanno. Irose
àrdono le campagne intorno, i flutti
del sacro rivo, covo delle Ondine,
vìndici del Dio Wòtan, esse, tormèntano
la stirpe delle Nebbie, i Nibelunghi,
la Morte seminando disperate,
e mietendo di sangue immani germi,
mentre del fiume le spogliate Ninfe
càntano all’oro perduto e funereo,
i seni riflettendo nelle empie onde
alluminate dal fuoco dei bruti.
Figliuolo della steppa, Attila, autunno
dell’Alemagna invitta, a’ il loro seno
scialbo, ei lamenta, qui, tra le betulle
che si infiàmmano tosto; e la Natura
si tinge di ogni patimento e Morte.
Si àgitano allòr le onde burrascose,
e il Regno della Nebbia in tanti lutti
precìpita, morendo tra le spine
dei bàrbari flagelli che spavèntano
anche le pietre. E venèfici funghi
gli Gnomi bèvono, in coppe dorate
maledicendo Alberico. Gli infermi
spettri della perenne Notte vanno
a morìr tra le fiamme e il suol cinereo.
Siete voi vendicate, oh Ninfe bionde,
oh esili nel ruscello, i corpi ignudi!
Egli è la Furia della steppa ardita,
Attila, il Re degli Unni, e volge contro
ogni inumana e sovrumana possa,
figlio del nostro labbro - dìcon tetre
le Norne - ei irride l’ignoto Destino,
ei, ira di folli e guerresche tribù
che vèngon da lontano, oltre le cime
dei sacri monti, e oltre il Valalla spento.
Veste le pelli degli orsi sgozzati,
sangue è la bava bevuta ai Germani,
cieco nel cuore, insipiente del Dio,
truce procede la stirpe a domare,
Vendetta, ei, urlata un dì verso l’Anello
che Lorelei di nuovo al Reno posa,
l’arpa trillando festosa e serena.
Attila brama dovunque lo scontro,
e rigetta la terra un mucchio di ossa;
e di fuoco or si fan calde pur l’etre,
fiume dal flutto oscuro e cinerino.
Il Regno delle Nebbie allora fu!
È stato sterminato, egli, il sublime
Pòpolo, il ladro del fluviale argento,
grìdan le Norne pe’ i rami smorzati
di Ygdrasìl: funerale, esequie, mani
di colui che sfidò l’eterno Iddio,
Alberico, il baldante che regnare
volle sul globo e sul santo ruscello.
Attila fugge. Resta sanguinosa
orma di Morte, di strazio e di pena.
Dìcon le Norne co’ i lor vaticini,
spettri viventi di tanti Destini.

E voi, Valchirie, cupe figlie di Èriahnn,
posse dei nembi che piàngono sempre
di Brunnilde la prode e mesta fine,
voi, donne irate, lasciate insepolte
quest’ossa infami, e questo sangue sparso,
né mai mietete quest’Anime brute
di questi Gnomi del Regno del Vespro,
né mai provate per loro pietà.
E voi, Valchirie, cupe figlie di Èriahnn,
che ferreo avete e il seno, e il piede e il ventre,
e che regnate sopra le alte cime,
non fate di quest’alme da voi avvolte
tributi e onori: maledette sono.
Lasciàtele disperse in Notti cupe,
su queste terre, a far da tristo vepro
per il Destino che sempre vivrà.
E tu, Attila, che ridi, oh tu, oh sovrano?
Lo sai che anche per te c’è pronto un Fato?....
E tu, Attila, che ridi, oh tu, oh sovrano?
Morirai tosto tradito e sgozzato.
Lo sai che un uomo ti attende vêr Roma?
Ti afferra il crine e ti respinge. Trema!
Lo sai che un uomo ti attende vêr Roma?
Incubo oscuro, del cielo anatèma!
Così le Norne dìcono. È il silenzio!
Sangue e flagelli e disperato assenzio!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Arthur Rackham, Alberico e le Fanciulle del Reno



In Dì di Venerdì XVIII Marzo Anno del Signore, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

martedì 15 marzo 2016

La Cantica delle Valchirie

Eroi perduti che sòrgono a frotte
addìtano le nubi tempestate.
Oh voi Valchirie… oh voi Sorelle, udite!
Sàlgono i lor lamenti e si dispèrdono,
e il loro sangue, e loro bave, e il Fato
lentamente ora vanno nell’oblìo,
di Dönner disperando essi, singulti
perenni di Destino e di tramonto,
d’in sul trïònfo dell’invitte liti
che morìr li ha veduti presso il brando
insanguinato e folle, sovrumana
ira che miete dovunque la Morte,
ineffàbili crani primigeni.
Così è giunta per lor l’eterna Notte,
Anime inquiete nel Nulla scagliate,
e vanno… e vanno, perplesse e smarrite
dove gli omaggi al re Wòtan si rèndono,
tra le nebbie di un vèspero adirato.
E noi Valchirie, ombre di questo Dio,
i lor temprati ardori e i loro inulti
sospiri estremi e l’infinito affronto
flebilmente accogliamo, Anime miti;
e questo sonno rendiàm loro blando,
noi, posse occulte di Erda la Dea arcana,
bionde compagne delle Norne, Sorte
che aleggia co’ gli usberghi in sopra i seni.
Figlie del Caos, sorelle di Froh, brume
di Ygdrasìl, quercia immonda del Destino,
a prèndere corriamo questi spettri,
noi cavalcando i temporali oscuri,
oltre le vette dei monti del Reno,
lungo l’ombra dell’arpa degli Scaldi,
oltre i càntici bei di Lorelei,
Ninfa che geme sui mesti relitti,
ululando noi altère come i lupi
nell’inverno perenne della fame,
palafreno funesto e oscuro e tetro.
Eroi, oh Eroi, non temete! Sarà un lume
a risplèndere al vostro teschio, inchino
tempestoso e funereo dianzi ai scettri
degli impetuosi Dei, e dei più puri
dolci anelli di Freya, gemme al seno
dal peplo ricoperto - oh i veli baldi! -
intinti di amaranto, gioia dei lai
nella pugna versati. Oh voi sconfitti!
Qui con noi regnerete sui dirupi
che al crepùscolo son fulvi di rame
di intatto sangue, e in su’ i cieli di vetro.
Ma la tragedia non tarda a noi, ombrose
Valchirie del più freddo Nord dei fiordi
selvaggi e nivei, donde noi soffriamo
quando le eròïche e ansimate prede
un giorno trapassate ci sospìrano
melliflui sentimenti d’un arcano
or mai assopito, e femminile e vago,
un senso mite di irrequieto Amore,
che mai sarà corrisposto. E ei è il volère
della Natura primigenia e cupa
che con il ferro e co’ il rame ci ha ordito.
Saremo sempre posse burrascose,
di elmi coperti i volti che son sordi
nella menzogna a quello che sentiamo,
e col guerresco corpo, e il ferreo piede,
co’ gli occhi attòniti e fermi che stìllano
tàcito pianto, fatàl, sovrumano,
làgrime inquiete, làgrime di un lago
che spazia e inonda funestando il cuore, e
‘ve sempiterno vi è il nostro dolère.
E porteremo con noi questa cura,
la porteremo lungo l’Infinito.
Fortunata Brunnìlde in suo riposo,
almèn nel sonno troverà il suo sposo.

Wòtan un dì si girò, e la baciò,
tra le fiamme di Lòg(h)e, il Dio più saggio.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
la cullava nel sonno e nel miraggio;
e danzava d’intorno il fuoco eterno,
ridèvano le scialbe sue lenzuola,
in un letto di bara eterna e viva,
in un letto di Morte e di sopore.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
dàndole - chè era figlia - ùltimo addio.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
perché Ei voleva èssere sempre un Dio.
Così riposa la nostra Regina,
dalle fiammelle circondata, e stesa
d’in su’ un monte segreto che soltanto
Mìme conosce e il suo prode figliastro,
Mìme silenzia a un figlio di Valchiria.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
sulla fronte tremante e che non regge.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
ella osò andare contro la sua Legge.
E ora lì addormentata attende invano
che la lancia dei sacri Patti muoia,
e che le fiamme retrocèdan svelte
al corno di un Eroe anònimo e oscuro,
al corno della Vita e della Sorte.
Wòtan un dì si girò, e la baciò,
dicendo che un baciàr la sveglierà.
Wòtan un dì si volse, e la baciò,
e dov’ella ne sia nessùn lo sa.
Erda e le Norne vòglion che costei
sia l’ùnica Valchiria che ami, e tanto…
costei che aspetta il risveglio di un labbro,
il risveglio di un bacio.   



Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Una Valchiria, Dipinto di Peter Nicolai Arbo



In Dì di Martedì XV Marzo Anno del Signore, di Grazia e di Divina Misericordia, AD MMXVI