Sono una nube sottile.. leggera,
uno speglio inesistente. Mi reputo_
_invisibile. Come il vento cammina
sugli anemoni.
Il presente Blog vuole riproporre un ritorno critico e ragionato della Poesia romantica e, per questo, farsi portavoce di un Neo-Romanticismo più vicino alla corrente culturale del secolo XIX. Con il titolo si vuole pensare e sognare di poter onorare i fratelli Schlegel che, con molti altri, sono i Padri del Romanticismo tedesco.
Sono una nube sottile.. leggera,
uno speglio inesistente. Mi reputo_
_invisibile. Come il vento cammina
sugli anemoni.
Penso che il vento sia il grande e più vecchio
vïaggiatore
solitario, quello
che
non può che essere invidiato e amato
perché
dovunque ha fatto il vagabondo.
E
penso che sia il mio volto allo specchio
dell’aër,
il mio sguardo al Sole e al vello
della
terra, perché sono dannato
come
costui che ha viaggiato il mondo.
Se
fossi questo vento! Saprei cosa
nasconde
l’orizzonte e l’infinito,
andrei
a parlare a un päese lontano!...
Volerei
sopra ogni vola e ogni rosa,
come
un vecchio spirito mai assopito,
vïaggerei portando Dio per mano!
Fotografia dell'Autore stesso, Fiori di Camomilla, Lunedì XXIII Maggio AD MMXXII.
Questi bei fiori hanno lo stesso incanto
del vento che li trascina e li porta
con sé - lontano - e hanno il fascino
occulto
dei lampi e delle nuvole che tanto
paiono nere. Questa è una risorta
viola che si disperde nel singulto
del primo tuono. E questo è il mio vïale,
dove i petali son precipitati
per ordire un sentiero di ombre un po’
rosee e bianche.. un sentiero come un
mare
di fiori. Gemmano ora gli illibati
rami e tremano, osservano la pioggia
che singhiozza sul prato della chiesa.
Osservo anch’io il Temporale! Ed è
sera,
e un altro fiore per terra si appoggia,
ha perso contro il vento e ora è la
resa.
Ma April mi sembra solo una chimera.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Petali sul Catrame, Sabato XXIII Aprile AD MMXXII.
Vento, che dici parole fuggenti,
dalla campagna stai alzando la sabbia.
Forse il ruggito non odi, non senti
che esce furioso e va dalle tue labbia,
forse non sai che sembri sollevare
le dune di un ermo molto lontano,
e che pieghi le ramora risorte
dall’inverno passato, e che per mano
prendi le foglie giovinette e morte
e le trascini nel tuo lungo mare,
e non sai che io sto ascoltando i tuoi
salti
sulle tegole vecchie e sopra i tetti,
su’ muriccioli e invisibili spalti
di castelli perduti e maledetti,
sulle campane che placide e calme
suonano le melodie del meriggio
e gli osanna per gli ulivi e le palme;
e non sai che vai a dondolare il riccio
di qualche ippocastano non ancora
caduto dall’inverno e vai a lambire
e a strappare gli stami e le interiora
e i petali del persico e vai a dire
suggerimenti per danzare in mezzo
alla tua voce stridula e gridii
e fischi dentro il tuo ancestrale vezzo
che fa eco a mille saluti e altri addii,
che sei un pöema della pia Natura,
un racconto di Eroi eterei e foschi,
labbi per benedire una radura
di ruggiti e silenzi, e miele e toschi…
E io al tuo respiro freddo, algido,
ottuso,
sto alla finestra e vedo il finimondo,
vedo il tuo passo e vacillo confuso,
vorrei essere te, ossia un vagabondo,
la polvere, la terra, delle carte
che svolazzano, essere la foglia,
le sabbie sopra i campi, i rami secchi,
le pietre e i sassi, andar in altra parte
come in un sogno, come una voglia,
oltre questi orizzonti sempre vecchi..
un sibilo di freschezza, un sussurro,
unisono alla Madre aria che vola,
sopra gli stecchi e l’infinito azzurro
della mia Primavera.. una parola,
una malia di un attimo divino,
verso la sera dai suoi volti oscuri.
Così in te, o vento, m’avvicino
nel regno di quei sogni imperituri.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Fiori rosei della Campagna, Martedì V Aprile AD MMXXII.
Si spegne adesso la Luna soffusa,
la
falce sorridente.. questa Luna
del
Sole dentro il mare congelato
dell’inverno
stanco.
Così
dalle spumanti onde del ghiaccio
riemergono
come sogni assopiti
le
bianche nebbie del luccichio nero
del
pomeriggio che volge alla sera
il
Destino.
Poi
si alza un po’ di vento senza più
respiro
per se stesso, senza tregua..
leggero..
leggero,
un
vento che ora quasi va ghermendo
il
mio medesimo fiato, uno schiaffo
simile
a una carezza ai miei capelli
scompigliati.
E
ritorna la nebbia ad annerire
nel
Tramonto l’orizzonte infinito.
Fotografia dell'Autore stesso, Ingresso con Archi di Alberi, Domenica XXI Febbraio AD MMXXII. |
Oh di voi ambrate Silfidi con il Sole glauco del giorno
agili
ombre danzanti, oh amiche profonde e figliuole
del
vento,
oh
incanti di fanciulle predilette all’aër devoto
che
già mi sorridete sollevando i vecchi fogliami
da
terra,
che
dai pepli sollevati dai fiati leggeri e chiassosi
i
rigonfi dei vostri tempestosi seni mostrate
agli
indiscreti occhi,
ai
desideri repressi, ai soffici sogni d’Amore,
agli
Inni afrodisiaci di rapsòdi a Erato e Adone,
ai
baci;
oh
sciami di Dee.. di Dee falbe, dentro i bei vortici,
dentro
la voce dell’etere incontestato orrido Inverno,
dentro
le nugole,
oh
inquiete, fredde carezze di mani femminee sui rami,
le
quali ghermiscono il sovvenire del melograno
che
un po’ rinasce
per
fecondare i fiori che presto Proserpina avrà,
frutto
dei vostri inguini proibiti, impudici.. amari
ma
belli,
oh
Fate delle selve che suonate l’arpa sui ceppi
fischiando
e battendo sul suolo i talloni leggeri..
leggeri,
oh
invisibili corpi d’azzurro quasi spoglio e ignudo
nell’orizzonte
sereno che mi sembra mare per viaggi
lontani
ma
che se lo disfidassi, la fronte mia alle vostre spalle
palpitando
appoggerei, sotto il vostro sguardo perplesso
d’Immortali,
ma
senza ricevere da voi né il più piccolo bacio,
né
un sorriso, ma uno schiaffo per ridere un po’ sui capelli
che
svolazzano;
oh
agitatrici insane degli Elementi agili e inquieti
come
un soliloquiare sul davanti di ultime febbri
del
verno
lungo
il ruggito d’un Satiro fattosi anch’egli, come voi, vento
perché
cerca d’impaurirvi per ghignare orrendo e maligno
come
un Orco;
oh
voi di nuovo ambrate mie Silfidi nella stagione
degli
ultimi ghiacci, or ditemi, finirà presto
la
vostra canzone?
O
la vostra Musica cesserà d’esistere e a un tratto
l’obbrobrio
del Silenzio vi vincerà col primo fuoco
di Primavera?
E il vento non ha ancora consumato
tutta l’erba che può piegare per terra,
dondolandola, né ha rinominato
ancora il suo potere che non erra
se non per un oscuro mondo, a lato
delle ramora stanche e della guerra
tra Inverno e Primavera, non ha odiato,
non ama, è solo un’Anima rubella.
Ma io sono come un fiore che ei
calpesta,
appena.. appena sollevato in alto,
ma con i piedi fermi dentro il suolo.
E mi sembra che ei sia come tempesta
che annienta le difese del mio spalto,
finché nel cuor non mi sia freddo e duolo.
La bora e il mare un giorno litigarono.
“Io trascino i vascelli” disse il
vento.
“Senza di me non sono” disse il mare,
“Tu menti!” urlò la bora “Sei bugiarda!”
gridava il mare;
e anche gli altri Elementi si divisero:
il fuoco diede ragione alla bora,
la terra al mare, la sabbia a nessuno,
gli scogli a entrambi, e le Sirene
tacquero.
Poi ecco! un mattino Dio chiamò l’Inverno:
“Va’ e nel mio nome poni fine a questa
contesa!” disse; e l’Inverno ubbidì, ei
soffiò dall’Alpe una burrasca fredda:
il ciel si fece grigio, il gelo urlò
dappertutto, la bocca delle vette
liberò la valanga in odio al Sole.
Tutto gelò: la bora diventò
neve, il mare fu ghiaccio, aspra la
terra,
il fuoco si lamentava e si spense,
impararono dentro l’acque gelide
a pattinare le Sirene fredde,
gli scogli erano colmi di ghiacciai,
la sabbia un freddo tremendo soffriva.
“Perché non ti ho ascoltata?” disse il
mare,
“Avevi ragione!” disse la bora:
oramai non ci sono più i vascelli,
non c’è più il mare, non c’è più la
bora,
ma tutto è ghiaccio. Ora stridono i denti.
Quando i lampi si intrecciano alle nuvole
come ellera che si arrampica ai muri,
quando come eco.. come grido di ugole
tuona una belva dagli Abissi oscuri,
quando sommessamente urla la pioggia
nera che cade saltellando a stento,
quando alle vecchie ramora si appoggia
lo schianto orrendo e selvaggio del vento..
io mi beo.. e del Temporale osservo
il divenire eterno e misterioso
ramificato in ogni vena e nervo.
Poi un lampo allumina il cielo furioso.
Sono l’Anima allegra che fa festa
nel vortice fatal della Tempesta.
Dipinto di Kazimierz Stabrowski (1869–1929), Fiordo norvegese, Tardo-Romanticismo, Realismo paesaggistico polacco, 1928. Olio su Tela. National Museum, Varsavia. |
Pallido assillo -
i rami suonano campane.
Impiccato al vento
un raggio di Luna.
Dipinto di Elias Pieter van Bommel (1819-1890), Chiaro di Luna in un Paesaggio invernale presso Amsterdam, Romanticismo, Realismo olandese, 1883. Olio su Tela. Collezione privata.
È come una carrozza il vento. Porta,
infatti, come un viaggiatore esperto,
a passeggiare l’Amore dei fiori
immacolati:
la campanula bianca col cappello
che vola, leggermente al collo il
laccio
disciolto,
e il rododendro, figlio delle vette..
delle vette sublimi, dove l’aquila -
la vittima futura designando -
regna sui vecchi Abissi.
Oh che bel viaggio!... E io, d’altra
parte,
lo vedo.. con le pupille nascoste
nel riverbero incauto delle nuvole..
e va.. e va.. e va lontano
che a seguirlo ora m’è fatica e speme,
fino dove lo attende un’altra Vita,
forse per la prossima Primavera.
Dipinto di Franz von Stuck (1863-1928), Paesaggio nella burrasca, Impressionismo, Espressionismo, Simbolismo tedesco, 1920 circa. Olio su Tela.
Mi sembrò un ringhio, un Temporale atroce
con tante fiamme orrende, i tuoni
destrieri sulle maree delle nuvole
ove persero il Nord gli stormi incauti.
Mi pareva un naufragio desolato..
“Tenetevi alle sartie! Al mare l’àncora!”,
e il vento, sbuffo dei folli Elementi -
lo sentivo - gridava come un diavolo..
gridava le bestemmie delle menti
perdute nel suo abbraccio di veleno,
come alla malia di una meretrice
da taverna: “Pagate più orge, oh
clienti!”.
Mi sembrò tutto il cuore.. il cuor
umano:
i lampi a terra.. e gli aneliti al cielo.
Quadro di Joseph Mallord William Turner (1775-1851), Un Disastro in mezzo al Mare (A Disaster at Sea), Romanticismo, Pre-Impressionismo inglese, 1835.
Tu che ora mi trascini, tu che gridi
con le fauci di un Mostro che divora,
come aëre selvaggio e triste e bieco,
tu, figlio della Tempesta e del Nulla,
gomitolo di urla e di soffi e di
doglie,
tu, di rami e fogliami il rapitore
che corre in un istante vie infinite,
tu, parole d’un folle.. oh vento, sei!
E mi richiama il tuo ghigno di beffa,
e mi impaurisce la tua via che vola,
come un sentir d’inquietudine amara.
Poi, però, la tua possa si corrode,
tornano ferme le querce che hai mosso;
ma io mi specchio con te, nella tua assenza.
Quadro di Johann Heinrich Füssli (1741–1825), Le tre Streghe, Pre-Romanticismo, Romanticismo svizzero-tedesco, 1783.
Lo so che ormai in cerùlea ombra d'Aprile
ci son tante giornate
in mezzo al vento,
come scie di
soffioni, Anime grate
inquiete posano a
terra, sul caldo,
e la conta facendo di
passanti
senza uno sguardo,
nasconde la femmina
Notte il Mistero
della Luna scialba,
il patimento di tutte le stelle.
Quadro di Gaetano Previati (1852-1920), Il Ritorno delle pie Donne, Scapigliatura, Tardo-Romanticismo, Post-Impressionismo, Divisionismo italiano, 1910.
E mi trascina questo vento insano,
dei
monti alito forte oltre il perenne
ghiaccio,
ferocemente palpitando,
come
d’un Mostro le fauci selvagge
figlie
di un regno di ombre incatenato,
il
presuntuoso Ade, donde ragli
salgono
dell’Arpie e dell’altre genti,
servi
profani d’un rito di Morte,
per
cui gelando il cuor commetto al vago.
Io
so che porta il vento tanti fiori,
che
piovono i capelli i salci al mio
passeggiar
nel meriggio solitario
e
che la Primavera si risveglia.
Io
so che il melograno già feconda
il
bacio della terra e il biancospino
e
che intreccia corone il pesco al cielo,
con
i suoi occhi rosati e le sue ciglia
appena
falbe, come son le nuvole.
So
che alza i vestimenti delle dame,
un
po’ le gonne, a discoprire i volti
pudici
delle caviglie sottili,
al
nudo corpo delle ninfee assorte
l’occhio
a indirizzar seguitando eterno
nel
torneamento d’una ridda in miele.
Ma
questo vento - è solo vento e nulla! -
nell’incanto
sublime della Vita
agile
cocchio trainando nell’aër,
mi
ricorda che son ossa di fango.
Nel cuor mi cape profonda paura.
Quadro di John William Godward (1861-1922), Paesaggio con Fioritura del Mandorlo dai Fiori rossi, Neo-Classicismo, Accademismo, Simbolismo inglese, Scuola dei Preraffaelliti, 1912.