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venerdì 20 gennaio 2017

Elegia a un'Ombra nella Notte

È buio come di Notte, è in ciel buia Luna,
e burrascoso vento, e un po’ oltre, gelido
nevischio, e tetra nebbia.

Donna cieca è Natura in tanta tenebra,
stretta-bendata, è fanciulla al patibolo
dei fior decapitati
da folle inverno,
e non attende che il capestro ceda.
Rimarrà appesa co’ i piedi sul vuoto!

Chi era? Era solo una ribelle insana:
chiedeva pane per le umide strade,
dormiva sulla polvere,
e non è mai esistita.
Vento! ripeti a bassa voce il suo
nome!.... Se mai ti sentissero, tosto
morir potresti
condannato alla gogna.

Sentinella!.... Ombra, chi è là?.... Ombra null’altro!
Ombra senza uomo, né corpo… né cuore,
spirito vagolante tra le fregole
di lupi e streghe.
La senti?.... Si avvicina! Muti passi
rendono eterno il fragòr del silenzio
lievemente schiacciando a terra il ghiaccio
dove or scìvolano il ciel e sue nubi.
Dio non sa pattinare.

L’ombra non è uno spettro, non è specchio
di membra… e denti, e fauci. Ma è una belva,
un Titano che irride la päura
dei timorosi ánimi.
Su qualche riva di un fiume c’è un uomo
che gli abissi contempla, e non ha più
il suo riflesso. Di’: ha perduta l’Anima?....
Sentinella!.... Rispondi!

Forse i Titani già marciano contro
la sanguinosa ambrosia del Calvario,
ombre tra le ombre in ombra sola, è Sàtana
che chiede sangue e Morte.

Avete eletto voi, o Popoli, i sommi
capi di queste corrotte tribù.
Tutto prosegue, cambia… e si ripete.
Resta Lucifero. Ha indosso l’èfod.

E in così tanto silenzio or singhiozza
la lieve brezza che sentiva Elia.
Maledetta la stirpe delle serpi!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

William Turner, La Barca di un Pescatore in Notte di Luna piena, Romanticismo classico inglese, prima Metà del Secolo XIX



In Dì di Venerdì XX del Mese di Gennaio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo e di Grazia AD MMXVII.

lunedì 15 agosto 2016

En plein Air - Impressionismo di Ferragosto

Sedèr, e bèr il tè delle Alpi indiane
sognando udìr i canti delle sue
miti raccolte,
e stàr all’ombra dell’ùltimo mese
d’Estate, e raccontàr le fresche brezze
di queste mie pianure,
e dormìr ricantando immacolati
Sogni! E è meriggio! e è agosto!
Festosamente càntan le risaje,
e il maschio volto e il torace del Sole -
nella mia Arbogna - per specchiarsi affronta
le invisibili e pur gaie nudità
delle Ondine fluviali;
e le fanciulle delle selve riàprono
i ventagli dei fiori, e i parasoli
delle querce per un po’ di ombre opàche,
il pròssimo riposo per il mio
cuor mietitore dei venti d’autunno.
Ma così presto e vorace si accorcia
il giorno, e in un tintinnìo di ali di Ànime
perdute, è già la sera.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Tardo-Romanticismo tedesco, Illustrazione per L'Oro del Reno di W. R. Wagner, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Lunedì XV Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

sabato 23 luglio 2016

La Ballata del Lupo di Montagna

V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’eterno suo Destino: Notte… vacua
Notte, vacuo vagàr di spettri in ghigni
beffardi, e vacui lumi della Luna,
reciso cranio sulla lancia del
fuggente vespro, lungo le faràndole
dei rivoltosi fùlmini del vento;
e in giù, la valle si coprì del suo
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
l’invitta fame del suo oscuro manto,
tetro artiglio di Morte e di vergogna,
re delle vette intorno e dei torrenti,
laddove ei spaventava il gregge in sonno,
e il respiro dei pesci dei ruscelli,
ei! occhio di un mare che ovunque divora
gli scogli inquieti e le irrequiete arene,
e il non quieto ondeggiàr delle onde inferme,
famèlico ululato. E fu!... e fu un ìncubo.
V’era un lupo, ed ei a un monte lamentava
se stesso, ed era la mia Ànima assente
al giorno e alla quïète delle selve,
e al Sole splèndido, estivo… orbato
io come ghiaccio perenne di un vàlico,
per sempre condannato al regno dei
sepolcri dei miei Sogni, tombe ignude
di una Vita cadente nel nervoso
bàratro del non-senso, e del deserto
più solitario, esteso. E fu!... e fu un ìncubo. 
E quivi io aspetterò la più nuova alba,
un sorriso di Dio. 


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Joseph Adam, Il Valico segreto, Romanticismo vittoriano, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Sabato XXIII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

martedì 13 ottobre 2015

L'Infanzia della Santa di Arco

Le fiamme si destavano, e bruciava
il biondo fieno e d’intorno un roveto.
Era una sera di giugno, e i mietuti
campi giacevano inermi e sconvolti,
e un contadino ritirava i buoi.
Un tenue canto dalle paglie urlava,
ed era un trillo d’un liuto irrequieto.
Alcuni labbri cantàvan, e muti
altri riedèvan ai tugùri. E molti
erano i corvi tra le nubi; e poi
al dolce suono di un’ansia zampogna
quieto splendeva il ciel della Borgogna.

«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»
una madre diceva alla figliuola.
«Vado a distendermi alle paglie d’oro,
per guardare nel cielo dove vanno
le rondinelle ai nidi e i negri corvi
che all’ombra del mio piede si spavèntano
e fùggon via… e per mirare il tramonto».
«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»,
e la giovine avea in mano una viola.
«Corro a sentire il mesto venìr moro
del vespro, e a urlare la gioia nel suo affanno,
tra i tenui nembi spaventati e torvi,
quando i fuochi del Sole si tormèntano
presso la Luna ai quali fa un affronto».
E la fanciulla per i campi andava,
e lieta e in festa e svelta camminava.

Ella sentiva belare un agnello,
e dallo stagno intese un cigno in canto,
e correva… e correva per le chine
delle colline splendenti di grano,
e accarezzava le spighe mature,
quando d’un tratto vide su’ un granello
posarsi l’ombra di una coccinella.
Allor si stese tra il biondeggiàr bello,
e lì, all’insetto si posò d’accanto,
e lo guardava. Poi con man supine
e con il volto lontano… e lontano
oltre le nubi che erano già oscure
recitò un Pater Noster. Cantò; ed ella
si intenerì alla canzone del cigno,
del lago il re, melanconico e arcigno.
E soggiunse - e chissà da dove! - un nero e
giovine frate, da un fosco sentiero, e
ergeva un legno che ardeva e infiammava
e un agnellino tremando belava.

«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
gli domandò la dama che ‘l scorgeva:
«A che le nere vesti e questa brace?».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che ligio e mesto io sòn domenicano?
Porto la luce per i contadini
che tornano dai campi, e per contare
quanti grani han raccolto per il Prence.
Fanciulla, oh mia fanciulla, perché tremi?
Forse temi il mio volto: è bello… guarda!».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
la fanciulla impaurita ripeteva:
«Col labbro parli, ma il tuo cuore tace».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che sono buono e vengo da lontano?
Ho percorso sentieri e aspri Destini.
Ma perché non mi vuoi - ahimè - ascoltare?»
«No! Frate, ascolta! L’agnello ha paüra!
Qual è dunque la tua vera natura?»
«Te la dirò allorquando il cigno smette
di lamentarsi alle sponde del lago.
Ecco! Alzo un dito; e tace e si disperde:
il cigno è morto alle sponde del lago»,
e nulla più ridisse il frate pio,
scomparve ai boschi. Ella pregava Iddio.

Ed era l’alba, e il silenzio regnava,
e la campagna era tersa di Sole.
I contadini si destarono presto,
e andavano al mestiere con le falci
sopra le nenie delle ansanti donne.
La fanciulla al giaciglio era e destava(si),
e in man teneva alcune secche viole.
Guardò d’intorno, il tugurio funesto,
osservò fuori, e le betulle e i salci,
e pur dormendo sembrò fosse insonne.
E ripeteva: «Di che mi vergogno?».
Che cosa accadde?.... Era un incubo, un sogno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro






Martedì XIII Ottobre AD MMXV

giovedì 24 settembre 2015

A una Rosa selvatica di Montagna

E mai ti rimirerò, dunque, o mia melliflua rosa rossa dell’estate e…
e mai più i tuoi incandescenti petali, e la tua, e la mia - e la nostra montagna - alta e irridente,
là, dove tra le selve delle vipere del tristo Fato ti mirai per la prima volta; e…
e mai gli occhi dei rosseggianti tuoi e giovanili e dolci stami, e…
e ne mai più e ancora intenderò novellamente quei tuoi profumi di miele,
che discendono dal tuo più gemmato crine, capelli di fiore, e…
e né mai le ambrate e addolcite tue guance fatte di una pòrpora sanguigna,
e sdrucite nella rimembranza or mentre le mattutine rugiade di adamanti ordite e composte,
discendono dal fresco e ottenebrato cielo e dall’ultimo argento di Luna piena. E…
e così dovrò forse anch’io assaporare l’incommensurabile e sempiterna tua assenza,
e la sua fuggevole impronta che si proietta ombra nel Nulla osceno che mi rimane:
questo vacuo e futile mare di sensi inappagati e storditi che tu mi abbandonasti,
dopo le impetuose folgori che su di me scatenarono le tue indomate Tempeste. Eh! No! Mai più ti ammirerò taciturno, e silenzioso e insofferente, e…
e incapace di gridare un Sentimento più dolce d’un favo di miele,
e mai più potrò rimirarti a rosseggiare d’accanto ai miei segreti sogni dettati dalle mie più secrete cure, e…
e solamente nei nuovi sogni che si susseguono come onde d’un Oceano selvatico,
tu mi apparirai, e sempre più giovane, e sempre bella, immortale e…
e eternata dall’invisibile plasmarti dei pennelli dell’occhio mio, l’amante dei fiori tuoi compagni,
immortalata in un affresco notturno che rimarrà una Vita inanimata,
e che sarà una quieta abnegazione della tua Morte.
Eppur non mi soddisfa, o rosa, quest’incauto sognare, né il ricordo della tua ombra che muore e…
e che si infrange sui più irrequieti e commossi scogli del Tempo e delle sue Furie,
l’Erinni dell’Ecate che il Tutto universale seppelliscono nella tomba, e…
un sognàr che non è che una debole nebbia autunnale,
ora lambita da un labbro che con il calòr del suo sospiro la allontana fendendola come un cuore trafitto e…
e che non può che essere che uno spettro di Nulla.
No! Mai più ti rivedrò, o fiorellino, e…
ed è per questo che sarà il canto che oserò lamentare:
e una nenia mortuäria e sconfinata e infinita, e una ghirlanda per il tuo ignoto sepolcro di montagna, e…
e non dovrò far altro che piangere e deplorare il nostro ormai separato Destino!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXIV Settembre AD MMXV

martedì 22 settembre 2015

Introspezioni poetiche notturne di un giovane Poeta romantico

Fuor è la Notte, e la biancheggiante Luna rosseggia al mio cuore, e…
e io giaccio, - e io sogno; - e nell’alito del vento
che odo gridàr, e nel suo tenue ululato, - io – (che farò?) -
resterò tremante. E come or m’è, così mi sarà una cura eterna l’oscuro Fato, e il
mio conturbante senso, e il suo arcano tenebrore. - E…
e tu, Notte, non odi? - Lo sai che: è un mio Sentimento? Eh! - Ma

l’Anima mia così beändo sogna, ed è insonne d’Amore, e…
e questo tempo notturno dove sento le civette - ah! - passa e va lento, - e il
mio restàr nei miei svenuti sogni insensati e l’accordato
mio vecchio liuto, e il mio frinìr che non è che un detto intemerato
fluïscono in un canto che si pasce d’insania e d’irredento dolore, e…
ed è questa una nenia, ed è forse costei il mistero del mio labbro: il mio lamento.

Penso! Ho perduto qualcosa, un’impronta della mia stessa Vita, e…
e l’ammiràr delle foglie che multiformi e variopinte cadono a terra, e
i canti allegri delle vicine e serene e placide vendemmie lungo i monti, e…
e le feste del paëse, e le loro danze e i sorrisi delle fanciulle, e…

e le prime brine dell’autunno cadèr all’alba sopra i salici e sulle betulle, e
il mio più dolce desidèrio, mai noto a nessuno, e mai gridato agli orizzonti,
questo volèr, bramàr, desideràr segreto che al mio Destino muove una guerra, e
che è insana questua d’una gioia che ha e che porta molti nomi e che è infinita; e

questo mio desidèrio è: un ballo mascherato dai sogni rimasti inavverati, e…
e il rosso labbro del rubino d’una guancia di fanciulla arrossata lievemente, e
gli inavvertiti sguardi ricercarsi tra i danzanti trilli d’un quasi muto fortepiano, e

il scialbo collo adornato di trasognato oro, e il piede che muove lontano, e…
e la sua giovinezza femminile, che davanti a me danza soävemente, e
il quieto seno ora ristretto dai veli più sontuosi, e i biondi capelli gemmati; e…

e penso! Penso combattendo i miei dolorosi Fati!
Occasiöni perdute e irrequiete, e che ho sprecato nei sogni del mio cuore, e…
e ora so che non è per me più il tempo propizio per un desidèrio che è Amore.

Eh! Ma mi resta pur nei reconditi ed eterni spettri del mio Spirito deluso - un
incognito e furente senso di vivere e di gioia, che mi chiede molto: e
voglio ancora sapere com’è l’ebbrezza d’un bacio, e il tintinnio che mi ha illuso
di due ansimanti labbri che si incontrano su un unico e misterioso volto, e
il sospiro di quel bacio, di quel bacio che entra nel cuore e lo corrompe di Vita,
e che mi sfugge, alato pensiero d’una immeritevole e spenta chimera, e…
e che sogno continuamente non appena il Sole tramonta e viene la sera, e
la cui mancanza la coscienza mi rende impotente, e l’Anima mi fa smarrita. E
ancora passo questa nuova Notte pensando e sognando; e tutto è un vano ardire,
nemico della speranza, e irremovibile nell’atrio insonne d’un cuor che vuol dormire; e…
e dopo i sognati palpiti, e dopo la sognata e incognita e mai conosciuta fanciulla,
a me Poëta non rimane che un rimorso, e la tenebra che regna. E tutto è Nulla!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Notte tra i Dì Lunedì XXI e Martedì XXII Settembre AD MMXV