Come pallido oro che cola,
gemmano
cadendo - a terra -
ridendo.. soffrendo,
le foglie;
piccoli germogli mai schiusi ghiacciano…
Sovviene sempre l’attimo dei sogni:
intreccio corone e ghirlande
per i tuoi capelli
velati di Dea.
Il presente Blog vuole riproporre un ritorno critico e ragionato della Poesia romantica e, per questo, farsi portavoce di un Neo-Romanticismo più vicino alla corrente culturale del secolo XIX. Con il titolo si vuole pensare e sognare di poter onorare i fratelli Schlegel che, con molti altri, sono i Padri del Romanticismo tedesco.
Come pallido oro che cola,
gemmano
cadendo - a terra -
ridendo.. soffrendo,
le foglie;
piccoli germogli mai schiusi ghiacciano…
Sovviene sempre l’attimo dei sogni:
intreccio corone e ghirlande
per i tuoi capelli
velati di Dea.
Come uno specchio silenzioso, cielo
e terra e le raganelle e le foglie
questa risaia riflette e il nugol nero
del dì che piove.
Sorelle rane! Sediamo un po’ insieme
sulla ripa virente e andiam a sciorre
gli occhi nostri sull’Autunno che
corre,
mentre si canta!...
Sorelle rane! Gracidiamo noi anche
gli inni ridenti della mietitura,
sopra queste ninfee pallide e stanche
nello stagno orbo!...
Presto, infatti, verrà il tempo del
sonno:
voi nel vostro letargo, io per vedere
le nebbie i rami spogli i campi freddi,
e per dolere.
I primi rami malati d’autunno,
le
prime foglie pallide e appassite,
le
ultime rose, le viole smagrite,
i
campi di lontano adesso bruciano.
Quella
rima infelice con un Unno,
perché
- non so - qualcosa di stagione
mi
ricorda Attila; e quella canzone
di
stormi. Piove!
Queste
sono le immagini più care
quando
il mio agosto va svanendo
oltre
i begli orizzonti del suo mare
melanconico
che un po’ mi commuove.
Ma in codesta dolcezza interminata
apprendo
a
guardarmi allo specchio - delle nuvole
di Settembre.
Amo il finir di luglio quando a poco
s’accorciano le giornate ed è tutto
uno splender di feste patronali
e di sorrisi e giuoco,
quando si odono i primi temporali
che trascinano via tutta l’Estate,
le nubi cavalcando con i lampi..
le nubi naufragate..
quando mi siedo con gli occhi un po’
stanchi
sulla vecchia panchina, in sul vïale,
e con tristezza attendo che sia Autunno,
l’ora della vendemmia,
delle foglie appassite, delle fiale
di pioggerella, della prima nebbia,
delle castagne, della mietitrebbia
e delle paglie secche.
Amo il finir di luglio quando so
che con mestizia amara il tempo sfuma.
Amo sentirmi piangere e sorridere
sotto la vecchia Luna.
Penso che il vento sia il grande e più vecchio
vïaggiatore
solitario, quello
che
non può che essere invidiato e amato
perché
dovunque ha fatto il vagabondo.
E
penso che sia il mio volto allo specchio
dell’aër,
il mio sguardo al Sole e al vello
della
terra, perché sono dannato
come
costui che ha viaggiato il mondo.
Se
fossi questo vento! Saprei cosa
nasconde
l’orizzonte e l’infinito,
andrei
a parlare a un päese lontano!...
Volerei
sopra ogni vola e ogni rosa,
come
un vecchio spirito mai assopito,
vïaggerei portando Dio per mano!
Fotografia dell'Autore stesso, Fiori di Camomilla, Lunedì XXIII Maggio AD MMXXII.
Oggi ho sentito cantare le rane,
gracidavano in compagnia, al Sole,
cantavano ridendo e sospirando,
tra le tife e le vecchie increspature
dello stagno e giuocavano a
nascondersi.
Io lo so, che era per loro come cimba
il piccolo fiorellino, lo stame,
e remigavan tutte sulle viole
o, palombari senza lo scafandro,
lambivano gli abissi e le ombre scure
di un ramo che pendeva sopra le onde.
Allora dissi:
“Piccole amiche, forse siete voi
le Sirenette della mia campagna,
le piccole Sirene vagabonde,
e allietate il meriggio tempestoso
di fuoco, e mi ricordate: ognuno ha
la sua voce, la sua Pöesia, il Verso,
dal vento all’onda fresca che ci bagna,
il cuor che parla, il cuore burrascoso,
in un battito d’ale che poi va,
circumnaviga il mondo e l’universo”.
Ora è sera; e le rane - lo so - cantano
ancora. Ma non le sento. Il ricordo
di un istante è più forte della loro
voce.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Pianto di Glicine, Martedì XXVI Aprile AD MMXXII.
Questi bei fiori hanno lo stesso incanto
del vento che li trascina e li porta
con sé - lontano - e hanno il fascino
occulto
dei lampi e delle nuvole che tanto
paiono nere. Questa è una risorta
viola che si disperde nel singulto
del primo tuono. E questo è il mio vïale,
dove i petali son precipitati
per ordire un sentiero di ombre un po’
rosee e bianche.. un sentiero come un
mare
di fiori. Gemmano ora gli illibati
rami e tremano, osservano la pioggia
che singhiozza sul prato della chiesa.
Osservo anch’io il Temporale! Ed è
sera,
e un altro fiore per terra si appoggia,
ha perso contro il vento e ora è la
resa.
Ma April mi sembra solo una chimera.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Petali sul Catrame, Sabato XXIII Aprile AD MMXXII.
Prestate l’ale agli Angioli del Cielo,
voi miei fiori bianchissimi e fluenti,
pupille eburnee del pesco e del melo
e dei ciliegi in festa iridescenti,
come un insieme di ombre in processione,
oh incensati e celesti fiori bianchi,
note scure su un rigo di canzone
per gli stormi, per ramora e per branchi.
Fiori bianchissimi e scialbi e graziosi,
petali sulle rive di campagna,
dove i corvi strillano rumorosi
e il rigagnolo rinato vi bagna..
purezza angelica, angelico pane,
sublimi stami, sublime aspo, sguardo
leggiadro.. vivo, al suon delle campane,
al suono della follia di un ritardo
di Primavera che non è arrivato,
ma è giunto sùbito, a marzo, ad aprile,
con il vento mellifluo e sospirato
sopra i prati, sui campi e sul fienile.
Oh fiori bianchi, il cui nome m’è ignaro -
lo vo sapere solo nel mistero -
sorgete sopra il dolce fieno amaro,
sopra il tronco reciso che ora è nero;
e accarezzate le foglie leggere,
i miei occhi inquisitori - non guardate
altri - le guance calde di piacere
etereo, dove i capei scompigliate
al soffiare del vento burrascoso,
e dove poi cadete sulla via,
con qualche polline arido e noioso,
per qualche fazzoletto di allergia!
Ma lo ripeto: siete le ale sante
dei Cherubini e del loro sorriso.
Siete lo splendore di un adamante,
l’immensità del vecchio Paradiso.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Lunedì XI Aprile AD MMXXII.Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Le Ali degli Angeli, Lunedì IX Aprile AD MMXXII.
Vento, che dici parole fuggenti,
dalla campagna stai alzando la sabbia.
Forse il ruggito non odi, non senti
che esce furioso e va dalle tue labbia,
forse non sai che sembri sollevare
le dune di un ermo molto lontano,
e che pieghi le ramora risorte
dall’inverno passato, e che per mano
prendi le foglie giovinette e morte
e le trascini nel tuo lungo mare,
e non sai che io sto ascoltando i tuoi
salti
sulle tegole vecchie e sopra i tetti,
su’ muriccioli e invisibili spalti
di castelli perduti e maledetti,
sulle campane che placide e calme
suonano le melodie del meriggio
e gli osanna per gli ulivi e le palme;
e non sai che vai a dondolare il riccio
di qualche ippocastano non ancora
caduto dall’inverno e vai a lambire
e a strappare gli stami e le interiora
e i petali del persico e vai a dire
suggerimenti per danzare in mezzo
alla tua voce stridula e gridii
e fischi dentro il tuo ancestrale vezzo
che fa eco a mille saluti e altri addii,
che sei un pöema della pia Natura,
un racconto di Eroi eterei e foschi,
labbi per benedire una radura
di ruggiti e silenzi, e miele e toschi…
E io al tuo respiro freddo, algido,
ottuso,
sto alla finestra e vedo il finimondo,
vedo il tuo passo e vacillo confuso,
vorrei essere te, ossia un vagabondo,
la polvere, la terra, delle carte
che svolazzano, essere la foglia,
le sabbie sopra i campi, i rami secchi,
le pietre e i sassi, andar in altra parte
come in un sogno, come una voglia,
oltre questi orizzonti sempre vecchi..
un sibilo di freschezza, un sussurro,
unisono alla Madre aria che vola,
sopra gli stecchi e l’infinito azzurro
della mia Primavera.. una parola,
una malia di un attimo divino,
verso la sera dai suoi volti oscuri.
Così in te, o vento, m’avvicino
nel regno di quei sogni imperituri.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Fiori rosei della Campagna, Martedì V Aprile AD MMXXII.
Le foglie risorgono,
scialbe tintinnano
al vento,
le foglie fioriscono,
i fiori agitano
la terra,
le foglie già mormorano
parole mùtole
al Sole,
le foglie mi osservano,
vedete? Un atomo
cammina,
i campi riaccolgono
voli di rondini
fugaci,
attimi incantevoli,
istanti tepidi
di speme,
le foglie mi parlano
tanto, le ramora
d’Amore,
un senso durevole,
le foglie strillano
di gioia,
sui muriccioli algidi,
sopra le tegole,
danzando,
ronzano intorno agili
sciami che stillano
il miele,
sui sentieri e i ciottoli
aghiformi dell’arida
campagna,
le foglie germogliano,
bella.. santissima
la voce
della Primavera.
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì VI Aprile AD MMXXII.Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Fiori Bianchi, Mia Registrata, Martedì V Aprile AD MMXXII. |
Mi piace il fiore nella pioggia, il ramo
fiorito che si piega con il vento,
mi piace il persico entro il buio immenso
rosso come le guance vergognose
d’una fanciulla timida, mi piace
lo stormo che risponde al mio richiamo,
l’aria che agita un vecchio torneamento,
il nuvolo che piange dal suo denso
sguardo, la pioggia sulle prime rose,
la camelia infiammata come brace,
le primule bagnate, i tulipani
che sbocciano, mi piacciono quei lampi
che alluminano il campo appena arato
e che sollevano quel lezzo amaro
di fanghiglia negletta e malandata,
quegli orizzonti anneriti e lontani,
l’immensità delle selve e dei campi,
le rogge tintinnanti, l’adorato
stagno delle ninfee, mi piace il caro
occhio del cielo, un po’ scuro, e l’orbata
sera, e il nero di questo finimondo,
le foglie delicate e le altre gemme,
il rumore dell’albero colpito
dal fulmine, morente e spasimante,
la carica di battaglia del tuono,
la voce stridula di qualche airone
o di un ibis demente e vagabondo,
la rondine che con le nere penne
perdutamente vola all’infinito
in cerca della nidiata tremante,
e non la trova, mi piace ogni suono
di queste piogge e della lor canzone,
la terra umida, rorida, bagnata,
il marciume dei vermi e del lombrico
annegati, lo sdegno delle rane,
le fragili antenne delle lumache,
la paglia della chioccia e dei pulcini
che sembra un ruscelletto per formiche,
la riva un po’ fangosa e pasticciata,
la parola del temporale antico
sopra i tumuli delle vecchie tane,
anzi, parole misteriose e rauche
che si schiaran con i tuoni ferini
sopra il germogliar delle prime spiche,
e i nuvoli sempre vicini a sera,
e il firmamento ormai coperto e rozzo,
mi piace questo silenzio e il suo
umore.
E così di te mi fido, oh Primavera!...
Nella Tempesta il tuo vero singhiozzo,
la Bellezza infinita nel tuo cuore.
Dipinto di Peder Mørk Mønsted (1859-1941), Tramonto sopra un Fiordo danese, Tardo-Romanticismo, Realismo, Accademismo paesaggistico danese, 1901. Dimensioni 54,0x95,0 cm. Collezione Privata.
La sera è come un Mistero profondo,
vedrò la Luna, le stelle, la terra
buia?... Al buio
non si possono rispecchiare i Sogni.
Una scommessa per il giorno dopo,
quando non so se potrà perdurare
la Primavera con il suo risveglio,
con il suo Sole.
Vanità, infatti, han scritto le stelle
nella regione di un Nulla perenne.
Fotografia dell'Autore stesso, Lago di Nebbia, Dicembre AD MMXXI.