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domenica 1 maggio 2022

Canto di Rane

Oggi ho sentito cantare le rane,

gracidavano in compagnia, al Sole,

cantavano ridendo e sospirando,

tra le tife e le vecchie increspature

dello stagno e giuocavano a nascondersi.

Io lo so, che era per loro come cimba

il piccolo fiorellino, lo stame,

e remigavan tutte sulle viole

o, palombari senza lo scafandro,

lambivano gli abissi e le ombre scure

di un ramo che pendeva sopra le onde.

Allora dissi:

“Piccole amiche, forse siete voi

le Sirenette della mia campagna,

le piccole Sirene vagabonde,

e allietate il meriggio tempestoso

di fuoco, e mi ricordate: ognuno ha

la sua voce, la sua Pöesia, il Verso,

dal vento all’onda fresca che ci bagna,

il cuor che parla, il cuore burrascoso,

in un battito d’ale che poi va,

circumnaviga il mondo e l’universo”.

 

Ora è sera; e le rane - lo so - cantano

ancora. Ma non le sento. Il ricordo

di un istante è più forte della loro

voce.

Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Pianto di Glicine, Martedì XXVI Aprile AD MMXXII.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica I Maggio AD MMXXII.

giovedì 23 settembre 2021

Il Ponte delle Foglie riflesse

Ai parapetti di un ponte uno stagno

mi riflette al rovescio. Remighiamo,

dunque, tu e io, o Settembre, noi che siamo

anime solitarie sopra le alighe

disciolte..

remighiamo tra le onde.. all’infinito;

ti chiedo: “Quante stelle brillano ora

sotto l’arcata del ponte?”.

 

Ma le foglie si annodano su noi,

s’intrecciano cadendo a terra. Sembrano

nidi senza più stormi e senza piume,

sembrano trecce,

come fa l’ellera ai tremuli muri,

quando si arrampica e ghermisce le alte

grondaie e le tegole.

Eppure remighiamo ancora, o Autunno,

ci trascina la mente di una vecchia

stagione che un po’ giuoca a far da strega,

con la malia di pietre luccicanti,

sotto la via, al rovescio del sentiero;

ti chiedo: “Sono davvero le stelle

quelle che brillano ora sotto il ponte?”.

 

Mi desto.. osservo. La mia immagine è

ancora timidamente riflessa,

ma non sono più con te, né più navigo,

né oltrepasso al contrario il ponticello,

tu che scorri che muti e che ritorni,

io resto fermo,

mi illudo anzi di un bastone spezzato,

di un rametto nelle onde dello stagno,

del velluto appassito della tifa;

e mi chiedo: “Ma brillano le stelle

sotto il mio ponte?”.

 

No! Non brillano stelle! Ma mi lùceno

foglie.. foglie di Sole.. foglioline

d’oro appassito con macchie di giada

e di smeraldi, sagittabonde ombre

di piccole frecce infuocate..

tutto trascorre e va via, tutto torna,

i vecchi rami ticchettano le ore

che ci restano prima della sera..

ticchettano gli istanti di uno sguardo

maldestro sopra una ninfea che annega,

ticchettano la prosopea del vento

che mi fischia parole intraducibili

con la lingua più vecchia degli atòmi

che la compongono, ma sconosciuta…

 

No! Non brillano stelle! Ma formiche

nere sopra le foglie, fanno come

una regata su putride cimbe:

“Dicci chi tra noi oltrepassa per prima

il ponte” e scivolano via.. via.. e vanno

lontano, dove non le vedo più.

Questi piccoli esserini non odiano,

non temono l’Ignoto!... Le saluto:

“Avete vinto tutte quante! Addio!”..

e le gondole gialle dalle ramora

cantano le canzoni degli addii

quasi per accompagnarmi.

 

No! Non brillano stelle! Sulla panca

vicina c’è uno spazio vuoto.. immenso..

un silenzio interrotto solamente

dalle arpie delle gracchie spigolanti..

un silenzio profondo.. nel mio cuore..

un silenzio venefico di pianto..

un ticchettio di attese di non so

cosa.. vorrei sembrare un airone

che sfida l’equilibrio su una zampa

e poi sciogliere il volo - sibilando -

e planare.. planare sullo stagno..

sul ponte.. sulle stelle.

 

Ma ora sento una pioggia intensa e forte,

altre foglie si specchiano sull’acqua,

altri rami con me hanno riversato

nuovi tributi al barbarico Autunno,

altre piccole foglie ancor m’invitano

a remigare un po’ con loro, a chiedere

se sotto il ponte si vedano stelle

o siano solo le pietre a brillare.

Tornerete! Sì, tornerete un giorno,

a Primavera! E sarò qui, di nuovo..

sarò qui ad aspettarvi.

 

Ma nel frattempo sulla panca siede

un essere mellifluo.. strano.. occulto

e sembra che mi attenda..

e si riflette anch’esso sullo stagno,

con un bastone di vecchie pannocchie,

con una ciarpa di paglie e di fango:

una statua di foglie..

una statua parlante.. parla usando

pentagrammi nascosti dentro il vento,

con ut terribili e assonanti e torvi..

la osservo ma sparisce.. non c’è niente,

non c’è nessuno.. nessuno!

appare una fanciulla, Ebe.. la guardo,

ricompare la statua. È un delirio!

L’acqua non me la riflette, non vedo,

è una malia selvaggia.

La guardo.. ancora.. la fisso.. la osservo!

Esplode con un fruscio orripilante,

incalcolabili foglie mi investono..

sembra un incubo!...


Tutto svanisce… Mi ritrovo solo

in mezzo a una pianura umida e spoglia,

ogni cosa si è fatta incerta e bianca,

una marea di neve,

il regno dell’inverno.

Fotografia dell'Autore stesso, Autunno su Foglie di Platano, Mercoledì XXII Settembre AD MMXXI.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì XXIII Settembre AD MMXXI.

mercoledì 23 giugno 2021

Ninfee

Son tante piccole impronte di Ninfe,

sono i bei nascondigli delle rane,

profondamente immerse nello stagno.

Poi, quando vado via, le chiama a una a una

vespro selvaggio con le malie arcane

nel tramonto dell’ultimo lor bagno,

come cesie fiammelle della Luna.

So che ogni sera c’è sempre qualcuna

che in inganno vien tratta e che va a uscire

dalle onde - che la san cullar nel fresco -

e, fatta donna, ivi si fa rapire

dal buio del Sole, roseo fior di pesco,

come da un eroe argivo e furibondo.

Così mi dice il giorno dopo. Io guardo

e vedo che ne manca una.. una bella,

la stessa che sembrava andar pe’ il mondo,

con il fior d’oro.. oro di gattopardo,

splendente argento di lucente stella.

“Sei tu che mi rapisci le ninfee?”.

Un vocio dallo stagno, una parola..

a me.. confuso con la Notte oscura.

“No! Non son io che ti tolgo le Dee!”

e la mia voce si disperde e vola,

come un’ingiuria che suona un po’ dura.

Ma so che il vespro ogni volta promette

a queste Ninfe un talamo e un miraggio..

so che le chiama sue amiche e dilette,

le abbaglia e le rapisce da selvaggio;

le fa danzare della Luna al chiaro,

le trascina ritmando un po’ di vento,

poi viene l’attimo dell’addio amaro:

all’alba le abbandona nel tormento.

Così si ritrasformano in bei fiori,

ma fuori son dall’acque e Morte chiama,

si frantumano in brividi e in pallori,

l’incantesimo ha fine e le dipana.

E sono petali intensi e spogliati,

quelli che vedo nel bosco di giorno..

nello stagno ci son altri e contati

sono quasi trecento e più d’intorno.

Ogni sera un svanisce e muore e spira,

allunga il vespro le sue mani irrise,

e quando nemmen una più si aggira..

e quando tutte son state recise

so che l’Estate è finita e tramonta,

so che viene l’Autunno, figlio di Ebe,

che ogni rana non sa e più non racconta

le storie d’uno stagno e d’una siepe.

Allora brinderò a voi, care Ninfe,

mi sembrerà di scorgere i vostri algidi

spettri tra le orbe nebbie delle terre

asciutte, come ragne di urli pallidi,

come mille fantasmi di aspre guerre,

mentre attendete di rinascere, o alighe,

dal sonno di Persefòne e da oblio,

per essere rapite dalle nuove

sere della futura Estate. Addio!

Quadro di Oscar-Claude Monet (1840-1926), Ninfee, Impressionismo francese, 1906.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì XXIII Giugno AD MMXXI.