Son tante piccole impronte di Ninfe,
sono i bei nascondigli delle rane,
profondamente immerse nello stagno.
Poi, quando vado via, le chiama a una a
una
vespro selvaggio con le malie arcane
nel tramonto dell’ultimo lor bagno,
come cesie fiammelle della Luna.
So che ogni sera c’è sempre qualcuna
che in inganno vien tratta e che va a
uscire
dalle onde - che la san cullar nel
fresco -
e, fatta donna, ivi si fa rapire
dal buio del Sole, roseo fior di pesco,
come da un eroe argivo e furibondo.
Così mi dice il giorno dopo. Io guardo
e vedo che ne manca una.. una bella,
la stessa che sembrava andar pe’ il
mondo,
con il fior d’oro.. oro di gattopardo,
splendente argento di lucente stella.
“Sei tu che mi rapisci le ninfee?”.
Un vocio dallo stagno, una parola..
a me.. confuso con la Notte oscura.
“No! Non son io che ti tolgo le Dee!”
e la mia voce si disperde e vola,
come un’ingiuria che suona un po’ dura.
Ma so che il vespro ogni volta promette
a queste Ninfe un talamo e un miraggio..
so che le chiama sue amiche e dilette,
le abbaglia e le rapisce da selvaggio;
le fa danzare della Luna al chiaro,
le trascina ritmando un po’ di vento,
poi viene l’attimo dell’addio amaro:
all’alba le abbandona nel tormento.
Così si ritrasformano in bei fiori,
ma fuori son dall’acque e Morte chiama,
si frantumano in brividi e in pallori,
l’incantesimo ha fine e le dipana.
E sono petali intensi e spogliati,
quelli che vedo nel bosco di giorno..
nello stagno ci son altri e contati
sono quasi trecento e più d’intorno.
Ogni sera un svanisce e muore e spira,
allunga il vespro le sue mani irrise,
e quando nemmen una più si aggira..
e quando tutte son state recise
so che l’Estate è finita e tramonta,
so che viene l’Autunno, figlio di Ebe,
che ogni rana non sa e più non racconta
le storie d’uno stagno e d’una siepe.
Allora brinderò a voi, care Ninfe,
mi sembrerà di scorgere i vostri algidi
spettri tra le orbe nebbie delle terre
asciutte, come ragne di urli pallidi,
come mille fantasmi di aspre guerre,
mentre attendete di rinascere, o
alighe,
dal sonno di Persefòne e da oblio,
per essere rapite dalle nuove
sere della futura Estate. Addio!
Quadro di Oscar-Claude Monet (1840-1926), Ninfee, Impressionismo francese, 1906.
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