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mercoledì 2 maggio 2018

OMBRE

Ombre furtive tra il piòver sen vanno,
e dìcono a maggio:
"Forse spegneste voi il cero de' i nùvoli,
il Sole!".
E appena dopo svanìscono. È tardi;
e i miei occhi non scrùtano
la Luna bianca,
né le lontane vette e l'alte pietre,
né questo caro sorriso di Vita,
né quel mellifluo fiòr che vibra e sogna,
e che saltella,
Amòr.
E quando suona del primo rosario
l'Ave, e come a me l'eco la riporta,
e mentre piove,
così mi pingo in solitario éremo;
e in questa steppa assente ci sono io...
io, e il Nulla.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì I del Mese di Maggio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

giovedì 29 marzo 2018

La Brevità della Vita

La Primavera è l'ìncubo de' i bardi,
lo sai, arpa mia?.... Che canti? e cosa suoni?
Irredente menzogne, forse, e biechi
latrati... urla terrìbili e meschine.
La Vita è breve!
Le sue tante Tempeste mùggon tuoni,
l'iri si spegne de' i nùgoli ciechi,
e la rosa d'Amòr è ordita in spine;
e non è lieve
la terra che ogni mattina sprofonda
su' Sogni e spemi, Desideri e brame,
e che il Sole conduce a brillàr, fuoco
che un àttimo perdura,
e dopo muore, fiamma vagabonda,
che ovunque in cuòr ne sente attese e fame
per quel che vive, tristemente poco,
la sua Natura.
Òrridi spettri! che mescete il vino
della mestizia fùnebre, e sue ghirlande,
orme di Villi, oh vèrgini insepolte
d'in su' il fàr del bel tàlamo fremente,
breve è il sospìr
che a noi concede - e a voi - eterno Destino,
il qual sua negra spira empio ne espande
dal giorno della culla all'empie volte
del tàcito sepolcro appariscente
ove dormìr
gli ùltimi Sogni!.... Addio!.... E vièn la Pasqua!



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XXIX del Mese di Marzo dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

giovedì 22 marzo 2018

L'Airone di Primavera

Oh àiròne... àiròne! Nel tuo fango
è forse Primavera a germogliàr
felice! e i semi de' i campi ti nùtrono
a' cespi spogli, ma presto rigogliosi
di viòle. Così t'osservo e penso!
Ma la Vita... la gioia... l'ardòr cos'è,
oh scrutatòr de' l'orizzonte arcano?....
Un soffiòne... un soffiòne al vento.

Oh àiròne... àiròne! Pe' il tuo strìdulo
canto si inoltra la fame tua invitta....
Perfida, eterna rivàl è questa fame,
che il Tutto avvince: l'Essere e il Vivente,
l'impulso che ci spinge a gèmer sempre;
e speme, e Sogno, l'incubo e l'Amore,
e la contentezza, e il diletto, e il piacèr,
che sono se non vìttime del vento?....

Oh àiròne... àiròne! Ma perché
vedendo te io dispero in questa terra
che mi rimembra l'orìgine mia?....
Come te, infatti, io sòn Natura e fame,
e ho l'Anima che è ordita con le nùvole;
e sono atòmo, e sono corpo e spìrito...
e sono senso, e sòn preghiera, e sono
immàgine fatàl d'un Dio di vento!




Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XXII del Mese di Marzo dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

lunedì 29 gennaio 2018

Un Notturno alla Luna

Nel piòver della sera il volto tuo, o Luna,
che pur in nebbia argentea splendi,
e ne' tuoi nùvoli i quai ambrati splèndon e foschi
è forse ch'io 'l dimèntico. E ombre
tempestose a me or si affàcciano, e buie ansie,
e truci cure, e tormenti atroci,
e feroce dolòr, e crudèl doglia,
il che mio cuòr sì poco ne sopporta;
onde m'afferra la Notte co' il suo sguardo, e il periglioso stràl
di tante tènebre,
mentre l'ùltimo lume del dì or muòr.
Così sedendo penso!
Forse tu, oh Luna, più non vuoi baciàr
co' il lume tuo le vie che qui percorro;
può èssere? Dimmi! O forse in noia t'è ordita
la mia errabonda compagnia morbosa
che di odi e inni compiàcesi, ma invano?
Oppùr fia Sorte tua oggi non risplèndere
su questa terra.... O forse son io un folle?....
Così pensando trascorre la sera;
e viene l'ora dei Sogni rabbiosi.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XXIX del Mese di Gennaio dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.

martedì 21 novembre 2017

Sera di Nulla d'Autunno di Nebbia, l'Inquieto

Ma questa nebbia dove vuole andare?
È il perenne dilemma dell'Autunno
quando il mese dei morti volge al termine;
è quel che chieggo anch'io immerso in suo volto,
informe, e immane, orribile... e fatàl.
Vuole inghiottire anche i miei occhi già ciechi!
quando la mia campagna diventa ombra
e l'ale degli aironi si confondono
nel buio. Così la sera è una famiglia
d'atre nebbiose stirpi di insepolti
vapori erranti di spiriti inquieti;
e volgendo alla Notte, mi fa triste
il suo mantello spumeggiante di onde
invisibili, come se il mio giorno
trascorso fosse lasciandosi indietro
qualche desìo, o altro pegno, e tante cure
irredente dal cuòr che ora le lascia
al dominio de' i Sogni irriverenti.
Più non esiste un mondo; le dimore
svanite sono... cadute e disperse,
le chiese, i tetti, i campanili... il Tutto,
nè più esistono quei che conoscevo,
i loro visi, le femminee guance:
costoro qui si son mutati in nebbia.
Potrei dàr nomi propri a ogni suo atòmo!
E sembra che i defunti offrano un desco
ad altri morti in questo orrendo regno,
ergendo i calici in alto, e piacchiandoli
poi sulle bare. Vi prego, compari!
non urlàtemi insulti se dall'Oltre
scorgete la meschinità de' i Sogni
miei!.... Perché sol io, solitario in Vita
resto?.... Non voi gridàtemi insulse
bestemmie, oh estinti, che in prìa io vidi vivi,
se or che nel nulla dell'oìdi siete
io vivente soltanto a voi men gïo,
anelando terrestre ardòr e fuoco!....
Non urlàtemi se ora brindo esausto
alle nebbiose vostre tombe eterne!
Ma l'incubo scompare appena... appena,
e tutto - credo - torna a essere e a vivere;
e io respiro quest'aëre pesante
che dalle brume si stagna e mi opprime,
sì che mi pàr un po' quasi avèr acque
nelle narici, e annegare per sempre,
e tra la Vita e la Morte qui stàr.
Così sùpplico, e dico, e sogno e bramo.
Che l'eterna fulìggine s'espanda,
e seppellisca nella terra sua
eterea le cascine, i campi... i boschi,
lo sguardo mio rabbioso e rattristato
che qui somiglia l'umido riparo
della pieve che piange a' sacra effigie!
E mi veli il terribile orizzonte,
e allòr mi lasci ora sognàr d'estrarre
l'eroico acciaro contro il suo Titano,
e vendicàr la piccola chiesetta
nel cuòr di lui immergèndolo funesto!....
E raccolga la mia Anima l'airone
che nel suo covo si riposa e cena,
e mi canti una nenia per la Notte
l'ibis selvaggio che con lui divide
il nido, come d'Antonio Cleopatra
la Sorte!.... E scoppi una tormenta infame
di nebbia urlante più dei càn da guardia
agli spettrali cancelli dell'aie!....
Ma perché il pianto mio non ha più termine?
E ti conosco apparizione eterea,
il guardo tuo nella nebbia, e il mio inverno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

lunedì 20 novembre 2017

Notte della Steppa

Ma sarà eterno l'imperante scoppio
del tuo silenzio, oh steppa? 
Oh illimitata terra!
I muschi or si scintillano al crepuscolo
come l'argento di guerra che il trotto
dei Tartari ha portato.
Ma lo detesto...
lo disprezzo. Lo sai che mi offre l'ora
del sangue in fiele de' i Sogni melliflui?
L'ora del Fato!
Frattanto un gregge di cure e di angosce
d'accanto mi precorre un'atra via,
e i postiglioni
delle mie lunghe attese
tardano nell'inconcepita neve;
e grida l'eco di quella tormenta
che v'è, ma che non vedo,
di cui sento soltanto le sventure,
e di te, o mia steppa.
E di te, allora, dimmi
quando gli occhi miei vedranno la Luna
risplendere propizia per la quiete,
e alluminare la vastità tua
che si ripete
per le orme dei polovesi singhiozzi...
quando potrò chiederle una coperta
pe' il raffreddato sonno,
o farmi ebbro dell'acquavite immane
del cuor suo blando....
Noia perenne! E taci!....
Così anche tu mi abbandoni, o mia steppa,
che nel tuo vento mi riporti gli incubi,
e mi dai in pasto all'inquieto profano
della tua solitudine malvagia,
e non mi culli
i miei desii,
e non mi canti
le tue canzoni,
o mia improvvisatrice della Sorte,
eterno Oscuro aborrito e fatàl.
E chi mi darà una calda coperta
di lana per la Notte e per l'inverno?



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XIX del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

mercoledì 15 novembre 2017

Alla Gioventù - Un Dì le Ciglia sue a cèrul Mar tanto

Un dì le ciglia sue a cèrul màr tanto
giàcquer; ed io fremente e inverecondo
e in svergognata timida quïete,
e dolèndomi muto, e disprezzàndomi
a queste allòr ne volsi il tetro guardo,
e fuggitiva spene, e contemplante
noïa, e tormentoso sentìr, e atra
sete di tanto sale; e svenne l’attimo
oh giovinezza mia! E tacque l’eterno
orizzonte, e il perenne Oceäno, e ansima
ancòr il mio ricordo a questo fiordo
per l’insistito silenzio; e quest’altra
che è la selvatica ombra di mia Vita,
con costei che da’ Sogni si procede,
più si langue. E la nebbia avvolge il mare,
e nell’Anima da or sì mi confonde
tanto oblìo che la torrida Tempesta
le vane ricordanze seppellisce,
donde l’alba mi vièn a risvegliàr
presto questo mio sonno che è annegato
in molte onde. Ma l’eterno della veglia
mi custodisce ancòr frequenti Sogni
finché non suoni per sempre l’addio
a questa mia perduta gioventù.




Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì XV del Mese di Novembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

venerdì 3 novembre 2017

Il Giorno dei Morti

Così perdutamente è l'alba. Nebbia
s'erge; e d'intorno il suo ghigno m'appare,
a rendermi più tristi il dì e novembre. E
io emigro al Sogno, la rondine al ciel.
Ma pur nel giorno dei morti or m'assale
la Vita con sue menzogne, e suoi impulsi,
e òrdina: - Resta! - e mi chiede: - Che fai? -.
Muto non so rispondere, non voglio,
continuo a passeggiare tra gli aironi.
Oh Sogni miei, lasciate almèn la pace
ai morti del cimitero che riposano
tra queste nebbie che cùllan pur me! E
io emigro al Sogno, la rondice al ciel.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Venerdì III del Mese di Novembre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

venerdì 20 ottobre 2017

La Nebbia, o D'un Malessere Metafisico

Oh eburnea nebbia! Sotterri tu, dunque,
il mio giorno, e la mia Notte, i miei Sogni,
e l'orizzonte eterno.
Dimmi allora: ove vago? dove fuggo?
se le ombre degli spettri sìan menzogna
e fantasia;
se qui io stia a camminàr in mezzo agli aliti
de' i baci che la Luna offre alla sera....
O è tutto Nulla:
il fruscìo delle foglie che precìpitano,
il soffio del mio respiro, il torvo Autunno,
l'Anima stretta in cuore,
o il mosto inebrïante de' i miei eterni
desidèri che rapidi m'opprimono,
e un'ombra senza corpo.
E tu, nebbia, mi dai un senso di freddo,
e di pianto, e di strazio, e stordimenti
sì irrequieti nel correre de' miei attimi,
e inquieta possa, e non più liete immagini;
e mi fai cieco, e mi fai muto, e tremulo,
perduto, infine.
O è tutto Nulla....
Così il mio cuore si lamenta come
quel ramo di campagna che il tuo gelo
lento passando spezza,
e poi il mio Sogno come un lumicino
d'una lanterna
che si spegne nel buio.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Venerdì XX del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

martedì 17 ottobre 2017

Alba di Ottobre

Vien così presto, all'alba, il primo freddo
che l'Autunno compone al mio miràr,
co' il tremàr
di dense nebbie;
e mentr'io quasi cieco resto, e or che muto
va a tremolarmi il labbro, più che attonito
odo il cadèr di foglie
in tante doglie:
tintinnano frequente l'una all'altra,
e mormorando mi rabbrividiscono.
Oh Natura! Tu dormi,
soltanto la mia stirpe, ahi schiatta d'uomini!
vaga, e affronta le pene della Vita;
e di riposo e requie nulla sa.
L'ultimo mietitore è alla risàia;
poco prima io lo vidi a dàr di baja 
a un crocicchio del borgo.
Pur sarò anch'io a sforzàr la terra a dare
sì tanto vàn ristoro a questo vìvere
che si träe a una tomba,
e poi s'affonda?....
Va il Destìn: tutto inghiotte,
più della Notte.
Nebbie, null'altro che brume selvagge!
Le scorgo sorgere, in campagna, e immani
si prendono alle mani,
e avvolgono l'orizzonte, per sempre,
lo inghiottono nel loro truce ventre;
come Anime di spighe mïetute
che invano si alzano al Ciel che 'l respinge...
come Villi insepolte in terre vergini
che danzano alle rive dell'Agogna.



Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XVII del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Fede AD MMXVII.

lunedì 2 gennaio 2017

Notti bianche - Le Ombre

Al fuoco rigirandomi più volte
qui ansimo per la tosse e per respiro
inquïeto. Il malanno urla e non placa
la bramosia del suo istinto di Nulla,
e la ferocia sua.
E or dalla mia finestra vedo piovere
le nebbie della sera; e i focolari
delle stelle stan muti, ciechi… assenti
a rendermi più cupa la orba stanza.
Mi fan päura le ombre.
Vestono, infatti, le fiamme dei Sogni,
e vagano fameliche dovunque,
come lupi selvaggi della steppa,
e mi attaccano in branco a ogni starnuto,
quando tossisco.
La mia Ánima giace solitaria.
E guardo un’ombra che più non ha un nome:
la solitudine.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Louis Remy Mignot, Tramonto, Pittura, Romanticismo statunitense, seconda Metà del Secolo XIX


In Dì di Lunedì II del Mese di Gennaio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo e di Grazia AD MMXVII.

lunedì 3 ottobre 2016

Nebbia

Biancospìn di nebbia, i campi e i rivi,
verso il mattino, le più lontane Alpi,
e la campagna; le foglie del tièpido
e primo ottobre emigràr come i pàsseri
dal nido delle frasche a fredda ripa,
e il bacio delle brume sopra le ùltime
risàïe che attèndono la falce:
oh dolce, oh quieta mia terra, oh mio fango!
E quivi così presto io ti contemplo
in tanta furia di àliti autunnali,
dove un dì mi dirai forse quèl che è
nel tuo nebbioso mantello dei tuoi occhi;
e i tuoi cadenti cascinali intorno
senso or mi danno di mestizia e requie,
e le tue solitarie e vecchie querce
me un’Ànima ugualmente solitaria
raggelando mi pìngono, e il tuo vespro
l’Ignoto specchia dell’Inquieto mio,
tra un sorriso di Sole e un nembo oscuro
che pur muggendo non ha più le posse
di scatenàr il Temporale e i fùlmini.
Per questo, dunque, è sempre più perenne
il venìr delle inattese e orbe nebbie;
e questa ragnatela delle nùvole
chiude orizzonti a un infinito sguardo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Kaspar David Friedrich, L'Albero solitario, Romanticismo classico tedesco, Prima Metà del Secolo XIX



In Dì di Domenica II del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 7 settembre 2016

Il Nome dell'Autunno

L’Autunno ha il nome di Nerone, il folle,
il Sole che arde l’ùltimo frumento,
e teme il fàr del vento,
le làgrime di prime piogge, e i tùrbini
che spèngono le fiamme in su’ i fienili,
e i ramoscelli vili
che alimèntano il guizzo qui del fuoco,
rimanèndone poco;
mentre d’intorno, per le selve e i pioppi,
il Mostro grida co’ il sparàr dei schioppi…
e il giòvine leprotto che è inseguito
al piè di un sàlice esàla il suo estremo
spiro, e corre al banchetto
di un cacciatòr e di un padre vecchietto.
L’Autunno ha il nome di Unni vagabondi,
lungo l’amara dolcezza del mosto,
è la tomba di agosto,
Àttila che le stirpi sottomette
delle estati del Reno e delle piane
e delle Alpi lontane;
e i trïònfi dei mesi estivi e belli
non son ora che un cènere, e che avelli….
E le foglie or princìpiano a specchiàr
d’in sul mare dei nùgoli ammalati
l’argento ocra del Sole,
pètali rossi di sospese viole.
L’Autunno ha il nome di Napolëòne
con il destriero delle nebbie scialbe
sul fàr delle prime albe,
urla di guerra eterna alle stagioni
quiete, e che ovunque annienta gli orizzonti
con il vespro in su’ i monti,
e con la Morte che esce dalle tasche,
e inghiotte e opprime le cadute frasche….
E l’ùltima bagnante or piange alle onde
che si son fatte gèlide e crudeli,
e piangendo si veste,
mentre tramòntan le gialle foreste.
E tra i miei monti è di caccia oricàlco;
le mie estati, i miei Sogni ei scruta, Autunno,
come la lepre il falco.
Sàtana che è geloso delle chiome
delle querce, ecco! oh stagione, il tuo nome!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Anne-Louis Girodet Trioson, Ossian riceve i Generali della Repubblica, Pre-Romanticismo francese, Prima Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Martedì VI e Mercoledì VII del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

lunedì 29 agosto 2016

Settembre

Oh figlie delle risàië! or e presto
sovverrà a voi l’angoscia del nascente
autunno; e lì, per i vostri capelli
di bionda dama che attende fuggèvole
il trovatore della mietitura,
e le canzoni sue, lì, dove or siete,
così svelto, oggi, o
forse domàni, vedrò io alzàrsi oscuro
il bieco stormo dei corvi che fùggono
le funèree carezze di una falce,
e le rimaste paglie - orbe e infeconde -
e qui il vacuo richiamo delle fiamme
di questo rogo che - erètiche al fàscino
del mosto - le arderà, un dì ei dissolvèndole
nel cènere delle prime foschìe,
il sospìr di settembre.
E osserverò io il crepùscolo che è ordìto
da Ècate e dalle Pàrche e dai Titàni  
con i rapìti istanti al mio meriggio…
ei che è così costretto tra le fresche
effìgi dell’estate e le pìccole nebbie
di quello che avverrà, quando io udrò dìr
che agosto è morto e che ora avrà ei il suo regno
nell’Èrebo dei perduti miei Sogni,
e delle ricordanze, ei, chiuso a chiave
e custodito da una nostalgìa
che si rinnova e si ripete, e che è
pianto e sorriso.
E più io qui crescerò, e più aiuterò
l’Ocèäno irrequieto dei ricordi
brindando tralci al selvaggio settembre,
con un tocco di miele che si confonde
con le làgrime amare della pioggia
che ha inondato il vigneto, quando al fàr
di così svelta sera e della caccia,
e di questa Natura che va a Morte,
tutto è tristezza… ed è melanconìa,
ed è terrore.
E mi sarà compagna l’onda oscura
della mia ombra che annega nell’Arbogna;
e allora il cuòr che è mio ivi apparterrà -
come promesso sposo - al tristo trono
delle brume autunnali e della Notte,
e attenderà… e attenderà impazientito
la dèbol spene della Primavera,
e forse ei si è già illuso.
Oh figlie delle risàië! su’, dìtemi!
Voi forse mi darete - indietro la perduta
gioia della Vita mia - il mio sapòr di vìvere,
la fu mia gioventù?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

George Vicat Cole, Autunno, Tardo-romanticismo vittoriano, Inghilterra, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Lunedì XXIX del Mese di Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 12 agosto 2016

Indefinito Anelito nella Notte di un Poeta

La Notte alfìn sen viene, ella, errabonda,
e nella sua rapsodìa e nel suo gèmere,
e in suoi tormenti, e nell’ombra sua oscura,
e in suo passàr delle ore,
qui e or, trascìna - ella irredenta - orbi spìriti
delle nebbie delle Alpi, che non son
altro che questi miei ìncubi infiniti
d’indefinito senso, e profanate
speni, dove lo spàsimo si affretta
a salìr nel mio cuore più di quanto
tra le nùvole va la falba Luna;
ed è sempre più tènebra,
dovunque, un vacuo occhio orrendo di nòttole,
le più nascoste occhiate dei sogghigni
del Nulla vespertino, Ècate, Dea
che se medèsma dissolve e ogni nuova alba,
a me riproponendo uguali Sogni,
e disuguale Destino di Incògnito,
e feroce silenzio, e disumana
quïète. E allora?
Sento io che nel tacèr delle sue stelle,
e nel frinìr de’ i suoi tremendi gufi,
e nel gridàr del dissolvente vèspero,
con tanta doglia mi manca il coraggio
di dìr al vento:
«Ho bisogno di un bacio!».
Perché, di’, oh Iddio, mi vuoi marito di una
Notte fuggente, dove la fanciulla
ha il più dorato nome
dei Sogni inquieti?....
E mentre io penso, e sogno io, e mi tormento,
è già giunta nuova alba.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Thomas Wilmer Dewing, La Spinetta, Romanticismo statunitense, Seconda Metà del Secolo XIX


In Dì di Giovedì XI Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI


venerdì 22 luglio 2016

In Ode dell'Alito di un Temporale in sul finir di Luglio

O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento stormo di fùlmini errabondi, i
qual per cerulèa assenza di una meta
indefiniti vàgano tra i nùgoli,
così tu, mentre leggero - ei - percuote
l’orbo spettro del vento i rami intorno
e gli estivi fogliami e i campi e i fiori,
ad alluminàr tu - tu! - vai i miei più pàllidi
orizzonti, e il mio senso che si volge
oltre le ombre tue, e lungi… lungi, in vêr
le alte e sublimi vette di montagna,
ove presto io sarò; e indi, tu mi culli
e mi paschi di un non so che di Incògnito,
tu, sguardo della mia medèsima Ànima,
tra i tuoni dei miei pàlpiti del cuore,
e le fòlgori estinte del mio più
vivo sognàr, cosicché io dica ai faggi,
e ai pioppi scialbi di malattia sana,
e ai bei castagni che pòrtano il feto
del frutto dell’autunno, e al dolce legno
delle ghiande dei mieli delle querce…
sì, cosicché io proclami, ovunque, e a Ignoto,
per ogni via, per ogni sentièr, per
l’ôr delle rive inumidite e terree,
che il mio nome è Tempesta, il mio cuor Tùrbine,
che io sono come te, àër vagabondo,
e che pur come te, mi è sempre splèndida
la Vita. Ma così presto si estingue,
come l’incendio di un fùlmine in cielo,
ciò che mi fa diverso e che mi fa uomo,
il retaggio del Sogno,
l’eredità del pianto.
O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento… lento, su’, dimmi… di’, e rispòndimi:
se sia l’Eterno la tua ìride ardente,
se sia Finito, o se sia tomba ignuda,
dove tu vada e dove ne andrai un giorno,
se tu debba tacèr al mio gridàr.
E viene così presto la quïète
a fare tramontàr nel vacuo dì,
la tua orma, impronta di caccia, àër mesto,
e questa tua säètta che mi è sera
per l’Ànima sognatrice e incantata?....
E dopo tanto, la gioventù e poi
la vecchiaia, vièn così svelto e orbo il tèrmine
dei lagrimati Sogni,
dei rivissuti pianti.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Philip Richard Morris, Home, Sweet Home, Romanticismo vittoriano inglese, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Venerdì XXII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 4 maggio 2016

La muta Lamentanza delle Figlie di Wotan

Oh àër che ardi nel fosco orròr del vespro
estremo, e tra le nebbie che risòrgono,
esse qui serpeggiando d’in su’ gli antri
di Nibelheim, tu, dimmi qual lutto ùltimo
la più superba sala or fia a inghiottìr
nel fuoco che è perenne!
Oh àër… àër! sospiro di Erda, Dea
che il pianto del Destino agli occhi tesse,
Erda! Svèlami il silenzio eterno
della vorace attesa.
Hlaöguör-svanhvìt, Hèrvôr, Siegrdrìfa, e
Svàva, Brunn, la pargoletta di Dònner,
Hnòß, Waltràüte, e Schwertleite, ombre di Hèriann, e
figlie di Wotan, e fanciulle selvàtiche,
le portatrici di guerra e di Morte,
ahi! esse con vesti discinte e consunte, e
con i velami che scèndono scialbi
a denudàr le spalle, e scalze, e prive
degli usberghi fatali, e meste, sièdono,
oh Erda! oh Norne sue! a’ i piè del muto padre,
il qual assiso sul trono di tomba
di un rozzo marmo, e con il bendato occhio,
monòcolo, ei contempla il suo crepùscolo,
con un respiro di tàcito pànico, e
di soffrente agonìa, ei posando oscuro
la man destra alle tempie.
E le sue figlie, che fùron Valchirie,
accarezzando flèbili le pelli
degli orsi alpestri che copròn le gambe
del Nume, esse, respìrano gli incensi
di cènere de’ i ceppi, i lucernari,
divelti un dì dagli Eroi, oh Erda! dal fràssino
cimiteriale delle Norne,
Ygdrasìl, sguardo del Destino estremo;
e mute… e mute, e con gli sguardi attòniti,
intèrrogano il viso del severo
genitore, chiedèndosi ora forse
«Perché, oh padre, perché?»,
otto guance di donne fatte fiamme
di silenziosa vergogna e di attesa
di un’ùltima porpòrea onda di sangue,
dove agli occhi zampìllano le calde
acque d’un freddo pianto che è strozzato,
come gèlido è fatto il Sole, e bolle
di divampàr notturno la beffarda
Luna, Dea della Vita che è e che muòr;
ed esse tàcite ùrlano e si stràziano,
rimembrando che fu del loro vìvere:
i mai mietuti sguardi affettüòsi
dei guerrieri del Dio, e lì, dentro il seno
un cuore soffocato dalla Furia
di un vèrgine sentìr, gli abbracci mai
accolti dei suoi Wälsi, e la segreta
invidia per Brunhìlde…
ognuna con un senso di dolore
indefinito e arcano, qui, con una
gioventù uccisa nell’èssere-Dea, e
tramontata su’ i campi delle pugne, e
con una trama d’Amore mai avuta,
e trasognata nei Sogni del vespro.
Erda, oh Erda! che mai hai ordito?....
E le fanciulle di Wòtan lo chièdono,
meste, e nostàlgiche, e orbe e melancòniche,
l’una con l’altra con silenziosi occhi
passàndosi tremanti questo quèsito,
mentre alle ùltime nate ora prorompe
il funerario pianto, e va… e va ei su’ i
volti che mai conòbbero codesta
trista ebbrezza di làgrime, ove il viso
del Nume è sempre più immòbile e cupo,
lì, tra il Tempo che scorre e quest’eterno
tristo annichilimento nella Morte,
morto da giorni, nel suo orgoglio. E muor.
Erda… Erda! svela l’arcano gomìtolo:
«Tutto ciò che è finisce», urla il Destino;
e il fuoco… e il fuoco divampa, e consuma
la più superba sala, e adesso regna
il silenzio di Dio.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




In Dì di Mercoledì IV Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI