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venerdì 10 luglio 2015

Lamento ai Sepolcri dei Cavalieri



Oh voi, sepolcri dei cavalier, ceri
di falbe fiamme e che alla cattedrale
ferocemente sospirate, oh fieri

sassi dei mausolei, oh aër spettrale,
che gemendo percuoti le Gargolle
e dei Demòni le lagnanze e l’ale,

voi, tombe dei guerrieri, oh terra folle
del cenere, ed estremo e oscuro avello
cui la preghiera si tormenta, e molle

e scialbo ossame, oh dei salci arboscello
che alle ghirlande e alle pietre tu dormi,
pianto di lutto, gridàr d’un stornello,

oh quanto voi qui v’ergete ed enormi,
spettri che scorgo, oh fantasmi deformi!

Voi estreme siete le impronte dei spenti
Eroi e del Tempo che antico è fuggito,
scheletriche sembianze in preda ai venti,

e a me gridate le guerre e il ruggito
e le vostre tenzoni, e il dolce liuto
d’un Trovator che un dì si fu smarrito,

e le Furie dei Mori, e il labbro muto
delle rapite dame, e gli elmi freschi
che ormai hanno il sonno in cuor dell’Assoluto.

Oh voi, ascoltate: mi gemo! E i donneschi
vostri trofei ne sogno, e i tristi assedi,
dove urlaste i valòr cavallereschi.

Sento le spade, e i vostri ferrei piedi;
e Tu, oh Iddio, a questi il sonno alfìn concedi!

Statue di marmo tra i rosoni tetri
mestamente contemplo, e un solitario
mesto sepolcro risplende tra i vetri.

Qui forse si riposa il reliquario
d’un Templàr che rapì una bionda ebrea,
e il cèner suo coi vermi si fa vario.

Ai piè dei sassi non sta un fior, ninfea,
né fulve rose, né viole, e anatèmi
si disperdono, e un’alma piange: è rea.

Non stanno cardi, e nemmèn crisantemi,
e questa cattedrale si decade,
e tu, oh tu, cavalier, per questo gemi.

Queste l’ultime son dei Prodi biade;
di tombe oscure sempiterne rade.

Oh voi, pallenti, voi muschi che ergete
le vostre bave a questo cimitero,
e che incompiuti e perenni gemete,

voi, pietre orrende, che nel monastero
per l’eco ivi espandete ansia di Morte,
e voi, voi volte alte di vespro nero

che pel cielo ondeggiate anime assorte
nell’Erebo del Fato, voi campane
che abbandonate urlate al vento, e forte

qui percuotete le sembianze vane
dei conti e dei marchesi, oh campanile
cadente a valle per selve lontane,

oh quanto appare il vostro sguardo vile,
eterni inverni immemori d’aprile!

Siete il suggello d’un Tempo remoto,
fuggito e morto, l’ora dell’onore,
e tutto in voi si giace ansante e immoto.

Siete le nenie dei tornei, e il furore
delle Tempeste delle guerre sante,
sacro ricordo d’un canto d’Amore.

Così tra voi m’aggiro, e in lagne affrante
eternamente piango ai vostri ossami,
che vestono tuttòr gemme e adamante.

Oh voi, voi, siete i caduti fogliami
di balde stirpi che l’Odio ha sepolto,
gli arazzi d’oro, e d’argento i ricami.

Allor davvero mi tormento e molto
nel rimembràr del vostro antico volto.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Venerdì X Luglio AD MMXV   

venerdì 12 giugno 2015

La Ballata a un Cavaliere errante

Non so perché, nell'errar, cavaliere,
tu volgi il volto contristato e muto,
silenzioso pe'l bosco e pe'l perduto
colle, e svanisci all'ombra delle sere.

Non hai che un palafreno, e un fulvo manto,
la spada al fianco, una lancia alla schiena,
e il mento tuo s'allunga a un pelo affranto,
la barba bruna e invecchiata; e la vena
sanguina trista alla pupilla amena,
poiché tu sei uno Spirito qui insonne,
scandalo insano d'uomini e di donne,
ed è il tuo sguardo falbo come cere.

Nascostamente ti seguo, io scudiere,
e nel tuo errar ti pizzico il mio liuto.
Ma in questi tuoi occhi non t'ho mai veduto,
mi sei lontano alle foreste altère.

Non so perché, Messèr, sei un pellegrino,
ne perché tu rifiuti ogni tenzone
che l'uom propone e della cacciagione,
né so qual sia l'errante tuo Destino.

Ma ho scorse un dì l'insanguinate mani,
dita di sangue per Furia d'Amore,
e ho visto che il tuo sguardo in fin i cani
intenerisce per lungo dolore;
e tu d'un feudo eri forse il signore,
e or per un monte terribile e arcigno
udendo il sol cantar d'un mesto cigno,
vanamente t'aggiri, e il tuo cammino

lì si lamenta all'ombre d'uno spino,
e canta e lagna un'arcana passione
che più cortese d'un'ansia canzone
ti proferisce un mistero divino.

Non so perché hai sguainato la tua lama,
e di certo la spingi or nella pietra,
e sceso dal destriero e in mezzo all'etra
dell'Alpe, siedi e il Sole di dirama.

Qui t'inginocchi, e a pregare t'accingi,
e la tua lancia cola sangue e umori,
e alle tue mani il tuo pianto ne stringi,
e implori la pietà per tanti errori,
e nei venienti e oscuri tenebrori
siamo soli, or tu ed io e il tuo maëstrale,
muti e lontani, e presso l'Immortale,
e tu ti lagni a una perduta dama.

Non so qual sia nel bosco la tua fama,
né qual arcano il tuo ciglio penètra.
Ma so che adori il suonar di mia cetra,
suon che il tuo cuore segreto ricama.

Non so che a questo monte tu hai pregato
per la campagna che t'allontanava,
per il rivale che ti tormentava,
e per me, tuo scudiere, e pel mio Fato.

Non so che tu ne sanguini perenne,
e che il tuo labbro è un soffiar dell’Eterno,
e che in te, o cavalier, il mondo è indenne,
un rosso fiore d’un nembo superno,
e che sei il fuoco che scioglie l’inverno;
e tu, che vaghi e sempre e senza meta,
per questo, o prode, concedimi pièta,
oh tu errante, oh tu l’intemerato!

Non so che a questo colle tu m’hai amato,
e che dal vespro che qui mi tentava
la tua preghiera certo mi salvava;
e a te, io scudièr, mi sono avvicinato.

Oh me, me sciagurato!
Non ho compreso, o cavalier, tuo cuore,
tu che sei Dio, e che sei l'errante Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XII Giugno AD MMXV