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mercoledì 4 maggio 2016

La muta Lamentanza delle Figlie di Wotan

Oh àër che ardi nel fosco orròr del vespro
estremo, e tra le nebbie che risòrgono,
esse qui serpeggiando d’in su’ gli antri
di Nibelheim, tu, dimmi qual lutto ùltimo
la più superba sala or fia a inghiottìr
nel fuoco che è perenne!
Oh àër… àër! sospiro di Erda, Dea
che il pianto del Destino agli occhi tesse,
Erda! Svèlami il silenzio eterno
della vorace attesa.
Hlaöguör-svanhvìt, Hèrvôr, Siegrdrìfa, e
Svàva, Brunn, la pargoletta di Dònner,
Hnòß, Waltràüte, e Schwertleite, ombre di Hèriann, e
figlie di Wotan, e fanciulle selvàtiche,
le portatrici di guerra e di Morte,
ahi! esse con vesti discinte e consunte, e
con i velami che scèndono scialbi
a denudàr le spalle, e scalze, e prive
degli usberghi fatali, e meste, sièdono,
oh Erda! oh Norne sue! a’ i piè del muto padre,
il qual assiso sul trono di tomba
di un rozzo marmo, e con il bendato occhio,
monòcolo, ei contempla il suo crepùscolo,
con un respiro di tàcito pànico, e
di soffrente agonìa, ei posando oscuro
la man destra alle tempie.
E le sue figlie, che fùron Valchirie,
accarezzando flèbili le pelli
degli orsi alpestri che copròn le gambe
del Nume, esse, respìrano gli incensi
di cènere de’ i ceppi, i lucernari,
divelti un dì dagli Eroi, oh Erda! dal fràssino
cimiteriale delle Norne,
Ygdrasìl, sguardo del Destino estremo;
e mute… e mute, e con gli sguardi attòniti,
intèrrogano il viso del severo
genitore, chiedèndosi ora forse
«Perché, oh padre, perché?»,
otto guance di donne fatte fiamme
di silenziosa vergogna e di attesa
di un’ùltima porpòrea onda di sangue,
dove agli occhi zampìllano le calde
acque d’un freddo pianto che è strozzato,
come gèlido è fatto il Sole, e bolle
di divampàr notturno la beffarda
Luna, Dea della Vita che è e che muòr;
ed esse tàcite ùrlano e si stràziano,
rimembrando che fu del loro vìvere:
i mai mietuti sguardi affettüòsi
dei guerrieri del Dio, e lì, dentro il seno
un cuore soffocato dalla Furia
di un vèrgine sentìr, gli abbracci mai
accolti dei suoi Wälsi, e la segreta
invidia per Brunhìlde…
ognuna con un senso di dolore
indefinito e arcano, qui, con una
gioventù uccisa nell’èssere-Dea, e
tramontata su’ i campi delle pugne, e
con una trama d’Amore mai avuta,
e trasognata nei Sogni del vespro.
Erda, oh Erda! che mai hai ordito?....
E le fanciulle di Wòtan lo chièdono,
meste, e nostàlgiche, e orbe e melancòniche,
l’una con l’altra con silenziosi occhi
passàndosi tremanti questo quèsito,
mentre alle ùltime nate ora prorompe
il funerario pianto, e va… e va ei su’ i
volti che mai conòbbero codesta
trista ebbrezza di làgrime, ove il viso
del Nume è sempre più immòbile e cupo,
lì, tra il Tempo che scorre e quest’eterno
tristo annichilimento nella Morte,
morto da giorni, nel suo orgoglio. E muor.
Erda… Erda! svela l’arcano gomìtolo:
«Tutto ciò che è finisce», urla il Destino;
e il fuoco… e il fuoco divampa, e consuma
la più superba sala, e adesso regna
il silenzio di Dio.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




In Dì di Mercoledì IV Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI