Come pallido oro che cola,
gemmano
cadendo - a terra -
ridendo.. soffrendo,
le foglie;
piccoli germogli mai schiusi ghiacciano…
Sovviene sempre l’attimo dei sogni:
intreccio corone e ghirlande
per i tuoi capelli
velati di Dea.
Il presente Blog vuole riproporre un ritorno critico e ragionato della Poesia romantica e, per questo, farsi portavoce di un Neo-Romanticismo più vicino alla corrente culturale del secolo XIX. Con il titolo si vuole pensare e sognare di poter onorare i fratelli Schlegel che, con molti altri, sono i Padri del Romanticismo tedesco.
Come pallido oro che cola,
gemmano
cadendo - a terra -
ridendo.. soffrendo,
le foglie;
piccoli germogli mai schiusi ghiacciano…
Sovviene sempre l’attimo dei sogni:
intreccio corone e ghirlande
per i tuoi capelli
velati di Dea.
Cosa fai questa sera, oh terra? Ascolti
la
Luna bianca, le stelle, le folli
canzoni
della campagna e dei grilli,
il
vento che si squilìbra?... Ascolti
il
riposo delle vette e dei colli,
o
sogni?... Dimmi: le dolci parole;
interroghi
uno specchio, vuoi sapere
se
io ti stia amando, interroghi un incanto,
e
tu sei lì, lontana.. come il Sole,
e
sei vicina, e sei ora il mio dolère,
ascolta!
Questo è l’urlo del mio pianto,
un
urlo insano nella notte muta.
Ma dimmi, oh terra mia: ormai t’ho perduta?
Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì XXII Aprile AD MMXXII.Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Sera - Vigilia di Pasqua, Sabato XVI Aprile AD MMXXII. |
Se tu mi attendi con timido pianto,
se
conti le ore della lunga attesa,
se
piangi piano, piano con le labbia
che
lambiscono petali di rosa..
se
mi chiami per nome e per incanto,
se
quest’assenza no, non t’ha mai offesa,
se
sai che io sono vanità di sabbia..
di
sabbia di una duna un po’ orgogliosa..
se
sento questo cuor che mi fa guerra,
se
odi i miei palpiti che urlano un dilemma,
se
vedo che mi splende un po’ di Sole,
se
sogno immerso nella fantasia..
se
ritornerò, disïata terra,
lungo
i tuoi fior, la solitaria gemma
di
tant’altre solitarie vïole,
se
volerò da questa prigionia…
Se
fosse stato un incubo blasfemo,
una
bestemma per atomi illusi,
se
fosse stato il sogghigno di un folle
che
ci ha derisi, se fosse stata ombra
orrida
e infame di un finto veleno,
se
fossero stati cieli soffusi
di
temporale che va sulle zolle
aride,
un suono che vada e confonda
con
i tuoni i singhiozzi tremolanti..
se
fosse stata la vanità amara
di
un libro con delle fiabe di streghe,
se
fosse stato un pöema di maghi,
se
fosser stati viaggi vagolanti
su
Oceani per una terra arcana,
un
viaggio fatto più di mille leghe
verso
orizzonti misteriosi e vaghi…
Se
tu, terra, or che germini bramate
rose
attendessi il tuo Pöeta attonito,
se
non fosse lo scherzo, lo scherno
di
un terribile Demone o di Dio…
Ipotesi
infinite e sconfinate!...
Ma
per ogni “se” ha scritto il Fato un monito:
matematicamente
sogno eterno,
perdutamente singhiozzi d’addio.
Fotografia dell'Autore stesso, Massimiliano Zaino Di Lavezzaro, Corone di Fiori rosei, Domenica XIII Marzo AD MMXXII.
I. Sempre tu vesti il Sole in fiamme, o Gea,
e sospirano forse i fiori al nobile
incanto di te che ridi, ove crea
il tuo sorriso la terra immobile
del divenire. Te, dunque, un dì fea
Anima diva dal voler docile
per dare a questi fior Amor di Dea
e Vita eterna nell’errar ignobile
di ritorni perenni in una bara
e in una culla, nel verno e nel campo
santo un po’ maturato dell’Estate.
Madre Terra..! Matrigna Terra, amara,
amata forse!... Come un tristo lampo
e dolce a me il ver disveli: tornate
a me le stagioni, atre
Erinni in te mi trascinan nel vento.
Nasco, rinasco.. muoio. Annientamento!
II. Perché tu, dunque, hai creata la
terra?
Perché hai creato questa larva d’Uomo?...
Tu sei la culla, la tomba che serra
il germe.. il cenere orbo di ogni
atòmo.
Amica.. amata.. nemica, non sferra
queste catene il nero monocròmo
dell’ente, ma martella come in guerra
la campana funerea del tuo duomo.
Oh Gea! Non odi? Il fanciullino piange
appena nato ché sa di morire.
Morirà presto o tardi. Ma che
importa?...
E il tuo canto materno ora gli infrange
anche il riposo.. il disio di dormire
per risvegliarsi e udir: “La mamma è
morta”.
Nessuno lo conforta.
Noi siamo i figli selvaggi del Fato,
del tuo ventre amoroso e bestemmiato.
III. Oh Gea, io ti prego! Non
nascondere orme,
impronte, tracce di un piccolo Dio
che mestamente siede sull’informe
consistenza del Nulla e dell’oblio!...
Benedetta Matrigna! Il cielo enorme
vela il tuo sguardo estremo, dove espio
con la mia stirpe, sangue vermiforme,
il satanico cenno di un gridio.
Madre del Nulla e della Vita e Tutto,
prega, se puoi, per l’illuso scompiglio
nell’ora della nascita e di Morte!...
Tu vesti a festa, il Sole, ma sei in
lutto:
la terra vomita e riaccoglie il figlio,
finché l’ultimo verme non lo assorbe.
IV. Ma perdonami quest’aspra bestemma,
io so che oltre te, c’è la Vita vera,
quella di cui odo con questo epilemma:
è inverno.. è ancora inverno, o
Primavera?...
Sì, io ti perdono, per la bella gemma
sul ramo già virente, per la sera
che allumini di Luna, nel dilemma
è giorno o notte con le stelle in
schiera?...
Io ti perdono, per il campo arato
che mi dà il grano da solleticare,
per lo stormo che torna al nido a
fianco,
per il meriggio fresco e delicato…
E vedo nuvole erranti in un mare
che sembra solo il Paradiso bianco.
E la terra è già arata e l’orizzonte
riluce
di campagna e ombre castane
con
quei granelli adamantini e argentei
e
con l’argilla rossa come il sangue
d’una
rosa che immersa nel suo sonno
mi
dice “Sarà presto Primavera!”.
E,
allora, io annuso questa bella terra,
terra
materna, bagnata di Sole -
anche
se è inverno - e già il primaverile
sovvenire
m’immagino tra i campi…
Volate..
deh, volate, aironi baldi!
È
giunta l’ora di far festa! È sorto
il
primo fiore, conteso all’Amore,
conteso
alla Natura e alla Vita! È
germogliato
lo sguardo provocante
del
melograno!... E il falchetto che vola
segna
nel cielo le carole allegre
d’Anima
che si libera da nebbie
buie!...
Sorgete, oh tramonti tardivi!
Fate
specchiare la mia vanità
nelle
risaie al canto delle rane!...
No..
non è vero che io son per la Morte,
che
sono avvezzo ormai alla nebbia fitta,
che
sono pazzo come un vagabondo
che
vïaggia seduto nel suo ovile.
Ma
per vedere un altro maggio voglio
risorgere
e fuggire dalla terra
umida
di cimiteriali nevi…
E
oggi ho imparato che la Primavera
è
possibile al mio cuore piangente.
Voglio soltanto un po’ di Verità!
Oh Gea, così vestita, così bella,
con i tuoi fiori e le foglie ai capelli
e con il tuo sorriso che richiama
notte profonda di sogno mellifluo,
e con lo sguardo astrifiammante,
etesio,
con la tua diva sembianza e il tuo
crine
buio e le labbia ridenti e nostalgiche,
e il dente che rispecchia le planate
dell’airone bianco sulle paglie..
e il tuo nome che suona come quello
di una Musa del limpido Parnaso..
terra come me.. terra come il ricco
frutto del melograno e della persica..
ed è tutto inno di gioia e d’allegrezza…
Ma ora mi manchi, lontana dai miei
occhi,
nel forsennato riposo di questo
Autunno.