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giovedì 15 agosto 2019

I Contrabbandieri - Cronaca di un Amore romantico

"No, non mi par diggià maturo!" esclamò d'un colpo il vecchio contrabbandiere allungando la destra a un cespuglio e assaporandone il mirtillo raccolto "Dassenno è come la nostra Vita: amara... nient'altro che amara".
Frattanto un colpo di carabina assordò il bosco di montagna, echeggiando poi come un tuono per l'orizzonte che lentamente si annichiliva nella sera. Immediatamente si alzò quasi un coro unanime... un fiero e guerresco ma altrettanto impaurito motteggio di indecorose voci.
"I gendarmi! I gendarmi!.... Orsù, via!".
Ma mentre i più giovani della masnada iniziavano a correre per i miserevoli sentieri, il vecchio cavò la sua carabina dalle spalle, tirò il cane e sparò un colpo.
"L'avete freddato!" urlò immediatamente una maschia e ruvida voce "Battiamocela, prima che lo vengano a vendicare per bene". Non ebbe finito di parlare che una raffica di colpi rumoreggiò verso di lui e i suoi amici contrabbandieri. Eppure quest'ultimi conoscevano sicuramente meglio il bosco e la montagna; e così poterono azzardare ora delle frenetiche corse, ora dei piccoli salti, chi schivando le frasche delle piante con le mani e chi con i pugnali.
D'un tratto una pallottola colpì il polpaccio di un disgraziato di quella masnada, il quale, stando correndo, stramazzò violentemente a terra, ottenendone una gran botta dall'ischiena alla fronte. Con entrambe le mani insanguinate sulla ferita e molto addolorato fece cenno ai compari di proseguire. E così fu. Lo lasciarono tutti con la più fredda disinvoltura, con il più gelido cinismo che un essere umano può covare nel profondo del cuore e della mente. Egli, invece, il poverello, cavò di tasca un fiaschetto, trincò forte, e disse un'invocazione alla Vergine del Sangue. Poco dopo, i gendarmi svizzeri gli erano appresso, lo osservarono attentamente, guardarono la ferita... quasi tutti proseguirono, per cercare di acciuffare gli altri. Uno di loro, invece, restò accanto al ferito, e senza nemmeno guardarlo negli occhi, gli conficcò la baionetta nel petto. Alla fine, corse per raggiungere i commilitoni.
Erano davvero anni duri quelli!.... Per due lire in più, vecchi e giovinotti erano disposti a farsi sparare oltrepassando il confine e vendendo di contrabbando. Né il loro mondo andava oltre quella parte delle Alpi che, per le punte estreme del Piemonte, introducono in Svizzera, verso Locarno. Si alzavano prima dell'alba, vestiti pesante e armati fino ai denti, prendevano con sé la merce più vendibile e, trascinando casse e cestoni, percorrevano i sentieri montani più tortuosi, laddove ce n'erano. Con dei segnali prestabiliti e presi con comune accordo, superato il confine, venivano a contattato con la controparte svizzera. E giù a contrattare! Sovente, però, o v'era da discutere troppo e fervente spinta d'animo, o v'erano i gendarmi cui badare. Per dirla in breve, le armi - a volte dei comuni bastoni e delle pietre - erano quasi sempre necessarie.
Quel meriggio le cose non andarono indubbiamente per il verso giusto. Ai miseri sopravvissuti rimasero impresse soltanto delle immagini: il vecchio e duro Hans, un vero e proprio Tedesco, un Barbaro irsuto di biondo pallido, offre al figliuolo del capo la figlioletta sua; il capo è pieno di imbarazzo; il figlio non accetta... l'allarme; i gendarmi... le fucilate e la fuga. Hans aveva tradito, forse!
Così era anche dell'Amore, nient'altro che una merce di scambio, da contrabbando, come secoli prima lo era per i piccoli feudatari della regione, anzi, dell'Europa intera. Amando, macché, fingendo di amare, si otterrebbero amicizie che perdurano nel tempo, quasi come a sposarsi fossero intere famiglie, società, popoli; e ne conseguirebbero patti che soltanto la fellonia o la rivoluzione potrebbe annullare nell'immenso e imperdonabile corso della Storia. Che importava in quegli ambienti di ladroni o di nobili fuorilegge l'avvenuta fine del feudalesimo, un cinquattennio prima, quando Napoleone troneggiava in Francia? Né importava loro di essere Piemontesi, o Italiani, oppure Svizzeri... di chi fosse il loro re, o presidente. Soltanto erano timorati d'Iddio; ma non senza l'oscurità della superstizione che annebbia tanto la Fede quanto la Vita: quanti di loro prima di sparare una schioppettata pregavano la Madonna del Sangue, e quanti di loro, appena dopo, intercalavano la morte o la ferita dell'inseguitore con una dannata bestemmia! Ma erano Demòni? No; né erano Angioli; ma semplicemente uomini... uomini disperati, che dovevano vivere di quel poco che le Alpi offrivano loro, e che dovevano dominare questa regione dimenticata dal resto del mondo.
Erano miserabili, spesso anche abbastanza ricchi, dopotutto! i quali sapevano manifestare nelle proprie mani, nella propria forza, nelle parole la tagliente potenza insita e nascosta nelle pietre, o il gelo feroce dei torrenti del Ghiridone, o ancora, il mortale, fatal veleno dei denti di vipera. Eppure, sapevano anche amare; e la nostra storia, così iniziata con un fatto di sangue e di morte, vuol essere la triste cronaca di un Amore infelice.
"Perché hai rifiutato?" chiese il vecchio, davanti alla misera tavola, interrompendo un disumano silenzio.
"Padre!" esclamò con un lieve tremore il giovane Rodolfo. Poi si tacque.
"E allora?", riprese il vegliardo, mentre a stento, per la rabbia e il dispetto cercava di tagliare una fetta di formaggio.
"Dovete capire..." disse il giovinotto "Non posso.... Ad altra appartiene il mio cuore.... Si può essere così spergiuri solo per far piacere a un amico?".
"Spergiuri!.... Spergiuri!.... Cambiar di donna è essere spergiuri?.... Forse che il nostro Tonio, morto quest'oggi ucciso da quei cani, fu spegiuro?.... E sai chi l'ha ammazzato?".
"Un gend..." provò a rispondere Rodolfo, che si ritrovò sùbito azzittito da uno schiaffo.
"Tu!.... Lo hai ammazzato tu!".
"Non dite questo, padre! Vi prego, fu un tradimento.... E io dovrei sottomettermi alla dura legge di un Barbaro? Sposarne la figlia? Lasciare voi e i vostri uomini in pasto a questa infame masnada? Mio figlio dovrà chiamare nonno un ladrone furibondo?.... Oggi abbiamo perduto un amico; noi medesmi avremmo potuto essere perduti. Ma possiamo sempre vendicarci, ché la legge del perdono con i Barbari e gli sgherri non funziona".
"Vendicarci?.... Figlio, vendicarci?.... Sei pazzo! Dovrei dassenno sfidare il nostro uomo migliore che abbiamo al di là del confine?".
"Se così volete, non è necessaria la vendetta. Ma lasciatemi, ve ne prego, al mio Destino: io non sposerò mai quella fanciulla.... Ne pagherò il valore in altra merce, se proprio debbo".
"E sia!" brontolò il vecchio senza poca stima e fiducia, quasi controvoglia, e con molta irritazione. 
Frattanto il giovane si alzò da tavola e andò alla porta.
"E adesso dove vai?".
"A prender aria!" esclamo quegli che, aperta la porta, se ne andò. 
"Taci... zitta! non dire nulla, te ne prego!" sbraitò il padre verso la moglie; poi estrasse un sigaro dalla tasca, lo accese a una candela e iniziò a fumarlo nervosamente. E la donna, intanto, con lo sguardo di chi soffre per oppressione e nulla può dire e fare, si alzò e si mise a rassettare la stanza. Un oggetto come un altro... un oggetto vivente. Nel suo cuore stavano mille e mille ricordi di insulti, di botte, di schiaffi.... Perfino il primo bacio ricevuto dal marito avvenne dopo un pugno, quand'ella assai più giovane non voleva concedere quell'incanto all'uomo al quale suo padre la destinava per affari.
Intanto Rodolfo, uscito di casa, passava per la piazza, sostando brevemente davanti alla piccola vecchia chiesa, cui alla sommità, più in basso del campanile, sul frontone principale, imperava clemente e silenziosa la statua della Madonna. Poi prese il sentiero principale e si diresse verso una baita, con una stalla appena vicino. Si appiattò allora dietro delle rocce, e fischiando, imitò il canto di un uccello notturno. Immediatamente una figura... un'ombra femminile uscì dalla stalla e corse verso le rocce.
"Saluti a voi, Adelia; e buona serata!" esclamò energicamente Rodolfo saltando fuori dal suo nascondiglio, andandole incontro, e accennando a un breve ed elegante inchino.
"Dunque è giunto per voi e per me l'attimo dell'addio?" domandò la fanciulla quasi piangendo.
"Avreste voi dunque il cuore per questi ischerzi crudeli, oh Adelia?".
"Non è forse così...? L'addio è giunto, e voi, crudele, me lo volete nascondere, perché - non è vero? - volete uccidermi... facendomi piombare addosso l'aborrito istante. Dite, non è vero?.... Morirei di colpo, di dolore, di crepacuore... soffrendo poco; e voi avreste fatto una grazia alla mia persona, dacché mi amate davvero e ne avete pietà.... Vi prego, ne avrete pietà, oh crudele?.... Non è vero?".
"Calmatevi, Adelia! Ve ne prego... non così!".
"Non così, voi dite?.... Quindi è vero, dovremo separarci per sempre!.... Vi prego, Rodolfo, ricordatevi di portare qualche rosa alla mia tomba; e se vi viene in imbarazzo parlare di me alla donna che Iddio vi destina, almeno parlatene con il frutto del vostro nuovo Amore".
"Tacete! Vi prego, tacete!.... Allontanate da voi, oh Adelia, questi tristi moniti di morte e di infelicità eterna.... Pensate davvero che io possa amare un'altra donna? Pensate che io non sappia che voi, soltanto voi, il Cielo mi destina?.... No! Non è e non verrà mai il momento dell'addio. Risollevatevi! Oggi ho rifiutato!".
"Pazzo!" esclamò immediatamente con un impeto misto a istrana felicità e molta gaiezza la nostra timorosa fanciulla "Pazzo! Pazzo che non siete altro.... Così gran dolore e difficoltà voi date a vostro padre e ai suoi compari?".
"Nulla varrà quanto voi... nulla; anche gli affetti miei... gli affetti familiari. Quale dolore più grande di quello del quale voi accennate sarebbe se dovessi sottostare a queste leggi crudeli, frutto di menti antiche... vecchie... perverse... di cuori induriti da tutta la roccia che abbiamo intorno e dall'avidità!.... Credete, Adelia, che io sono e sarò avido come costoro?.... No! Oh Adelia! No, non lo crediate, ve ne prego!.... E se in me qualcheduno, voi forse, potesse mirare dell'avidità, allora - sappiatelo! - che altra avidità sarebbe questa se non d'Amore?" disse Rodolfo con infinito trasporto; e quand'ebbe notata la gioia della sua amata, ebbene, non si poté più trattenere e gli scappò di dire "Ora lo vedo... voi ridete e siete contenta!.... Avete dunque visto che io sono ai vostri piedi per annunziarvi le felicità che ci attendono all'orizzonte!".
"Ah! misera me... come potei dubitarlo!" esclamò Adelia con un leggero seppur sorridente imbarazzo "E io, meschinella, giù a non credervi... giù a dubitare, a disperare qualche brutto colpo.... Dovreste scannarmi, Rodolfo; e dare prova della vostra abilità!".
"Pace, amata mia... pace!.... Ogni cosa è passata e ha lasciata in noi soltanto una frizzantezza di allegria; donde vediamo che l'avvenire è costellato di più buoni e profondi Sentimenti.... Oh Adelia, apriamoci speranzosi ai nostri futuri congiunti". Ma, appena dette queste parole, notando che la mano della fanciulla era fredda alla sua presa e cercava di svicolarsi con timidezza, egli riprese "Eppure voi siete nervosa... felice, e nervosa al tempo istesso.... Che cosa vi accade?".
"Ah! Rodolfo! Ve ne prego, non certo siete qui per farvi tormentare".
"Tormentare!.... Avete dunque un'altra cura nel vostro petto!".
"Sì, Rodolfo".
"E quale?".
"Questa sera al Rosario - vi prego, venite più spesso, vi farebbe assai bene! - ecco, dicevo, al Rosario, io me ne sto a pregare, quando volgo lo sguardo alla statua della Madonna.... Ahimé! Ell'era triste, triste... d'una tristezza inimmaginabile.... Temo qualche sventura!".
"Adelia, guardatemi: è soltanto una statua, un pezzo di pietra. Anche voi credete a tanta superstizione?".
"No... Rodolfo; non è superstizione.... Oh se veniste più spesso in chiesa! notereste che dassenno quella statua ha il potere misterioso di riflettere agli occhi che la guardano gli stati d'animo più profondi, ciò che viaggia per l'aria, sia Angiolo o Demòne. E io, Rodolfo, oggi vidi in lei quella tristezza che c'è quando muore qualcuno.... E poi... non mi credete? Rodolfo, vi prego: credetemi! E poi tra le candele v'erano di quelle da funerale.... Caddi tramortita, quasi svenuta; dissimulai abbastanza ché le comari non s'accorsero di nulla, finsi soltanto del caldo. Ma quando rialzai lo sguardo, ecco... i fumi dei ceri disegnavano salendo per la volta delle lettere.... Iddio abbia pietà di noi: le nostre iniziali!".
"Calmatevi, Adelia... io credo...." ma Rodolfo venne interrotto dalla miseranda foga della fanciulla.
"E dopo... aiuto, vorrei gridare! Sento quei dannati spari, le vostre schioppettate, le carabine dei gendarmi.... Sbianco. Il prete mi dà un'occhiataccia. Dissimulo ancora. Voi... voi siete morto, forse! Vi hanno ferito, o accoltellato... siete caduto prigioniero. Dove siete? Dove siete, Rodolfo?.... Ah! Dinnanzi a me sta il suo fantasima!".
"Diavolo, Adelia! Che dite?.... Placatevi: son io... e sono vivo. Cadde uno dei nostri nell'imboscata. Ma non fui io. Che vi succede? Perché tremate?".
"Avete detta una preghiera per la sua anima...? L'avete detta?.... Non macchiatevi più di così nefaste gesta!".
"Oh Adelia, non v'ha giorno che non prego per i vivi e per i morti.... Ma ripeto: che vi succede?".
"Amato Rodolfo!" esclamò allora la fanciulla con immenso trasporto e immensa gioia, quasi si fosse svegliata da un sogno a occhi aperti "Amato Rodolfo! Voi siete qui, e siete vivo! Fu dunque uno spauracchio il mio!.... Vedete: a volte mi succede... il mio cuore va in apprensione per voi, teme qualche disgrazia, la sventura dietro l'angolo; e quando questo avviene, ecco! tutto mi diventa come un incubo oscuro che mi fa tremare, mi dà degli spasimi insopportabili... manco di ragione. L'avvenire, allora, qui è roseo, lì è buio.... Quanto mistero! E quanta notte!.... Ignorante come sono, a volte mi chiedo perché esista tale mistero e perché esista tale notte. Fa davvero così paura l'Ignoto?".
"Adelia, se non vi conoscessi, avrei paura anch'io di quello che potrei essere, della fine miseranda che avrei potuto fare da tempo.... L'Ignoto fa sempre paura. Non avete mai sognato di scalare il Ghiridone?".
"Sì... da piccola mi accadeva spesso... e...".
"E cosa provavaste?".
"Bellezza, tranquillatà, pace... mi sentivo un po' come un'aquilotta che domina dalla sua cima e vede ogni cosa, i nostri paesi... le nostre valli... così piccole e io, benché insignificante, così grande.... Ma voi lo sognaste?".
"Certo, Adelia!".
"E cosa sentiste?".
"Nulla... soltanto la paura... la paura di non farcela, di rinunziare al Sogno... di salire mezzo sconvolto e consumato per quella vetta e poi... nulla... soltanto qualche roccia e qualche sasso. Sì, diceste bene: l'Ignoto fa paura".
Una volta che ebbe pronunziate queste parole, Rodolfo sorrise ad Adelia, le strinse la destra con la sua. Finalmente la fanciulla si era calmata, accettava la stretta, la carezza con le maschie dita verso il pollice e l'indice. Frattanto il cielo era sempre più scuro, saliva la Notte, si mostrava appena appena la bianca Luna, più scialba del latte che si mungeva nelle stalle e assai di questo più dolce. Allora Rodolfo guardò profondamente l'amata negli occhi e disse: "Vi chiedevate perché esistano il Mistero e la Notte.... Ebbene, io credo per amare. Questo dev'essere la loro profonda essenza. E se non lo è per davvero, almeno concedete che lo sia qui... adesso".
Le loro giovini guance si avvicinarono di più, i nasi si potevano toccare, gli occhi erano affissi tra loro in un etereo abbraccio. Le labbra si schiusero lievemente, con timidezza... e il freddo aere della Notte già condensava i reciproci sospiri in getti impetuosi di finissima nebbiolina. I due innamorati restarono così per molto tempo. Le bocche, ancora timide e vergini, cercavano di incontrarsi... ma alla fine si distaccavano.... Pur vicine, si mandarono dei baci... finsero di baciarsi. Poi, con convinzione e dolce forza, Rodolfo cinse il collo e le spalle di Adelia con un abbraccio, la strinse al petto... la sua guancia destra si attaccò a quella di mancina della fanciulla. E la baciò... la baciò appena sotto l'occhio, con casto trasporto. Né per questo la Luna si vergognò di alluminarli, tant'era etesia la loro passione.
"Per sempre mia" bisbigliò il giovinotto all'orecchio sinistro dell'amata.
"Per sempre mio" ricambiò ella il bisbiglio.
"E vi seguirò dovunque!" esclamò Rodolfo.
"Anch'io!".
E il loro abbraccio perdurò ancora per molto nel silenzio, giacché oramai la profondità delle parole era stata superata e più non valevano gli attimi, gli istanti, i minuti... le ore. Tutto fu Eterno... tutto fu Infinito!
Il giorno dopo, era Domenica; i due innamorati si ritrovarono di meriggio e con un carro di vecchi amici scesero a Melesk, a passare le ore accanto alle cascate. Nulla sembrava poter turbare la pace di questa coppia, né il loro avvenire, pensato e sperato felice. Ma non v'abbiamo gioia che sùbito non sia crudelmente contesa dal Destino. 
Che cos'è questo Destino, oh amici?.... Direste forse che è uno spauracchio, una favola per mettere paura ai bambini che rifiutano di dormire per tempo, oppure, che è una fandonia dei Poeti, i quali vogliono pensare che esista una forza occulta, cieca... mentecatta ma altrettanto sveglia, viva... perversa. Chissà! Forse se diceste così, avreste ragione. Eppure voglio credere che il Destino sia ancor più, qualcosa di tremendamente infernale che, mettiamo il caso fosse visibile, accadrebbe che quanti lo vedessero, potrebbero vedere il Diavolo in persona. V'è, infatti, una crudeltà terribile nascosta nella Natura, nei pensieri... nel cuore nostro, dietro il proverbiale angolo. Del resto, si nasce e si muore. Ecco due saldi pilastri del Destino: la nascita e la Morte. Chi nasce dovrà morire; e non si può morire se non si è nati. I nostri primogenitori, che vollero contendere a Iddio il potere sul nascere e sul morire, furono i primi a soccombere al Destino... a dargli avvio.... Sì, davvero tutto è Vanità; e in ciò che è vano sta il Destino: ora c'è, ora non c'è più. E nulla viene risparmiato, nemmeno l'Amore.
Chi, però, ammirando due gai giovinotti - un uomo e una donna - che si siedono su delle pietre a mo' di scogli, davanti a un piccolo rigonfiamento di un fiumiciattolo, quasi un lago, e a un picco dal quale scende una cascata, metterebbe in guardia costoro circa il Destino che si nasconde impetuoso e terribile? Chi lo farebbe? Chi non chiamerebbe semplicemente e Vita e Amore questa piccola Arcadia di casti sguardi, di delicati abbracci, di dolci e melliflui ischerzi?.... Oh giovinotti! fermate l'attimo fuggente! Morireste felici!.... Ma, purtroppo, non andò così.

Era di nuovo sera; e i nostri innamorati erano appena tornati dalle cascate. Voi, amici, forse riderete; ma davvero in quel luogo, appoggiando i piedi alle acque gelide, essi si guardarono più volte con casto imbarazzo, come se fossero ignudi, mentre di scoperto non avevano che le caviglie. Riflettete, oh amici! su cosa sia l'Amore prima di continuare a leggere questa miseranda cronaca!.... Ma continuiamo. Dicevo. Era di nuovo sera, e i due amanti erano tornati dai loro momenti di spensieratezza.
"Tenete!" disse Rodolfo mettendo nelle mani di Adelia una rosa.
"Oh maraviglia!.... Come... come avete fatto?... insomma, qui non ci sono rose!".
"Nulla di che... giù, a Melesk.... L'ho presa da un giardino... il fiore usciva dal muricciolo...." rispose il giovinotto che con ironia aggiunse "Non ne abbia il proprietario!".
"Vi ringrazio... davvero profuma molto! Grazie!".
"Vi raccomando addio... ora dobbiamo separarci. Ma domani vi aspetto alla stessa ora, qui... come sempre!".
"Addio, Rodolfo".
E di nuovo si abbracciarono, di nuovo vollero baciarsi ma non riuscirono; nuovamente si bisbigliarono le più dolci parole, i più sacri e santi giuramenti. Poi si distaccarono. E per tutta la serata - prima del prossimo incontro - rimase ad Adelia la rosa, da annusare, accarezzare più volte, quale ricordo di una giornata intensa, a Rodolfo la rimembranza di questo dolce e floreale dono d'Amore. 
Ma nello stesso momento in cui essi trascorrevano il loro beato pomeriggio, il vecchio padre di Rodolfo si sentì in dovere di incontrare Hans e di dirgli tutto... ogni cosa: che il figlio era ostinato, che lo disdegnava assai, che non obbediva più al genitore, che non gli importava proprio niente dell'offerta merce vivente. Si incontrarono così, liberamente, senza tanti nascondigli e velami, in una bettola di Ponte Ribellasca. Tutto in regola, anche per la gendarmeria.
Lo Svizzero non era affatto uno stolido, e sapeva benissimo volgere in suo vantaggio ogni possibile sconfitta, anche le perdite; né era dassenno un uomo da inscenare drammi, accuse... ripicche. Infatti, agiva sempre di nascosto, segretamente: se con la bocca proferiva delle parole, con il cuore, invece, ne pensava altre, così come progettava risposte violente da attuare con i fatti. Si diceva che ai tempi dell'occupazione francese egli, essendo segretamente un mancato intellettuale e un ammiratore del pensiero di Rousseau, si fosse arruolato nell'esercito di Napoleone e che, in questa situazione, avesse stretto eterne amicizie con alcuni individui che poi, ai tempi della nostra cronaca, si trovarono a fare da gendarmi. Giravano anche voci che avesse partecipato alla battaglia di Jena e che ivi avesse salvato la vita a più di un futuro sgherro. Del resto, era certo un uomo di grande valore, molto marziale, capace di affettare quell'ironia e quella losca simpatia da cameratismo. Ma non voglio affatto credere che egli avesse imparato la corruzione direttamente dal Buonaparte. Entrambi malvagi, v'era tuttavia un abisso tra la volgarità del gigande svizzero e l'eleganza del mezzo Italiano. Resta il fatto che sì, è vero che Hans aveva degli amici tra i gendarmi, e che bene o male, era uno dei pochi, forse l'unico, che poteva agire liberamente con la sua masnada di contrabbandieri e di criminali; tanto che a Ponte Ribellasca era chiamato "la Spia", perché in molti pensavano che quello fosse il suo vero mestiere. Ma, bando alle fandonie, non era vero; né era un paladino della legge. Semplicemente con le sue abilità - concediamoglielo, da uomo politico - sapeva come mandare alla forca i rivali più pericolosi. Era avido... il più avido di tutti; né viveva di contrabbando per migliorare la sua vita e quella dei suoi, bensì per il semplice desiderio di accumulare danaro, il che contraddiceva la sua ammirazione per Rousseau. Purtuttavia, qualche malalingua asseriva che Hans voleva arrivare ad avere tanta ricchezza quanta necessaria a comprarsi il mondo intero, per poi abolire la proprietà privata e il danaro stesso. Ma noi poco importa di queste sciocchezze.
Fin da bambino, si raccontava, era sempre stato portato per la scuola e per lo studio tanto che già a sette anni sapeva parlare correttamente il Tedesco, il Francese, l'Italiano e i dialetti locali. Per non parlare del Latino, un vero genio: dopo aver ascoltato tre sporadiche volte il Te Deum lo seppe recitare a memoria; e sapeva benissimo dire a cosa alludeva il significato più profondo. A dieci anni, recitava perfettamente von Kleist e von Goethe. Ma la svolta si ebbe quando un anno dopo si avvicinò casualmente a un condannato a morte. Questi gli seppe disfare ogni convinzione religiosa, gli mise in cuore terribilissimi dubbi e gli parlò francamente - dalla grata della cella - di come egli intendesse il mondo. Probabilmente si trattava di un malaugurato intellettuale; ma poco bastò per far interessare Hans alla filosofia. Voleva studiare... proseguire gli studi. Ma come? La sua famiglia non aveva poi chissà quali quattrini. "Allora quel filosofo mi ha detto la verità" ragionava più volte tra sé. Nulla valse a farlo studiare: suo padre lo mise in stalla a lavorare... e duro; tanto che crebbe a suon di ceffoni e di insulti. A volte, però, nel segreto delle notti di festa e d'estate, Hans riusciva a ritrovarsi con alcuni piccoli intellettuali della zona. Gente umile, niente di che, che storpiava perfino le cose studiate (se erano davvero state studiate!). Anni dopo avvenne l'inferno della Rivoluzione e di Napoleone. Poi, tutto d'un tratto, un mese o due dopo Waterloo, ecco che iniziò a vestire il ruolo del contrabbandiere; cosicché si può dire che molto di quest'uomo rimane tuttora nel segreto e che non si conoscono quali ragioni lo avessero portato a vendere e a comprare di contrabbando. Chissà, forse era davvero "la Spia".
"Non preoccupatevi, Guglielmo!.... Vedete, Hans non è arrabbiato!" disse lo Svizzero parlando di se stesso "Del resto, in ballo non v'erano né promesse, né giuramenti.... Anzi, ascoltatemi bene: dovete essere men duro con il vostro figliuolo. Il mondo è colmo di uomini e di donne. Mia figlia andrà sicuramente in sposa a un altro; e vostro figlio non è detto che rimanga fedele alla sua donna".
"Ma mi dispiace, Hans... vedete... anche perché... perché..." provò a dire il vecchio contrabbandiere.
"Perché cosa?" tagliò corto il gigante barbarico.
"Vedete, tra i miei uomini iniziano a girare malegole che parlano male di voi".
"Tutta la valle parla male di me.... Pensate che sia un problema per me?".
"No, Hans. Non lo è!".
"E allora?".
"Ebbene, i miei uomini credono che voi ci abbiate tradito, e teso un'imboscata.... Uno dei nostri è morto... e anche dalle nostre parti girano voci circa delle vostre amicizie.... Ma io, Hans, vi giuro... vi prometto che non ci credo".
"E perché me ne parlate, allora?.... Il capo siete voi, non loro! Sì, può essere che io abbia certi amici tra i gendarmi, ma solo per vedere pendere da un ramo quelli che non mi ubbidiscono. Prendete esempio da me, Guglielmo!".
"Avete ragione.... Ma i miei uomini temono che arrischiarsi con voi sia periglioso".
"Niente affatto, Guglielmo! Adoro i vostri uomini, hanno coraggio e se ne intendono di merci e di profitto.... Quanto abbiamo guadagnato insieme? Tanto. E io sarei così stolido da rinunziare al mio gruzzoletto per far prendere a fucilate un gruppo di cari amici?.... No! Queste malegole debbono finirla, e sùbito!.... Vi sembro il Diavolo?".
"Il Diavolo?.... Davvero è un brutto paragone!".
"Eppure qui le persone dicono che io sia il Diavolo!.... Basta! Finiamola qui! Nulla è cambiato tra di noi e nulla con i vostri uomini. Domani, anzi, vi attendo... ho della merce buona... alla solita ora!".
E tra uno schiamazzo e l'altro, tra una bevuta e l'altra, anche questo intenso e pauroso incontro ebbe termine. Poi, una volta che Gugliemo fu andato via, Hans rimase a lungo seduto al tavolo in quella dannata bettola, atteggiandosi nervosamente con le braccia conserte, come se fosse stato in una lunga attesa... attesa ovviamente di qualche diabolica, demoniaca, infernale illuminazione. Infatti, era stato battuto... si trovava nella pessima situazione in cui, di fatto, qualcheduno lo aveva sconfitto e per di più, inconsapevolmente, lo aveva messo con le spalle contro il muro, giacché le insinuazioni ci furono, e furono anche molte. Bisognava agire, immediatamente! e vendicare l'offesa, l'ingiuria. Così, riflettendo e ripensando più volte, si fece l'idea di tendere un agguato a Gugliemo, al figlio di lui e ai loro compari. Senza sgherri, però! qualcosa di più onorevole per dei banditi.... E se l'insidia non avesse portato l'attesa vendetta, se Rodolfo fosse sopravvissuto, ebbene, lo avrebbe sfidato a duello, sicuro tra l'altro di poter vincerlo e trafiggere, poiché dassenno nella regione non v'era uno spadaccino migliore dello Svizzero. A Hans, del resto, questo bastava: uccidere il figliuolo di Guglielmo, recar dolore nella sua famiglia, scompiglio tra la masnada italica... disperazione, follia e sofferenza eterna alla da lui sconosciuta rivale di sua figlia. Eppure, la coscienza non era del tutto annichilita in questo bruto; giacché continuando a riflettere e a pensare si chiese più di una volta se in fin dei conti non fosse stato meglio lasciar perdere, fingere che non fosse accaduto nulla, e proseguire a trarre qualche profitto dalla banda vigezzina. Ma l'orgoglio e l'onore erano troppo forti in lui da essere ignorati....
Passarono perfino delle ore prima che lo Svizzero si fosse alzato dalla sedia, avesse tracannato per l'ultima volta un liquore, e avesse pagato il conto all'oste. Allora uscì. Eppure un'altra cura più crudele e melanconica lo avvinse sùbito, appena fu all'aria aperta; tanto che dagli occhi gli caddero delle gocciolone di pianto.
Così è la Natura e il suo contatto con noi miserandi esseri umani! Hans andò nella sua stalla, trafficò in un baule, estrasse un vecchio moschetto e lo caricò. Poi se lo mise in spalla, uscì, andò davanti a un recinto, aprì la porticina. Allora prese Hundig, uno dei suoi cani da pastore, il più vecchio di tutti, gli mise il guinzaglio e lo portò fuori, a stento. Il poveraccio, infatti, era così decrepito che zoppicava da tutte le parti, mezzo cieco, con il pelo oramai quasi tutto bianco.
"Andiamo a fare un giro, Hundig!" disse Hans con molta tristezza nel cuore e vergognandosi di mentire "Magari riuscirai a prendere ancora una preda.... Sarà il caso che te la dia da mangiare a te, visto che ne hai più bisogno". E Hundig, sentendo la sua voce, si immobilizzò, gli si rivolse e gli mostrò il più melanconico dei musi animaleschi, che perfino lo Svizzero si sentì quasi male.
Hans trascinò il cane per il sentiero di montagna, raggiunse il bosco. Poi legò l'animale al tronco di un piccolo faggio. Hundig si mise seduto, e guardò il padrone con tristezza, mentre quest'ultimo si allontanava di un poco. Egli prese il moschetto, lo puntò alla bestia... poi, fingendo più volte di premere il grilletto, di scatto, rivolse l'arma al cielo e sparò in alto, facendo assordare l'eco di un terribile e cupo tuono.
"Addio, Hundig! Non riesco.... Volevo farti grazia di una morte veloce e onorevole.... Non riesco! Perdonami se ti abbandono... non posso più portarti con me!.... Spero soltanto che il più presto possibile passerà di qui una vipera, e faccia il suo dovere. Addio, mio fedele amico!". Si volse e cercò di camminare, piangendo, verso il suo paese. In quel momento, infatti, non solo provava tristezza per quella forzata separazione, ma si ricordava anche di quando fu bambino, e suo padre, incurante delle sue suppliche, gli uccise un cane davanti ai suoi occhi soltanto perché giuocando con eccessiva foga, gli aveva morsicato una mano. Quella volta, purtroppo, Hans ricevette perfino due o tre bei schiaffoni, perché continuava a piangere e ad attribuire cattiveria e perfidia al suo genitore.
"Se è vero che io sono cattivo, qualcheduno me lo ha insegnato" si ripeteva adesso. Ma di colpo si rivolse ancora verso il bosco, ritornò da Hundig e lo abbracciò per attimi interminabili. Sembrava che piangessero entrambi. Infine, durante quell'abbraccio, Hans estrasse il suo pugnale e, in qualche modo, lo conficcò nella gola dell'animale. Lo sgozzò, poi lo sciolse e se lo mise in spalla. La vittima seminava sangue da tutte le parti; il carnefice, invece, disperdeva il pianto più amaro. L'unica consolazione per lo Svizzero fu immaginare la medesima sorte per i suoi rivali. Rodolfo doveva morire per davvero!

Quella sera Guglielmo fu molto educato, rispettoso e buono con suo figlio, tanto che durante la cena, per poco non ebbe il coraggio di domandargli perdono; né rinfacciò la sua assenza nel pomeriggio, né si lamentò quando Rodolfo, una volta alzatosi, uscì, probabilmente per andare a trovare la sua amata. 
Adelia si fece chiamare come al solito da una specie di fischio e corse, come sempre, verso le usate rocce. Eppure, non era felice e contenta come prima; anzi, era abbastanza pallida e smorta, tanto che fece preoccupare il suo amato giovinotto.
"Oh Adelia! Dopo questo pomeriggio, voi sbiancate ancora?" egli le chiese.
"Rodolfo! Rodolfo! Aiutatemi... basta! Finitela con i vostri amici fuorilegge!".
"Una volta che avrò la vostra mano, già ve lo giurai più volte, lascerò a mio padre soltanto quest'onere".
"No! Voi non capite!.... Finitela adesso, subito!".
"Ma perché? Che vi prende, ancora?".
"Se ve lo dicessi, non ci credereste!".
"Adelia! Voi siete spaventata... tormentata a morte. Qualunque cosa vi sia successa, ebbene, io ve la leggo in volto. Parlatemi, non temete... e perdonate se spesso esprimo dubbi, specialmente se di mezzo v'è la Fede!".
"Oh Rodolfo! Poco fa... guardando quella rosa che mi avete regalata... no! Non posso, non mi credereste... mi pigliereste per matta, perché io sono matta, non è vero Rodolfo?" disse la fanciulla quasi disperando e accennando singhiozzi e pianto.
"Calmatevi! Ho forse mai detto che voi siete matta? No!.... Ma ditemi, cosa vi è successo?" proseguì il giovinotto prendendola per mano.
"Ebbene, stavo guardando la rosa quando d'un tratto mi sembra che perda il suo colore, che diventi bianca... pallida. Io mi avvicino incredula, penso di sognare, ma sono sveglia.... Non può essere. Sì, per davvero, o Rodolfo, i suoi petali non sono più rossi. Mi spavento, la prendo in mano, la guardo ancora. Nulla! Ed è svanito anche il suo profumo. Quand'ecco che dall'aria vedo che si condensano come stille di sangue, e scendono... colano sulla rosa.... La scaglio per terra, e il fiore si imporpora.... E nello stesso istante, nelle mie orecchie si pinge il suono delle campane funebri, tristissimi rintocchi... suonano due volte: una per un uomo, l'altra per una donna. Oh Rodolfo, non sono pazza! Ho visto davvero questo.... Ma c'è di peggio!.... Quando tutto mi sembra che si sia placato, quando quest'incubo a occhi aperti sembra svanito, io timidamente raccolgo la rosa da terra e la rimetto nel vasetto. Orrore!.... Appena mi giro, un'ombra oscura striscia vicino a me, sta venendo verso i miei piedi.... Era una vipera... una vipera... vi dico!.... Gridai, e svenni! Quando mi svegliai la mia buona nonna era seduta per terra, accanto a me, e mi stava bagnando la fronte. Ora che so che probabilmente fu un incubo e che ho mangiato un poco, sto meglio; ma vi giuro che sono turbata.... Vorrei credere che fosse un sogno. Ma so anche che quel che io vidi vi fu davvero".
"Adelia... amata Adelia! Quello che avete raccontato è terribile.... Vorrei rassicurarvi che fu un incubo... soltanto un incubo, che la vostra mente così vergine e pura, nonché allenata all'ascolto delle più triste fole, riesce a incarnare in qualche modo nella realtà. Non vi rimembrate come, quando eravamo piccoli, voi parlavaste alle fonti dicendo di vedervi delle Ondine, o ai temporali, affermando di scongiurare le Valchirie di non provocare più lampi e tuoni?.... Io per questo vi ho sempre amata, perché voi sapete dare alla realtà le tinte più belle e oscure della fantasia... perché voi fate entrare i Sogni e gli Incubi nella Vita, la quale altrimenti non li accetterebbe. Oh Adelia! Amata Adelia! Una così grande gioia vi è capitata in sorte, essere amata e amare, che le vostre paure così si condensano... giacché voi avete davvero questo insano timore di perdere questa felicità, i nostri cuori, i nostri giuramenti. Ma non fia così!.... Presto saremo dinnanzi all'altare, e con i più santi giuramenti a Iddio, tutta la vostra angoscia avrà termine e saprete vedere il Sole anche dove si troverà soltanto ghiaccio, o Notte... o tenebra".
"Sì, Rodolfo, avete ragione! Io ho paura: paura di perdervi, di perdere me stessa a voi, di non essere degna di voi, di sapervi morto o ferito in una delle vostre dannate scorrerie.... Macché! Parlo a un uomo, a un eroe... non a un bandito!.... Ma resta che questi Sogni mi sono spietati; e così fanno sussultare la mia mente che presto o tardi diventerò davvero pazza. Eppure voi, o Rodolfo, amato Rodolfo, potreste aiutarmi a non averne di più: non andate a vendere di contrabbando, restate con me. Cercate una scusa, fingetevi malato.... Ma non andate più oltre il confine!".
"Adelia! Io sono un uomo d'onore... non posso tradire il giuramento fatto con i miei compari. Ma posso stare attento, tenermi indietro, non certo in prima linea, posso fare quegli che sta ai limiti del bosco per dar man forte al momento giusto o segnalare un pericolo. Questo solo io vi giuro!".
"Ma è poco.... Rodolfo! Se voi cadeste, tutta la mia Vita finirebbe".
"Lo so!.... Ma abbiate fiducia in me, Adelia! Mi metterò nella condizione per cui nulla di grave mi potrà succedere.... Domani andrò ancora con loro, poi, Iddio lo voglia, dirò a mio padre che vi voglio sposare; e allora verrò da vostra nonna e chiederò la vostra mano. Tutto cambierà, ve lo prometto! Abbiate soltanto fiducia in me!".
Ancora per molto tempo i due innamorati si parlarono, stando vicini l'uno con l'altra; e a notte fonda, venne il momento dell'addio... della speranza di rivedersi il giorno dopo, di sera, alla stessa ora. Ma non v'è incubo, o presagio che colpisce una mente pura e ingenua che poi non si avveri!
Il giorno dopo, come aveva promesso all'amata, Rodolfo si tenne in disparte, giusto quel tanto per intravedere la minaccia nascosta, la trappola tesa da Hans: uomini armati che giravano per i boschi tentando di accerchiare la masnada degli Italiani. Allora prese il fucile e, sparando a uno di quei loschi traditori, gridò ai suoi informandoli del pericolo. Poi si nascose dietro dei tronchi e delle rocce, di tanto in tanto caricando e facendo sparare dei colpi. 
In così poco e breve tempo, il confine si tramutò in un campo di battaglia, dove iniziarono a fischiare e a tuonare da tutte le parti e schioppiettate e pallottole d'ogni tipo. A un certo punto dello scontro, quando gli Svizzeri stavano per avere la peggio, spuntò Hans, con le mani in alto e il fucile deposto ai suoi piedi. Gli spari cessarono e si ascoltò la sua voce che invitava a non spargere ulteriore sangue e a risolvere la questione da veri cavalieri, cioè con un duello: offeso e oltraggiato, egli voleva duellare con Rodolfo il quale, senza badare troppo alle parole del padre che lo invitava alla prudenza, accettò di buon grado.
Mentre accadeva tutto questo, Adelia che si trovava a lavorare nella stalla, udendo gli spari, impallidì e uscì immediatamente. Presa da insani timori, corse verso i sentieri di montagna, in direzione del confine. Ormai sembrava non ragionare. Correva e basta; ma correndo, tutto d'un tratto, non solo si perse ma inciampò perfino in una roccia, rimediandone una gran caduta per terra da farsi male, con il volto violentemente appoggiato sulla terra. Ferita e disperata si fece forza di sollevarsi facendo leva con le sue mani; ma mentre si stava rialzando, una vipera nera - come richiamata dall'Inferno e dal più inesorabile dei Fati - scese veloce dal fitto bosco. Le stava passando sopra le mani, quand'ella impaurita urlò ed ebbe un tremito. La serpe, purtroppo, spaventata al par di lei, non trovò altro da fare che morderla alla mano destra e di scappare più veloce di prima, lasciandola in balia del suo Destino... chiaramente di Morte. Nello stesso istante, Rodolfo trafiggeva al petto il miserabile Hans il quale, morendo, lo maledisse bestemmiando Iddio. L'incubo, oramai, sembrava finito: l'infame era morto, la trappola era stata individuata e superata, non c'era più nessun altro capace di opporre ai nostri contrabbandieri un vero pericolo.
Appena ritornato, Rodolfo andò a cercare Adelia; ma né nella stalla né in casa la trovò; anzi, incontrò la nonna di lei che era assai preoccupata. Immediatamente si fece scuro in volto, iniziò a preoccuparsi anch'egli, quand'ecco notò attentamente delle impronte femminili che andavano verso i sentieri di montagna. Senza aspettare i suoi compari, le seguì.
Dopo aver cercato disperatamente e in lungo e in largo per i boschi vicini, salendo un sentiero che portava da tutt'altra parte che verso il confine, con il cuore amareggiato e pieno di angosciosa tristezza, il giovinotto non senza infinita preoccupazione e non senza impallidire per qualche segreto presentimento di sventura notò d'un tratto una sagoma femminile, ancora abbastanza lontana, ma distesa e spasimante al suolo; né poté illudersi più di tanto, o sperare di aver sognato, com'ella era solita fare... ella! ella, che ora Rodolfo vedeva e riconosceva sempre più, man mano che si avvicinava alla miseranda vittima. No! Non v'era più possibilità di appellarsi a un'illusione o a una vana speranza: quella sagoma era Adelia e, sicuramente, non stava per niente bene. Allora il giovinotto, diggià con le lagrime agli occhi e con le guance inumidite e calde di dolore, le corse incontro, urlando il suo nome, giacché egli le vedeva gli spasimi, e i tremori... il petto che respirava in affanni crudeli... le udiva i lamenti, quasi trasognati. Cosa le era successo? Quale potenza dell'Inferno le fece questo?.... No! No! Si sarebbe salvata, di qualunque cosa si fosse trattato... non poteva morire così... sarebbe stato ingiusto, malvagio... perfino per il Demonio. No! Quest'ultimo, il più beffardo dei sogghigni e degli spauracchi, avrebbe rifiutato di far morire una coscienza così giovine e altrettanto ancora inesperta del Male... quantomeno non l'avrebbe fatta morire per cercare di tentarla più avanti, cosa che effettivamente il Diavolo poteva benissimo fare. No! E comunque la Vita e la Morte non dipendono dall'Inferno; indubbiamente Iddio non vorrà mai chiamare a sé una povera, indifesa fanciulla, le cui massime inavvertenze sono i Sogni... gli incubi, una condotta troppo visionaria e fiabesca. Eppure, pensando tra sé e rigirandosi queste congetture, il nostro Rodolfo sapeva bene che non si può comandare al Demonio e al Cielo, che non si può fermare la Morte, fosse anche quella della persona più giovine, umile e indifesa, per le quali cose morire sarebbe un'incredibile ingiustizia.
Giunto vicino a lei, egli la chiamò e le si inginocchio, con un portamento da disperato che, dal volto, sembrava essere lui il vero moribondo. A questo punto, però, cessarono gli spasimi e i lamenti. La fanciulla si era immobilizzata, tanto che, credendola spirata, Rodolfo si mise a piangere. Ma ella si voltò, gli mostrò il suo volto, oramai in parte impallidito, in parte tumefatto, e gli fece un sorriso; poi, come se nulla fosse, si alzò a sedere. La mano destra mostrava il morso della serpe, sicché al suo amato svanì ogni possibile dubbio: fu morsa da una vipera e, con ogni probabilità, ormai era troppo tardi.
"Saluti, Rodolfo... amato Rodolfo!.... Dunque è giunto il nostro più felice giorno.... Siete in ritardo!" disse Adelia con tranquillità e serenità.
"Quale felice giorno?.... Quale?.... Voi state...." fu interrotto.
"Andando in sposa a voi... al mio amato Rodolfo! Oh quanto attesi questo istante!...." e guardò l'innamorato in volto "E voi... voi, cuore così delicato e buono, dalla gioia piangete inchinandovi dinnanzi a me, e concendendomi onori che non merito.... Ma ditemi, cosa tenete nella mano?".
"Adelia... vi prego... voi state....".
"Oh... una rosa, un'altra rosa rossa.... Venite! Cosa aspettate a donarmela?.... La metterò sul mio velo, a farmi da corona nuziale, come solgono le donne più a Nord".
"Adelia, diavolo! qui non v'ho nessuna rosa... state calma!".
"E dunque è così, amato Rodolfo?.... Volete celiare nel momento che antecede le nostre nozze.... Ma non si possono fare questi ischerzi quando tutto è così vistoso!".
"Adelia!...." gridò Rodolfo "l'unica cosa vistosa è che voi....".
"Fermatevi, non proseguite!.... Fa' niente, non volete donarmi sùbito questa rosa.... Ebbene, perdonatemi, la prenderò io dalla vostra mano" e detto questo, ella fece come se stesse prendendo davvero una rosa dalla mano dell'amato e poi come se la stesse portando alla bocca e al naso.
"Oh, che profumo!" proseguì "Davvero non potevate trovare dono migliore per la vostra sposa... solo perdonatemi, se sono stata incauta e non ho atteso come voi volevate".
"Siete perdonata!" le rispose Rodolfo, iscoppiando in lagrime e assecondando la fanciulla, poiché ormai aveva capito che stava delirando e che nulla al mondo avrebbe potuto fermare quel delirio. Del resto, nel profondo del suo cuore, saliva un grido immenso che diceva "Aveva ragione la Madonna, avevano ragione i suoi incubi! E tu, incredulo, non hai prestato fede né alla Vergine, né alle sue paure. Ora ti sei pentito di non aver dato retta. Hai quel che ti meriti!".
"Bravo, Rodolfo!.... Lo sapevo.... Dunque voi mi amate?".
"Vi amo, oh Adelia! Vi amo!".
"E non vi separereste mai e poi mai da me?".
"Mai... ve lo giuro... mai!.... Ma adesso state più calma... così rischiate....". Di colpo, si udirono le campane di Ponte Ribellasca suonar da morto. Probabilmente per Hans.
"Ma perché suonano queste brutte campane, Rodolfo?" domandò turbata la fanciulla che, dopo essersi guardata ed essersi scossa, nuovamente come se si fosse destata da un Sogno, urlò di spavento "Aiuto, Rodolfo... Rodolfo, aiuto! Sto morendo.... No! non può essere! Voi siete qui, vivo, accanto a me... e siete qui per assistere alla mia Morte.... No! No!.... Aiutatemi, fate qualcosa... la ferita... la ferita sarà guaribile.... Dannata vipera!".
"Placatevi, oh Adelia!.... Voi siete in questo stato da molto tempo, né so dire quanto; ma abbastanza per metterci in discussione ogni speranza.... Ma non vi voglio perdere. Così vi chiedo di calmarvi; fatevi prendere in braccio; e io vi porterò sùbito indietro dove avrete le cure necessarie!".
"No... Rodolfo! Avete ragione... è passato troppo tempo.... Sento il fuoco del veleno per ogni vena, mi sento mancare" e così detto, sprofondò a terra, iniziando nuovamente a spasimare "Oh Rodolfo! è lei... è lei!.... Così è giunta la sera del mio ultimo sonno.... Vi prego, vi chiedo una grazia, la più crudele per entrambi: datemi un bacio!".
L'amato si chinò e avvicinò le sue labbra alle sue. Con le lagrime agli occhi la guardò intensamente, poi la baciò. Quando il bacio fu terminato, dell'aria calda sfiorò le labbra del giovinotto. Poi più niente. Oramai Adelia era fredda... era morta. Rodolfo scattò in piedi di colpo, girò come ubriaco di qua e di là. Alla fine si volse verso l'amata. Senza nemmeno pensarci, e senza più senno, prese la pistola dalla cinta, alzò il cane e si sparò. Quando lo raggiunsero i suoi compari e suo padre oramai non c'era più niente da fare. Il Destino aveva mietuto le sue vittime.

Sophie Anderson, Elaine, Tardo-Romanticismo inglese, Seconda Metà del Secolo XIX.

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XV del Mese di Agosto AD MMXIX.

domenica 19 giugno 2016

Storia dei Frammenti romantici di Quatre Bras

«E io per sempre tua!»….
Èrano i dolci sussurri che lì,
in sulla via del Tëàtro, si ùdivano,
lì, tra il passàr delle carrozze e di un
cocchio, e dei galantùomini e di dame,
mentre la Luna alluminava tetra
le vie e i pòrtici e i marmi di Parigi,
quando le ore venìvano battute
dagli stivali e dalle ronde incògnite.
«E io per sempre tua!»….
Così due ombre passeggiàvano inquiete,
quasi tenèndosi a braccetto, e strette
le destre in un abbraccio lieve, come
un soffio di invisìbile sciròcco,
guardàndosi leggere agli occhi mesti
che fuggendo cercàvansi gli ùn, con        
gli altri: un uomo e una donna, entrambi giòvini,
che tornàvano da un concerto, a marzo…
egli nervosamente alzando il volto,
di pochi detti, e tìmido nel dìr,
ella lì sorridendo allegramente
al nervosismo suo, e aggiustando casto
il suo merlato fazzoletto al seno.
«E io per sempre tua!»…
finché non risuonò un eterno addio.

«Ricòrdami, su’, nelle tue ansie lèttere,
pensa alla tua Marguerite; e poi scrìvile
una volta ogni mese! Sàmuel! Sàmuel!
Addio, per sempre!».
Èrano giunti a un molo sulla Senna,
ed ei piangeva, commosso e disfatto,
staccàndosi dal lieve abbraccio e andando
verso una cimba;
e per nascòndere il pianto non ebbe
l’ardimento di dàr un fresco bacio
alla fanciulla che lo vide allòr
svanìr tra le oidi, dove lo attendeva
un rematore. E per sempre ei scomparve.

Sàmuel John Tàylor, galantuomo inglese,
la aveva conosciuta a un ballo per
il ritornato Borbone, durante
un’ambasciata nel nome di re
Giorgio. Brindò per lei, danzò con lei…
si conòbbero, e tanto frequentàrono
per giorni e settimane i parchi, i balli,
i medèsmi concerti… insieme… e crebbe…
e crebbe in lòr l’Amore.
Ma ora che ne era?
Il Corso ritornava e baldo e infame,
e a nuove guerre già si preparava.
Sàmuel John Tàylor, galantuomo inglese,
fu ora arruolato come un colonnello
dei fùlgidi Dragoni d’Inghilterra,
e con la guerra pensò soffocàr
questo Amore impossibile.

Suonò la càrica, e i Dragoni urtarono
gli Ùssari delle scolte della Francia.
Sàmuel John vide che incontro un guerriero
gli veniva, e baldante galoppò
verso di questi, con folto cimiero;
e la sua spada al cielo scintillò,
e tra le pozze del tristo sentiero,
e ognuno dei due acciari si toccò
più di una volta, finché l’empia Sorte
non decretò per entrambi la Morte.

Cadeva il vèspero,
sui campi immani
stàvano inermi 
tanti cadàveri,
giovìni vani
pasto pe’ i vermi.
I morti urlàvano
muti tra il sangue,
e tra le bave,
e singhiozzàvano
dal labbro esangue
bestemmie ignave.

Con il cimiero a terra e lì slegato,
e con il ventre squarciato e trafitto
e con occhi più che mai disperati
morto giaceva Sàmuel.
Vicino a lui eternamente dormiva
l’Ùssaro disfidato.
Udèndolo gridàr Sàmuel gli tolse
l’elmo, e pria di morìr… oh crudèl Fato!
Marguerite! Marguerite! La sua
fanciulla amata!
Èbbero appena il tempo di abbracciàrsi,
e di scambiàrsi un bacio; per morìr
insieme… stretti, lì… avvinti e baciati,
dopo… èssersi strappata la Vita
per un Sogno di Amore. 


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Gioacchino Pagliei, Il Dragone Galante, Tardo-romanticismo italiano, Fine del Secolo XIX

Wollen, La Battaglia di Quatre Bras, Arte fiamminga, Secolo XIX



In Dì di Domenica XIX Giugno dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 19 agosto 2015

Vanità! L'Amore e la Morte

Amore e Morte! è compassione eterna!
Dov’è la rosa dei sepolcri muti?
Non è che un sogno, o un Mostro, una lanterna
funerea e aspra dei Trovatòr coi liuti.
La Notte avvolge i desideri e i freschi
sensi, e il frequente sognàr dei meschini,
e questi sogni non son che i Destini.
Vedi, oh fanciulla? gli albeggianti teschi?
La sera preme le tombe e le bare;
chi ama naufraga svelto in questo mare.
Dentro il soffio d’un bacio v’è il morire;
oh tu, sei folle! se lo vuoi lambire!

Amore e Morte! è un sogno che è un viandante!
Non sei un Titàno, se vuoi ambìr a Iddio?
È la Sorte funesta, o un’ansia urlante;
e amàr, morìr non è uguale, oh cuor mio?
Il cimitero è tempestoso, è il Nulla,
e il talamo è un sepolcro visionario.
Non sai che Amore è l’urna d’un ossario?
Resti silenti di casta fanciulla!
Non è che il perno della Poësia,
la viva tomba che bacia e va via!
E non è il bacio che vermi e liquami,
l’occhio consunto. È questo che tu brami?

Amore e Morte! Dicotomia estrema!
Perché non parla l’avello giurato?
No, no! Oh Titàno! Iddio vuol che si gema,
nel fuggìr dell’Amòr, la Morte e il Fato!
Sale al banchetto la vèrgine e beve
la coppa oscura che arde nel suo seno.
Ma sa costei che a colàr va il veleno?
Che spenta e morta dormir or qui deve?....
Sepolte guance! è la maledizione
d’una vana e melliflua e orba canzone!
Così tra i sassi sepolcrali è vano
questo senso di Vita che è lontano!

Amore e Morte! è uno spettro in singulti!
Quando urlerà la funerea campana?
E baci, e labbra, e giuramenti inulti
non saràn che una bara ombrosa e vana!
Smarriti i sogni, resta un Poëta
che sa quanto l’Amòr è vano; e in pianto,
non senti, oh spettro? che singhiozza un canto?
Non è allor meglio vivere da asceta?
Ma tu, rinunci agli abbracci e alle donne,
e ai sogni che ti lasciano ombra insonne;
pur sai che non inganni il Fato? Cime
di paüre irrisolte nel Sublime!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XIX Agosto AD MMXV