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martedì 27 settembre 2022

Sonetto in Dolce Stil Novo - Letture cavalleresche

Leggendo di cavalier mi vien presto

quello desir d’amar mùlier persona

che li messeri laudano in canzona,

qual qui con esti scritti i’ ben attesto.

 

Lasciando il feudo mio, così m’appresto

a sciorre ‘l laùto che ne’ l’aër suona,

e sol del cor la corda mia si stona

ché d’Amor è ratto e d’ardor funesto.

 

Allor cantando d’Isotta e Tristano,

madonna mia, i’ t’attosco di desire,

che già la mia risfiora la tua mano.

 

Così a lungo mi facesti languire;

ma tutto è sogno che sen va lontano…

È ver chi dice: “Amor, mi fa morire”.

Dipinto di Charles Edward Hallé (1846-1914), Paolo e Francesca, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Simbolismo, Pre-Simbolismo inglese, Fine del Secolo XIX, Data incerta. Olio su Tela, Dimensioni sconosciute. Collezione Privata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XXVII Settembre AD MMXXII.

venerdì 12 giugno 2015

La Ballata a un Cavaliere errante

Non so perché, nell'errar, cavaliere,
tu volgi il volto contristato e muto,
silenzioso pe'l bosco e pe'l perduto
colle, e svanisci all'ombra delle sere.

Non hai che un palafreno, e un fulvo manto,
la spada al fianco, una lancia alla schiena,
e il mento tuo s'allunga a un pelo affranto,
la barba bruna e invecchiata; e la vena
sanguina trista alla pupilla amena,
poiché tu sei uno Spirito qui insonne,
scandalo insano d'uomini e di donne,
ed è il tuo sguardo falbo come cere.

Nascostamente ti seguo, io scudiere,
e nel tuo errar ti pizzico il mio liuto.
Ma in questi tuoi occhi non t'ho mai veduto,
mi sei lontano alle foreste altère.

Non so perché, Messèr, sei un pellegrino,
ne perché tu rifiuti ogni tenzone
che l'uom propone e della cacciagione,
né so qual sia l'errante tuo Destino.

Ma ho scorse un dì l'insanguinate mani,
dita di sangue per Furia d'Amore,
e ho visto che il tuo sguardo in fin i cani
intenerisce per lungo dolore;
e tu d'un feudo eri forse il signore,
e or per un monte terribile e arcigno
udendo il sol cantar d'un mesto cigno,
vanamente t'aggiri, e il tuo cammino

lì si lamenta all'ombre d'uno spino,
e canta e lagna un'arcana passione
che più cortese d'un'ansia canzone
ti proferisce un mistero divino.

Non so perché hai sguainato la tua lama,
e di certo la spingi or nella pietra,
e sceso dal destriero e in mezzo all'etra
dell'Alpe, siedi e il Sole di dirama.

Qui t'inginocchi, e a pregare t'accingi,
e la tua lancia cola sangue e umori,
e alle tue mani il tuo pianto ne stringi,
e implori la pietà per tanti errori,
e nei venienti e oscuri tenebrori
siamo soli, or tu ed io e il tuo maëstrale,
muti e lontani, e presso l'Immortale,
e tu ti lagni a una perduta dama.

Non so qual sia nel bosco la tua fama,
né qual arcano il tuo ciglio penètra.
Ma so che adori il suonar di mia cetra,
suon che il tuo cuore segreto ricama.

Non so che a questo monte tu hai pregato
per la campagna che t'allontanava,
per il rivale che ti tormentava,
e per me, tuo scudiere, e pel mio Fato.

Non so che tu ne sanguini perenne,
e che il tuo labbro è un soffiar dell’Eterno,
e che in te, o cavalier, il mondo è indenne,
un rosso fiore d’un nembo superno,
e che sei il fuoco che scioglie l’inverno;
e tu, che vaghi e sempre e senza meta,
per questo, o prode, concedimi pièta,
oh tu errante, oh tu l’intemerato!

Non so che a questo colle tu m’hai amato,
e che dal vespro che qui mi tentava
la tua preghiera certo mi salvava;
e a te, io scudièr, mi sono avvicinato.

Oh me, me sciagurato!
Non ho compreso, o cavalier, tuo cuore,
tu che sei Dio, e che sei l'errante Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XII Giugno AD MMXV