I. All'ombre fredde d'un Tempio d'Egitto
una fanciulla aveva una scacchiera.
Nuda cantava d'un Principe invitto,
e la sua voce ardèa di Primavera.
Una sua serva ascoltava, e col dritto
sguardo scorgeva una muta riviera.
Il Sole, infatti, il Nilo avèa trafitto,
donde ad Ammòne s'alzò una preghiera.
Ma la fanciulla giuocava; e l'afflitto
ermo si disponeva per la sera.
La Sorte inesorata e il Fato osceno
ella sfidava nel giuoco, e cantando
tiepidamente vibrava il suo seno.
Forse in segreto ella stava spasmando
per un Amòr che di pianti era pieno,
e di quiete non ebbe il cuor suo blando.
Così ai suoi piedi e colma di veleno
forse una coppa stava. Oh bèr nefando!
E vai Tu, raggelando?
E non sai dunque che pel tuo bagliore,
Sole funesto, ella geme d'Amore!
II. «Perché m'hai ridestata, e giuoco e vivo
nell'ombre degli altari e del deserto?».
«Il tuo canto ascoltavo; e fu giulivo,
e gioie serene nel tuo cuor avverto».
«Son gioie mendaci di un'Anima in doglie
che quiete e gaudio e requie e pace sogna;
ma del dolòr che celo, sì, ho vergogna.
E tu comprendi le cadenti foglie?».
«Foglie d’Amore! M’ascolta, oh fanciulla:
tu soffri per Amòr; ed egli è il Nulla!
Godi la Vita, e le cantiche, e molta
gioia, e dolci danze. Ti prego, m’ascolta!».
III. Ma la fanciulla la serva ignorava,
e sospirando proruppe nel pianto.
I lignei scacchi lontano scagliava,
e all’alba scacchiera osò l’affranto
volto posàr; e la Morte invocava,
e l’occhio suo s’asperse d’amaranto
sangue d’Anùbi, e la coppa bramava
che ai scalzi piedi teneva d’accanto.
Così la prese; e il suo umore gustava,
onde morì con un funereo canto.
Nuda giaceva, ed esanime e bruna,
giovine mummia uccisa e avvelenata,
vittima fresca d’una bionda duna.
Così la serva fuggì spaventata,
e al cadavere ormai non più fu alcuna
donna, né quiete… la pace sognata.
E giungeva la Notte, e l’alba Luna
solleticava una spoglia beäta;
e l’alba era infuriata:
del santo Nilo alle sorgenti grida
Ammone vide un’Anima suicida!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Martedì XXI Luglio AD MMXV