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sabato 17 novembre 2018

Il Mosto del Barbaro

Nebbie! sorgete, oh spettri di guerrieri!
Bocche di Villi da' bardi baciate,
cristalli di vendemmiata pioviggine!

Dianzi a' il buon mosto, intanto, da voi io lungi
giacio. E ripenso!.... Oh rosei vapor
del Crepuscolo! sìmili alle guance

dell'Ebe che sorseggio! Oh amica sera
che i ricordi del giorno mi divori
lievemente scaldandomi alla Luna!

Oh arpe che inneggiano al sepolto corpo
di Freia, l'estiva, fertile a' le fiamme
infinite del Sole! Ahi, canto funebre

che Skàdi evoca alla Vànir dormiente,
mentre il nevischio annunzia il nuovo inverno!

Ho freddo, oh nebbie! E la mia landa immensa
sotto i miei occhi inghiottite. E penso. E piango.
Oh foglioline indispettite a' vischi

per le falci de' Druidi dell'Autunno!
Oh corpicini secchi che insepolti,
poiché inumani, le Valchirie évitano

nel lor guerresco volo! Oh tintinnar
di rigide ocra reliquie di querce...
oh fulvi rimasugli de' bei pioppi!

Oh cimbe di fogliami remiganti
sulle più sacre ripe dell'Arbogna
've il mio calice accoglie il vin selvaggio

degli acerbi vitigni! Oh Erda... Erda, Dea
di questa addormentata, empia Natura! 

Hai tessute le spoglie delle Figlie
delle onde de' torrenti! il dolce ventre
a Freia hai donato! Hai splasmata

la cetra urlante di Lorelei che urla
fino a farsi sentir tra queste brume,
bianche regine del mio freddo Nord!

E ora io godo del tuo vino mietuto
dal correre del tempo che lo invecchia -
ei immortal, io dannato a estremi spiri!

Brindo a te, allora, oh Natura pallente,
cui sopravvivo al momentaneo sonno
per avere nel cuor i tuoi gai ardori!

Brindo a te, e immergo il nappo a' la mia bocca,
e avrò qui forse un po' di caldo, allora!

E penso! E bevo!.... Froh! non hai scordato
il mio desiro di coglier la Gioia
baciandole ne' Sogni ansanti labbra?....

Ma odo che sempre più la piova cade,
e il meriggio mi pàr sempre più breve,
donde qui a me ei rapisce ore di Vita.

Così svelto sovvien, infatti, il vespro,
e presto si svanisce il sacro fuoco
del mosto di novembre in mia ogni vena.

E mi rimane l'eterno cordoglio
che de' bardi ferisce il cuor che duole:
il Sogno! Ombra che appena all'alba muor.

E so che in questi brividi di sera
il nido intesse questo oscuro Fato!

Gustavo Simoni, L'Istoria del Menestrello, Tardo-Romanticismo italiano, Fine del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato XVII del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

venerdì 30 ottobre 2015

L’Aïrone dell’Autunno

I. E tra le foglie che son secche, e i scialbi
pioppi dei qual io ascolto e il fio e il sospiro,
e l’erbe morte, e i fiorellini falbi,

cere convulse dell’Autunno, e il tino
delle vendemmie che cantano a un monte,
e tra le nebbie dov’io ora m’aggiro,

e lungo il cupo e ingrigito orizzonte,
e la campagna spoglia e i rivi asciutti,
e gli sterpi dei campi, e verso un ponte,

e udendo i bronzi suonàr: e a ombre e a lutti;
e addolorando il cuor, e alzando prone
le mani al cielo e agli ultimi suoi flutti

scorgo: a una riva con la sua canzone
un affamato e cinereo aïròne.

II. «Osi tu urlàr, oh peregrìn dei faggi,
e chièder pane a questa terra spoglia,
e a queste paglie? Tu, inquieto dei maggi

dolcemente trascorsi, e a questa foglia
volèr un sorso di un’ultima Vita,
tomba perenne che a te si condoglia?

Tu, che non sei che un cuor che all’infinita
Morte dei salci e dei miei sogni or canti,
e che mi scruti, iride indefinita,

tu, tacita ombra e spettro, verrai avanti
a chièdermi una brìciola, o il tuo Fato?
Tu, che tremi pei bianchi e terrei manti

lo sai? Che quest’Autunno è intemerato?
Oh Animo oscuro che procedi guato!».

III. E sulla riva l’uccelletto piagne,
e non so se abbia nidi e se abbia prole,
e il suo grido percorre le campagne.

Or l’Autunno dà addio all’ultimo Sole,
e sul mio volto vièn presto la sera,
il crepuscolo roseo, e nubi viole.

Sento che trilla una mesta preghiera,
e il cuor m’intenerisce, e qui il fogliame
che cade mi commuove. E alla riviera

vicina al cascinàl, cui pietra è in rame,
quest’aïrone ancor m’appare. E chiede
grano alle querce, egli, instabile ossame.

«Oh tu, tu aspetta, chè nulla succede: e…
e i miei sogni saranno le tue prede!»


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Venerdì XXX Ottobre AD MMXV

venerdì 16 ottobre 2015

Il Temporale di Ottobre

Può essere che d’autunno un temporale oscuro
tra i sogni del mio cuore perseguiti il cielo,
dove più gli conviene lampeggiare; e tristo e…

e muta può ora essere l’eco che ripete i tuoni, e osceno
il tuono che li segue quasi beändo di gloria,
e le piogge che cadono sono veleni oscuri.

Ma certo è che nella Tempesta il mio cuore sogna,
quando il tintinnìo delle piogge culla il sonno suo,
lì, dove gli orbati orizzonti e mori si splendono.

E va… e va il sogno mio, ai piedi della Luna falba,
e qui placidamente si confonde nel suo volto,
come uno specchio che è in mano a una fanciulla. E va!

E trema alle saëtte oscure e iraconde, e ha paüra.
E Tu, Infinito, non t’ho forse colto in questo sogno?

Può essere che d’autunno un temporale
scorra infelice le sue lingue di pioggia di vendemmia,
e che le ultime rose dell’estate nel suo mare inghiotta,

dove straripano di pianto le rogge più vessate,
sotto il mio sguardo che a una finestra le contempla,
quando sul vetro ogni stilla scivola e s’appoggia.

Ma certo è che nella Tempesta il mio cuore sogna,
perché non può far nient’altro, il visionario, il folle,
e sognando lamenta una canzone di Vita. E

nei sogni inciampa nelle tele dei ragni della Sorte,
e nelle sue piovose e tremolanti onde di follia
mi suggerisce le angosce e i dubbi tutelari.

E trema alle saëtte oscure e iraconde, e ha paüra.
E Tu, Infinito, non t’ho forse colto in questo sogno?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Giovedì XV Ottobre AD MMXV

mercoledì 16 settembre 2015

In Ode di una Mattinata di Settembre

Oh cupo e - mio - mattino, dove - esasperato - e
in freddi trilli, e - in scialbe cere -
càdon le piogge, - oh tu! - ciel che è sempre rado

di nebuloso Sole, - oh voi! - che aria fiera, e
geli annunciate, uditemi! - E così io vi imploro; e - e
chiedo: - e pietà, - ove s’arena

il sogno mio, e - vendemmia al dolce suono
d’una zampogna, e: - e miràr queste foglie
che cadono, e - appassite querce; e - udìr i cori

dei svelti stormi, e - la lor doglia - e
l’orizzonte beärsi, e - nubi - le più improbe. - E
tu, autunno mio, oh! - che? - non raccogli

queste frasche ingiallite? - E qui, la mia canzone
per te si stende, e - ed è il dolore! - E -

io - cavaliere - e - io - vagabonda impronta -
ombra dei visionari: - e sogni, e - istinti perduti -
a te mi volgo, oh mattìn, - onda

dei miei singhiozzi, e - preso in man un liuto - e
andando a un monte, e - per sentieri osceni -
canto una nenia, e - mesta, e - muta - e

funeraria. - E la Morte, e - il suo sereno
Fato, procedono - a divoràr la Natura, e - a
uccidere l’estate. - E così io qui tremo, - e

l’autunno mi languisce; e - la Luna -
il mio antico astro - ora e già si alza e viene; e - e
tu, mio cuor, sei ricolmo delle cure

che il sogno tuo perduto ti dà, e - pena - è
quest’alba nuova che non è - per me - che mille sere.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XVI Settembre AD MMXV

venerdì 10 luglio 2015

Lamento ai Sepolcri dei Cavalieri



Oh voi, sepolcri dei cavalier, ceri
di falbe fiamme e che alla cattedrale
ferocemente sospirate, oh fieri

sassi dei mausolei, oh aër spettrale,
che gemendo percuoti le Gargolle
e dei Demòni le lagnanze e l’ale,

voi, tombe dei guerrieri, oh terra folle
del cenere, ed estremo e oscuro avello
cui la preghiera si tormenta, e molle

e scialbo ossame, oh dei salci arboscello
che alle ghirlande e alle pietre tu dormi,
pianto di lutto, gridàr d’un stornello,

oh quanto voi qui v’ergete ed enormi,
spettri che scorgo, oh fantasmi deformi!

Voi estreme siete le impronte dei spenti
Eroi e del Tempo che antico è fuggito,
scheletriche sembianze in preda ai venti,

e a me gridate le guerre e il ruggito
e le vostre tenzoni, e il dolce liuto
d’un Trovator che un dì si fu smarrito,

e le Furie dei Mori, e il labbro muto
delle rapite dame, e gli elmi freschi
che ormai hanno il sonno in cuor dell’Assoluto.

Oh voi, ascoltate: mi gemo! E i donneschi
vostri trofei ne sogno, e i tristi assedi,
dove urlaste i valòr cavallereschi.

Sento le spade, e i vostri ferrei piedi;
e Tu, oh Iddio, a questi il sonno alfìn concedi!

Statue di marmo tra i rosoni tetri
mestamente contemplo, e un solitario
mesto sepolcro risplende tra i vetri.

Qui forse si riposa il reliquario
d’un Templàr che rapì una bionda ebrea,
e il cèner suo coi vermi si fa vario.

Ai piè dei sassi non sta un fior, ninfea,
né fulve rose, né viole, e anatèmi
si disperdono, e un’alma piange: è rea.

Non stanno cardi, e nemmèn crisantemi,
e questa cattedrale si decade,
e tu, oh tu, cavalier, per questo gemi.

Queste l’ultime son dei Prodi biade;
di tombe oscure sempiterne rade.

Oh voi, pallenti, voi muschi che ergete
le vostre bave a questo cimitero,
e che incompiuti e perenni gemete,

voi, pietre orrende, che nel monastero
per l’eco ivi espandete ansia di Morte,
e voi, voi volte alte di vespro nero

che pel cielo ondeggiate anime assorte
nell’Erebo del Fato, voi campane
che abbandonate urlate al vento, e forte

qui percuotete le sembianze vane
dei conti e dei marchesi, oh campanile
cadente a valle per selve lontane,

oh quanto appare il vostro sguardo vile,
eterni inverni immemori d’aprile!

Siete il suggello d’un Tempo remoto,
fuggito e morto, l’ora dell’onore,
e tutto in voi si giace ansante e immoto.

Siete le nenie dei tornei, e il furore
delle Tempeste delle guerre sante,
sacro ricordo d’un canto d’Amore.

Così tra voi m’aggiro, e in lagne affrante
eternamente piango ai vostri ossami,
che vestono tuttòr gemme e adamante.

Oh voi, voi, siete i caduti fogliami
di balde stirpi che l’Odio ha sepolto,
gli arazzi d’oro, e d’argento i ricami.

Allor davvero mi tormento e molto
nel rimembràr del vostro antico volto.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Venerdì X Luglio AD MMXV   

sabato 13 giugno 2015

Ode ai Monti dell'Orizzonte estivo

I. Cime di nevi or disciolte, ascoltate
questo canto nel giorno d’un Poëta,
valli montane e dolci e intemerate;

voi che mi siete l’agognata meta
e che a questo orizzonte vi splendete,
e di cui l’ombra si mostra irrequieta

e che le fresche impronte ne spargete
a questo piano, oh voi, serene cime
delle quali perenne io n’odo or sete,

e che ispirate queste belle rime,
oh voi, che al nembo sembrate smarrite,
senso d’Eterno e sentir di Sublime,

questo mio canto, su! presto sentite,
oh montagne sublimi, oh voi romite!

II. Non ho che un sogno al rimirarvi, o monti,
voi che gemete i freschi maëstrali
e che ivi abbeverate i greggi e i fonti,

o voi superni, che all’aquile l’ali
all’Infinito trascinate, e il falco,
a cullar ne volgete, o voi immortali

che dalle rocce ne traëte il talco,
e che quest’eco ripetete mesta,
d’un cacciator che soffia è l’oricalco,

non ho che un sol desìo a voi, acre Tempesta
d’immota pietra, e freddi ruscelli, e ore,
voi, che alle nubi alzate la foresta

e che regnate la convalle in fiore,
o voi che siete il perno del mio cuore,

III. voi, serene potenze all’Alpi e ai sordi
orecchi degli Spiriti montani,
Mostri gentili di sassi e di fiordi,

sterpi pietrosi che s’èrgon lontani,
o voi, valichi eterni in cui mi spreco
e che reggete i castel, quei più arcani,

e che aver ne sembrate un aër bieco,
il qual inizialmente fa paüra,
molteplici occhi d’un Ciclope cieco,

non ho che un’ansia brama e che una cura
a voi che siete aguzzi come acciari,
e che ne dominate la Natura,

o voi campestri e alpestri e nudi mari
dei boschi e dei lor spirti tutelari,

IV. non ho che un sol volèr, voi del Melezzo
ripe rocciose che aprite i confini
all’elvetica terra, o voi che il vezzo

tanto mi siete dell’Anima, e i pini
nutrite di torrenti, e io ho un sogno, e dico:
che bramo rivedèr i vostri alpini

freschi villaggi, e l’orizzonte aprìco,
e le boscaglie vostre, e i lusinghieri
valichi ombrosi, or del viandante intrìco,

e i vostri cupi, e imi e lunghi sentieri,
i quieti tigli, e i placidi castagni,
e l’alte nevi falbe come ceri,

e te vò rivedèr ruscel che bagni  
quest’aspre sponde dalle qual ti lagni.

V. Oh monti, voi mi siete e Vita e spene,
voi che argentate le vette sublimi
nei brividi segreti di mie vene.

Voi, piacèr tutto mio, piccoli ed imi
sogno perdutamente, e i vostri pruni,
e i fiorellini vostri e amari i timi,

voi che mi siete le fonti d’alcuni
gaudi frequenti, e d’un calmo pensiero,
sguardi di sassi onnipossenti e bruni.

Ma qui in pianura si perde nel nero
truce tramonto questo vostro ardore,
e per me siete avvolti nel mistero.

Pur, tra le fosche vi scorgo il pallore,
voi che montagne sarete il mio Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XIII Giugno AD MMXV