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martedì 20 gennaio 2015

Le Canzoni-sonetto dell'Inverno

Gelide Immagini di Neve

Fiori e germogli e bocciòli di neve
all’erbe stanno, e a’ fieni
del campo che si dorme, e a’ monti ameni
i ghiacci, e lieve

di pallidi nevischi or sono pieni
i fonti, e ‘l ghiaccio greve
un ruscello ne copre e un’ansia pieve
d’aspri baleni,

e un cardo quel che scioglie ‘l gelo beve
in sul tramonto in speni,
e i nuvoli non son giammai sereni;
e così deve

nella Notte risplendere la Luna,
e gelido e difforme
tra’ l rivo e ‘l calle e del lupo la cuna

un freddo bosco dorme.
Ma alla tacita sera e tetra e bruna
vi son dell’orme;

e nivee sono forme
del cupo vento che infuria e che piagne
e funebre si va or pelle campagne.

Le Tinte dell’Inverno

Neve oscura e d’azzurro i cieli neri
tra’i boschi scorgo, e ‘l vento
invisibile scorre e in turbamento
va pe’i sentieri,

e l’affamato e scialbo e mesto armento
e in canti lusinghieri
indarno s’avvicina a’ bruni peri
e a un pruno spento;

e timida e in grigiore e a’ ghiacci altèri
la bruma or s’erge, e lento
uno spettro s’aggira e grida a stento
gemiti fieri.

Ma l’argento del Sole a’ nevi splende,
e ‘l glauco gelo immane
lentamente e gemendo e all’alba fende

le sue pallenti lane.
Eppure ‘l vespro or precoce s’attende -
e in luci insane;

e sònan le campane,
e pallida la selva or cade in sonno,
e meno oscure quest’ore non ponno.

La Miseria dell’Inverno

Or quando alle foreste i’ volgo ‘l passo
e l’orizzonte muto
sempre n’intendo, e ‘l ghiacciare temuto
ne copre ‘l sasso,

e quando alle betulle ‘l mesto liuto
al ghiaccio i’ accordo, e in lasso
fatto in nevi si scorre un reo salasso
da un pioppo acuto,

e qui ‘ve le riviere e ‘l rivo in basso
si tacciono, e perduto
un orno si lamenta e un sovvenuto
tremante tasso,

dell’invernal miseria omai m’accorgo,
e ‘l verno m’è una pena;
e la Morte d’intorno sol ne scorgo

dall’alba e in fin a cena.
Allora ritornando al mesto borgo
il ciel mi svena;

e un pensiero s’arena
che dappresso quest’ore e queste sere
un recordo mi dà di Primavere.

Immagini d’una Cascina in Inverno

Un rudere si giace e in sulla brina
d’intorno la risaja
infinita s’estende, e presso un’aïa
sen sta ferina.

Allora da lontano un cane abbaja,
e quei che s’avvicina
tristo ei n’avverte o al dolor lo destina
in voce gaja;

e un giorno qui ne fu un’orba cascina,
e or sol v’è pietra e gaja,
un funereo ondeggiar d’un’egra baja,
marea meschina,

e un mur cadente ‘l spaja:
tra’i licheni si giace or qui ‘l fienile,
tra l’erbe ormai selvagge ‘l pio cortile.

Così innevati e scialbi i suoi sentieri
attorno stanno e i boschi,
e alla corte ‘l passar de’i carrettieri,

e in ghiaccio i fanghi foschi.
Ma a’ muri negri e or consunti e altèri
e d’in su’i chioschi -

celere come i toschi -
or l’edera si cresce, e piove ‘l gelo
che di fiocchi compito or gronda ‘l cielo.

Immagini veriste del mio Paëse in un Meriggio d’Inverno

Passeggiando pe’i campi e pelle rive,
o Borgolavezzaro,
un pallido orizzonte or splende e caro,
e le giulive

ore e l’ombre invernali e ‘l ghiaccio amaro
van pel meriggio, e vive
un scialbo stral di Sole, e all’aure prive
ne sembra un faro.

Allor a’ rivi volgo e alle sorgive
fonti e al zampillar raro
a berne un dolce sorso mi preparo
all’acque dive.

Ma intorno desolate or le campagne
si stanno, e d’aspersorio
funebre le ghermiscon l’egre lagne

d’un corvo aleätorio,
e un spettro tra le nevi or tesse ragne
agitatorio.

Così nel stral ustorio
del fresco e scialbo Sole ‘l vespro attendo,
e ‘l ghiaccio alle foreste e ‘l gelo intendo.

Scherzo poetico - Attese di Primavera

Si giace pallida vêr l’arcolajo
una dama timida, e mesta spera
dinnanzi a un tremulo, pio focolajo
lieta nell’attender di Primavera.

Sembra sorridere. Forse la sera
quieta intende e a tessere un velo gajo
sen resta, e a spandere nel ciel la cera
or la Notte s’agita in negro sajo.

Frattanto nevica, si piove un lajo,
e la dama a tesserlo or vola, e altèra
la seta e l’òrdito ne fanno un pajo
di quest’aspri gemiti in falba schiera.

Ma regna sol gennajo,
e smorta e lugubre la dama geme,
e fors’anche esanime d’ogni speme.

Ella negl’incubi mira le viole,
i prati fioriscono e i boschi intorno,
e a’ calli splèndesi l’allegro Sole,

svelto va a rinascere e in fiore un orno;
e i gelsi e i frassini danzan carole,
siccòme si mormora un nuovo giorno.

Ma d’aspro verno ‘l corno
purtroppo ignobile sempre ne sente,
e quest’ore passano ormai più lente.

Così e dianzi al mio forno,
maniaci del cànone, plebaglia ria,
orsù, orbene ditemi: è o no Poësia?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XX Gennaio AD MMXV
 

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