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lunedì 14 febbraio 2022

Alle Napee

Oh Napee, dolci Napee, come placide

fanciulle, promettete oggi la neve

bianca: il cielo è ingrigito, chioma vecchia

dell’inverno e minaccia la bufera

il vostro labbio al bosco prominente

in sul Parnaso! Oh Napee dispettose,

dispettosette, piccole figliuole

dell’Arcadia! Oh Napee, incipriate, dunque,

la terra addormentata! E riportatemi

nell’immenso del buio del pomeriggio

il lamento devoto della cetera

d’Orfeo!

Dipinto di Gerard van Honthorst, conosciuto anche come Gerrit van Honthorst (1592-1656), Il Concerto, Tardo-Rinascimento olandese, 1623. Olio su Tela, Dimensioni 123,5x205 cm. National Gallery of Art, Washington D. C. (Stati Uniti d'America).
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì XIV Febbraio AD MMXXII.

giovedì 2 settembre 2021

La Vestale

I. Dimmi, oh vergine, quanto è il tempo ancora

del fuoco sacro, quando l’alimenti

con la tua bianca veste e che la mora

 

Notte allumina, sacra agli Elementi,

oh invisibile Dea e ampia gioventù,

donde in cuor oblii i sorrisi gaudenti

 

de l’età verginea!... Di’ quel che fu,

Sibilla amata, ai reconditi Abissi,

e che era un giorno e non sarà mai più..

 

tu, con gli occhi di cera e persi e fissi

oltre l’arcano dei vecchi orizzonti

e oltre l’Appia dai scarni crocefissi,

 

come uno sguardo nel vacuo avvenire.

Ma è una parola sola ed è Morire!

 

II. Tu passi e credi… Non vedi il mio sguardo,

non senti il mio occhio che forse indovina

dal peplo il fior del seno malïardo,

 

è il giovine tuo petto che trascina

nascosto avvinto, svelato bramoso,

che all’aër si erge della tua mattina

 

in un lieve sospiro rigoglioso,

come un incanto di terra straniera,

d’Amor ignaro, l’Egitto sabbioso..

 

e tu mi sembri una Dea lusinghiera.

Sei forse tu Pandemia che alle tube

dei Cesari festanti a’ la preghiera

 

volgi di chi ti chiama, oh dolce nube,

come illibato ventre o come pube

 

III. di non detti pensieri?... Ma nasconde

il tuo velo mistero assai profondo.

Folle! Oh, folle! Potrei io veder le onde,

 

forse, primigenie del rubicondo

arcano della Vita? No!... Chi sei?...

Cosa mi chiude questo vagabondo

 

tuo corpo? Sei forse tu Mâyâ, agli Dei

empio velame bramato.. sprezzato

che, sempre ai caldi baci e agli imenei

 

fuggendo, il triste sorregge lor Fato

e la menzogna e l’apparir di tutto,

con il tocco leggero del tuo fiato?...

 

E ora m’appari vestita di lutto.

Chi è morto?... Ormai impazzisco.. ora il tuo frutto

 

IV. di vergine languore mi richiama,

come una vecchia impronta di follia,

tu donna.. tu Vestale, orrida brama..

 

su’ forza, al fuoco! Tu, che sei malia

per le are oscene della Notte-Roma,

dalle labbia violate in sulla via,

 

non sacerdotessa, ma schiava doma:

domata dai miei baci, dal mio dire,

dal tuo cuore di vecchio ottuso automa..

 

e poi?... E poi?... Ancora quel detto, “Morire!”,

tornar nel ventre di terra-fanciulla,

nascere.. nuovamente.. e poi?.. Languire.

 

Ma in un sepolcro di pietra e betulla

tu riveli il Mistero: il Nulla!... il Nulla!

Dipinto di Vittorio Matteo Corcos (1859-1933), La Vestale, Accademismo, Neo-Classicismo, Classicismo italiano, 1900 circa. Olio su Tela. Collezione privata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì II Settembre AD MMXXI.

Ode a Ebe

I. Ebe, da quanto inebrïante fiore

a me non versi nell’orlo del caldo

calice! E quanto manca il tuo languore,

 

discorrer dolce al venir dell’araldo

d’Autunno, allor che s’ammala la foglia

di oro diafano, mentre cade al baldo

 

richiamo della terra! E quanta doglia,

e com’è dura di tua assenza il mio

meriggio, quando di te fatal spoglia

 

agli Olimpi ritorna! Oh Ebe, forse oblio

è questo, il tuo, delle mie vecchie labbia,

donde - ignorata sovente - il reo espio

 

ordito Fato, come ombra su sabbia

lungo la sera! O forse è la tua rabbia

 

II. che proïbisce a te versarmi il mosto

della prima vendemmia! Ah, come fui

empio con la giovine tua età, Agosto

 

ribollente all’Egeo, dove colui

cadde che volle volar con la cera,

il Destino disfidando e gli imi bui,

 

come volando al pensier la mia sera

sfido. Ma manca il tuo braccio, il tuo seno,

il tuo sorriso, luce a una scogliera

 

infinita; e gli Dei ora servi, fieno

di auree gocce versando.. e sorridi,

né sanno essi che quel vino è veleno,

 

è un Sogno, la giovinezza che a lidi

lontani volge, donde li conquidi.

 

III. Oh Ebe! Che feci io al tuo corpo di Dea,

ai tuoi fianchi nel peplo stretti e avvinti,

quando di ber la tua man ben mi fea

 

il sacro invito? Che dissi agli estinti

fior dei tuoi capei, ambite gemme d’oro

in trecce avvolte, quando i tuoi discinti

 

veli a me versavano in flebil coro

il sangue ebbro dei tralci in gliconei

che maturò nel lungo Termidoro?...

 

No, Ebe! Amata Ebe! Maledissi i miei

anni e bevvi altri liquori e altri tralci,

come fossi il più folle tra gli Dei.

 

Ma ora che sento il sibilo di falci,

or che Settembre il pianto ai vecchi salci

 

IV. toglie.. e vedo le prime foglie smorte,

e le ramora farsi come ignude -

le Naiadi agli effluvi delle assorte

 

sponde - ora che discioglie Erato crude

parole, io a te ritorno onde sconvolto

chiedo pietà, anche se questa m’illude

 

ambita speme. No! Non è il tuo volto!

Chi sei tu? Quanto tempo ha ribattuto

le sue ale terrificanti? Chi ha tolto

 

gli Olimpi alle tue guance? Chi ha perduto

i tuoi stral immortali da Afrodite

un giorno benedetti? E io al mio laùto

 

mestamente ti considero, oh mite

Ebe! né riconosco le appassite

 

V. tue forme, né questi occhi vitrei specchio

del Sole che tramonta oltre le cupole

del firmamento, sul suo carro vecchio,

 

in un riverbero.. là, tra le nuvole

buie e cilestrine, a un moribondo

simile; né più infiammi le secche ugole

 

i calici riempiendo e il furibondo

orlo. Ma tu e io restiamo come spenti,

l’un all’altra tacendo… E tace il mondo,

 

tace l’Olimpo, covo di serpenti..

tu e io, figli del Parnaso e del Destino;

e intanto soffiano.. e soffiano i venti

 

di una Tempesta senza nome, albino

sguardo di lampi estremi.. e il lëonino

 

VI. ventre di Notte comune ci chiama.

No, Ebe! Ora chiudo gli occhi, sono solo,

come un ramo che invecchia e che non brama

 

altro che riposare nell’assolo

d’Autunno! Sì.. ho päura, oh Dea! Ho päura!

Perché ormai come un mesto usignuolo

 

dissolvermi attendo nel buio, alla Luna

cantando senza stelle… E tu lontana

e vecchia e spenta sei, né la Natura

 

le tue vendemmie infiora. Ma mi è vana

questa Vita distrutta ove mi giacio.

Pur ci avvince perenne possa arcana,

 

la possanza persistente di un laccio, tra

me e te un fior, un Sogno, un ultimo bacio.

Scultura di Antonio Canova (1757-1822), Ebe, Neo-Classicismo italiano, 1800-1805. Scultura in Marmo bianco. Museo statale Ermitage, San Pietroburgo.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì II Settembre AD MMXXI.

domenica 11 luglio 2021

Ode pindarica all’Estate

Di vampa d’oro m’è il giorno d’Estate

e il suo sorriso. Andate

oh frequenti disii sopra i bei campi

e rischiarite il mio orizzonte falbo

con un nuvolo scialbo

con un ritorno di leggeri lampi..

 

con il Mistero del vostro orizzonte,

con la vostra alta fronte,

con i piccoli fiocchi dei soffioni

che volano per la campagna al Sole

sur d’un campo di viole

sotto il volo dei ceruli rondoni!...

 

Oh Estate, amica mia e rival sì balda

dalla tua guancia calda

dalle tue labbia odorose di foglie

bagnate al primo urlar del Temporale,

dalle tue implacate ale

che la bocca del vento e bacia e coglie,

 

come leggera fiamma nell’Ignoto

al qual io sto devoto,

ti ho narrato i disii del cuore mio,

dimmi tu dove corri dove voli

dove sono i tuoi assoli,

dimmi di che sembianze è il tuo disio!

Quadro di Thomas Gainsborough (1727-1788), Riva del Mare con Pescatori, Paesaggistica inglese, 1781-1782. National Gallery of Art, Washington.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica XI Luglio AD MMXXI.

lunedì 22 marzo 2021

Sonetto - Salve a Te, Primavera, dalle Viole

Salve a te, Primavera, dalle viole

delicate sul braccio del tuo seno!

Quanto mi giova il tuo peplo in sul Sole,

e le tue vie serene, e quel del fieno

 

dai campi olezzo di Vita, parole

di sciami vagabondi sul veleno

dei tuoi fiori!... Oh, che fiori! La tua prole

feconda, che a nascer più non ha freno.

 

Splendonmi i nembi nel lontano quarzo

d’un lago, speglio di un Sole più attento

a prolungarne il Tramonto d’intorno.

 

Dunque mi luce il meriggio di marzo,

come risuona floreale il vento…

E m’è tutto un mandorlo in fiore il giorno.

Dipinto di Sir Lawrence Alma-Tadema (1836-1912), Primavera, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Simbolismo anglo-olandese, Scuola dei Preraffaelliti, 1894.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì XXII Marzo AD MMXXI.

martedì 16 marzo 2021

Giornata di Vento

E mi trascina questo vento insano,

dei monti alito forte oltre il perenne

ghiaccio, ferocemente palpitando,

come d’un Mostro le fauci selvagge

figlie di un regno di ombre incatenato,

il presuntuoso Ade, donde ragli

salgono dell’Arpie e dell’altre genti,

servi profani d’un rito di Morte,

per cui gelando il cuor commetto al vago.

Io so che porta il vento tanti fiori,

che piovono i capelli i salci al mio

passeggiar nel meriggio solitario

e che la Primavera si risveglia.

Io so che il melograno già feconda

il bacio della terra e il biancospino

e che intreccia corone il pesco al cielo,

con i suoi occhi rosati e le sue ciglia

appena falbe, come son le nuvole.

So che alza i vestimenti delle dame,

un po’ le gonne, a discoprire i volti

pudici delle caviglie sottili,

al nudo corpo delle ninfee assorte

l’occhio a indirizzar seguitando eterno

nel torneamento d’una ridda in miele.

Ma questo vento - è solo vento e nulla! -

nell’incanto sublime della Vita

agile cocchio trainando nell’aër,

mi ricorda che son ossa di fango.

Nel cuor mi cape profonda paura.

Quadro di John William Godward (1861-1922), Paesaggio con Fioritura del Mandorlo dai Fiori rossi, Neo-Classicismo, Accademismo, Simbolismo inglese, Scuola dei Preraffaelliti, 1912.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì XVI Marzo AD MMXXI.

sabato 13 marzo 2021

Sonetto senza Rime - Ho sentito suonare un Fato avverso

Ho sentito suonare un Fato avverso

e so che le guardiane del Destino,

le Parche orrende, sulla triste terra

infeconda versando duolo, l’orrida

 

aspa recidono, essendone fiere.

Come è breve la Vita!... è un capello

di vecchiaia perenne, sorso a Cerbero,

dell’ombre di Ade sublime custode;

 

e quando spegnesi, è un verme che soffoca.

Così vedo le Erinni che, vagando,

vanno coi teschi - il sangue a riversare

 

come pallido latte dal lor seno…

e batte infino ai Sogni - il sorriso igneo

di Efesto, mentre lo tradisce Amore.

Quadro di John Melhuish Strudwick (1849-1937), Un Filo prezioso, Tardo-Romanticismo, Simbolismo inglese, Scuola dei Preraffaelliti, Olio su Tela, 1885.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Sabato XII Marzo AD MMXXI.

lunedì 22 febbraio 2021

Allegoria della Primavera

Ripeterò sedendo i canti eterei,

oh ventre della terra che germoglia

fiori di melograno e che, inclinando

alla Vita nascente, i suoi venerei

occhi a me ora commette! E la tua doglia,

di begli incensi tergendo, onorerò

al venir primo del fiore più fulvo,

dalle candide spume un giorno nato

dei vecchi ghiacci, come un tempo so

che Dea nascea Afrodite dalla culla

degli Abissi profondi, il sacro Fato

dell’Amore sublime a stabilire,

quando la terra agli Dei si fea sacra.

Oh docile fanciulla dai dorati

piedi, che danzi per ogni desire

del verno trionfando la nebbia acre!

In te riscopro la beltà vitale

delle stagioni infinite e continue..

il dolce canto dell’umana Sorte,

un lago di ninfee, un cielo d’opale,

riscopro i fiori, le ossa della Morte.

Quadro di Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, ovvero, Sandro Botticelli (1445-1510), La Primavera, Rinascimento fiorentino, 1478-1482.

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì XXII Febbraio AD MMXXI.

domenica 21 febbraio 2021

Elegia in Esametri barbari - Inno alla Primavera

È triste attendere.. sognar forse è d’uopo: il risveglio

di una nuvola di fiori. Lasciatemi! il verno ritira

 

le sue orde selvagge, le nebbie innalzando dai smossi

campi, simile ai fumi di pugne lontane e meschine…

 

Ma d’intorno m’è suono tuttora il silenzio degli attimi

che alla membranza scorrono delle nevi glauche e irridenti.

 

Solo dei battiti d’ale distruggono questi silenzi..

e poi, nuovamente, non sento più nulla, soltanto

 

il ricordo delle vecchie tormente… E tintinnano le ore,

e si susseguono i giorni, e lagrima d’acerbo dolore

 

il mio occhio. Pur non risveglia dagli Inferi il mistico patto

di Cerere la vergine fanciulla rapita dall’Orco,

 

la qual inorridisce pallendo al sentirsi di nuovo

gli artigli del bruto ghermirle la giovine pelle

 

sui fianchi bramati. - E io so che l’Inferno è più dolce

d’una fiamma di ghiaccio che brucia la mano ai suoi tocchi

 

e che dal talamo di Ade, l’imeneo sprezzando, la Dea

attende che la terra sia baciata da iri di Sole.

 

Frattanto m’è orrendo e triste l’inverno che rugge a Febbraio..

e, nell’attesa ansiosa della mia Primavera amata,

 

continuo a sognare. Sogno: sul pelago - sacro alla Ninfa -

conto i petali secchi dei fiori raccolti nell’attimo

 

in cui svelse il rapimento l’oscuro signore dell’Ade.

Vorrei intrecciare, dunque, la ghirlanda al peplo sepolto

 

della Dea. Vorrei chiamare, risvegliare il suo sguardo insonne,

e dire al primo fiore che mi dà gentile: “Sei mio!”.

 

Ma sarebbe un bellissimo fiore che dalle ombre è salito

dal regno più buio. La Vita è un rigurgito di Morte.

Quadro di Gabriel Charles Dante Rossetti (1828-1882), Proserpina, Scuola dei Preraffaelliti, Tardo-Romanticismo inglese, 1874.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica XXI Febbraio AD MMXXI.