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venerdì 11 settembre 2015

Impressioni introspettive d'un Poeta davanti a una Mattina di Settembre

Triste la Luna nella Notte urlava,
e ora intorno è il mattino, e il gelo ascolto
delle cadenti foglie, e scorgo arcana
e scialba brina; e questi antichi volti
di nudi rami mi assillano il cuore,
qui, dov’è immenso un tetro divenire
di aperti sogni, e dove odo le spine
di quei che son perduti. E una canzone
con il cantàr delle campane ai morti
spinge il mio pianto; e vola, e va l’accordo
d’una Tempesta di gioventù spenta
tra due incubi contorti e Vita lenta.

E intorno muore il tempo delle fiabe,
e i giovanili sensi, e il sogno è insonne,
in una Notte che dura per sempre,
e mentre all’alba e in ciel risuona l’Ave

io camminando, incontro i funerali
dei miei più vecchi spettri, e le mie bare
si disperdono, e i cimitèr lontani,
le accolgono; e ne sono un giòvin Vate?
È dunque quest’autunno nei miei Fati?
E la mia pelle singhiozza alle brume,
e raccòlgon le brine le mie cure,
le gela il grido d’un gemente cane.

E intorno cade il volto delle fiabe,
e giorno e notte io trascorro qui insonne,
come se Notte durasse per sempre,
finché non suona funeraria un’Ave.

Così io contemplo l’orba mattinata,
dov’è coperto il Sole dai fogliami
che càdon; dove tàccion le contrade
mie, e ogni mio sogno non è che orbo e vano;
e i miei pensieri si volgono ai monti, e
alle mie vette perdute e irrisorie,
dove io ebbi Vita. E intanto un aspersorio
di fredde piogge geme alla mia fronte, e
resta che il sogno del cuore è perduto,
e che i labbri del cielo urlano muti,
e resta il fiele d’un Poëta ucciso
da due ali di speranza e da un sorriso.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XI Settembre AD MMXV

martedì 8 settembre 2015

Il Lamento di un'Anima all'Autunno del Cuore

E fuori v'è l'autunno, e il cielo muore,
e lentamente la sera rinviene;
e voi? mie foglie, e impallidite vene
di nudi rami, e voi? mi dite: e aurore


di selvagge e perenni e urlanti Notti,
e istanti oscuri di silenzi, e pianto;
e tu, mio cuor? Tu le lor grida inghiotti,
e non ti resta che trillàr un canto.
Ma nessun occhio, ahi, vede che sei affranto;
e i miei e i tuoi affanni scòrron disperati.
E perché son malvagi questi Fati?
Dimmi Tu, Iddio: perché, ah, perché il dolore?


E vengono le Furie, e le oscure ore
dove in me giace il sognàr; e sovviene
ogni pensiero: e le cure, e le pene,
e i tuoi singhiozzi; e sei tu? Tu, il mio cuore?


Così mi resta questo tè da bere,
dove ogni stilla fa l'eco del Nulla,
ambrato specchio del mio e tuo dolère!
Cuor, ho sognato! e v'era una fanciulla,
una piccola figlia d'una rosa.
Ma nella tazza non si specchia; e niente
intorno volge. E allor placidamente
insonne dormo; e l'autunno riposa?
Avete, oh Mostri, plasmato il mio mondo,
oh vecchi spettri! E dov'è l'iracondo
uomo beffardo? il mio verme e Demòne?
che mi ha legato a un verso e a una canzone.


E fuori v'è il presagio dell'inverno,
lì, quando i miei occhi scorgono le prime
gelide nebbie, e le brine. E Tu, Eterno?


Sai? La mia giovinezza andò alle cime
più alte dei monti, e ivi e da lì cadeva,
e mi fu il verso gioia, e il sogno sublime.


Oh sogni miei, lasciate che io vi beva
ancora e sempre! Ma voi, oh voi, fuggite!
e ricordo: e ogni labbro che taceva;


e della Vita le forze smarrite,
e le promesse delle sue chimere....
E intorno vedo le foglie appassite.


E fuori e qui s'apprestano le sere,
e siete vane, oh voi, dolci preghiere!


E fuori v'è l'autunno, e il sogno muore,
e non so se vedrò il giorno; e tu, alba,
perché non vieni? perché il tenebrore?
Anima nuda! Anima oppressa e scialba!
La gioventù passò; e l'ho consumata
nel Nulla del sognare; e inutilmente
ho fatto studi? e urlato versi? E lente
passano le ore della Notte odiata?
Sono la brina che un ramo raccoglie,
e che al mattino decade e si scioglie;
e un uomo che si dice ed è perduto
per questo sogno, un vìver non vissuto!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì VIII Settembre AD MMXV

lunedì 7 settembre 2015

In Ricordanza d'un ultimo Fiore d'Estate

Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
Una cura mi opprime.
Ah, perché ho gli occhi che brìllan di pianto?
È il Destino sublime!
Canto!

Vien settembre; e che? il mio cuor non lo aspetta?
lì, dove mie si svolgono le sere
dei ricordi; e or sedendo a un’ombra - vetta
di nivee nebbie - e or gridando preghiere,
e qui dormendo scagliandomi a un sogno,
esterrefatto, io che rimembro? è un fiore
che vien da un monte; e nel suo tenebrore
autunnale a che gemo? E mi vergogno?
Era una rosa, e sangue d’uno stelo
che si volgeva alle nubi del cielo.
E ora che giaccio a questa oscura riva,
lo so! so che il mio fior svelto appassiva!

E cosa chiedo a questo fior perduto?
Forse l’amato avello.
E cosa chiedo a questo fior perduto?
Lì scorreva un ruscello.
Canto!

Eri tu rosa? O eri viola? O ninfea?
E il mio labbro taceva, ebbro di orgoglio;
e perché non sapevo che una Dea
fatta di fior, discorresse? E or? cosa voglio?
Tu, oh tu, oh mio fiore, sei defunto; e sei
tu la mia giovinezza? e indefinita
corolla? e forza della muta Vita?
E voi, tacete! Oh desidèri miei!
E odo che invecchio come un ramo all’alba,
quando d’intorno va la brina scialba;
ed eri tu con corolle dorate
l’ultimo fiore di questa mia estate!

E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Il tuo stelo è sepolto!
E perché ancora ti ricordo, oh rosa?
Guardami il pianto in volto!
Canto!

E tu, oh mio cuore, rimembri il suo spino?
e ivi, i giovani e suoi lineämenti?
e il piccolo e leggiadro corpicino?
E quali furono? i tuoi Sentimenti?
Ed era un sogno, e il sognàr trapassava
all’ombra fresca d’un monte selvatico,
e ai sassi impuri d’un eterno valico;
e la rosa melliflua m’inquietava.
Così mi resta un sospìr interrotto,
ed è un dolòr col quale sempre io lotto;
e con la fede verso il Ciel d’Iddio
che debbo dir? Se non l’ultimo addio?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica VI e Lunedì VII Settembre AD MMXV

sabato 5 settembre 2015

Impressioni poetiche e sentimentali sulla Grande Fuga del Maestro Ludwig Van Beethoven

E sei tu?.... Tu? Il violino che è sdrucito?
Oh cuore mio, non lo odi? che è un singulto?
di un’anima che ascolta l’Infinito;
ed è il suo orecchio così muto? e inulto?
I tuoi Elementi s’infuriano, e l’onde
sue e il si bemolle trascorrono in danza.
Ed è forse d’Iddio un’alta romanza?
E un acido Poëma? e vie iraconde?
Ti odo, oh violino! e proponi un balletto?
Due occhi di dame tra un guanto e un corsetto!
O forse è un ballo funerario? Assorte
le corde e i trilli inneggiano alla Morte!

Senti, tu, i palpiti,
ciechi di spasimi,
inesorabili
più del tuo Fato!
Cuore di femmina,
di pianti rorido,
Anima d’uomini,
senti? È stonato!
I sensi trillano,
perplessi gemono,
vogliono strìdere
d’aspro dolore;
e tu, tu, spirito,
perché sei timido?
Perché sei incognito,
tu, tu, oh mio cuore?

E il ballo scalpita,
la sala è nuda,
tacciono i muri,
e un trillo sibila,
la nenia è cruda,
e tu? Ti oscuri!

È il mesto canto d’un tramonto sordo;
e sei tu, oh tu, violino, l’incompreso?
e non è sprezzo il tuo flebile accordo?
E tu, oh Genio, perché e a che vilipeso?
Cuor mio, non odi? è un musico che muore;
e apre la tomba il baratro profondo.
E tu? Non sei uno spettro vagabondo?
e nel verme non bevi il tuo liquore?
Musica mia e sempiterna e crudele!
Cosa tu sei? se non assenzio e miele?
E nella corte danza la fanciulla;
e poi? Sovviene il Fato! Muore; è Nulla!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato V Settembre AD MMXV

L'ultima Ricordanza di Montagna

Dove fuggite, oh cime? Forse è l’ora,
non ti par, cuore? di dir l’addio al sogno?
e ai tuoi ricordi? E l’autunno divora
gli attimi estivi; e forse mi vergogno
di giacère stordito e visionario.
Fuggono i monti, e non posso far nulla,
e non è quercia l’ombra, né betulla;
e cos’è mai? È uno spettro funerario?
Salta, e saltella quest’ombra, e il suo nome
sarà Destino, un Mostro d’irte chiome.
Non so! Rimembro l’alpestre suo volto;
ma il sogno, il mio sognàr, ora è sepolto.

È il vaticinio d’un Poëta inquieto,
lo sai, cuor sibillino? E viene il senso
d’ignote cure; e l’autunnale feto
a nascere s’appresta dove immenso
è il mio morìr. E perché questo è eterno?
E che son se io non sogno? se non pianto?
E l’Alpe ignora quest’ultimo canto!
Ella… così innevata! e nel suo inverno!
Cinguetta il vespro del tordo emigrante,
e piange l’acqua del ruscèl infante;
e il tramonto che viene è oscuro, e inghiotte
le mie montagne, e le mie cime. È Notte!

E tu, alba Luna, vedi? E mi sopporti?
E inargenti le vette, oh tu! funesta
stilla d’un nembo. Ma i monti? son morti,
avvolti in màn di notturna Tempesta.
Cosa ho lasciato? E la mia giovinezza?
E i desidèri forse? e i miei usignoli
di montagna? e le viti e i vignaioli?
e mite il vento? e mattutina brezza?....
Un epitaffio lassù è stato inciso
sul petalo piccìn d’un fiordaliso:
la roccia ha preso i miei sogni e nel mare
li ha sotterrati delle sue aspre bare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì IV Settembre AD MMXV

giovedì 3 settembre 2015

Introspezioni di Settembre

Sàtana, dimmi: perché quest’autunno?
Di’, oh mio Signor: perché l’estate muore?
Sei tu - l’Inferno - nel petto il mio empio Unno,
oh Cielo eccelso, sei tu il mio dolore!
Oh cuor, dov’è la felicità umana?
Dove son sogni? e inesorata Sorte?
È dunque giunto il tempo della Morte
per le mie fiabe? La fìn disumana?
Dimmi, oh mio cuore: ami la pioggia e il tuono?
e della mia arpa il singhiozzante suono?
E l’estate decade, e vien lo scherno
che la Natura prepara all’inverno!

Dov’è - oh tu, dimmi! - il settembre infinito?
E io nel cuor sogno: passeggiàr tra i pini,
lambìr le fonti, e udìr l’inaudito
canto della Natura, e i gufi chini;
e chiedo allor fin quando andrò a sognare,
chè - non è vèr? - che l’autunno mi opprime?
E muto io piango: e alle perdute cime,
e alle campagne; e io posso non gridare?
E introversi mi sono i cascinali,
poveri e ciechi, e cadenti e fatali;
e lì, dov’era così tanta Vita,
non è rimasta che una via smarrita.

Sento che gemi, oh usignolo! E che dici?
Nelle mie vene sogni emigràr forse?
E tu abbandonerai querce e radici;
perché chi sei? Un spasmante sogno? E scorse
l’estate; e muore oltre il tramonto il Sole.
E cosa io sento? Ora un formicolìo
al vagabondo petto. E ora? Un oblìo;
e intorno vedo quest’ultime viole,
che mi sono un eterno e orbo rimando
alla mia gioventù, e al mio vìver blando.
Ho paüra! perché vado a invecchiare,
e non so più se avrò ore per sognare!

Sento nel petto: fuggìr gli aïroni
che giacèvan nei fanghi, e urlàr le ghiotte
ali dei corvi, e sibilàr canzoni
dalle cetre del vento e della Notte;
E tu, Spirito? e tu? Non sei addolcito
dal vespro svelto? Dalla cupa sera?
E cosa dici se non la preghiera
ora che il bronzo suona all’Infinito?
E al sangue si confonde un po’ di vino;
ma è amaro e cupo, com’è il tuo Destino!
E io son ridotto a un’ombra vagabonda,
Anima mesta di Sorte iraconda!

Passeggio in cuore; e dunque cosa ammiro?
I cieli grigi, e l’accorciàr del giorno,
e i paludosi fanghi; e odo il sospiro
delle cadenti foglie, e vedo attorno:
rose ingiallite nelle vane attese
d’un vano Amore, e camelie spogliate,
e le terre deserte e abbandonate,
e tra le nebbie le campestri chiese,
e chiedo a Iddio: «Che cosa mi succede?»,
donde il silenzio mi ordisce la fede.
E come il Sole che la Notte affronta,
ogni mio sogno per sempre tramonta.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Giovedì III Settembre AD MMXV

domenica 30 agosto 2015

Presagi sentimentali d'Autunno

Non è forse settembre? Oh cuor, non senti?
La vigna canta un’estrema canzone;
e dove va? se non ai Sentimenti
che t’intristìscon? E la cacciagione
presto verrà, e griderà della Morte.
Non odi il tuono del fucìl meschino?
e l’estremo brindàr del tuo Destino?
Non lo scorgi alle nubi in ciel assorte?
Una vendemmia di sensi sfiorisce,
e tu, la intendi? È un lupo che guaïsce!
E il vendemmiante raccoglie i tuoi sogni,
caduti come foglie. L’odi? Ed ogni

sospiro antico scompare in un’urna,
dove la vanità ha fatto il suo corso.
Lo sai? che durerà poco la diurna
alba del Sole, e del suo falbo morso?
Viene settembre, e il tuo sognàr declina;
e la Notte è perenne, e aspro il silenzio.
E tu, tu dunque, osi bêr quest’assenzio?
la stilla amara di questa mattina?
Uva fu il sogno d’un vino pacato;
e morti i sogni, che resta? Il tuo Fato!
Or la tua Vita va, e va a decadere,
dove s’invecchia. Oh l’eterno dolère!

Ma non scorgi quell’ombra che s’avanza?
Colà, tra le foglie ingiallite e perdute?
Forse è uno spettro che tra i nembi danza;
gli occhi son ciechi, e le labbra son mute.
Non è questo il relitto del tuo sogno?
Guarda quest’ombra! Si muove e urla come
una fanciulla ignota e senza nome;
e insieme la scorgiamo; e io mi vergogno
di te, oh mio cuore, ancor sognante e folle,
nella giovane Notte d’un bel colle!
L’Autunno giunge, e il sogno si è smarrito.
No! non temere! Ecco vien l’Infinito!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Domenica XXX Agosto AD MMXV

venerdì 28 agosto 2015

In Ode del Dì natale di Johann Wolfgang von Goethe

Oh bimbo mio, non dormi? Lo sai? È Notte!
Perché ancor muovi il dolce corpicino?
Lo sai che è ora degli Elfi? E nelle grotte
un vecchio spettro ti ordisce il Destino.
Fanciullo mio, non senti? Un lupo insorge
nel Nulla oscuro dei boschi alla Luna;
e tu, non odi che fa eco a una runa?
e che questa nel Fato, oh cuor, ti scorge?
Pargolo mio, la vuoi sentìr la fiaba?
Narra di Thùle, o dell’oro di Saba!
Ma perché ti rivolgi all’Evangelo?
Lo sai che narra del volèr del Cielo?

E or puoi sognare, e quando verrà il sogno
udrai i flebili trilli.
Canterai un dì anche tu, e non mi vergogno,
canto di rose e grilli;
e non senti che un orco si lamenta
con la sua impura lagna?
E quando tu vedrai un Elfo - ombra lenta -
sarai il re di Germania,

e pìccol mio, non odi un mago oscuro?
È l’orma orrenda d’un patto di sangue.
No! è Poësia, non vèr! Fuggi l’impuro
Mostro che osceno nel cuore si langue!
Ma dimmi, bimbo: che mai sogni insonne?
Or t’è mistero la Vita che scruti,
e niente dice, vero? il suon dei liuti?
Nulla i volti e i sorrisi delle donne?
Piccolo mio, perché muovi le gote
sentendo urlàr queste Notti empie e immote?
No! Non ti sia la Vita una paüra;
eterno è Iddio, come pur la Natura!

Vuoi forse udìr la dolce filastrocca
d’uno spettro fuggente su una sella?
E saltella, saltella, e va a una rocca
dove canta d’Amor alla sua bella.

Ma no! Desideri
così dormire,
indagàr sogni,
dove s’annidano
trilli di lire.
Non ti vergogni?

Bimbo mio, i palpiti
ti forgeranno
sacro Destino, e
canterai spasimi,
pianto, l’affanno,
tu, mio bambino, e

plasmerai un’epoca
di Sentimento,
di quieta attesa
d’Amor incognito,
sul patimento,
sulla tua chiesa;

e non piangere se il cuor non si placa
nell’assenza di un volto innamorato.
Lo sai? Una strega ordì una Vita opaca:
tu amerai, ma sarai pur disprezzato.
Oh bimbo mio, non serve lacrimare!
Vieni! una donna, tua madre, ti stringe.
Lo sai che è abbraccio d’un sogno? Una Sfinge?
e lo sai che ti dico? Va’ a sognare!
E il sogno scorre, e vola… e vola via;
e sarà un giorno la tua Poësia!
Non avere timòr del Ciel! Dorate
saràn le nubi; e tu, e tu, il loro Vate!

Oh bimbo mio, la Poësia è negletta,
maledizione degli Dei e dell’Uomo!
Lo sai che un sogno un dì mi ha maledetta
nel grembo mio dove fosti un atòmo?
Ho sentito una maga e mi ha svelato
le tue gioie e i tuoi dolori,
e io tanto piango davanti al tuo Fato,
come a una tomba i fiori;
e tu, fanciullo, nel Tempo saprai
il tuo Destino, e per lui gemerai.
Ma sarai re pel popolo tedesco,
vento dell’alba, alle rugiade fresco.

Oh bimbo mio, perché non dormi ancora?
I lupi che tu ascolti son lontani.
Ma ci sarà un sognàr che t’innamora!
Non è forse l’attesa del domani?
C’era una volta un bambino che nacque,
e la sua Vita dagli Elfi fu ordita;
E lo sai? che piccìn mosse le dita?
che all’aspo e all’ago quietamente tacque?
E v’era un fiore, e stava all’arcoläio,
la margherita del tuo calamäio!
Oh pìccol mio, così ormai ti addormenti!
Sogna! oh tu, sogna! è l’or dei Sentimenti!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Giovedì XXVII Agosto AD MMCXV

venerdì 21 agosto 2015

Ultime Immagini dell'Estate

Presto è l'istante dell'autunno. Vedi?
Le bionde vigne moscate. Odi, oh assiolo?
Svelto il Sole tramonta; e tu non siedi
più all'arboscello. Ascolta! L'usignolo
tuo compàr peregrìna e va lontano,
e con lui vola l'orba rondinella,
oltre quest'alba che è una fioca fiammella,
soffio d'un cero d'un sepolcro vano.
L’ultimo Tempo dell’estate muore,
e una riva lamenta al mietitore.
Arso è il ruscello, e una foglia ingiallisce,
più fresco il vento nel cielo guaïsce.

La terra allora col vino s’allieta,
ed ebbra si prepara al sonno ombroso,
e solo tu non dormi, oh tu, Poëta!
Questo che senti fatàl, tempestoso
non è che estremo e crudèl Temporale,
che a te dischiude l’autunno nebbioso.
Oh tu, non vedi? Tra i nembi d’opàle
viene già il Tempo del gelo invernale!

All’orizzonte giacciono le brume,
ma sai che è l’alba? e che agosto è finito?
Nel crepuscolo crolla il scialbo lume
del Sole estivo; e sovvièn l’Infinito.
È una stagione senza un Tempo, e un’ora,
un intermezzo di ciel pellegrini,
dove gli uccelli sfidano i Destini;
e sai che il vespro oramai t’innamora?
Bevi, oh mio cuore, finché vuole il Fato,
l’ultima Vita d’estate, il moscato!
E nella sera i nevischi pur sogna.
Presto è dicembre! Senti la zampogna?

Scriverai, oh tu Poëta, a morta estate
le cupe nenie d’una tetra bara.
Sarai d’autunno il Vate?
Bardo d’una gioia amara?....
Temprerai l’epitaffio a un’urna mesta,
dove defunge un’alba fanciulla.
Ma che cosa ti resta?
La Poësia e il suo Nulla!

Tinta d’autunno la Vita scompare.
Vedi? La foglia che cade pallente?
La nebbia s’erge; e naufraghi al suo mare?
Oh tu, cuor mio? Oh tu, che sei demente?
Non rimane che un giorno di settembre,
dove l’ultimo splende il caldo Sole;
e tu lo sai? Non vedrai più le viole
tranne che lor che gelerà novembre.
Ma non temèr! Contemplerai l’aprile,
e il zefiro fugace, e il ciel gentile!
Perenne muta la Natura adorna
d’Iddio che vuole che va e che ritorna!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XXI Agosto AD MMXV
 

mercoledì 19 agosto 2015

Vanità! L'Amore e la Morte

Amore e Morte! è compassione eterna!
Dov’è la rosa dei sepolcri muti?
Non è che un sogno, o un Mostro, una lanterna
funerea e aspra dei Trovatòr coi liuti.
La Notte avvolge i desideri e i freschi
sensi, e il frequente sognàr dei meschini,
e questi sogni non son che i Destini.
Vedi, oh fanciulla? gli albeggianti teschi?
La sera preme le tombe e le bare;
chi ama naufraga svelto in questo mare.
Dentro il soffio d’un bacio v’è il morire;
oh tu, sei folle! se lo vuoi lambire!

Amore e Morte! è un sogno che è un viandante!
Non sei un Titàno, se vuoi ambìr a Iddio?
È la Sorte funesta, o un’ansia urlante;
e amàr, morìr non è uguale, oh cuor mio?
Il cimitero è tempestoso, è il Nulla,
e il talamo è un sepolcro visionario.
Non sai che Amore è l’urna d’un ossario?
Resti silenti di casta fanciulla!
Non è che il perno della Poësia,
la viva tomba che bacia e va via!
E non è il bacio che vermi e liquami,
l’occhio consunto. È questo che tu brami?

Amore e Morte! Dicotomia estrema!
Perché non parla l’avello giurato?
No, no! Oh Titàno! Iddio vuol che si gema,
nel fuggìr dell’Amòr, la Morte e il Fato!
Sale al banchetto la vèrgine e beve
la coppa oscura che arde nel suo seno.
Ma sa costei che a colàr va il veleno?
Che spenta e morta dormir or qui deve?....
Sepolte guance! è la maledizione
d’una vana e melliflua e orba canzone!
Così tra i sassi sepolcrali è vano
questo senso di Vita che è lontano!

Amore e Morte! è uno spettro in singulti!
Quando urlerà la funerea campana?
E baci, e labbra, e giuramenti inulti
non saràn che una bara ombrosa e vana!
Smarriti i sogni, resta un Poëta
che sa quanto l’Amòr è vano; e in pianto,
non senti, oh spettro? che singhiozza un canto?
Non è allor meglio vivere da asceta?
Ma tu, rinunci agli abbracci e alle donne,
e ai sogni che ti lasciano ombra insonne;
pur sai che non inganni il Fato? Cime
di paüre irrisolte nel Sublime!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XIX Agosto AD MMXV