Fu il falò, e si erse - ei di fiamme è il Titàno -
lungo i crinàl del cielo
per la soletta via
della chiesetta antica di Maria,
mentre d’intorno alle campagne un dì
io sedèa a contemplàr i pioppi e i pini,
in su’ i tetti i camini,
che facèvan un’ombra di inchiostro
sopra l’erbe del mosto,
un brìndis alla corte del vecchietto
domenicano che fu il monastero,
lontano il cimitero,
vicini i campi, i boschi e i ruscelletti
al cantare degli ùltimi augelletti,
laddove ignuda riposa l’Arbogna,
senza vergogna;
e venne il tempo di gettàr nel fuoco
i secchi rami dell’incolto prato.
Ma il guardo io volsi alla chiesetta mia,
e mentre mi suonò un’Ave Maria
pensai… sognai:
colsi la nudità di una fanciulla,
la Natura co’ il suo ventre e il suo seno,
e l’ìnguine fecondo e stagionale,
ciclo fatale
di Primavera e d’Autunno e d’Inverno,
un ghigno dell’Eterno,
oscena e incinta, e or pàllida e morente,
co’ un sguardo di bambina,
la Vita che alla Morte ne destina.
No! via da me, tu, oh spettro di erba e fiori,
malvagia, oscura, famèlica donna!
Lascia che al fuoco che scioglie le frasche
io preghi la Madonna!
E venne il tempo di tòglier dal fuoco
un àlito di cènere.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
In Dì di Lunedì
V del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di
Divina Misericordia AD MMXVI