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lunedì 25 maggio 2015

Rimembranze di Montagna

Tramonto invernale tra le Alpi di Vigezzo

Tu, che nel rimembrar affiori e che urli
al cuor mio che ti sogna, o tu che siedi
nel dolce sonno e che ti lagni al vespro,

o tu, montano crepuscolo antico,
perso nell’oro del Sole cadente,
dove deforme quest’astro si muore,

tu, che il monte e la valle inquieto vesti
dell’acre Notte che ghermisce i valichi,
e che nascondi la Luna dei ghiacci,

e che le nude montagne e le nevi,
e i scorti rivi inargenti di tènebre,
Mostro d’inverno, tu, qui vieni, e dici

in sussurri segreti i miei dolori,
lì, quando ti ammirai: la mia Inquietudine.

Gli Spiriti dei Ghiacci

Un dì n’andai per le selve dell’Alpe,
e scivolando sulle fredde nevi,
presso una grotta di muschio e lichene
scorsi le stalagmìti, i ghiacci urlanti.

Qui fermai il passo, e scorgevo le forme
di questo gelo ora pietrificato,
e tra loro m’apparve in gemme adorna
la chioma d’uno spettro; e tu m’invadi
ancora, o effigie d’un Spirito insano,
tu, che hai i mille sogghigni del Destino,
e che fors’anche sei il re degli alpestri
Dèmoni, donde io tuttora mi spasimo.

Così riconobbi le ninfe dei boschi,
e i turchesi folletti, e i tristi gnomi:
questi che sono i Mostri senza un nome,
i miei spasimi arcani, i miei dolori.

All’Orizzonte alpestre

Oh Alpi, oh Alpi, voi che urlate il tempo antico
e che chiudete nel vostro sepolcro
e nel vostro orizzonte il cuor mio e che alte

ergete i ghiacci fin dove si splende
il freddo Sole dell’inverno inquieto,
e che regnate nei miei sogni insonni,

oh voi, streghe di pietra, che bevete
il sangue dei camosci e che gridate
nell’eco delle valli il mio Destino,

ahi quanto, nel vedervi or lungi splendere
odo l’Amore dei sensi poëtici
che m’istigate! E voi che siete crude,

vette di me Promèteo, e voi, voi io adoro,
e vi dico: «Sbranatemi!», oh amate donne!

Dov’è la Chiesa del Villaggio?

Nell’orizzonte alpino il guardo alzavo,
e tra le falbe nevi dell’inverno,
e oltre i ghiacciati passi e oltre quest’ermi,
intraveder volevo una chiesetta.

Dov’era quel sagrato che mi strinse
ai piedi d’una croce al cielo selvatico?
Là, dove un’ostia m’istigò nel pianto,
e il selvaggio Destin con me danzava?....
Scrutavo l’orizzonte e i ghiacci arcani,
e sol le nebbie e i nevischi scorgevo,
e nulla vidi se non nivee rocce;
e la chiesa restava nei ricordi.

Allora udivo una valanga infame,
e il gelo qui m’invase e l’ossa e il volto,
e mi stavo nei sogni antichi e assorti
d’un’estate - che ‘l vò - rivedrò presto.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XXV Maggio AD MMXV

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