Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Sonetti elisabettiani. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sonetti elisabettiani. Mostra tutti i post

venerdì 30 ottobre 2015

L’Aïrone dell’Autunno

I. E tra le foglie che son secche, e i scialbi
pioppi dei qual io ascolto e il fio e il sospiro,
e l’erbe morte, e i fiorellini falbi,

cere convulse dell’Autunno, e il tino
delle vendemmie che cantano a un monte,
e tra le nebbie dov’io ora m’aggiro,

e lungo il cupo e ingrigito orizzonte,
e la campagna spoglia e i rivi asciutti,
e gli sterpi dei campi, e verso un ponte,

e udendo i bronzi suonàr: e a ombre e a lutti;
e addolorando il cuor, e alzando prone
le mani al cielo e agli ultimi suoi flutti

scorgo: a una riva con la sua canzone
un affamato e cinereo aïròne.

II. «Osi tu urlàr, oh peregrìn dei faggi,
e chièder pane a questa terra spoglia,
e a queste paglie? Tu, inquieto dei maggi

dolcemente trascorsi, e a questa foglia
volèr un sorso di un’ultima Vita,
tomba perenne che a te si condoglia?

Tu, che non sei che un cuor che all’infinita
Morte dei salci e dei miei sogni or canti,
e che mi scruti, iride indefinita,

tu, tacita ombra e spettro, verrai avanti
a chièdermi una brìciola, o il tuo Fato?
Tu, che tremi pei bianchi e terrei manti

lo sai? Che quest’Autunno è intemerato?
Oh Animo oscuro che procedi guato!».

III. E sulla riva l’uccelletto piagne,
e non so se abbia nidi e se abbia prole,
e il suo grido percorre le campagne.

Or l’Autunno dà addio all’ultimo Sole,
e sul mio volto vièn presto la sera,
il crepuscolo roseo, e nubi viole.

Sento che trilla una mesta preghiera,
e il cuor m’intenerisce, e qui il fogliame
che cade mi commuove. E alla riviera

vicina al cascinàl, cui pietra è in rame,
quest’aïrone ancor m’appare. E chiede
grano alle querce, egli, instabile ossame.

«Oh tu, tu aspetta, chè nulla succede: e…
e i miei sogni saranno le tue prede!»


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Venerdì XXX Ottobre AD MMXV

venerdì 16 ottobre 2015

Il Temporale di Ottobre

Può essere che d’autunno un temporale oscuro
tra i sogni del mio cuore perseguiti il cielo,
dove più gli conviene lampeggiare; e tristo e…

e muta può ora essere l’eco che ripete i tuoni, e osceno
il tuono che li segue quasi beändo di gloria,
e le piogge che cadono sono veleni oscuri.

Ma certo è che nella Tempesta il mio cuore sogna,
quando il tintinnìo delle piogge culla il sonno suo,
lì, dove gli orbati orizzonti e mori si splendono.

E va… e va il sogno mio, ai piedi della Luna falba,
e qui placidamente si confonde nel suo volto,
come uno specchio che è in mano a una fanciulla. E va!

E trema alle saëtte oscure e iraconde, e ha paüra.
E Tu, Infinito, non t’ho forse colto in questo sogno?

Può essere che d’autunno un temporale
scorra infelice le sue lingue di pioggia di vendemmia,
e che le ultime rose dell’estate nel suo mare inghiotta,

dove straripano di pianto le rogge più vessate,
sotto il mio sguardo che a una finestra le contempla,
quando sul vetro ogni stilla scivola e s’appoggia.

Ma certo è che nella Tempesta il mio cuore sogna,
perché non può far nient’altro, il visionario, il folle,
e sognando lamenta una canzone di Vita. E

nei sogni inciampa nelle tele dei ragni della Sorte,
e nelle sue piovose e tremolanti onde di follia
mi suggerisce le angosce e i dubbi tutelari.

E trema alle saëtte oscure e iraconde, e ha paüra.
E Tu, Infinito, non t’ho forse colto in questo sogno?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Giovedì XV Ottobre AD MMXV

mercoledì 27 maggio 2015

La Canzone del Bardo nella Tempesta dei Sogni

Oh tu, Tempesta, tu, oh insoluta
Furia del ciel che notturno si geme,
tu, che i miei sogni a rianimar ne vieni,

Temporale del sonno, il che sogghigni
nel mare oscuro della Luna bionda,
oh Norna antica, che il Fato proclami,

non hai di me pietà? Oh tu, che proclami
i miei irrequieti spiri e l’insoluta
Vita, e che gridi al volto d’una bionda

folgore, oh tu, che ascolti un cuor che geme,
e che tra i tuoni empiamente sogghigni,
tetra Valchiria, che furiosa vieni,

perché m’afferri? E non ridi, e non vieni
a darmi requie? E qual furor proclami?....

Così perenne e crudel mi sogghigni!

Oh tu, Erinne, oh tu che sei insoluta
poiché la pioggia tuttor scende e geme,
tu che lampeggi all’orizzonte bionda

e che lamenti, grida! E a questa bionda
donna nel sogno anonima tu vieni,
e in te che muggi, uno spirito or geme,

un’anima irrequieta, e tu proclami
il suo Destino, il mio, tu, che all’insoluta
sferza dei lampi e ai ciel ti sogghigni,

tu, che mormori scrosci! A che sogghigni?
Irridi forse la fanciulla bionda,
nel sogno effigie perenne e insoluta?....

Tu, oh impronta nera, che lenta ne vieni
e che l’eterno lampeggiar proclami,

tu, che sei Morte, l’avello che geme

dell’orizzonte oscuro, osso che geme,
e che ai miei patimenti ora sogghigni
più furiosa, e che cruda a me proclami

l’inesistenza della Luna bionda,
e che cavalchi i palpiti, oh tu, vieni!
E dimmi: «La tua Vita t’è insoluta».

Oh tu, fantasma di spene insoluta,
il che ne ascolti questo cuor che geme,
e che ansimando lampi a me ivi vieni,

tu, che perennemente mi sogghigni,
e che indarno induci la fanciulla bionda
al sogno mio, e l’effimero proclami

dell’incubo irrisolto; e che proclami
il regno della Notte ormai insoluta,

oh tu, irridente del lampo la bionda

perfida chioma che scoppia e che geme,
e che tra i monti lontani sogghigni,
e che al mio letto a piovigginar vieni,

presagio cupo che nel sonno vieni,
dove tacita e mesta un fior proclami
del patimento, tu, che urli e sogghigni

alla pupilla tremante e insoluta
della mia fronte, e dell’occhio che geme,
oh tu, che in cielo tormenti la bionda

Luna ch’è specchio di questa più bionda
donna sognata, tu, che folle vieni
a pizzicarmi il singulto che geme,

e che l’invano sperar mi proclami
di questa Vita, un’attesa insoluta

d’Amore, e che per questo più sogghigni,

Furia d’Ecate insana che sogghigni
a quest’inconsistente donna bionda,
e che non hai mai fine e sei insoluta,

tu, o serpe incauta, che ti mostri e vieni
a trucidarmi, e che strazio proclami,
e che non hai pietà or di lui che geme,

oh tu, empio Mostro, che al mio cuor che si geme
terribilmente e angosciando sogghigni,
e che la febbre immortale proclami,

Orco dei Sogni di folgore bionda,
tu, che sicario al mio cospetto vieni,
quanto sei tu, oh mia Tempesta, insoluta:

Vita insoluta d’un sogno alla bionda
spene, e tu vieni e sempre mi sogghigni;

e mi proclami un dolor, quel che geme.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XXVII Maggio AD MMXV

lunedì 25 maggio 2015

Rimembranze di Montagna

Tramonto invernale tra le Alpi di Vigezzo

Tu, che nel rimembrar affiori e che urli
al cuor mio che ti sogna, o tu che siedi
nel dolce sonno e che ti lagni al vespro,

o tu, montano crepuscolo antico,
perso nell’oro del Sole cadente,
dove deforme quest’astro si muore,

tu, che il monte e la valle inquieto vesti
dell’acre Notte che ghermisce i valichi,
e che nascondi la Luna dei ghiacci,

e che le nude montagne e le nevi,
e i scorti rivi inargenti di tènebre,
Mostro d’inverno, tu, qui vieni, e dici

in sussurri segreti i miei dolori,
lì, quando ti ammirai: la mia Inquietudine.

Gli Spiriti dei Ghiacci

Un dì n’andai per le selve dell’Alpe,
e scivolando sulle fredde nevi,
presso una grotta di muschio e lichene
scorsi le stalagmìti, i ghiacci urlanti.

Qui fermai il passo, e scorgevo le forme
di questo gelo ora pietrificato,
e tra loro m’apparve in gemme adorna
la chioma d’uno spettro; e tu m’invadi
ancora, o effigie d’un Spirito insano,
tu, che hai i mille sogghigni del Destino,
e che fors’anche sei il re degli alpestri
Dèmoni, donde io tuttora mi spasimo.

Così riconobbi le ninfe dei boschi,
e i turchesi folletti, e i tristi gnomi:
questi che sono i Mostri senza un nome,
i miei spasimi arcani, i miei dolori.

All’Orizzonte alpestre

Oh Alpi, oh Alpi, voi che urlate il tempo antico
e che chiudete nel vostro sepolcro
e nel vostro orizzonte il cuor mio e che alte

ergete i ghiacci fin dove si splende
il freddo Sole dell’inverno inquieto,
e che regnate nei miei sogni insonni,

oh voi, streghe di pietra, che bevete
il sangue dei camosci e che gridate
nell’eco delle valli il mio Destino,

ahi quanto, nel vedervi or lungi splendere
odo l’Amore dei sensi poëtici
che m’istigate! E voi che siete crude,

vette di me Promèteo, e voi, voi io adoro,
e vi dico: «Sbranatemi!», oh amate donne!

Dov’è la Chiesa del Villaggio?

Nell’orizzonte alpino il guardo alzavo,
e tra le falbe nevi dell’inverno,
e oltre i ghiacciati passi e oltre quest’ermi,
intraveder volevo una chiesetta.

Dov’era quel sagrato che mi strinse
ai piedi d’una croce al cielo selvatico?
Là, dove un’ostia m’istigò nel pianto,
e il selvaggio Destin con me danzava?....
Scrutavo l’orizzonte e i ghiacci arcani,
e sol le nebbie e i nevischi scorgevo,
e nulla vidi se non nivee rocce;
e la chiesa restava nei ricordi.

Allora udivo una valanga infame,
e il gelo qui m’invase e l’ossa e il volto,
e mi stavo nei sogni antichi e assorti
d’un’estate - che ‘l vò - rivedrò presto.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XXV Maggio AD MMXV

giovedì 21 maggio 2015

Ode alla Vita d'un giovane Poeta

I. Oh tu, che pieghi al gelo, oh viver cupo,
e che nel piover trascorri l’Eterno,
e che copri di Morte il cielo, e ansando

le grandini proclami, e che nel senso
le spente foglie dei sogni m’ispiri,
tu, Mostro ombroso, cui occhi son inverni

che le nevi ne spargon, Orco insonne,
e che m’andrai perenne a tormentare,
‘ve i tuoi velen mi son tue piogge e i venti,

oh tu, non hai, né intendi qui gridarti
la pietà che t’imploro, e osi tacere?....
Voltati!... e guarda! Ti sono uno spettro:

mi stai ferendo invano; e i freddi sogni
trascorrono - acque - e scivolano via.

II. Oh tu, che m’hai negato i fiori ascesi
delle mie Primavere, e che le giovani
vette d’Amor mi precludesti, oh insano,

tu che m’inebri del vento ululante,
e che ovunque mi schiudi e avelli e bàratri,
e che un reo Temporal su me scateni,

e che i sorrisi mendaci rendesti
delle speni ghermite e delle donne,
Dèmone antico, oh d’Erinni il Destino,

tu, mi vedi qui ansando; e bêi di questo
pianto, di queste doglianze secrete,
e allor non sei fors’anche empio, crudele?....

Tu sei l’Ombra che scorgo al mesto specchio:
d’un cuor l’impronta sdrucita nel buio!

III. In te io sognavo un meriggio, allorquando
fanciullo e infante sorridevo ai nugoli,
e il sogno era occhio di rosa e di canti,

come un profluvio d’attese serene,
e in una mezzanotte, io, Trovatore
pregai alla Luna e a suoi candidi seni;

e tu, Menzogna, tu che sei il Demonio,
e che tuoni bestemmie ai lampi infami,
e che pieghi le foglie dei sepolcri,

orribile giungesti, e i sogni sparvero,
e mi rimase un dono ora incompreso,
un supplizio di Morte, l’Inquietudine.

Della Vita mi resta un fior d’un Dio,
consunto e folle: a me la Poësia!

IV. Mi renderai, crudel, oh tu, col bacio
del fiele amaro di questa salsedine
che ai boschi urlando piove, oh tu, che strilli

insulti di tormenti, e che mi strazi,
i sempiterni abbracci e i caldi baci
che la mia gioventù ha fuggito incauta?....

Silenzio! È muto il tuo labbro blasfemo,
e intorno intendo il singulto d’un liuto,
e cantar m’è dovere, e pianger tanto.

Così d’accanto le Tempeste ammiro,
e tremo all’orizzonte, il tuo, che osceno
m’oscura il volto nel maggio defunto.

Sono una salma che ordisce dei versi
nell’avèl che mi copre: oh tu, mia Vita!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXI Maggio AD MMXV