Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Montagna. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Montagna. Mostra tutti i post

martedì 6 settembre 2016

Romanticismo in Elegia di una Ballata lirica a un Ricordo di Montagna

Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché io non rivedo le erte, e il Tòce
e il Melèzzo privato della voce,
e le croci delle pievi
bianche, splèndide come le alte nevi,
e la valle della Svìzzera d’intorno
da cui io vedèa rinàscere il mio giorno,
e la chiesetta bella di montagna,
l’alba che bagna
i campi dei trifogli e degli ovìli,
e i falbi pètali ingrigiti e ansiosi
lungo i fienili
delle pècore, e il pianto dei vitelli
dove forse sorgèvano castelli,
là… un dì, quando Brunnìlde raccoglieva
la mietitura degli Eroi più forti,
i cavalieri morti…
e il Sogno trapassò, e divenne il regno
di questa ricordanza.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché più ivi io non scorgo andàr al pozzo
coperte con gli stracci come un mozzo
le ombre possenti delle femminine
cime, dal confine,
l’eco delle scarpette delle valli,
la montagnìna bella dei miei Sogni
che rimembro nei sonni,
il baldo corno che ìncita alla caccia,
l’orgoglio d’un tristo arco
che la vìttima attende presso il varco,
con un dardo la manda in su’, nel cièl,
sguardo di Tell…
la quiete delle frasche e delle fonti,
la bellezza dei plàcidi orizzonti.
E il Sogno trapassò, e divenne il regno
di questa ricordanza.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu
dacché più non ascolto il rumòr dei
bïàcchi e degli augèi,
e l’Ave che risuona, fatta sera,
per la pietrosa schiera,
la campana che chiama alla raccolta
la piccolina scolta
del pàësello solitario e muto,
quasi perduto,
alla tìmida Messa del Signore,
e del Sole i singulti di tepore,
e le fole di nomi innominàbili
che dèstano il sorriso
segretamente ai labbri di ogni viso:
la vecchia fiaba di uno spettro nero,
l’infelice Gualtièro….
Ed io?.... Di’!…. ed io?
Stavo vicino, cullato da Dio!
E il Sogno trapassò e divenne il regno
di questa ricordanza. E
la fanciulla dei monti va alla danza:
tra i pastori è contesa pe’ i sponsali,
la scorgo da una tènera finestra,
hanno in màn la balestra…
chi colpisce dovrà sposàrla e sempre
vìverle accanto,
e penso or mentre:
oh mia perduta e ardita gioventù,
smorta e fuggita su’ un cenno di canto!
E il ricordo mi è tomba dei sospiri,
scrigno geloso di ìncubi e deliri.
E nel vacuo confusamente io prego
di questa orma di ciò che fu, e ove annègo.
Mi ricordo dei monti; e un mese fu…
e il Sogno trapassò e divenne il regno
di questa ricordanza.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Homer Dodge Martin, Fiume e Montagne, Tardo-Romanticismo statunitense, Seconda Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Lunedì V e Martedì VI del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

sabato 23 luglio 2016

La Ballata del Lupo di Montagna

V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’eterno suo Destino: Notte… vacua
Notte, vacuo vagàr di spettri in ghigni
beffardi, e vacui lumi della Luna,
reciso cranio sulla lancia del
fuggente vespro, lungo le faràndole
dei rivoltosi fùlmini del vento;
e in giù, la valle si coprì del suo
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’invitta fame del suo oscuro manto,
tetro artiglio di Morte e di vergogna,
re delle vette intorno e dei torrenti,
laddove ei spaventava il gregge in sonno,
e il respiro dei pesci dei ruscelli,
ei! occhio di un mare che ovunque divora
gli scogli inquieti e le irrequiete arene,
e il non quieto ondeggiàr delle onde inferme,
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
se stesso, ed era la mia Ànima assente
al giorno e alla quïète delle selve,
e al Sole splèndido, estivo… orbato
io come ghiaccio perenne di un vàlico,
per sempre condannato al regno dei
sepolcri dei miei Sogni, tombe ignude
di una Vita cadente nel nervoso
bàratro del non-senso, e del deserto
più solitario, esteso. E fu!... e fu un ìncubo. 
E quivi io aspetterò la più nuova alba,
un sorriso di Dio. 


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Joseph Adam, Il Valico segreto, Romanticismo vittoriano, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Sabato XXIII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

lunedì 2 novembre 2015

La Ballata delle Ombre della Notte

Ombra dell’ombre, regina, oh tu, Notte;
ombre dell’ombre regina, oh tu! È un Sogno!
E la civetta l’udito mio ascolta,
che si lamenta in canti funerari,
e l’ululato del lupo del bosco
che il mio animo impietrisce in tanta angoscia,
donde io non sento che ansie sempiterne. E
lungo l’orizzonte la montagna è avvolta
che tanto io adoro, e la sua valle, e i cari
miei vàlichi di nebbie in nebbia; e fosco
m’è l’occhio che non vede, e trema. Poscia
si spèngono anche le ultime lanterne.
Ombra dell’ombre regina, oh tu, Notte:
così è la Luna che risplende, è il Fato
scolpito su una pietra taciturna,
Re degli abissi più irrequieti e immensi;
e io lo temo perché è un sogno. - Oh cuor mio:
forse rimembri le trascorse grotte!...
e l’Alpe avvinta a un fiore immacolato
d’un muto volto; e l’alba svelta e diurna,
e i nembi che la salutano, incensi
dei campanili e che salgono a Dio.
Ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno:
e così presto è venuto il mattino
a ridestarmi alla Vita scomposta;
e alfine m’è di pena questo mare
di ignote cime, e di freddi torrenti.
Ma i miei ricordi trapassano lenti,
e li sento: che vogliono gridare
come un Titàno che agli Dei si prostra, e
preso e umiliato da un truce Destino; e…
e ancòr questo Verbo: è tutto un Sogno.
Ombra dell’ombre regina, oh tu, Notte:
il ciel è oscuro, e grida il Ghiridòne,
come un lupo affamato di sepolcri.
E era un sogno anche colei, e il suo mistero,
tàcita roccia, e volto di fanciulla;
e sono chiome in me scolpite e immote,
‘ve per il vento urlano una canzone:
labbri femminei che cantano sciolti;
e il crepuscolo giunge, ed è più nero.
All’orizzonte i monti miei; e poi è il Nulla.
Ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno:
i rammentati ruscelli, e le cime,
e infestano il mio cuore. E Ora è sublime
che appèn preludia l’insensato sonno.
E il vìver si risolve in spettri ombrosi,
dove è il singulto che regna i pensieri
miei, e i miei sì sovvenuti sguardi, e erosi
ciottoli antichi di vecchi sentieri.
Ma nel cielo le stelle come ceri
brillano fioche, e la Notte è immortale.
E il mio sognàr vagabonda fatale:
e l’occhio che urla è qui sempre più insonne.
Oh iride mia, convulsa nel tuo sonno!
Oh mie membranze! Oh valli scoscese e ime!
La Notte trionfa; e ripetono le cime:
ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno!
E poi nessuno m’ha detto mai chi era
questa mia giovinetta, e il suo dolore.
So che era come un’ombra: fu e scomparve.
E interminabile era la mia steppa, e
sognante e tetra, e era il mio Sentimento.
Forse ho perduto la mia Primavera:
i pioppi in foglie, e lì, i fienìl in fiore.
Ma no! Furono solo le mie larve;
e ora lo intendo che qui me ne accenna
l’autunnale e furioso e freddo vento.
E tutto è sogno: Vita, Cuor, Tormento!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Domenica I Novembre AD MMXV

lunedì 7 settembre 2015

In Ricordanza d'un ultimo Fiore d'Estate

Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
Una cura mi opprime.
Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
È il Destino sublime!
Canto!

Vien settembre; e che? il mio cuor non lo aspetta?
lì, dove mie si svolgono le sere
dei ricordi; e or sedendo a un’ombra - vetta
di nivee nebbie - e or gridando preghiere,
e qui dormendo scagliandomi a un sogno,
esterrefatto, io che rimembro? è un fiore
che vien da un monte; e nel suo tenebrore
autunnale a che gemo? E mi vergogno?
Era una rosa, e sangue d’uno stelo
che si volgeva alle nubi del cielo.
E ora che giaccio a questa oscura riva,
lo so! so che il mio fior svelto appassiva!

E cosa chiedo a questo fior perduto?
Forse l’amato avello.
E cosa chiedo a questo fior perduto?
Lì scorreva un ruscello.
Canto!

Eri tu rosa? O eri viola? O ninfea?
E il mio labbro taceva, ebbro di orgoglio;
e perché non sapevo che una Dea
fatta di fior, discorresse? E or? cosa voglio?
Tu, oh tu, oh mio fiore, sei defunto; e sei
tu la mia giovinezza? e indefinita
corolla? e forza della muta Vita?
E voi, tacete! Oh desidèri miei!
E odo che invecchio come un ramo all’alba,
quando d’intorno va la brina scialba;
ed eri tu con corolle dorate
l’ultimo fiore di questa mia estate!

E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Il tuo stelo è sepolto!
E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Guardami il pianto in volto!
Canto!

E tu, oh mio cuore, rimembri il suo spino?
e ivi, i giovani e suoi lineämenti?
e il piccolo e leggiadro corpicino?
E quali furono? i tuoi Sentimenti?
Ed era un sogno, e il sognàr trapassava
all’ombra fresca d’un monte selvatico,
e ai sassi impuri d’un eterno valico;
e la rosa melliflua m’inquietava.
Così mi resta un sospìr interrotto,
ed è un dolòr col quale sempre io lotto;
e con la fede verso il Ciel d’Iddio
che debbo dir? Se non l’ultimo addio?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica VI e Lunedì VII Settembre AD MMXV

martedì 18 agosto 2015

In Ode d'una Rosa e d'un Cigno

Il lago palpita,
dal fresco lido
v’è la montagna.
E tu, e tu, oh càndido,
esci dal nido.
Che è questa lagna?

Cigno dei monti, perché piangi all'acque?
Forse è la rosa che scorgi e che grida,
e che appassisce, come un'altra giacque,
e un fiore della Morte in te s'annida.
Vedi? I suoi steli decadono, e lenti
ondeggiano sul lago; e va il tuo canto
a seguirli, e l’Ignoto asperge il pianto
di lunghi e incerti e intensi patimenti.
Ma non sai che defunti i canti, i tuoi,
i tuoi Destini, ahimè, saranno i suoi?
Non finìr di cantàr! La Sorte vede!
Se un cigno tace, sai tu che succede?

La rosa è l’ultima
del monte estivo.
Cantale un salmo!
Non sai che il petalo
sarà giulivo,
forse più calmo?

Ala di Luna, perché questa danza?
La rosa muore, e tramonta l’estate.
No! Non tacèr! Continua la romanza!
Sii tu del Fato il sempiterno Vate!....
Ma perché il fiore che annega s’avanza?
È il rosso sangue di sere dorate;
e nella Notte che viene s’ammanta.
Anima mesta, perché il cuor ti canta?

La Morte è in spasimo,
tinta di nero.
La senti, oh mesto?
Silenti i gemiti
del cimitero,
Fato funesto!

Rostro di nenie, non odi il silenzio?
È la valle d’intorno che guaïsce,
un labbro muto attoscato d’assenzio.
Vedi la rosa? Un’onda la ferisce,
e nel perenne flutto la trascina,
dove il lago in furòr la seppellisce.
Oh perché, oh cigno, ella non s’incammina
sotto le tue ali, cui l’acqua addestina?

Devi sol gèmere!
Oh falbe penne,
non v’agitate!
La Vita spasima,
volto perenne.
Perché lagnate?

Cigno in singhiozzi, perché piangi il fiore?
Non fu che vano, e vanamente langue.
Ma non era il tuo sogno? era l’Amore
che il tuo cuor lamentava in tanto sangue?
È morto! È morto! e il sognàr è finito,
e non ti resta che un canto d’eterno,
qui prolungato all’autunno e all’inverno;
e se vuoi, muori! E vedrai l’Infinito!
La rosa annega, e tramonta e scompare,
come fa il Sole al termine del mare.
Una speranza d’Amore è sepolta.
Tace il tuo labbro. La Morte! Ecco! Ascolta!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XVIII Agosto AD MMXV

lunedì 17 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. In Ode delle Lagnanze d'un Visionario

Monti di rocce perenni e di Morte,
dov’è una fonte all’ombra d’un castagno?
Oh voi tacete, oh pietre, oh cime insorte
alla mia sete! e perché ancor mi lagno?
Sono io un sogno represso, un visionario;
e stanco, oh vette, intorno peregrìno,
e il cielo e l’orizzonte m’è Destino,
donde rigiro un piangente rosario!
Lo ripeto alle nubi oscure e nere,
singhiozzi sono di vane preghiere!
Ho fame, e ho sete, oh mio Iddio; e m’abbandoni?
Tanto mi prometti; ma mi scagli i tuoni!

Sempre sentieri, e non ho altro d’intorno,
e tu, montagna, non è vero, esulti?
E quando finirà il chiaròr del giorno,
non avrò un pasto, ma angosce e singulti.
Vetta sublime infestata dai lupi,
dimmi, vuoi tu vedèr soffrìr un uomo?
È l’ombra tenue d’un debole atòmo.
La vuoi coprìr con i tuoi alti dirupi?
Mi inghiottirà la nascitura Notte!
Addio, oh foreste, addio, oh ruscelli e grotte!
O forse un covo troverò nel vento?
Folle sognàr d’un vano Sentimento!

Iddio, ti prego: dove sei, oh sublime
volto incognito? E a che mai fuggi via?
Mi restano le rocce, e queste cime,
l’empia catena che ha nòm Poësia.
Ma qui nel bosco scorgo un fungo, e forse
una fonte e il mio pasto, e il desiderio
lento s’avvera; e un canto di saltèrio
nel cuor ha Vita, nel cuor dove accorse.
Pur questi funghi mi dìcon: «Non ceno!»
chè rossi sono d’infame veleno.
È il Mostro della Croce: è morto Iddio?
No, no… abbi fede! Egli vive in cuor mio!

Vetta montana, il vespro s’avvicina;
e ancor ramingo pei valichi io giro.
Scorgo la sera, la fiamma turchina
nel rubìno del Sole che ora ammiro.
Ho paüra! La Notte sopraggiunge,
e i boschi e rivi seppellisce oscura,
e la dormiente e funerea Natura
più che dormire, purtroppo, defunge.
Ora è dei sogni; è ora delle visioni,
di queste mute e perdute canzoni!
Ma, Iddio, l’intendo: una lucerna scialba,
certamente vedrò la nuova tua alba!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XVII Agosto AD MMXV

venerdì 14 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. La Ricordanza del Villaggio di Olgia

Cuore, ricordi le montagne e i rivi?
È venuto il tramonto, e s’è dispersa
l’ombra dei monti, e i ruscelli e i giulivi
sassi, e la chiesa dalle nubi tersa.
Vedi? Le cime svaniscono, e il Nulla
dei scialbi campi regna le radure,
e tu, tu stesso, in ineffabili cure
a un sogno piangi, e alla sera fanciulla.
Cuore, rimembri il Gridòne, il Titàno?
Tu non lo vedi, ma s’erge lontano!
È ricordanza di una quieta estate,
la folle lagna d’un misero Vate.

Cuore, rammenti i sentieri nei boschi?
Ivi scorgesti le chiese montane
della Svizzera, e i sassi ombrosi e foschi
che un dì il bandito percorreva; e tane
di tetre serpi e di povere prede,
lì, ove ammiravi splendere una Luna
che falba e in pianto vestì la laguna
dell’alte vette d’argento. E la fede,
cuore, ricordi? Diceva d’Iddio,
nell’Infinito che regnava; ed io
in te brindavo col sangue secreto.
Cuore, rimembri? Era gelido il greto.

Cuore, ricorda le selve e le spine,
dove hai sognato le Valchirie, e i lupi,
lì, sul sublime sguardo di ferine
aquile, e là dove udisti i dirupi
di Morte urlàr! E i torrenti alti e alpini,
i vàlichi scoscesi, e i freschi fonti,
rimembra, cuore! i serali orizzonti,
e i sempre oscuri e tàciti Destini!
Cuore, ricordi i fiori che da maggio
crescono quieti vicino al villaggio?
E le more gustate, e i rovi, e il vento,
rimembri, cuore, estatico il momento?

Cuore! Era sera e la Luna splendeva,
illuminava la valle d’intorno.
Pur sapevi che in ciel costei gemeva?
Visse la Notte, ma bramava il giorno!
Una Luna di marmo; e impietosito
muto la contemplavi, ansiosamente,
e cuore! Taci? Non era soffrente
nel ricercàr del Sole suo smarrito?
Eppur rimembri le festose Messe
dinnanzi all’Alpi dal Signor oppresse.
Cuore! Hai perduto questa Luna scialba,
e questi monti. Svegliati! chè è l’alba!

Cuore, rammenti di Olgia, la perduta?
Quando la dominavi in fin dall’alto!
E la tua valle in un campo si muta:
ve’!  la pianura, il grano e il riso e il malto.
Ma lassù, cuore, cos’hai abbandonato?
Cuore, rimembra le placide sere,
la dolce chiesa, i salmi e le preghiere.
Eppur non basta; s’infuria il tuo Fato!
Cuore, a quest’Alpe lasciasti un pensiero,
la fiamma che si spense sopra un cero.
Tu dimenticasti te stesso e il Signore!
Oh cuore, oh tu Alpe, oh singulto d’Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XIV Agosto AD MMXV