Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Canzone-sonetto. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Canzone-sonetto. Mostra tutti i post

lunedì 3 giugno 2019

Dolce Stil-Novo MMXIX - M'è il Cuor sì pazzo al Guardo suo primiero

M'è il cuor sì pazzo al guardo suo primiero,
quand'ella incede, ed erge il capo e ride,
donde a rimirar di lei il mio pensiero
del suo fascino etesio si conquide.

Agitando allor queste fiamme infìde,
io a questa segretamente vo'; e il fiero
ardor sì è forte e acuto che m'uccide
sotto l'ombra del suo ombreggiar leggero.

Oh follia! Oh pazzia, di me cavaliero!
Né in tant'ansia la Sorte mia m'arride,
né della Notte del mio Sogno il nero
ghigno svanisce. Ed ella così irride.

Ho timor d'alzar gli occhi al suo bel passo,
pur al labbro ne manca la parola,
silenzio d'un cuor che forse ode Amore.

E qui tacendo, io so che sono lasso,
che invan parlar mi tenta questa gola...
che solo il Sogno inebria il mio ansio cuore.

Ferdinand Max Bredt, Odalisca, Orientalismo, Seconda Metà del Secolo XIX.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Sabato I del Mese di Giugno AD MMXIX.


martedì 15 settembre 2015

La mia Terra in Autunno

Terra è assetata del cuor che è mio, e - fuori - e
all’orizzonte oscuro, e - ai nembi - oh! senti? - Oh
fango? - che è il pellegrino stormo? e - a che tu muori
nei sogni miei? - E tu, nido dei miei Sentimenti, e…

e mar della quiete mia - oh! - odi? - I venti
freddi s’infuriano, e - gli ultimi tuoi fiori - e
qui, e ora al mio sguardo - li strìngon. – Lenti
gli spettri delle brume e, - i lor tenebrori - e

le spente foglie s’alzano; e - a cori
di turbini ululanti - essi fan spaventi e
ai miei sensi - or dolenti, e - ai sopori
della Notte che viene. E or - le cere pallenti

dell’alba Luna - ahi! - vèngon presto a
illuminare: e - i boschi, e - i cascinali, e i
ruscelli, e - i campi. - E il tramonto - ah! - m’è mesto! - Oh…

Oh terra! - Oh terra, senza i Temporali
della perduta estate, e - suol! - funesto, - oh
terra mia, scorgo: i cieli e, - i maëstrali, e -

in grigiòr di Destino - i funerali
delle mie querce; e - al mattìn, quando mi desto,
nel ciel un’arpa, - rostri di immigranti ali. - Oh…

oh terre immortali!
Passeggio, e - ammiro: e cere senza fine
delle montagne, e - le nebbiose cascine, - e

i pioppi fatali, - e i
freddi mulini d’acqua, e - i monti sorgivi, e -
i tuoi, oh mio cuore, lontani e, - miei – clivi, e -

voi, oh cime sepolcrali:
amo - ahimè! - i vostri e melliflui vitigni, e -
Vate vostro son io, - un canto di cigni.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XV Settembre AD MMXV

domenica 13 settembre 2015

Introspezione delle prime Piogge di quest'Autunno

Era un trillo e - era un canto, e - erano l’onde
delle sentite piogge, e - dove il cuore
mio - oh cuor! - il vento udiva, l’iraconde
foglie strillàvan, e l’autunno e il fiore

mirai: l’uno appassìr e - l’altro e bionde
frasche dei campi gridàr. E il dolore
della perduta estate e vagabonde
rondinelle io lambivo e - era un pallore

per me quest’alba, e - erano ora infeconde
di sensi le ansie, e - le cure, e - èran l’ore  
d’un mattino interrotto, e sere immonde
si seguivano; e allora un sogno or muore.

Odo così il tintinnìo e l’acque urlare,
gelo perenne nel petto mio, e - inquieto
sonno, e perduto. E tu, oh cuore, e tu, oh mare

di Sentimenti, dove andate? E mieto
io forse l’oro di altri sogni? E il grano
scialbo di foglie? E - i monti? E tu, irrequieto,

Mostro, oh Orco, spasimante nel lontano
avvenire, perché mi maledici? E…
e l’ultimo speràr m’è sempre vano!

Sento le piogge cadèr, - le infelici e
tremule frasche a seguìrle, e - l’inverno
è forse giunto; e alle incerte pendìci e

ai monti dove stetti - e ora - m’è scherno
questa Tempesta, sublime d’Eterno!

E addio, a te, oh sogno, e - a te, pioggia che cadi
tuonando e - ricordando - la mia estate, e
a te, Titàno d’un monte, che invadi

intorno i campi, e - le spighe dorate - e
a te, fatale Destino, e - a voi, oh dadi!
E queste piogge fremono infuriate….

E son io il loro Vate;
tra molti sogni distrutti del cuore:
un sogno oscuro, e – desidèrio, e - Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica XIII Settembre AD MMXV

sabato 12 settembre 2015

Pensiero di un Cuore inattuale

Non hai più, oh cuor, le concitate corti
dove potèr cantare! E
non hai più desidèri? E a che sognare? E
qui i volti assorti e

ombrosi e forti

delle nuvole in cielo, e i fiori morti
ti dissolvono. - Oh mare
d'ire e tempeste, eh! vuoi tu divorare
i miei, i miei accordi? E

i miei ricordi?

E le mie vene or stilleranno avare
foglie di pianto; - e i torti
e forse il Fato, oh cuoricino, e i fiordi -
li odi? - Oh tu, oh mare? Eh!

Vanno a gridare! Eh!

E forse sono questi i sogni muti
del tuo secreto vino,
oh cuore! E non senti? E son liuti? E

or la tua Poësia cade. - È il Destino! E
voi, miei sogni perduti,
ci siete? - E io inclino

all'ombre dello spino,
dove vanno le nebbie oscure e autunnali,
Anima morta nei ciel sepolcrali! E

addio, sogno, cui inchino,
di allegre danze, e aspetti di fanciulle,
e addio, betulle, e

e addio, a te, pellegrino
e sempre tetro e appassito, oh mio cuore,
trapassato da due urla e dall'Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XII Settembre AD MMXV

martedì 20 gennaio 2015

Le Canzoni-sonetto dell'Inverno

Gelide Immagini di Neve

Fiori e germogli e bocciòli di neve
all’erbe stanno, e a’ fieni
del campo che si dorme, e a’ monti ameni
i ghiacci, e lieve

di pallidi nevischi or sono pieni
i fonti, e ‘l ghiaccio greve
un ruscello ne copre e un’ansia pieve
d’aspri baleni,

e un cardo quel che scioglie ‘l gelo beve
in sul tramonto in speni,
e i nuvoli non son giammai sereni;
e così deve

nella Notte risplendere la Luna,
e gelido e difforme
tra’ l rivo e ‘l calle e del lupo la cuna

un freddo bosco dorme.
Ma alla tacita sera e tetra e bruna
vi son dell’orme;

e nivee sono forme
del cupo vento che infuria e che piagne
e funebre si va or pelle campagne.

Le Tinte dell’Inverno

Neve oscura e d’azzurro i cieli neri
tra’i boschi scorgo, e ‘l vento
invisibile scorre e in turbamento
va pe’i sentieri,

e l’affamato e scialbo e mesto armento
e in canti lusinghieri
indarno s’avvicina a’ bruni peri
e a un pruno spento;

e timida e in grigiore e a’ ghiacci altèri
la bruma or s’erge, e lento
uno spettro s’aggira e grida a stento
gemiti fieri.

Ma l’argento del Sole a’ nevi splende,
e ‘l glauco gelo immane
lentamente e gemendo e all’alba fende

le sue pallenti lane.
Eppure ‘l vespro or precoce s’attende -
e in luci insane;

e sònan le campane,
e pallida la selva or cade in sonno,
e meno oscure quest’ore non ponno.

La Miseria dell’Inverno

Or quando alle foreste i’ volgo ‘l passo
e l’orizzonte muto
sempre n’intendo, e ‘l ghiacciare temuto
ne copre ‘l sasso,

e quando alle betulle ‘l mesto liuto
al ghiaccio i’ accordo, e in lasso
fatto in nevi si scorre un reo salasso
da un pioppo acuto,

e qui ‘ve le riviere e ‘l rivo in basso
si tacciono, e perduto
un orno si lamenta e un sovvenuto
tremante tasso,

dell’invernal miseria omai m’accorgo,
e ‘l verno m’è una pena;
e la Morte d’intorno sol ne scorgo

dall’alba e in fin a cena.
Allora ritornando al mesto borgo
il ciel mi svena;

e un pensiero s’arena
che dappresso quest’ore e queste sere
un recordo mi dà di Primavere.

Immagini d’una Cascina in Inverno

Un rudere si giace e in sulla brina
d’intorno la risaja
infinita s’estende, e presso un’aïa
sen sta ferina.

Allora da lontano un cane abbaja,
e quei che s’avvicina
tristo ei n’avverte o al dolor lo destina
in voce gaja;

e un giorno qui ne fu un’orba cascina,
e or sol v’è pietra e gaja,
un funereo ondeggiar d’un’egra baja,
marea meschina,

e un mur cadente ‘l spaja:
tra’i licheni si giace or qui ‘l fienile,
tra l’erbe ormai selvagge ‘l pio cortile.

Così innevati e scialbi i suoi sentieri
attorno stanno e i boschi,
e alla corte ‘l passar de’i carrettieri,

e in ghiaccio i fanghi foschi.
Ma a’ muri negri e or consunti e altèri
e d’in su’i chioschi -

celere come i toschi -
or l’edera si cresce, e piove ‘l gelo
che di fiocchi compito or gronda ‘l cielo.

Immagini veriste del mio Paëse in un Meriggio d’Inverno

Passeggiando pe’i campi e pelle rive,
o Borgolavezzaro,
un pallido orizzonte or splende e caro,
e le giulive

ore e l’ombre invernali e ‘l ghiaccio amaro
van pel meriggio, e vive
un scialbo stral di Sole, e all’aure prive
ne sembra un faro.

Allor a’ rivi volgo e alle sorgive
fonti e al zampillar raro
a berne un dolce sorso mi preparo
all’acque dive.

Ma intorno desolate or le campagne
si stanno, e d’aspersorio
funebre le ghermiscon l’egre lagne

d’un corvo aleätorio,
e un spettro tra le nevi or tesse ragne
agitatorio.

Così nel stral ustorio
del fresco e scialbo Sole ‘l vespro attendo,
e ‘l ghiaccio alle foreste e ‘l gelo intendo.

Scherzo poetico - Attese di Primavera

Si giace pallida vêr l’arcolajo
una dama timida, e mesta spera
dinnanzi a un tremulo, pio focolajo
lieta nell’attender di Primavera.

Sembra sorridere. Forse la sera
quieta intende e a tessere un velo gajo
sen resta, e a spandere nel ciel la cera
or la Notte s’agita in negro sajo.

Frattanto nevica, si piove un lajo,
e la dama a tesserlo or vola, e altèra
la seta e l’òrdito ne fanno un pajo
di quest’aspri gemiti in falba schiera.

Ma regna sol gennajo,
e smorta e lugubre la dama geme,
e fors’anche esanime d’ogni speme.

Ella negl’incubi mira le viole,
i prati fioriscono e i boschi intorno,
e a’ calli splèndesi l’allegro Sole,

svelto va a rinascere e in fiore un orno;
e i gelsi e i frassini danzan carole,
siccòme si mormora un nuovo giorno.

Ma d’aspro verno ‘l corno
purtroppo ignobile sempre ne sente,
e quest’ore passano ormai più lente.

Così e dianzi al mio forno,
maniaci del cànone, plebaglia ria,
orsù, orbene ditemi: è o no Poësia?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XX Gennaio AD MMXV