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domenica 18 ottobre 2015

La Visionaria

«Dove vai, fanciulla, bella e ridente?»

E la fanciulla passeggiava. Nero
era il suo crine, poiché avea dormito
tra il cenere funereo del camino,
mentre nel letto un misero dormiva.

Lo accolse nella Notte e lo accudiva,
ed egli era soltanto un pargolino.
E ora ella andava… e andava, e all’Infinito
muoveva il passo a un ignoto sentiero.

«Dove vai, fanciulla, bella e ridente?»

Venìr scorgeva un lontàn falconiero,
e un Principe a cavallo. E era smarrito
il volto suo all’ombra di un vecchio pino:
guardò più volte. Nulla! E il dì svaniva.

«Sono l’ombra d’un falco che lamenta!».

E all’orizzonte fuggivano i sogni:
e ella vedeva la Vita e il suo Nulla,
piànger udiva i neonati infelici.

Ma… ma v’era una donna alle pendìci
d’un tenue colle: «Guarda come culla!».
E un Mostro qui era il vento: «E a che vergogni?».

«Sono l’ombra d’un falco che lamenta!».

Niente! Svanìvan sogni:
e ella guardava i questuänti intorno,
poveri in cerca del pane del giorno.

«Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
dove vai solitaria e bella e bionda?
Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
perché la treccia è nera a questa sponda?».

«Ier ho dormito nel camino oscuro
per dare il letto a un bimbo vagabondo.
Ier ho dormito nel camino oscuro
il cenere annerì il mio crine biondo».

«Non era il bimbo quei di questa donna?
Vedi! Lo porta lontano e al sicuro.
Non era il bimbo quei di questa donna?
Ha paüra dell’Orco, il monte oscuro».

«Perché fugge e va via? Il mio tetto è il loro.
Forse la madre ha fame. Venga: ho i pani.
Perché fugge e va via? Il mio tetto è il loro.
No… no! Non farli andàr tanto lontani!».

«Fanciulla hai un cuore buono. Tu ami i poveri!
Hai visto la miseria della guerra?
Fanciulla hai un cuore buono. Tu ami i poveri!
Sii la speranza di questa tua terra».

Ed ella discorreva… e discorreva,
e con chi non si sa, né ella ‘l mirava,
tra un trasognato istante e un’aspra veglia,
forse al suo cuore, o forse alla Natura.
E lontano… lontano ella volgeva,
e fuori del villaggio se ne andava.
Era felice e - saltellando - sveglia,
una fanciulla visionaria e pura.
E quando fu la sera tornò indietro,
verso il tugurio. Cenava nel tetro
legno del lare; e disse sotto un perno:
«Padre, padre… lo sai? Che oggi ho parlato con l’Eterno?».

Fanciulla, oh mia fanciulla, oh mia fanciulla,
ascolta e taci!.... Ascolta il cuore mio:
quest’Eterno che ti chiama non è che Iddio!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Domenica XVIII Ottobre AD MMXV

martedì 13 ottobre 2015

L'Infanzia della Santa di Arco

Le fiamme si destavano, e bruciava
il biondo fieno e d’intorno un roveto.
Era una sera di giugno, e i mietuti
campi giacevano inermi e sconvolti,
e un contadino ritirava i buoi.
Un tenue canto dalle paglie urlava,
ed era un trillo d’un liuto irrequieto.
Alcuni labbri cantàvan, e muti
altri riedèvan ai tugùri. E molti
erano i corvi tra le nubi; e poi
al dolce suono di un’ansia zampogna
quieto splendeva il ciel della Borgogna.

«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»
una madre diceva alla figliuola.
«Vado a distendermi alle paglie d’oro,
per guardare nel cielo dove vanno
le rondinelle ai nidi e i negri corvi
che all’ombra del mio piede si spavèntano
e fùggon via… e per mirare il tramonto».
«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»,
e la giovine avea in mano una viola.
«Corro a sentire il mesto venìr moro
del vespro, e a urlare la gioia nel suo affanno,
tra i tenui nembi spaventati e torvi,
quando i fuochi del Sole si tormèntano
presso la Luna ai quali fa un affronto».
E la fanciulla per i campi andava,
e lieta e in festa e svelta camminava.

Ella sentiva belare un agnello,
e dallo stagno intese un cigno in canto,
e correva… e correva per le chine
delle colline splendenti di grano,
e accarezzava le spighe mature,
quando d’un tratto vide su’ un granello
posarsi l’ombra di una coccinella.
Allor si stese tra il biondeggiàr bello,
e lì, all’insetto si posò d’accanto,
e lo guardava. Poi con man supine
e con il volto lontano… e lontano
oltre le nubi che erano già oscure
recitò un Pater Noster. Cantò; ed ella
si intenerì alla canzone del cigno,
del lago il re, melanconico e arcigno.
E soggiunse - e chissà da dove! - un nero e
giovine frate, da un fosco sentiero, e
ergeva un legno che ardeva e infiammava
e un agnellino tremando belava.

«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
gli domandò la dama che ‘l scorgeva:
«A che le nere vesti e questa brace?».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che ligio e mesto io sòn domenicano?
Porto la luce per i contadini
che tornano dai campi, e per contare
quanti grani han raccolto per il Prence.
Fanciulla, oh mia fanciulla, perché tremi?
Forse temi il mio volto: è bello… guarda!».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
la fanciulla impaurita ripeteva:
«Col labbro parli, ma il tuo cuore tace».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che sono buono e vengo da lontano?
Ho percorso sentieri e aspri Destini.
Ma perché non mi vuoi - ahimè - ascoltare?»
«No! Frate, ascolta! L’agnello ha paüra!
Qual è dunque la tua vera natura?»
«Te la dirò allorquando il cigno smette
di lamentarsi alle sponde del lago.
Ecco! Alzo un dito; e tace e si disperde:
il cigno è morto alle sponde del lago»,
e nulla più ridisse il frate pio,
scomparve ai boschi. Ella pregava Iddio.

Ed era l’alba, e il silenzio regnava,
e la campagna era tersa di Sole.
I contadini si destarono presto,
e andavano al mestiere con le falci
sopra le nenie delle ansanti donne.
La fanciulla al giaciglio era e destava(si),
e in man teneva alcune secche viole.
Guardò d’intorno, il tugurio funesto,
osservò fuori, e le betulle e i salci,
e pur dormendo sembrò fosse insonne.
E ripeteva: «Di che mi vergogno?».
Che cosa accadde?.... Era un incubo, un sogno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro






Martedì XIII Ottobre AD MMXV