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venerdì 20 settembre 2019

I Primi tre Sonetti del nuovo Autunno

Il Buio della Sera alla Finestra

Il buiö della sera alla finestra
io vedo; e la brevità dell'Estate,
e di Settembre le nebbie che a fiate
prime si mostrano, e la nube mesta

annunziatrice della Notte, e questa
attesa d'un che d'ignoto, a me odiate
ombre riportano. Ahi! né le pacate
ore mi sono care, né la desta

scintilla della Luna più mi aggrada
in tanto buiö. Ma dentro, pur lento,
un udir legger di gioia ho io nel cuore

come d'un Sogno che chiama; e la rada
di questo mar notturno in un momento
mi s'allumina e dice inni d'Amore.

Splendon le Vie lontane e sopra i biondi

Splendon le vie lontane e sopra i biondi
campi le nubi della sera, e quella
Luna che timida albeggia, profondi
sguardi del vespero. Ma la rubella

strada che ammiro, dove vagabondi
corvi bisticciano oscene budella
di caccia, a me di sprezzo grida. E i tondi
rami del noce che una pìccol stella

di fioco lume ghermisce, e i latrati
dalle cascine diroccate, i quai
mattoni stanno spogli al freddo, e il raggio

oscuro della Notte or di sprezzati
incubi mi circondano. Né i guai
m'opprimon. Ma di sognar ho io coraggio.

Addio! Oh esequie d'Estate! il tuo santo

Addio! Oh esequie d'Estate! il tuo santo
avello ancor s'aprirà per un anno,
la ghirlanda intrecciando con il canto
della vendemmia. Né èllera né affanno

a te... a me mancheran; né più d'accanto
ti rivedrò sì presto. E grideranno
i giorni in questo passeggero pianto
di nebbie, e tante Notti specchieranno

le steppe con la neve, e le bufere.
Ma tu non sei ancor pago, oh malvagio Ade!
che trattieni per sempre Persefòne!

Allora sono più lunghe le sere,
il luminoso giorno presto cade,
ed è questa, o Ade, la sua pia canzone.

Hans Andersen Brendekilde, Autunno, Tardo-Romanticismo scandinavo, Seconda Metà del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Venerdì XX del Mese di Settembre AD MMXIX.

martedì 3 settembre 2019

Le Campane

E le campane di mezzogiorno odono
l'eco profonda della loro voce;
mentre io, da qui, con un lieve starnuto,
i miei saluti elevo al nuovo Autunno.
Né mi späurano i tigli che mostrano
le impallidite foglie, né a Settembre
questo senso di indegna nostalgia
che, mietendo, divora i mesti campi
dell'Agosto perduto. 

E so che di codesta Estate a me
non resta che un ossesso raffreddore.

Alois Arnegger, Una Foresta in Autunno, Tardo-Romanticismo austriaco, Fine del Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di III del Mese di Settembre AD MMXIX.

martedì 15 novembre 2016

Novembre

Nulla tranne che nebbia è Luna, è Notte,
Novembre eterno! E nel cuòr mio costui
vive, aspettando -
quasi in agguato -
le cure, e le ansie, i pàlpiti,
giòvane vampa di fioca lanterna,
io, che così lentamente confondo
l’Anima mia con le tènebre oscure,
finché un’altra alba sorge a illùdermi
co’ i Sogni del mattino.
E forse ora mi è dolce amàr codesta
Notte, e queste òïdi selvagge e fredde,
plasmàr le nubi della Luna tìmida
come un Dio con le impronte, ìri, dei miei occhi
sognatori;
e se io non fossi che un faro di mare
nel vïàle fatàl delle Tempeste,
dopo avèr colto le titàniche onde
degli onìrici istanti,
vorrei sognare anche quando risplende
tra queste nebbie il Sole.
E la Vita non è che un Sogno eterno!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Arkhip Kuindzhi, Isola di Valaam, Tardo Romanticismo russo, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Martedì XV del Mese di Novembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI.

lunedì 3 ottobre 2016

Nebbia

Biancospìn di nebbia, i campi e i rivi,
verso il mattino, le più lontane Alpi,
e la campagna; le foglie del tièpido
e primo ottobre emigràr come i pàsseri
dal nido delle frasche a fredda ripa,
e il bacio delle brume sopra le ùltime
risàïe che attèndono la falce:
oh dolce, oh quieta mia terra, oh mio fango!
E quivi così presto io ti contemplo
in tanta furia di àliti autunnali,
dove un dì mi dirai forse quèl che è
nel tuo nebbioso mantello dei tuoi occhi;
e i tuoi cadenti cascinali intorno
senso or mi danno di mestizia e requie,
e le tue solitarie e vecchie querce
me un’Ànima ugualmente solitaria
raggelando mi pìngono, e il tuo vespro
l’Ignoto specchia dell’Inquieto mio,
tra un sorriso di Sole e un nembo oscuro
che pur muggendo non ha più le posse
di scatenàr il Temporale e i fùlmini.
Per questo, dunque, è sempre più perenne
il venìr delle inattese e orbe nebbie;
e questa ragnatela delle nùvole
chiude orizzonti a un infinito sguardo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Kaspar David Friedrich, L'Albero solitario, Romanticismo classico tedesco, Prima Metà del Secolo XIX



In Dì di Domenica II del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 7 settembre 2016

Il Nome dell'Autunno

L’Autunno ha il nome di Nerone, il folle,
il Sole che arde l’ùltimo frumento,
e teme il fàr del vento,
le làgrime di prime piogge, e i tùrbini
che spèngono le fiamme in su’ i fienili,
e i ramoscelli vili
che alimèntano il guizzo qui del fuoco,
rimanèndone poco;
mentre d’intorno, per le selve e i pioppi,
il Mostro grida co’ il sparàr dei schioppi…
e il giòvine leprotto che è inseguito
al piè di un sàlice esàla il suo estremo
spiro, e corre al banchetto
di un cacciatòr e di un padre vecchietto.
L’Autunno ha il nome di Unni vagabondi,
lungo l’amara dolcezza del mosto,
è la tomba di agosto,
Àttila che le stirpi sottomette
delle estati del Reno e delle piane
e delle Alpi lontane;
e i trïònfi dei mesi estivi e belli
non son ora che un cènere, e che avelli….
E le foglie or princìpiano a specchiàr
d’in sul mare dei nùgoli ammalati
l’argento ocra del Sole,
pètali rossi di sospese viole.
L’Autunno ha il nome di Napolëòne
con il destriero delle nebbie scialbe
sul fàr delle prime albe,
urla di guerra eterna alle stagioni
quiete, e che ovunque annienta gli orizzonti
con il vespro in su’ i monti,
e con la Morte che esce dalle tasche,
e inghiotte e opprime le cadute frasche….
E l’ùltima bagnante or piange alle onde
che si son fatte gèlide e crudeli,
e piangendo si veste,
mentre tramòntan le gialle foreste.
E tra i miei monti è di caccia oricàlco;
le mie estati, i miei Sogni ei scruta, Autunno,
come la lepre il falco.
Sàtana che è geloso delle chiome
delle querce, ecco! oh stagione, il tuo nome!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Anne-Louis Girodet Trioson, Ossian riceve i Generali della Repubblica, Pre-Romanticismo francese, Prima Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Martedì VI e Mercoledì VII del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

lunedì 5 settembre 2016

Sabato

Fu il falò, e si erse - ei di fiamme è il Titàno -
lungo i crinàl del cielo
per la soletta via
della chiesetta antica di Maria,
mentre d’intorno alle campagne un dì
io sedèa a contemplàr i pioppi e i pini,
in su’ i tetti i camini,
che facèvan un’ombra di inchiostro
sopra l’erbe del mosto,
un brìndis alla corte del vecchietto
domenicano che fu il monastero,
lontano il cimitero,
vicini i campi, i boschi e i ruscelletti
al cantare degli ùltimi augelletti,
laddove ignuda riposa l’Arbogna,
senza vergogna;
e venne il tempo di gettàr nel fuoco
i secchi rami dell’incolto prato.
Ma il guardo io volsi alla chiesetta mia,
e mentre mi suonò un’Ave Maria
pensai… sognai:
colsi la nudità di una fanciulla,
la Natura co’ il suo ventre e il suo seno,
e l’ìnguine fecondo e stagionale,
ciclo fatale
di Primavera e d’Autunno e d’Inverno,
un ghigno dell’Eterno,
oscena e incinta, e or pàllida e morente,
co’ un sguardo di bambina,
la Vita che alla Morte ne destina.
No! via da me, tu, oh spettro di erba e fiori,
malvagia, oscura, famèlica donna!
Lascia che al fuoco che scioglie le frasche
io preghi la Madonna!
E venne il tempo di tòglier dal fuoco
un àlito di cènere.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




In Dì di Lunedì V del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 30 ottobre 2015

L’Aïrone dell’Autunno

I. E tra le foglie che son secche, e i scialbi
pioppi dei qual io ascolto e il fio e il sospiro,
e l’erbe morte, e i fiorellini falbi,

cere convulse dell’Autunno, e il tino
delle vendemmie che cantano a un monte,
e tra le nebbie dov’io ora m’aggiro,

e lungo il cupo e ingrigito orizzonte,
e la campagna spoglia e i rivi asciutti,
e gli sterpi dei campi, e verso un ponte,

e udendo i bronzi suonàr: e a ombre e a lutti;
e addolorando il cuor, e alzando prone
le mani al cielo e agli ultimi suoi flutti

scorgo: a una riva con la sua canzone
un affamato e cinereo aïròne.

II. «Osi tu urlàr, oh peregrìn dei faggi,
e chièder pane a questa terra spoglia,
e a queste paglie? Tu, inquieto dei maggi

dolcemente trascorsi, e a questa foglia
volèr un sorso di un’ultima Vita,
tomba perenne che a te si condoglia?

Tu, che non sei che un cuor che all’infinita
Morte dei salci e dei miei sogni or canti,
e che mi scruti, iride indefinita,

tu, tacita ombra e spettro, verrai avanti
a chièdermi una brìciola, o il tuo Fato?
Tu, che tremi pei bianchi e terrei manti

lo sai? Che quest’Autunno è intemerato?
Oh Animo oscuro che procedi guato!».

III. E sulla riva l’uccelletto piagne,
e non so se abbia nidi e se abbia prole,
e il suo grido percorre le campagne.

Or l’Autunno dà addio all’ultimo Sole,
e sul mio volto vièn presto la sera,
il crepuscolo roseo, e nubi viole.

Sento che trilla una mesta preghiera,
e il cuor m’intenerisce, e qui il fogliame
che cade mi commuove. E alla riviera

vicina al cascinàl, cui pietra è in rame,
quest’aïrone ancor m’appare. E chiede
grano alle querce, egli, instabile ossame.

«Oh tu, tu aspetta, chè nulla succede: e…
e i miei sogni saranno le tue prede!»


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Venerdì XXX Ottobre AD MMXV

martedì 6 ottobre 2015

La Ballata del Sogno di Ottobre

Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!
E valica egli le cime dei monti, e…
e delle selve dove un dì ei gridava.
Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh! E
sogna agli eterni e incogniti orizzonti, oh
cuore di Anima ignava! E
sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!

Perché sognàr mi dico quand’ei è vano, e
mentre la brina e fredda e scialba scende, e… e
sognàr remoti sensi, e il mio lontano
avvenire? E il mio cuore attende, e attende
istanti più felici; e allòr lo prende
un sentìr di tristezza mai finita. Eh!
Che? Per vent’anni fuggì la sua Vita? E…
e dunque geme, e grida, e si vergogna.

Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!
E lambisce le montane e vecchie fonti, e…
e i suoi alpini sentièr che valicava.
Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh! E
sogna vagàr per gli irrequieti ponti, oh
cuore di Anima ignava! E
sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì VI Ottobre AD MMXV

giovedì 24 settembre 2015

A una Rosa selvatica di Montagna

E mai ti rimirerò, dunque, o mia melliflua rosa rossa dell’estate e…
e mai più i tuoi incandescenti petali, e la tua, e la mia - e la nostra montagna - alta e irridente,
là, dove tra le selve delle vipere del tristo Fato ti mirai per la prima volta; e…
e mai gli occhi dei rosseggianti tuoi e giovanili e dolci stami, e…
e ne mai più e ancora intenderò novellamente quei tuoi profumi di miele,
che discendono dal tuo più gemmato crine, capelli di fiore, e…
e né mai le ambrate e addolcite tue guance fatte di una pòrpora sanguigna,
e sdrucite nella rimembranza or mentre le mattutine rugiade di adamanti ordite e composte,
discendono dal fresco e ottenebrato cielo e dall’ultimo argento di Luna piena. E…
e così dovrò forse anch’io assaporare l’incommensurabile e sempiterna tua assenza,
e la sua fuggevole impronta che si proietta ombra nel Nulla osceno che mi rimane:
questo vacuo e futile mare di sensi inappagati e storditi che tu mi abbandonasti,
dopo le impetuose folgori che su di me scatenarono le tue indomate Tempeste. Eh! No! Mai più ti ammirerò taciturno, e silenzioso e insofferente, e…
e incapace di gridare un Sentimento più dolce d’un favo di miele,
e mai più potrò rimirarti a rosseggiare d’accanto ai miei segreti sogni dettati dalle mie più secrete cure, e…
e solamente nei nuovi sogni che si susseguono come onde d’un Oceano selvatico,
tu mi apparirai, e sempre più giovane, e sempre bella, immortale e…
e eternata dall’invisibile plasmarti dei pennelli dell’occhio mio, l’amante dei fiori tuoi compagni,
immortalata in un affresco notturno che rimarrà una Vita inanimata,
e che sarà una quieta abnegazione della tua Morte.
Eppur non mi soddisfa, o rosa, quest’incauto sognare, né il ricordo della tua ombra che muore e…
e che si infrange sui più irrequieti e commossi scogli del Tempo e delle sue Furie,
l’Erinni dell’Ecate che il Tutto universale seppelliscono nella tomba, e…
un sognàr che non è che una debole nebbia autunnale,
ora lambita da un labbro che con il calòr del suo sospiro la allontana fendendola come un cuore trafitto e…
e che non può che essere che uno spettro di Nulla.
No! Mai più ti rivedrò, o fiorellino, e…
ed è per questo che sarà il canto che oserò lamentare:
e una nenia mortuäria e sconfinata e infinita, e una ghirlanda per il tuo ignoto sepolcro di montagna, e…
e non dovrò far altro che piangere e deplorare il nostro ormai separato Destino!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXIV Settembre AD MMXV

Idillio d'Autunno

Canto!

Le brine gelide, e
i scialbi nugoli,
l’aurore roride, e un
grido d’un Unno,
spettro selvatico,
tombe di tenebre,
viene l’autunno;

e il mio cuore non scorge che le foglie
che cadono ingiallite, e sente doglie.

Canto!

Giunge immobile,
inesorabile, un
sepolcro timido
di lìgneo ossame, e…
e si precipita
dal nudo platano,
dal tetro frassino, il
secco fogliame. E

sembra la mia gioventù che s’invola,
dove son cieco, e non so dìr parola.

Canto!

Lungi va l’iride
mia che qui spasima
al canto flebile
della vendemmia,
gelo terribile,
volto di Sìlfide, e
grida interminabili
d’una bestemmia;

ed è forse costui sul mio cammino
quello che ha un nome oscuro, il mio Destino.

Canto!

Fugge l’allòdola,
geme la rondine,
strìllan le nòttole, e…
e i cardellini,
ha fame un pàssero,
i corvi trèmano, e
sui campi gèmono
i beccaccini;

strilla di liuti, di sogni e di canti,
arcana voce dei miei antichi pianti.

Canto!

Odo quest’àliti
di vento indocile,
di piogge e di oïdi,
coprìrsi il giorno, e
le nubi cèrule,
le terre pallide, e
intendo i palpiti
d’un truce corno,

sogno represso nel sangue secreto,
cure d’un folle Poëta irrequieto.

Canto!

Le cacce squillano,
i cani inseguono,
le selve mùtansi
in camposanti,
càdon le tortore,
ferite all’ùgola
dai piombi languidi,
i cuori infranti,

com’è il mio cuore, piangente in eterno,
da un dubbio asperso, conteso dal scherno.

Canto!

Gelano l’àlighe
sull’acque limpide
dei stagni tremuli, e
ghigno autunnale
s’erge al crepuscolo,
con guance orribili,
è il maëstrale, e…

e senso visionario di ponente
dell’occhi mio che sogna ed è demente.

Canto!

Odo: sta in fremiti
la sera giovane
che presto s’agita, e…
e viene bruna, e
più oscura e lugubre -
di streghe i pòllici
che il cielo graffiano -
lungo la Luna,

ossame scialbo, qui ordìto d’argento - che -
sopra il mio volto s’angoscia tra il vento.

Canto!

Notte di funebri,
ombre e fantàsimi,
pianto di ràmore
vecchie e lontane, e
impronte rigide
di Luna candida,
di stelle deboli, e
lanterne vane,

dove è giunta così l’ora del sogno,
l’insonne pianto del qual mi vergogno.

Canto!

Volti trapàssano
d’inquieti vàlichi,
oltre le formide
cime dei monti, e…
e a Morte suonano
i flutti spastici
delle più tisiche, e
gelate fonti; e…

e mentre giaccio in un grido di lagna, or
m’è più caro il pensàr della montagna,
dov’era estate nel giòvin mio cuore,
un preludio d’autunno e di dolore.   


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXIV Settembre AD MMXV

martedì 22 settembre 2015

Introspezioni poetiche notturne di un giovane Poeta romantico

Fuor è la Notte, e la biancheggiante Luna rosseggia al mio cuore, e…
e io giaccio, - e io sogno; - e nell’alito del vento
che odo gridàr, e nel suo tenue ululato, - io – (che farò?) -
resterò tremante. E come or m’è, così mi sarà una cura eterna l’oscuro Fato, e il
mio conturbante senso, e il suo arcano tenebrore. - E…
e tu, Notte, non odi? - Lo sai che: è un mio Sentimento? Eh! - Ma

l’Anima mia così beändo sogna, ed è insonne d’Amore, e…
e questo tempo notturno dove sento le civette - ah! - passa e va lento, - e il
mio restàr nei miei svenuti sogni insensati e l’accordato
mio vecchio liuto, e il mio frinìr che non è che un detto intemerato
fluïscono in un canto che si pasce d’insania e d’irredento dolore, e…
ed è questa una nenia, ed è forse costei il mistero del mio labbro: il mio lamento.

Penso! Ho perduto qualcosa, un’impronta della mia stessa Vita, e…
e l’ammiràr delle foglie che multiformi e variopinte cadono a terra, e
i canti allegri delle vicine e serene e placide vendemmie lungo i monti, e…
e le feste del paëse, e le loro danze e i sorrisi delle fanciulle, e…

e le prime brine dell’autunno cadèr all’alba sopra i salici e sulle betulle, e
il mio più dolce desidèrio, mai noto a nessuno, e mai gridato agli orizzonti,
questo volèr, bramàr, desideràr segreto che al mio Destino muove una guerra, e
che è insana questua d’una gioia che ha e che porta molti nomi e che è infinita; e

questo mio desidèrio è: un ballo mascherato dai sogni rimasti inavverati, e…
e il rosso labbro del rubino d’una guancia di fanciulla arrossata lievemente, e
gli inavvertiti sguardi ricercarsi tra i danzanti trilli d’un quasi muto fortepiano, e

il scialbo collo adornato di trasognato oro, e il piede che muove lontano, e…
e la sua giovinezza femminile, che davanti a me danza soävemente, e
il quieto seno ora ristretto dai veli più sontuosi, e i biondi capelli gemmati; e…

e penso! Penso combattendo i miei dolorosi Fati!
Occasiöni perdute e irrequiete, e che ho sprecato nei sogni del mio cuore, e…
e ora so che non è per me più il tempo propizio per un desidèrio che è Amore.

Eh! Ma mi resta pur nei reconditi ed eterni spettri del mio Spirito deluso - un
incognito e furente senso di vivere e di gioia, che mi chiede molto: e
voglio ancora sapere com’è l’ebbrezza d’un bacio, e il tintinnio che mi ha illuso
di due ansimanti labbri che si incontrano su un unico e misterioso volto, e
il sospiro di quel bacio, di quel bacio che entra nel cuore e lo corrompe di Vita,
e che mi sfugge, alato pensiero d’una immeritevole e spenta chimera, e…
e che sogno continuamente non appena il Sole tramonta e viene la sera, e
la cui mancanza la coscienza mi rende impotente, e l’Anima mi fa smarrita. E
ancora passo questa nuova Notte pensando e sognando; e tutto è un vano ardire,
nemico della speranza, e irremovibile nell’atrio insonne d’un cuor che vuol dormire; e…
e dopo i sognati palpiti, e dopo la sognata e incognita e mai conosciuta fanciulla,
a me Poëta non rimane che un rimorso, e la tenebra che regna. E tutto è Nulla!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Notte tra i Dì Lunedì XXI e Martedì XXII Settembre AD MMXV

lunedì 21 settembre 2015

Desiderio e Poesia

Ghermii alle frasche l’autunno d’un sogno, e…
e i sensi delle foglie ivi cadute e spente,
e il seno loro e il svelto sonno, e
e il ventre delle querce, e l’irredente
cere dell’alba, quando sovveniva la brina, e…
e strinsi i nembi infiniti
dove la rondinella ad altri e più estivi nidi
era inquieta e pellegrina; e…
e ghermii i salci, e i cespi moribondi, e
e i campi un dì mietuti, e l’ombre intense e oscure
delle nebbie autunnali, e fonti e
selvagge felci d’inquiete radure, - e
ho ghermito gli sguardi d’una Notte eterna,
e l’orizzonte e cime e valli, e
gli ultimi fiori sui quali sovvenne
il mio settembre e i suoi fogliami gialli. - E il
nome mio è Desidèrio: un sogno osceno
che tramonta lontano presso un monte ignoto
terribilmente e oscuro e immoto, e - io
ghermii la Vita e la sua età. - E ora tremo
domandando alle doglie sulle quali mi giacio
che cosa sia un labbro, un bacio;
e non intendo una muta risposta al cuore, - se
non che ho infranto un sogno d’Amore. - E
spettro ghermente io mi dolgo, e col mesto canto
piango al Destino che mi tolse
la giovinezza, e il sospìr del cuor blando, e
che come un mare m’annegò e mi avvolse. - E
ghermii un dì e in sogno un bacio di fanciulla; e…
e il sonno si destava… all’alba… il Nulla!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XXI Settembre AD MMXV

sabato 19 settembre 2015

In Ode della Luna d'una Notte d'Autunno

Fu!

Cera eri tu d’un marmo e, - sepolcrale e, - muto,
tra le notturne frasche e, - i rami spogli e, - e
velata Iside, ergevi e, - nuda - e
oscena e, - bella - danzavi sull’ingiallite foglie, - oh
Luna! autunnale e mesta! - E -
io - ti scorgevo: e - baciàr l’antica pieve e, -
e i grappoli dei colli e, - i miei lievi e, -
insonni sogni e, - una schiusa ginestra. - E
illuminavi al mio sguardo un ruscello e, -
le mie betulle e, - i salci e, - i miei arboscelli -
miei, - perché - quand’è giorno - in lor cammino,
indagando il Mistero e, - il mio Destino! - Eh! - E

ombra, oh tu, - eri - di Luna, e lì - in spire oscure -
e in tetra Notte e, - in ansia - oh! splendevi, - e…
e ricoprivi e: - le foreste (mie), e - le (mie) lontane cime; e - a una cuna i

tenui e, - e

quieti seni
tu - d’una cerva - cullavi e, - con lor - lo spoliärio
dei campi, - ov’eran: e - morte spighe, - e vene, - e

singulti di sere e, - e

i notturni e - tristi - i corvi - e, - i viäri, - e
tu, scialba Luna, e - tu! - impronta funèrea
al cuor che è mio, - oh tu! - mostravi il nudo cranio

perennemente confuso e vano

del mio Destino e, - con lui - i sogni cinèrei -
miei e, - il Nulla eterno del vespro autunnale; e -
l’aëre tuo così e alfìn mi fu e - amaro e, - ed etèreo. - Ahi! -

Spettri lunàr, cinèrei! -.

Oh Luna mia e, - voi! - sue ombre - oh sue ombre - vane, - ah!
perchè, - perché - il sognàr sempre m’assale? - E

tu forse, oh argento, mi nascondi gli Inni
dell’Ecate e, - dei Mostri - e l’irrequieto
sonno; - e tu! - sua ombra, sei forse l’Erinne - ella! -
che sempre mi condanna a essere un suo e - un tuo Poëta; - e
m’è tremendo il dannàr! e, - e
tu, oh falba Luna, - tu! - che illumini i sentieri, - ahi! -
non scordarti il mio cimitero,
spettro di sogni che canta in dolore, -
ove - tra eterni visionari - io espio. - È l’Amore!

Or!

Ombra funesta e, - denudatrice di sogni e, -
Furia del cielo quando è Notte, - oh -
Luna, - contemplo: te - ghermìr zampogne e, -

le rosseggianti foglie e, - il lumicino che scotta
del più fatuo folletto e, - le tue Villi e, -
di costor le scarne gote e, -

bramàr le vigne e, - il lor vinello che qui oscilla, -
pianto di streghe! - e, - e le castagne e, -
e delle fonti le oramai gelide e fresche stille e, -

soffiàr sul vôl dei ragni, - i
qual ovunque e, - qui - intessono i lor fantasmi -
le ragnatele! - e muta campagna. - E -

io ascolto, - oh Luna! - il tuo sospìr e, - la tua asma - e,
tu? ascolti, oh spettro? - Senti? - Odi? - I miei spasmi?

No! - Sei tu un’ombra d’un crudele - empio - Unno;
e intorno è Notte… è eternamente autunno!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XIX Settembre AD MMXV