Ghermii alle frasche l’autunno d’un sogno, e…
e i sensi delle foglie ivi cadute e spente,
e il seno loro e il svelto sonno, e
e il ventre delle querce, e l’irredente
cere dell’alba, quando sovveniva la brina, e…
e strinsi i nembi infiniti
dove la rondinella ad altri e più estivi nidi
era inquieta e pellegrina; e…
e ghermii i salci, e i cespi moribondi, e
e i campi un dì mietuti, e l’ombre intense e oscure
delle nebbie autunnali, e fonti e
selvagge felci d’inquiete radure, - e
ho ghermito gli sguardi d’una Notte eterna,
e l’orizzonte e cime e valli, e
gli ultimi fiori sui quali sovvenne
il mio settembre e i suoi fogliami gialli. - E il
nome mio è Desidèrio: un sogno osceno
che tramonta lontano presso un monte ignoto
terribilmente e oscuro e immoto, e - io
ghermii la Vita e la sua età. - E ora tremo
domandando alle doglie sulle quali mi giacio
che cosa sia un labbro, un bacio;
e non intendo una muta risposta al cuore, - se
non che ho infranto un sogno d’Amore. - E
spettro ghermente io mi dolgo, e col mesto canto
piango al Destino che mi tolse
la giovinezza, e il sospìr del cuor blando, e
che come un mare m’annegò e mi avvolse. - E
ghermii un dì e in sogno un bacio di fanciulla; e…
e il sonno si destava… all’alba… il Nulla!
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Lunedì XXI Settembre AD MMXV
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