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mercoledì 10 agosto 2016

Das Gridone-Lieder klein Gesang, ovvero Il piccolo Canzoniere dei Canti del Gridone

I. Preludio ai Piè dell’Erta

Qui, io sedendo e ansimando intorno, e io quieto
nel più muto singhiozzo delle ghiaie,
qui… a questa pietra, scrittoio di montagna
e lungo il guado ottenebrato e oscuro
dell’orizzonte elvètico e sublime;
qui, io ammirando i ruscelli - freschi e immòbili
come argento che cola al fàr del Sole -
e le vette e le selve, e i funestati
sassi delle ombre delle opàche nubi
che si prepàrano ora a un Temporale…
io, chiamando a’ il mio cuòr gli avìti spìriti
dei tristi Bardi di queste perenni
e antiche lande - io! - vorrei cantàr, qui,
come l’ùltimo dei sopravvissuti,
questi infiniti sensi, e queste angosce,
e queste lodi, e questi ansi quesìti,
e questa gioja che tanto mi ispìrano
i monti, e i loro ghigni di Titàni
invitti, e non più mai consunti da’ i
corvi alpini dei Fati irriverenti,
e i lor mesti naufragi nella mia Ànima,
in un eterno, e ansimante, e fuggèvol
anèlito vêr Dio.
‘Ve l’erta del Gridòne mi è un richiamo
alla funerea Croce.
Pietà di me!

II. Ave, Maria delle Vette

Ave, o Maria, regina delle vette
tempestose tu se’ e di questi vàlichi.
Maria… o Maria, più dolce donna in tra’
le altre donne, fugace sguardo immòbile e
eterno di un
occhio di fiori di montagna etèrea,
cerulèa rosa di un torrente ansioso -
la cera del Tramonto che va e cola
come candela di un Tempio vivente -
Tu, che il Senso e il Signòr di questa terrea
schiatta qui vanamente già scolpita
su orme di mari, e scogli, e monti e di onde,
in sèn ghermisci, e il Figlio e Padre tuo
Cristo Gesù;
Tu, Maria, oh Maria, di nome sereno
e placido e celeste,
Tu, oh santa Madre di Dio, oh Tu, Maria,
prega per noi peccatori errabondi
come viandanti sulle rocce incerte!
prega per noi
in questa Vita nostra e nella Morte…
finché non venga Iddio,
prega per noi!

III. Ode tormentata di Lamento ai Monti

Dimmi… dimmi, oh tu, montagna, tu, cima
perennemente immota, labbro senza
un nome, e senza fàüci, né un canto,
dimmi…. Forse ignorerò io il mio Destino,
l’avvenìr irrequieto, e inquieta runa
delle tue pietre, scolpite con fiamme
di adamànte lunare dalle Tre
più schelètriche Norne d’Ygdrasìl,
l’orba quercia del Fato;
e seppellirò io questa mia ansiosa Ànima
nel vòrtice dei tuoi sassi perenni,
e dei tuoi muti pensieri di roccia,
dove anche il sasso sogna,
pensa èssere torrente, e
dove sulle dipinte effìgi delle
tue pievi gràvano i fùlmini eterni
di eterno spettro di Valchirie elvètiche,
e di perduti Eroi, e perdute gioje,
e il lamento dell’Oro degli Dei
delle sacre acque nordiche del vento
di Erda, Madre-Natura, e
dove è sempre la Notte.
No!.... Tu, montagna, oh voi, monti, annientàtemi
questa inquietùdine infeconda e oscura
che percuote lo specchio del mio cuore,
vetro per folli Sogni,
e pazze brame;
e tu, ghigno famèlico del lupo
dell’occhio del Gridòne, e tu, orizzonte
fiocamente bagnato dalle fresche
piogge del Sole, dàtemi da bere…   
nel càlice di vostre immani cime,
un buon sorso di Dio.

IV. La Ballata delle Rondinella di Montagna

E cantava la ròndine del monte,
ed era un cinguettìo di Morte e Fato,
la fame delle schelètriche rocce;
e fu il pianto delle onde di un torrente,
il lamento funèreo di un Viandante
nel bàratro del suol.
E cantava la ròndine del monte,
spazïàndo le querce delle vìpere,
nel volo ella portando un fior di timo,
ella, sì… per acquietare ansia implacàbile
de’ il cuore di un volàtile romìto
nel bàratro del suol.
E cantava… cantava. Dimmi cosa,
monte? Le gioje del vìver di montagna.
E cantava… cantava. Dimmi cosa,
monte? Le gioje e i dolòr.
E cantava: «Portàtemi nel nido,
quando la fame mi avrà condannata,
là… tranquilla e distesa,
per morìr co’ i miei pìccoli fratelli
di piuma e volo…
là, tranquilla e distesa,
per avèr sepoltura tra le vette,
tra le vette e nel Sol!».
Oh Ànima ansante a Iddio!

V. Impressioni di Vette di Montagna

Eterna ombra, perenne Alpe, o tu,
con le tue pietre e i tuoi bàratri ascòsi -
ferètro della Vita -
tu, con i tuoi torrenti e la tua guancia
severa e scialba di rubina roccia
a un fior di Sol e dì…
tu, qui suonando i corni delle greggi
e delle mandrie, e gli ululati infermi
de’ i lupi che contròllano i tuoi pàscoli
nel tramonto dell’alba,
e concitando i Sogni delle pècore,
e piangendo le làgrime dei ghiacci,
e dormendo un risveglio sempiterno,
e ansando per le valli
attigue, ombre di mar e onde di sassi,
tu, ora e così mi ispiri un senso antico
di stupore sublime e meraviglia,
e mi fai l’eco all’Oltre che nascondi
a’ i miei occhi, appena oscurati dal mio ciglio;
e io, qui, in tra’ queste pietre forse - io! - assaggio
un àlito di Dio.
E la montagna mi è sempre sublime.

VI. L’Incubo dei nove Gufi. La Sete della Conoscenza

E veniva la Notte. Dalle orbe ombre
di un fràssino di un monte discendèvano
spettri oscuri di nòttole corrive,
nove spàsimi e crani animaleschi
delle crudeli fronde d’Ygdrasìl,
nove gocce di Fato,
nove stille di sangue.
E cantava… cantava il primo gufo,
huì… huì… huì:
«Ti svelerò io l’Eterno con un canto
profano e dolce, incantatore e folle,
e l’alba che verrà,
e il Nome della Notte!».
E cantava… e cantò il secondo gufo,
huì… huì… huì:
«Qui, io ti illuminerò con la più prima
stella del nuovo dì, io! per sempre questa
funèrea e argentea Luna mangerò,
e chiamerò per Nome
tutti i tuoi Sogni!».
E cantava… cantava il terzo gufo:ì,
huì… huì… huì:
« Sarò io il Silenzio del tuo insonne sonno,
l’ebbrezza della Vita tua fuggente,
le Erinni della gioja,
il fùlmine di un urlo!».
E cantava… cantava il quarto gufo,
huì… huì… huì:
«Sarò io il Tempio del tuo dormìr fuggèvole,
l’altare delle tue chimere illuse,
nebbia di quel che sai,
e il Nulla del tuo cuore!».
E cantava… cantava il quinto gufo,
huì… huì… huì:
«Sarò io le ombre dei monti dei Titàni
invincìbili e tristi dei tuoi Sogni
ribelli e opàchi,
l’irrequieto sospìr del tuo affannoso
riposo di Pöèta:
il tuo Destino!».
E cantava… cantava il sesto gufo,
huì… huì… huì:
«Sarò io lo spettro di una Notte eterna
che Tutto inghiotte e dissolve e costringe,
che si crea e si consuma;
e sarò io il manto rosa-argenteo di ogni
tomba per il tuo Sogno…
per il tuo Dio,
sarò l’Inquieto!».
E cantava… cantò il sèttimo gufo,
huì… huì… huì:
«Sarò per sempre la sete titànica
tua di conòscere i misteri orbati
del velato tuo cosmo!
Chiàmami Ìside-Dea!
che si spoglia e ti porge il seno ambito,
e il ventre dell’Io-so!
Con uno spàsimo eterno e un singhiozzo
di Pöèsia…
tu… tu… folle supremo!».
E cantava… e cantò l’ottavo gufo,
huì… huì… huì:
«E io svelo… e svelerò io ogni runa mia,
indecifràbile e orrenda e occulta,
quel che le Norne han deciso sul tuo
avvenire… l’Incògnito,
ignoto lito
di àttimo eterno!».
E cantava… cantava il nono gufo,
huì… huì… huì:
«Sono io l’ìncubo furïòso e tetro,
Sàtana che ti cerca e che ti insegue
voracemente e insano per deviàrti…
la Conoscenza del Bene e del Male,
il ghiotto frutto per la tua atea stirpe,
alla quale ti vorrei accòlito e ligio,
tu… uomo miseràbile e
ordìto con il fango,
uno sputo di Dio…
un àlito del Nulla!».
Va’… allontànati, Sàtana!  

VII. Un Canto funebre di Montagna

È morto…. Il cervo del Gridòne a’ i piè
di una vetta - ei! - defunse, qui… qui, sotto
i miei occhi attòniti e ardenti di làgrime,
ei, trucidato dall’ùltima strage
della mietente falce della Morte…
ei, in una caccia di corni incostanti,
vaticini del Destino e della Tomba,
e per sempre perduto in eco di ombre
di monti della Notte.
È morto…. Il cervo del Gridòne a’ i piè
degli ùltimi suoi Sogni… ivi, nel sangue
sognante di annientàrsi nelle sue erbe,
nel cuore che desìdera confòndersi
ne’ il verme che lo annienterà ben presto;
e la Vita non è che un solo Sogno
che troppo poco vive per esprìmere
tanti altri Sogni per poi inavveràrli
su’ un sentiero di Morte….
E là… oltre il Sogno… Iddio!

VIII. Il Sentiero, ovvero La Metafora del Viandante di Montagna

Oh Viandante, de’ i lupi stirpe antica
un dì nata allorquando Wòtan ebbe
a ghermìr sé medesmo in un Eròe
dei Wälsi delle Valchirie fuggèvoli
per le selle dei fùlmini
e delle nubi,
tu, oh straniero dovunque vada, e in suòl
natìo per sempre, dove Patria è l’Alpe, 
e il vàlico, e la cima tempestosa,
e il màr che si distende oltre le rocce,
e il fiòr e la pianura co’ i suoi boschi
e i suoi campi di Vita…
dove ovunque è l’Incògnito che dòmina,
e l’orizzonte ignoto si disperde
sopra i tuoi sassi sempre uguali, e sempre
diversi, i qual a volte ti sòn pane,
e i lor ruscelli vino, e i rami covo,
e gli antri albergo, e
le fronde letto;
tu, oh pellegrino perenne che fuggi
da un monte di cui non altro conservi
che una febbrile rimembranza oscura,
e cui vorace tu aneli e irrequieto,
tu inghiottendo le pòlveri di questo
viaggio di cènere, e le làgrime, ombre
della pioggia specchiata in sul tuo cuore
scolpito dagli àttimi
del vecchio Fato…
tu, che vesti le fauci della fame
del negro branco della roccia eterna,
i sanguigni sogghigni di Erda antica,
gli Eroi coperti da’ i peli di un lupo,
e i fulvi occhi del gufo della Luna,
solitario fantàsima di un grembo
sepolcrale e vivente…
tu, oh Viandante delle Alpi, va’! e continua
il tuo passo ferino, accompagnato
dalle belve dei fiumi più recònditi
della Veglia e del Sogno, e da altri e tanti
pellegrini di pietra, e sangue e carne:
da’ i tuoi compari… e prosegui! finché
non ghermirai tu un bacio alto e compiuto
dalle labbra di Dio. E
canta la tua canzone!
Canta la vaga beltà dei tuoi colli,
tu, viaggiatore inconfondìbile e àrido
di ogni inattesa spene,
e il fiore-fuoco del Sole che splende
come un opàco teschio in su’ una bara,
dove soltanto basta un caldo stràl
di questa fiamma,
e un ruscello sul qual esso si specchia
per fàr brillàr di argento un monte intiero,
e la sua eroica cima….
Canta! dove tu apprendi l’Invisibìle
orma del vento, e l’Immortàl che scorre
e si rigènera,
e il Genio-Tutto che ti ha fatto or qui
pellegrino del Sogno, e poi Viandante
della tua Veglia;
dove tu cogli l’Eterno con gli occhi
moltèplici di un cuore infinito
costretto a stare
tra due parèti di una viva tomba
di carne e sangue: un’Ànima di Dio.
Canta!

IX. Il Cantico della Montagna

Oh voi, montagne, ombre sublimi de’ i
titànici occhi delle nubi di acqua
che veggo io piòvere ora e che vedrò
sorrìdere domani,
e tuonare di sera…
voi, prepotenti come gli Dei nòrdici,
possenti sguardi di sì cieche rocce
dov’io spesso mi siedo,
voi, che specchiate nelle ignude vette
tempestose di un ghiaccio sempiterno -
che fàttosi acque io ho assaggiato e goduto -
le onde fuggèvoli e ardenti del Sole,
e che alle vostre vìscere chiamate
per l’eco sconfinata di una caccia
i Sogni delle cerve e dei famèlici
lupi, e gli istinti dei vèrgini boschi,
e gli impulsi dei làrici,
e ogni mio desidèrio;
voi, che io qui ammiro e che contemplo,
oh divini convìti delle allegre
arpe di Froh e dei più dorati pomi
delle beltà di Freya,
perduto io in tanti colpi di occhio di avverso
senso e di sì confusa e avvinta mente,
quivi, e che richiamate il Cièl sublime
donde di bèo,
oh voi… voi, dunque, siete qui non mèn di un
grazïòso orizzonte, un avvenìr
del giorno e del Tramonto, e di una Vita
che a’ i nembi anèla, oltre l’arcano
urlo dei corni, mònito di caccia 
per le sue illuse vìttime di carne,
e di ossa e di Destino,
vaticinio irridente delle spoglie
frasche del Dio Irminsùl,
e di ogni Norna!
Et tu, laudata sie, oh montagna bella,
pe’ il tuo messòr lo sasso, e sòra pietra,
et frate vàlico;
per le rune che sveli alle perenni
ombre di Dio,
l’Altìssimo che regna et che ti dòmina,
sorso di Eternità!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro

H. William, Near Glen Orchy, Arte inglese di Romanticismo vittoriano, Seconda Metà del Secolo XIX



Nei Dì che vanno dal XV Luglio al IX Agosto, trascritte in Dì di Mercoledì X Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI.

Dedicato agli Organizzatori e ai Ragazzi e alle Ragazze dei Campi-Scuola a Olgia dell'Oratorio Santa Giuliana di Borgolavezzaro.

In Memoria di San Francesco di Assisi, con un Grazie anche a Papa Francesco, per la sua meditata Enciclica, Laudato Si'

sabato 5 settembre 2015

L'ultima Ricordanza di Montagna

Dove fuggite, oh cime? Forse è l’ora,
non ti par, cuore? di dir l’addio al sogno?
e ai tuoi ricordi? E l’autunno divora
gli attimi estivi; e forse mi vergogno
di giacère stordito e visionario.
Fuggono i monti, e non posso far nulla,
e non è quercia l’ombra, né betulla;
e cos’è mai? È uno spettro funerario?
Salta, e saltella quest’ombra, e il suo nome
sarà Destino, un Mostro d’irte chiome.
Non so! Rimembro l’alpestre suo volto;
ma il sogno, il mio sognàr, ora è sepolto.

È il vaticinio d’un Poëta inquieto,
lo sai, cuor sibillino? E viene il senso
d’ignote cure; e l’autunnale feto
a nascere s’appresta dove immenso
è il mio morìr. E perché questo è eterno?
E che son se io non sogno? se non pianto?
E l’Alpe ignora quest’ultimo canto!
Ella… così innevata! e nel suo inverno!
Cinguetta il vespro del tordo emigrante,
e piange l’acqua del ruscèl infante;
e il tramonto che viene è oscuro, e inghiotte
le mie montagne, e le mie cime. È Notte!

E tu, alba Luna, vedi? E mi sopporti?
E inargenti le vette, oh tu! funesta
stilla d’un nembo. Ma i monti? son morti,
avvolti in màn di notturna Tempesta.
Cosa ho lasciato? E la mia giovinezza?
E i desidèri forse? e i miei usignoli
di montagna? e le viti e i vignaioli?
e mite il vento? e mattutina brezza?....
Un epitaffio lassù è stato inciso
sul petalo piccìn d’un fiordaliso:
la roccia ha preso i miei sogni e nel mare
li ha sotterrati delle sue aspre bare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì IV Settembre AD MMXV