Oh
voi, sepolcri dei cavalier, ceri
di
falbe fiamme e che alla cattedrale
ferocemente
sospirate, oh fieri
sassi
dei mausolei, oh aër spettrale,
che
gemendo percuoti le Gargolle
e
dei Demòni le lagnanze e l’ale,
voi,
tombe dei guerrieri, oh terra folle
del
cenere, ed estremo e oscuro avello
cui
la preghiera si tormenta, e molle
e
scialbo ossame, oh dei salci arboscello
che
alle ghirlande e alle pietre tu dormi,
pianto
di lutto, gridàr d’un stornello,
oh
quanto voi qui v’ergete ed enormi,
spettri
che scorgo, oh fantasmi deformi!
Voi
estreme siete le impronte dei spenti
Eroi
e del Tempo che antico è fuggito,
scheletriche
sembianze in preda ai venti,
e
a me gridate le guerre e il ruggito
e
le vostre tenzoni, e il dolce liuto
d’un
Trovator che un dì si fu smarrito,
e
le Furie dei Mori, e il labbro muto
delle
rapite dame, e gli elmi freschi
che
ormai hanno il sonno in cuor dell’Assoluto.
Oh
voi, ascoltate: mi gemo! E i donneschi
vostri
trofei ne sogno, e i tristi assedi,
dove
urlaste i valòr cavallereschi.
Sento
le spade, e i vostri ferrei piedi;
e
Tu, oh Iddio, a questi il sonno alfìn concedi!
Statue
di marmo tra i rosoni tetri
mestamente
contemplo, e un solitario
mesto
sepolcro risplende tra i vetri.
Qui
forse si riposa il reliquario
d’un
Templàr che rapì una bionda ebrea,
e
il cèner suo coi vermi si fa vario.
Ai
piè dei sassi non sta un fior, ninfea,
né
fulve rose, né viole, e anatèmi
si
disperdono, e un’alma piange: è rea.
Non
stanno cardi, e nemmèn crisantemi,
e
questa cattedrale si decade,
e
tu, oh tu, cavalier, per questo gemi.
Queste
l’ultime son dei Prodi biade;
di
tombe oscure sempiterne rade.
Oh
voi, pallenti, voi muschi che ergete
le
vostre bave a questo cimitero,
e
che incompiuti e perenni gemete,
voi,
pietre orrende, che nel monastero
per
l’eco ivi espandete ansia di Morte,
e
voi, voi volte alte di vespro nero
che
pel cielo ondeggiate anime assorte
nell’Erebo
del Fato, voi campane
che
abbandonate urlate al vento, e forte
qui
percuotete le sembianze vane
dei
conti e dei marchesi, oh campanile
cadente
a valle per selve lontane,
oh
quanto appare il vostro sguardo vile,
eterni
inverni immemori d’aprile!
Siete
il suggello d’un Tempo remoto,
fuggito
e morto, l’ora dell’onore,
e
tutto in voi si giace ansante e immoto.
Siete
le nenie dei tornei, e il furore
delle
Tempeste delle guerre sante,
sacro
ricordo d’un canto d’Amore.
Così
tra voi m’aggiro, e in lagne affrante
eternamente
piango ai vostri ossami,
che
vestono tuttòr gemme e adamante.
Oh
voi, voi, siete i caduti fogliami
di
balde stirpi che l’Odio ha sepolto,
gli
arazzi d’oro, e d’argento i ricami.
Allor
davvero mi tormento e molto
nel
rimembràr del vostro antico volto.
Massimiliano
Zaino di Lavezzaro
Venerdì
X Luglio AD MMXV
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