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martedì 8 novembre 2022

Sonetto - Ebe. Alla Gioventù

Vorrei mirarti dolcemente spoglia,

discinta o ignuda, dolce e silenziosa

con un morbido vel sulla tua rosa

e tra i capelli un serto d’ogni foglia.

 

Vorrei vederti uscir da tanta voglia

languida, maledetta.. dolorosa

come una Dea fatal, come una sposa,

e servire del mosto a  questa soglia.

 

Vorrei guardare la tua schiena greca,

i piedi ignudi, la tua danza mossa,

il tuo sorriso impudico e sereno.

 

Ma mentre osservo il cuor dentro il tuo seno,

senso di gelo mi percuote l’ossa:

non m’hai servito, Ebe! Oh gioventù cieca!

Dipinto di Hilaire Germain Edgar Degas (1834-1917), Il Foyer della Danza al Teatro dell'Opéra (Le Foyer de la Danse à l'Opéra de la Rue Le Peletier), Realismo, Accademismo, Pre-Impressionismo, Impressionismo francese, 1871-1872. Olio su Tela, Dimensioni 32,0x46,0 cm. Collezione presso il Musée d'Orsay, Parigi (Francia).
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Martedì VIII Novembre AD MMXXII.

lunedì 10 ottobre 2022

Ode anacreontica - Vanità

Vanità degli spegli

sempre ti afferra il seno,

come orrido veleno,

negletta gioventù.

 

È tempo delle nebbie,

dell’Autunno, di Ottobre,

Vanità ti ricopre,

quel che fosti or non più.

 

Piangi su guance bianche,

disfiora le tue rose,

il vero ti nascose

quel tempo che già fu.

Dipinto di Sir Frank Bernard Dicksee (1853-1928), Lo Specchio (The Mirror), Tardo-Romanticismo, Accademismo, Pre-Simbolismo, Simbolismo inglese, Epoca Vittoriana, Scuola della Confraternita dei Preraffaelliti, 1896. Olio su Tavola, Dimensioni 95,3x118,1 cm. Collezione Privata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì X Ottobre AD MMXXII.

lunedì 18 ottobre 2021

Madrigale senza Rime in Esametri barbari - A Ebe

Ebe, ora maturando la vite tua mesci ai miei giorni;

ma immensa è la mestizia del nostro autunnal ricovero,

immenso è l’orizzonte che lagrima foglie per terra:

 

io lo osservo, anche tu lo osservi, ci fa lagrimare per ore,

e quel brivido freddo - lo senti? - e quel lùcer di nebbie

e questa inanità tremenda e fatale e lo speglio

 

degli stagni perplessi… Sto invecchiando amata mia Dea!

Va’.. fuggi, torna agli Dei! Naufraga il mio cuor che urla Amore.

Fotografia dell'Autore stesso, Autunno si specchia allo Stagno, Lunedì XVIII Ottobre AD MMXXI.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì XVIII Ottobre AD MMXXI.

venerdì 15 ottobre 2021

Sonetto - Planando scivola il Cader di Foglie

Planando scivola il cader di foglie,

sento che corrono a invecchiare, vanno

a terra.. cadono, e all’ultimo affanno

mi chiamano per nome; e il cuor le coglie


e le pone sul petto, come spoglie

di una guerra feroce che non hanno

più vita ma sol pallidità e danno,

anime spente tra orribili doglie.


Allor ti chiamo anch’io, Autunno, che vieni,

io sono un’altra foglia pe’ il tuo altare,

un altro essere che erra verso il verno.


Così ti mostri e con me parli e ceni,

io altro non son che un non vissuto mare,

donami almeno tu l’Amore etterno. 

Dipinto di Edmund Blair Leighton (1852-1922), Mia bella Signora (My Fair Lady), Tardo-Romanticismo, Pre-Simbolismo, Accademismo, Medievalismo inglese, Confraternita dei Preraffaelliti, 1914. Olio su Tela, 170,6x110,8 cm. Collezione non precisata.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì XV Ottobre AD MMXXI.

giovedì 2 settembre 2021

Ode a Ebe

I. Ebe, da quanto inebrïante fiore

a me non versi nell’orlo del caldo

calice! E quanto manca il tuo languore,

 

discorrer dolce al venir dell’araldo

d’Autunno, allor che s’ammala la foglia

di oro diafano, mentre cade al baldo

 

richiamo della terra! E quanta doglia,

e com’è dura di tua assenza il mio

meriggio, quando di te fatal spoglia

 

agli Olimpi ritorna! Oh Ebe, forse oblio

è questo, il tuo, delle mie vecchie labbia,

donde - ignorata sovente - il reo espio

 

ordito Fato, come ombra su sabbia

lungo la sera! O forse è la tua rabbia

 

II. che proïbisce a te versarmi il mosto

della prima vendemmia! Ah, come fui

empio con la giovine tua età, Agosto

 

ribollente all’Egeo, dove colui

cadde che volle volar con la cera,

il Destino disfidando e gli imi bui,

 

come volando al pensier la mia sera

sfido. Ma manca il tuo braccio, il tuo seno,

il tuo sorriso, luce a una scogliera

 

infinita; e gli Dei ora servi, fieno

di auree gocce versando.. e sorridi,

né sanno essi che quel vino è veleno,

 

è un Sogno, la giovinezza che a lidi

lontani volge, donde li conquidi.

 

III. Oh Ebe! Che feci io al tuo corpo di Dea,

ai tuoi fianchi nel peplo stretti e avvinti,

quando di ber la tua man ben mi fea

 

il sacro invito? Che dissi agli estinti

fior dei tuoi capei, ambite gemme d’oro

in trecce avvolte, quando i tuoi discinti

 

veli a me versavano in flebil coro

il sangue ebbro dei tralci in gliconei

che maturò nel lungo Termidoro?...

 

No, Ebe! Amata Ebe! Maledissi i miei

anni e bevvi altri liquori e altri tralci,

come fossi il più folle tra gli Dei.

 

Ma ora che sento il sibilo di falci,

or che Settembre il pianto ai vecchi salci

 

IV. toglie.. e vedo le prime foglie smorte,

e le ramora farsi come ignude -

le Naiadi agli effluvi delle assorte

 

sponde - ora che discioglie Erato crude

parole, io a te ritorno onde sconvolto

chiedo pietà, anche se questa m’illude

 

ambita speme. No! Non è il tuo volto!

Chi sei tu? Quanto tempo ha ribattuto

le sue ale terrificanti? Chi ha tolto

 

gli Olimpi alle tue guance? Chi ha perduto

i tuoi stral immortali da Afrodite

un giorno benedetti? E io al mio laùto

 

mestamente ti considero, oh mite

Ebe! né riconosco le appassite

 

V. tue forme, né questi occhi vitrei specchio

del Sole che tramonta oltre le cupole

del firmamento, sul suo carro vecchio,

 

in un riverbero.. là, tra le nuvole

buie e cilestrine, a un moribondo

simile; né più infiammi le secche ugole

 

i calici riempiendo e il furibondo

orlo. Ma tu e io restiamo come spenti,

l’un all’altra tacendo… E tace il mondo,

 

tace l’Olimpo, covo di serpenti..

tu e io, figli del Parnaso e del Destino;

e intanto soffiano.. e soffiano i venti

 

di una Tempesta senza nome, albino

sguardo di lampi estremi.. e il lëonino

 

VI. ventre di Notte comune ci chiama.

No, Ebe! Ora chiudo gli occhi, sono solo,

come un ramo che invecchia e che non brama

 

altro che riposare nell’assolo

d’Autunno! Sì.. ho päura, oh Dea! Ho päura!

Perché ormai come un mesto usignuolo

 

dissolvermi attendo nel buio, alla Luna

cantando senza stelle… E tu lontana

e vecchia e spenta sei, né la Natura

 

le tue vendemmie infiora. Ma mi è vana

questa Vita distrutta ove mi giacio.

Pur ci avvince perenne possa arcana,

 

la possanza persistente di un laccio, tra

me e te un fior, un Sogno, un ultimo bacio.

Scultura di Antonio Canova (1757-1822), Ebe, Neo-Classicismo italiano, 1800-1805. Scultura in Marmo bianco. Museo statale Ermitage, San Pietroburgo.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì II Settembre AD MMXXI.

venerdì 5 ottobre 2018

Il Lamento dell'Airone solitario

Oh come solitaria è la campagna!
Come dormono i campi appen mietuti!
Come il silenzio profondamente urla
nell'eco alterna di muti singhiozzi
da' boschi, dal ruscello, e dall'Arbogna
di fuggevoli rondini e pettirossi!....
Fuggite, oh voi! declamo, verso l'Africa
e gli eremi selvaggi, oh viaggiatori
delle vette più incognite del cielo...
fuggite! e qui lasciatemi così
mutevolmente solitario e mesto,
talvolta desiderato da' Sogni!
Lasciate la mia povera ombra oscura;
e far memoria non osate, oh piume,
di me, del pianto che sotto di voi
sovente esprimo, le làgrime amare
a stento trattenendo! E mentre errando
scorro nel regno vostro di rami e ale,
la Gioia cercando per gli stagni ornati
di cotante appassite e vecchie tife
e remiganti ninfee naufraganti
nel mio occhio avvezzo all'Autunno ruggente,
e mentre chieggo al Fato un po' di pièta,
a esser meco men crudel e men tremendo,
e mentre Sogno, oh! trattenetemi, Anime
vagabonde, nel flebile tramonto
a cui cantate, perché io possa a voi essere
testimone del vostro sonnecchiante
ultimo sonno in codeste pianure,
come voi siete ombre sopra la mia
solitudine odiata! E maledite
il mio Destino! Fate che sia mònito
a' Sognatori! E poi volate via!....
Oh come solitario m'è rimasto
dipinto con il sangue della sera
e della Notte con l'inchiostro amaro
del vecchio iris il mio campo preferito!
Come dure mi sono e ben sgradevoli
le stoppie del granoturco, e le ripe,
e le risaie prosciugate e mietute,
le quali si riposano attendendo
un lontano versorio di fatica
e di tormento! Come invecchio agli occhi
d'una mai colta Vita! E come tremo!....
Io... al centro delle fanghiglie... io, al centro
d'un campo, con il becco vergognoso
nascosto nelle mie ale... io solitario
nel vacuo spazio d'immane orizzonte...
con le zampe affogate in freddo fango...
io, che sento d'intorno rimbombar
gli ultimi spari della nuova caccia....
Oh! Potessero almeno seppellirmi
le tue mani, oh Gioia, che m'ignori e taci,
quando diman troverai camminando
un airone defunto, il cui sembiante
muta canzone ne canta per te!
O potesse un tuo bacio ridonarmi
quella Vita che questo oscuro Autunno
con i miei Sogni m'ha portato via!....
Ma la Notte sovviene... urla... ed è truce!
La Notte mi divora.

Marcus Stone, Luna di Miele, Tardo-Romanticismo e Simbolismo inglese, Seconda Metà del XIX Secolo


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Venerdì V del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.