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mercoledì 2 novembre 2016

Poesia per una Messa di Requiem

Dormite eterno sonno nella terra,
su cuscìni di rose e di vïòle,
placidamente cullati nel vacuo
abìsso delle nùvole;
il Sole... un Dio.
Una rosa per voi fu crocifissa,
sanguinò su Isräèle le sue chiome;
e Tu, Sìon, prega per sempre, in eterno.
E tu, tu dunque
oh rosa... oh rosa, d'Amore e di Vita,
dona il tuo occhio a noi, quando i nostri pètali
si chiùdono nel vespro delle tènebre,
pietà di noi....
E voi, Tempeste assordanti e furenti,
oh tuoni che gridate le fàuci delle Furie,
naufragi funerei nel cièl della Notte,
singulti d'un ùltimo spiro,
voi, tremendi e crudeli
vaticìni stridenti di ciò che è,
ahi quanto è il fuoco e il tremòr che portate,
ora che sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna.
E dovunque le trombe della Vita
miètono le ossa cui il corpo si aggiunge;
e nuovo giorno viene.
Così Natura crolla e si distrugge,
e il volto sarà chiaro della Morte,
e non vi saranno più Notti d'intorno,
né mai sarà päùra.
Ma io che dirò alla rosa quando - io muto -
mi chiederà le volte in cui raccolsi
i suoi pètali, e l'ombre sue e il suo sguardo?
E adesso sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna.
Si ricorderà questa rosa? un giorno
del piàngere versato, là, su' un prato
ordìto di deserto, con le fòrbici
che recìsero e cuore, e mani e piedi?
Le sue spine a sè rivolte?
Si ricorderà questa rosa? un giorno
avèr baciato il furto delle aurore,
il ventre di una strega?....
E io piangerò perché son fango e vermi,
con le mani di colpe graffïàte
sulle albe guance, presso un branco
di lupi - io pellegrino! - e tra le greggi;
e piangerò per sempre,
com'è scritto nel Fato;
e adesso sarà l'ùltima e orba sera
della pàllida Luna,
è il Tempo delle làgrime.
Dormite eterno sonno nella terra,
oh fiòr, dormite; dove eterni sono
i vostri pòllini e i vostri singhiozzi,
come un gregge promise al vostro nàscere,
e la rosa fu vìttima dorata
pe' il sonno vostro,
come un gregge promise al vostro nàscere.
E Tu, l'ignoto Altrove, reggerài
l'incògnito tuo Regno! Le tue schiere!
Pietà di noi! Oh santa rosa dei nùvoli!
Pietà di noi!
E il Sole eterno allùmini le vie
tra i monti e le foreste e per le vette
del pellegrinàr nostro,
perché le pietre divèngano quieti
cuscini per il sonno, e i faggi e i rami
ombre fresche e balsàmiche pe' i Sogni,
perché l'Eterno risplenda perpetuo!
E tu, mia rosa,
lìberami dal vespro mio perenne,
dal màr del ciclo di nàscite e morti,
quando il fuoco urlerà contro la terra,
dove resuscitando ella è in tremore,
quando i cieli si muòvono irrequieti
tra l'urlo di tante furiose tempeste,
tra i morbi dei volti di peste invisìbile,
tra vàcue e voraci cadute d'abìssi,
la Morte malvagia che sorge.
Lìberami dal vespro mio perenne;
che io possa coglierti, oh rosa ridente!

Filippo Carcano, Interno del Duomo di Milano, Tardo-Romanticismo italiano, Scapigliatura, 1882

Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XXXI del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI.

mercoledì 1 giugno 2016

Elegia di un Addio al Mese di Maggio

Addio, maggio, o fiorito àttimo di un
Sogno, uno sguardo di Ondine e di viole
con gli occhi tuoi di cera,
dove qui più non viene a urlàr nessùn
rifiorìr di ninfee, e ove ardente è il Sole
prima che sia la sera,
e sia la Notte a seppellìr l’estate,
Dea Ècate oscura, e inesoràbil, mesta
che vaga intorno.
E la più tetra Luna le dorate
ripe lì mieterà, come Tempesta
di ìncubi; e il giorno
mi sarà stato breve per potèr
ghermìr il farsi dei Sogni miei, e il mio
desidèrio. E vorrà
ei ripètersi ancora, e qui sedèr
su questa pietra trèmula dov’io
giacio? E il cuor non lo sa….
Sa sol che maggio è stato come un fiore,
rosso nell’alba, nel vespro incolore.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

William Adolphe Bouguereau, La Giovinezza di Bacco, Classicismo francese, XIX Secolo



In Dì di Mercoledì I Giugno dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

lunedì 30 maggio 2016

La Martyre - La Martire

Quando il tuo labbro sarà àër di fuoco,
e incenerito morirà il tuo crine,
e sarai vento,
quando il tuo spiro arderà, e il falbo e fioco
fiòr di tua gioventù avrà la sua fine,
nel patimento,
e quando salma esànime sarai
tra l’urlàr delle donne e gli anatèmi,
arsa e consunta,
quando muti saranno i tuoi ansi lài,
e la tua bocca non avrà più speni,
orba defunta,
quando non resterà di te che un tàcito
cènere, forse nutrirai le viole
come un fango di Vita; e
quando si scioglierà il tuo corpo impàvido, e
ghermirai le più arcane ombre del Sole,
tu per sempre assopita,
sarai alba nel tramonto dei tuoi Sogni,
e una fiamma ti avrà baciata al seno,
voracemente.
E sarà il bacio del tuo Cielo estàtico,
gioja e soffrìr, e un liquore e un veleno
della tua mente,
l’ùltimo Sogno, quello che è più eterno,
tu, priva di urna ove riposàr quieta;
e sarai vento nell’àlito ardente
di Dio. E qui io che ti prego
vorrei sapère come sia il tuo bacio.
Prega, oh Donna, per me!
Oh Giovanna di Dio!  


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Romanticismo francese, Santa Giovanna d'Arco, XIX Secolo



In Dì di Lunedì XXX Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

martedì 21 luglio 2015

Rapsodia romantica d'un Pomeriggio egiziano

I. All'ombre fredde d'un Tempio d'Egitto
una fanciulla aveva una scacchiera.
Nuda cantava d'un Principe invitto,
e la sua voce ardèa di Primavera.

Una sua serva ascoltava, e col dritto
sguardo scorgeva una muta riviera.
Il Sole, infatti, il Nilo avèa trafitto,
donde ad Ammòne s'alzò una preghiera.

Ma la fanciulla giuocava; e l'afflitto
ermo si disponeva per la sera.

La Sorte inesorata e il Fato osceno
ella sfidava nel giuoco, e cantando
tiepidamente vibrava il suo seno.

Forse in segreto ella stava spasmando
per un Amòr che di pianti era pieno,
e di quiete non ebbe il cuor suo blando.

Così ai suoi piedi e colma di veleno
forse una coppa stava. Oh bèr nefando!

E vai Tu, raggelando?
E non sai dunque che pel tuo bagliore,
Sole funesto, ella geme d'Amore!

II. «Perché m'hai ridestata, e giuoco e vivo
nell'ombre degli altari e del deserto?».
«Il tuo canto ascoltavo; e fu giulivo,
e gioie serene nel tuo cuor avverto».
«Son gioie mendaci di un'Anima in doglie
che quiete e gaudio e requie e pace sogna;
ma del dolòr che celo, sì, ho vergogna.
E tu comprendi le cadenti foglie?».
«Foglie d’Amore! M’ascolta, oh fanciulla:
tu soffri per Amòr; ed egli è il Nulla!
Godi la Vita, e le cantiche, e molta
gioia, e dolci danze. Ti prego, m’ascolta!».

III. Ma la fanciulla la serva ignorava,
e sospirando proruppe nel pianto.
I lignei scacchi lontano scagliava,
e all’alba scacchiera osò l’affranto

volto posàr; e la Morte invocava,
e l’occhio suo s’asperse d’amaranto
sangue d’Anùbi, e la coppa bramava
che ai scalzi piedi teneva d’accanto.

Così la prese; e il suo umore gustava,
onde morì con un funereo canto.

Nuda giaceva, ed esanime e bruna,
giovine mummia uccisa e avvelenata,
vittima fresca d’una bionda duna.

Così la serva fuggì spaventata,
e al cadavere ormai non più fu alcuna
donna, né quiete… la pace sognata.

E giungeva la Notte, e l’alba Luna
solleticava una spoglia beäta;

e l’alba era infuriata:
del santo Nilo alle sorgenti grida
Ammone vide un’Anima suicida!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XXI Luglio AD MMXV

venerdì 10 luglio 2015

Lamento ai Sepolcri dei Cavalieri



Oh voi, sepolcri dei cavalier, ceri
di falbe fiamme e che alla cattedrale
ferocemente sospirate, oh fieri

sassi dei mausolei, oh aër spettrale,
che gemendo percuoti le Gargolle
e dei Demòni le lagnanze e l’ale,

voi, tombe dei guerrieri, oh terra folle
del cenere, ed estremo e oscuro avello
cui la preghiera si tormenta, e molle

e scialbo ossame, oh dei salci arboscello
che alle ghirlande e alle pietre tu dormi,
pianto di lutto, gridàr d’un stornello,

oh quanto voi qui v’ergete ed enormi,
spettri che scorgo, oh fantasmi deformi!

Voi estreme siete le impronte dei spenti
Eroi e del Tempo che antico è fuggito,
scheletriche sembianze in preda ai venti,

e a me gridate le guerre e il ruggito
e le vostre tenzoni, e il dolce liuto
d’un Trovator che un dì si fu smarrito,

e le Furie dei Mori, e il labbro muto
delle rapite dame, e gli elmi freschi
che ormai hanno il sonno in cuor dell’Assoluto.

Oh voi, ascoltate: mi gemo! E i donneschi
vostri trofei ne sogno, e i tristi assedi,
dove urlaste i valòr cavallereschi.

Sento le spade, e i vostri ferrei piedi;
e Tu, oh Iddio, a questi il sonno alfìn concedi!

Statue di marmo tra i rosoni tetri
mestamente contemplo, e un solitario
mesto sepolcro risplende tra i vetri.

Qui forse si riposa il reliquario
d’un Templàr che rapì una bionda ebrea,
e il cèner suo coi vermi si fa vario.

Ai piè dei sassi non sta un fior, ninfea,
né fulve rose, né viole, e anatèmi
si disperdono, e un’alma piange: è rea.

Non stanno cardi, e nemmèn crisantemi,
e questa cattedrale si decade,
e tu, oh tu, cavalier, per questo gemi.

Queste l’ultime son dei Prodi biade;
di tombe oscure sempiterne rade.

Oh voi, pallenti, voi muschi che ergete
le vostre bave a questo cimitero,
e che incompiuti e perenni gemete,

voi, pietre orrende, che nel monastero
per l’eco ivi espandete ansia di Morte,
e voi, voi volte alte di vespro nero

che pel cielo ondeggiate anime assorte
nell’Erebo del Fato, voi campane
che abbandonate urlate al vento, e forte

qui percuotete le sembianze vane
dei conti e dei marchesi, oh campanile
cadente a valle per selve lontane,

oh quanto appare il vostro sguardo vile,
eterni inverni immemori d’aprile!

Siete il suggello d’un Tempo remoto,
fuggito e morto, l’ora dell’onore,
e tutto in voi si giace ansante e immoto.

Siete le nenie dei tornei, e il furore
delle Tempeste delle guerre sante,
sacro ricordo d’un canto d’Amore.

Così tra voi m’aggiro, e in lagne affrante
eternamente piango ai vostri ossami,
che vestono tuttòr gemme e adamante.

Oh voi, voi, siete i caduti fogliami
di balde stirpi che l’Odio ha sepolto,
gli arazzi d’oro, e d’argento i ricami.

Allor davvero mi tormento e molto
nel rimembràr del vostro antico volto.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Venerdì X Luglio AD MMXV