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lunedì 2 novembre 2015

La Ballata delle Ombre della Notte

Ombra dell’ombre, regina, oh tu, Notte;
ombre dell’ombre regina, oh tu! È un Sogno!
E la civetta l’udito mio ascolta,
che si lamenta in canti funerari,
e l’ululato del lupo del bosco
che il mio animo impietrisce in tanta angoscia,
donde io non sento che ansie sempiterne. E
lungo l’orizzonte la montagna è avvolta
che tanto io adoro, e la sua valle, e i cari
miei vàlichi di nebbie in nebbia; e fosco
m’è l’occhio che non vede, e trema. Poscia
si spèngono anche le ultime lanterne.
Ombra dell’ombre regina, oh tu, Notte:
così è la Luna che risplende, è il Fato
scolpito su una pietra taciturna,
Re degli abissi più irrequieti e immensi;
e io lo temo perché è un sogno. - Oh cuor mio:
forse rimembri le trascorse grotte!...
e l’Alpe avvinta a un fiore immacolato
d’un muto volto; e l’alba svelta e diurna,
e i nembi che la salutano, incensi
dei campanili e che salgono a Dio.
Ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno:
e così presto è venuto il mattino
a ridestarmi alla Vita scomposta;
e alfine m’è di pena questo mare
di ignote cime, e di freddi torrenti.
Ma i miei ricordi trapassano lenti,
e li sento: che vogliono gridare
come un Titàno che agli Dei si prostra, e
preso e umiliato da un truce Destino; e…
e ancòr questo Verbo: è tutto un Sogno.
Ombra dell’ombre regina, oh tu, Notte:
il ciel è oscuro, e grida il Ghiridòne,
come un lupo affamato di sepolcri.
E era un sogno anche colei, e il suo mistero,
tàcita roccia, e volto di fanciulla;
e sono chiome in me scolpite e immote,
‘ve per il vento urlano una canzone:
labbri femminei che cantano sciolti;
e il crepuscolo giunge, ed è più nero.
All’orizzonte i monti miei; e poi è il Nulla.
Ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno:
i rammentati ruscelli, e le cime,
e infestano il mio cuore. E Ora è sublime
che appèn preludia l’insensato sonno.
E il vìver si risolve in spettri ombrosi,
dove è il singulto che regna i pensieri
miei, e i miei sì sovvenuti sguardi, e erosi
ciottoli antichi di vecchi sentieri.
Ma nel cielo le stelle come ceri
brillano fioche, e la Notte è immortale.
E il mio sognàr vagabonda fatale:
e l’occhio che urla è qui sempre più insonne.
Oh iride mia, convulsa nel tuo sonno!
Oh mie membranze! Oh valli scoscese e ime!
La Notte trionfa; e ripetono le cime:
ombra dell’ombre regina, oh tu! è un Sogno!
E poi nessuno m’ha detto mai chi era
questa mia giovinetta, e il suo dolore.
So che era come un’ombra: fu e scomparve.
E interminabile era la mia steppa, e
sognante e tetra, e era il mio Sentimento.
Forse ho perduto la mia Primavera:
i pioppi in foglie, e lì, i fienìl in fiore.
Ma no! Furono solo le mie larve;
e ora lo intendo che qui me ne accenna
l’autunnale e furioso e freddo vento.
E tutto è sogno: Vita, Cuor, Tormento!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Domenica I Novembre AD MMXV

martedì 20 ottobre 2015

Bèviti! E bacia il mio Sogno!

Oh Rose, oh Rose, infinita ombra del Nord, fanciulla, a’
betulle e al Ghiridone ascolti forse - tu? - il mio sogno,
e i miei febbricitanti sospir. Le ansie! E
ricordo: il solitario e là ombreggiato sentiero,
scendendo dalla piccola collina, e andando altrove,
verso Dìssimo forse. E muto ero io
tra le chine lontane e meste. Ove tu eri con me.
Oh Rose, perché… perché ora mi vergogno in miei sonni,
dove il mio cuore si lamenta? E piange!
È forse Amore un’onta d’un fanciullo che è inerme
per cui provàr vergogna v’abbisogna?
E questo sogno vaga… e va sul nero crepuscolo…
e sogna… e sogna come in tomba il verme. E
poss’io chiederti di baciarne? E il mio
visionario sentìr tramonterà in quel bacio
che tu allòr chinerai a un’ombra morente e sconsolata.
Oh Rose! Può esalare ove qui giaccio un freddo sogno
l’estrèm sospìr suo e l’Anima infamata; e tu… avrai
così raccolto con le rosse labbra e le tue gote
un respiro di Vita e di ricordo, e un sovvenìr
d’un istante defunto. Ed è la Notte che regna, oh Rose!
E il mistico baciàr piove al mattino
sulla tua bocca la fredda rugiada del mio Destino;
e per me sarà egli un sogno che muore d’accanto
per farmi accòglier da altri sogni insonni,
come uno scoglio l’onde del suo mare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Lunedì XIX, Martedì XX Ottobre AD MMXV  

martedì 13 ottobre 2015

L'Infanzia della Santa di Arco

Le fiamme si destavano, e bruciava
il biondo fieno e d’intorno un roveto.
Era una sera di giugno, e i mietuti
campi giacevano inermi e sconvolti,
e un contadino ritirava i buoi.
Un tenue canto dalle paglie urlava,
ed era un trillo d’un liuto irrequieto.
Alcuni labbri cantàvan, e muti
altri riedèvan ai tugùri. E molti
erano i corvi tra le nubi; e poi
al dolce suono di un’ansia zampogna
quieto splendeva il ciel della Borgogna.

«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»
una madre diceva alla figliuola.
«Vado a distendermi alle paglie d’oro,
per guardare nel cielo dove vanno
le rondinelle ai nidi e i negri corvi
che all’ombra del mio piede si spavèntano
e fùggon via… e per mirare il tramonto».
«Dove vai, oh mia fanciulla per i campi?»,
e la giovine avea in mano una viola.
«Corro a sentire il mesto venìr moro
del vespro, e a urlare la gioia nel suo affanno,
tra i tenui nembi spaventati e torvi,
quando i fuochi del Sole si tormèntano
presso la Luna ai quali fa un affronto».
E la fanciulla per i campi andava,
e lieta e in festa e svelta camminava.

Ella sentiva belare un agnello,
e dallo stagno intese un cigno in canto,
e correva… e correva per le chine
delle colline splendenti di grano,
e accarezzava le spighe mature,
quando d’un tratto vide su’ un granello
posarsi l’ombra di una coccinella.
Allor si stese tra il biondeggiàr bello,
e lì, all’insetto si posò d’accanto,
e lo guardava. Poi con man supine
e con il volto lontano… e lontano
oltre le nubi che erano già oscure
recitò un Pater Noster. Cantò; ed ella
si intenerì alla canzone del cigno,
del lago il re, melanconico e arcigno.
E soggiunse - e chissà da dove! - un nero e
giovine frate, da un fosco sentiero, e
ergeva un legno che ardeva e infiammava
e un agnellino tremando belava.

«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
gli domandò la dama che ‘l scorgeva:
«A che le nere vesti e questa brace?».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che ligio e mesto io sòn domenicano?
Porto la luce per i contadini
che tornano dai campi, e per contare
quanti grani han raccolto per il Prence.
Fanciulla, oh mia fanciulla, perché tremi?
Forse temi il mio volto: è bello… guarda!».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
la fanciulla impaurita ripeteva:
«Col labbro parli, ma il tuo cuore tace».
«Chi sei tu, ombra di frate e a cosa vieni?»
«Fanciulla, oh mia fanciulla, non mi vedi
che sono buono e vengo da lontano?
Ho percorso sentieri e aspri Destini.
Ma perché non mi vuoi - ahimè - ascoltare?»
«No! Frate, ascolta! L’agnello ha paüra!
Qual è dunque la tua vera natura?»
«Te la dirò allorquando il cigno smette
di lamentarsi alle sponde del lago.
Ecco! Alzo un dito; e tace e si disperde:
il cigno è morto alle sponde del lago»,
e nulla più ridisse il frate pio,
scomparve ai boschi. Ella pregava Iddio.

Ed era l’alba, e il silenzio regnava,
e la campagna era tersa di Sole.
I contadini si destarono presto,
e andavano al mestiere con le falci
sopra le nenie delle ansanti donne.
La fanciulla al giaciglio era e destava(si),
e in man teneva alcune secche viole.
Guardò d’intorno, il tugurio funesto,
osservò fuori, e le betulle e i salci,
e pur dormendo sembrò fosse insonne.
E ripeteva: «Di che mi vergogno?».
Che cosa accadde?.... Era un incubo, un sogno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro






Martedì XIII Ottobre AD MMXV

domenica 11 ottobre 2015

Il Singulto

Cuore, mio cuore, non senti un singulto
tra le tue vene che tremano tanto?
È forse il gelo della brezza, e il vespro
che in furie irrora il vento della Notte,
o forse è un sogno di un’Anima inquieta
che per queste campagne è vagabonda.
E tu, davvero, che taci e che gemi,
cuore, mio cuore, non senti un singulto?
È l’agnellino che al materno canto
s’addormenta, sul fieno e sul suo vepro,
l’eco del monte che scuote le grotte,
dove dimora l’irrequieto asceta,
è il murmure del mar che il ciel affonda.
E tu così sentendo e urlando tremi?
Cuore, mio cuore, non senti un singulto?
È il sonnambulo trillo, è una canzone,
sogno, follia; è Poësia e visiöne.
Cuore, mio cuore, non senti un singulto
tra le serali furie e tra le selve?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Domenica XI Ottobre AD MMXV

venerdì 9 ottobre 2015

Inquietudine del Sogno e della Poesia

La Notte è pallida.
Dov’è il tuo sogno, oh giovine?
Era spasmodico,
sogno spasmodico.
La Notte mormora.
Dov’è il tuo incubo?
E la larva ‘l cullava
presso la cruna
dei Sentimenti. E i palpiti?
Non fûr che maschere.
Triste le illuminava
la fredda Luna,
la scialba Luna nell’incanto d’argento.

Eh! Sàtana ti ha illuso,
e schernito ti ha Iddio.
Danza! Su’, danza, il sabba, la ridda confusa!
E si sperda l’addio…
e si sperda l’addio!

La Notte è in tenebra.
Dov’è il tuo sogno, oh giovine?
Era spasmodico,
sogno spasmodico.
La Notte si agita.
Dov’è il tuo incubo?
Sono arrivati i vecchi,
l’incomprensione,
poiché ignoto è lo Spirito
della dolce epoca (della tua giovinezza).
E i rami sono secchi.
Spento è l’embrione.
E si sperda l’addio,
l’ultimo addio!

La Notte spasima.
Dov’è il tuo sogno, oh giovine?
Era spasmodico,
sogno spasmodico.
La Notte oscùrasi.
Dov’è il tuo incubo?
Lo ha udito il lupo nero,
lo divorava.
Ma è buona la carne arida
d’un cigno, le àlighe
sue? E il sangue sul sentiero (del)
lago albeggiava.
E si sperda l’addio…
e si sperda l’addio!

La Notte è in gemiti.
Dov’è il tuo sogno, oh giovine?
Era spasmodico,
sogno spasmodico.
La Notte è tremula.
Dov’è il tuo incubo?
Dissero: non avesse
un Sentimento.
Frutto dell’aritmètica,
tubercolòtica
delle sue smanie stesse! E
non fu che vento.
E si sperda l’addio,
l’ultimo addio!

Dov’è il tuo sogno, oh giovine? Hai vissuto
per un canto di Morte in tanta Vita. E…
e fu la Poësia un sogno perduto,
e era l’Amore una doglia infinita.
E dunque chiederai che ha in serbo il Fato,
e dunque chiederai se sei sprezzato.
Ogni piacèr ha fine. È il Tempo della Morte.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Giovedì VIII Ottobre AD MMXV 

martedì 6 ottobre 2015

La Ballata dell'Ondina del Reno

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
tra le nebbie del Reno i vapori,
Ondina la fanciulla del re delle onde,
la bella ninfa, e il dolce cuore suo,
quando canta con l’arpa delle Norne
sotto lo strale della scialba Luna.

Perché volete sapere di lei?
Chiunque la ha scrutata è presto morto.
Perché volete sapere di lei?
Ella dòmina il vento e ogni Destino.
Orsù! Chiedètelo al mio pescatore,
è uno spettro che vaga nella Notte,
è stato ucciso da uno sguardo amabile
di questa Dea che lievemente arpeggia.
Chiedètelo al mio pescatore morto,
se mai incontrate la sua Anima oscura.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
ci dicono che è bella e che è bionda,
Ondina argentea dell’oro delle acque,
la selvatica ombra che racconta i suoi
spasimi antichi, nelle orrende Furie
dei tremuli naufragi della sera.

Tacete, ignari, di questo mistero!
La sua bellezza dischiude la tomba.
Tacete, ignari, di questo mistero!
È meglio non udire le sue nenie.
Domandàtelo al figlio del prìncipe,
è uno scheletro bruto sulle sponde,
lo hanno affogato le Ondine ribelli,
mentre rideva la vostra fanciulla.
Domandàtelo al figlio del prìncipe,
quando inciampate nelle sue ossa orrende.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
del canto che dischiude il suo labbro,
Ondina cara alle nubi del vespro
e agli irrequieti sogni dei barcaiuoli,
estasi folle del senso notturno
di chi viaggia confidando nel buio.

Di qua fuggite, prima che sia tardi!
O moriremo tutti al suo bel trillo.
Di qua fuggite, prima che sia tardi!
Sol io ho il potère di intènderne il canto.
Ma se la Ninfa mi vede con voi
mi annegherà nel vortice di un ballo,
e muterò in uno spettro blasfemo,
muto e insepolto e non avrò riposo.
Ma se la Ninfa mi vede con voi,
mi attoscherà con il suo crine inquieto.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
il letto delle rive del Reno,
Ondina sacra agli Dei degli stagni
che è la figlia di un sogno sofferente
nel visionario tramonto del cielo,
dove la Luna emerge dal Nulla del monte.

Voi disfidate la Sorte iraconda,
non vi son che sepolcri che ci inghiòttono.
Voi disfidate la Sorte iraconda,
sentite il trillo: è la Morte che incombe!
Raccontiamo di Ondina nel suo ninfale:
siamo spettri nella tomba delle tenebre!  


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì VI Ottobre AD MMXV

La Ballata del Sogno di Ottobre

Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!
E valica egli le cime dei monti, e…
e delle selve dove un dì ei gridava.
Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh! E
sogna agli eterni e incogniti orizzonti, oh
cuore di Anima ignava! E
sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!

Perché sognàr mi dico quand’ei è vano, e
mentre la brina e fredda e scialba scende, e… e
sognàr remoti sensi, e il mio lontano
avvenire? E il mio cuore attende, e attende
istanti più felici; e allòr lo prende
un sentìr di tristezza mai finita. Eh!
Che? Per vent’anni fuggì la sua Vita? E…
e dunque geme, e grida, e si vergogna.

Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!
E lambisce le montane e vecchie fonti, e…
e i suoi alpini sentièr che valicava.
Sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh! E
sogna vagàr per gli irrequieti ponti, oh
cuore di Anima ignava! E
sempre nebbie: è l’autunno, e il cuor mio sogna, eh!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì VI Ottobre AD MMXV

domenica 4 ottobre 2015

La prima Pioggia d'Ottobre

La nebbia geme la pioggia serale,
tra le campagne che sembrano spettri, e
tra le Alpi ombrose; e la Notte sovviene. Eh!
E io ovunque volgo, contemplo l’autunno
vespertino, e il notturno ciel che muore, e
ai brividi e al venìr del maëstrale io sto,
e singhiozzando tremo ai freddi scettri
delle più nuove brine. E sono cene - il desco mio -
dell’Anima le foglie di quest’Unno
che è ottobre, meste, e povere. E il grigiore
delle nozze dell’acque con le brume
è così, dunque, che toglie ogni lume.
Allor mi par che gema l’aïrone,
lì, dove al pioppo il mio cuore s’inonda
di sogni senza nido, alla giuncäia
imperfetta del sonno. E il vecchio ontàno - lo sento! -
qui mi chiama per nome, e stilla pioggia. E
la quercia piange, e le frasche son prone, e io
son irrequieto a questa vagabonda
rondine che ne ha fame, e la risäia
non ha più nulla da darle, e la roggia
è terrea e vuota, antica sete. E lontano
sogno per lei il banchetto d’una duna,
e m’illumina il pianto in ciel la Luna.
Donde nel piòver m’è il vespro infinito,
e sparsi nella pioggia i miei paësi, e
ora irriconoscibili i miei monti,
e i campi intorno, e i rustici tugùri,
e il campanile della chiesa santa.
Allor d’accanto si apre indefinito
il mare dei più freddi e mesti mesi,
e i sempre crepuscolari orizzonti
anche nell’alba, e dei singulti oscuri, e
dei Sentimenti. E il mio spirito canta
le sue canzoni e il suo dolce sognare e…
e vivere vorrei, e transumanare. E
tra il tintinnìo delle piogge che vanno oscene
ora che è sera ascolto bàtter l’ore
che m’invitano ai salmi e ai bei pensieri miei
dove l’altare è il sovrano del sogno, lì,
quando tremando mestamente espio. E il
pregàr m’è gioja, e il sognàr è affanno,
e il labbro tace, e discorre il mio cuore.
E l’argento dell’acque son i ceri scialbi
ai quali prega il mio debole sonno; e…
e l’Infinito che ho d’intorno è Iddio.
E sono il servo d’una Musa asceta,
eternamente mesto, e son Poëta!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Sabato III, Domenica IV Ottobre AD MMXV

venerdì 2 ottobre 2015

Ottobre

Perché sei sempre più oscuro, oh orizzonte
mio? E quest’autunno fiele mi diventa, e…
e paüra dei sogni e del più ignoto e
tetro avvenire. E che sorge e che muore

appena all’alba è il giorno, come il cuore
che irrequieto mi pulsa; e io giaccio immoto e
e tormentàndomi, e dove s’avventa
la prima nebbia tra i sentieri e il fonte, e

e si gelano l’acque sotto il ponte,
quasi ansimando scruto che va lenta
la gallinella. E il meriggio m’è vuoto, e…
e senza nubi: di nebbie è il grigiore.

Così trascorro queste soffrenti ore in
angoscia e in strazi; e al mio sognàr devoto
la perduta speranza mi tormenta. E…
e tu, oh mio cielo, perché sei oltre un monte?

E tacerà l’ottobre, dunque! E prone
qui cadranno le foglie dei miei Tempi, e…
e gemerà con me l’errante aïrone

della giuncäia. E io urlerò una canzone, (a te) e…
e tu, oh orizzonte, al mio Destino adempi
già da quest’ora? O attenderai le buone

brine dell’alba, e il sofferente eöne
d’un sogno? E avrò dolori, e orridi scempi,
dunque! E urlerò una morente passione! E…

e in queste ombrose zone
dove già vola una gelida brezza, - io -
dirò l’addio alla spenta giovinezza!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Venerdì II Ottobre AD MMXV

giovedì 1 ottobre 2015

La Leggenda della Fanciulla di Neve

La Luna alla Karèlia si mostrava,
pallida come una pietra di talco, e
era l’autunno, e venne il freddo vento,
soffiando spesso i primi argenti in neve, e…
e intorno il mar dei Fìnnici gelava
lievemente agli scogli, e urlava il falco
dai monti oscuri, e l’ululato lento
dei lupi ardiva, e il vespro era greve
come una roccia di tomba appassita. E…
e oltre la Luna v’era l’orizzonte
illimitato che la steppa ardeva
nelle bufere sue e nell’Asia oscura,
e nel regno tartàrico. La Vita
fu fredda e cupa, e ghiacciava ogni fonte,
e neve eterna i licheni stringeva,
perenne Morte della sua Natura.
Soffiava il gelo dalla Svezia, e il cigno
selvatico ghermiva i ghiacci ai laghi, e…
e le campagne tacèvano, e ardevano
nei lignei templi le più sante icòne,
ove pregava il Penitente arcigno, e…
e i nudi campi erano e tristi e vaghi,
e tra le stoppie i corvi ne gemèvano,
truce e selvaggia e funerea canzone.
La slitta urlava le lettere ai tetti
della gleba dispersa e analfabeta,
dove i signori restàvan coperti
nei cappotti degli orsi, e lì, a dormire
nei comodi lenzuoli dei lor letti,
udendo il canto dell’Anacorèta; e…
e i venti andàvan terribili e incerti, e
le nevi i fanghi a baciàr e a coprire. E
lungi brillava Pietroburgo, e poco
però si scorse nell’immensa Notte,
se non i corni tra le nebbie ai porti, e…
e i fuocherelli dei suoi monasteri,
e questo lume era debole e fioco, e
fredde s’ergèvan le vicine grotte,
ed era un sogno, un sonno di cuor morti,
tra le leggende e i loro desidèri.
E un contadino arpeggiando cantava
una ballata e nel gelo tremava. E…
e diceva costui assente e infelice:
«Ho da narrare una storia d’un folle», e…
e non si fece implorare, e diceva:
«L’altra Notte l’ho vista, la mia bionda,
e mi apparve alla Luna - la Fenìce
del ciel notturno - presso il pìcciol colle,
e verso me veniva, e a me fremeva,
ombra di neve eterna e vagabonda. E
sembrava sale la neve plasmata,
argento niveo i capei irrigiditi,
e ghiaccio il collo, e il labbro, e il mento, e il seno,
e nuda parve nel vento furioso, e…
e la pupilla brillava dorata,
adamanti di pietre e stalagmìti, e…
e l’aria da lei mossa era oro e fieno,
e il corpo errava vagamente ombroso. E
dissi: - Chi sei? E perché t’aggiri ignuda? -. E
l’eco mi rispondeva; ed ella tacque. E
ancor: - Chi sei? Sei fanciulla o sei spettro? -.
E tacque, e s’appressava a me, e era bella.
Mi parve un sogno; ed ella stava muta,
e lievemente gocciolava d’acque
il giòvin ventre. Aveva in man lo scettro
ordìto d’un cristallo e d’una stella. E: -
Perché sei ignuda? Non hai tu vergogna? -.
Ed ella allor rispose: - Sai! Se vesto
mi sciolgo e non vivrò. Io sono di neve,
anche la seta più leggera è Morte.
Mortale, ascolta! Suono una zampogna
con le mie labbra, e il cuor m’è sempre mesto
perché non posso amare; e nulla è lieve,
e tutto intorno è soltanto la Sorte
al mio ghiacciàr tremendo. Se mi abbracci,
mi scioglierò per sempre. Fuggi! E viva
sarò ancòr nella Notte fino al giorno,
e all’alba esalerò l’Anima fresca -. E…
ed io allor estasiäto: - E mi discacci? -.
Ed ella corse, e giunse ad una riva.
Ma ormai le stavo d’accanto e d’intorno, e
era stupenda, e melliflua, e donnesca. E: -
Sono l’improba di Tuonèla: uccidi! -. E
e io le miravo le forme gelate,
e i capei cristallini, e gli occhi d’oro,
e il nudo seno di ghiaccio, e le gote,
e il freddo ventre e dicevo: - Sorridi! - e…
e le mani graziose, e le ghiacciate
iridi belle, e il suo mantello moro -
la Notte russa! - e le sembianze immote.
Sentivo Amore, o pietà; e l’abbracciai,
così forte che avevo gelo anch’io,
e l’abbraccio mio ai fianchi ora la strinse,
e nel mio fuoco d’Ignoto ei la avvolse. E…
e ora tremavo, e tanto singhiozzai, e…
e la baciavo! La baciavo! Oh Dio!.... E
l’impeto mio così costei ne avvinse, e…
e ella tra le mani mi si sciolse!
E adesso per costei non fò che un canto.
La trucidai! Eh! Non mi resta che il pianto!». E…
e lenta venne la giòvine ostessa,
e al visionario il tè ridente offriva, e…
e sguardi incauti d’Amor gli porgeva,
e lo scrutava con occhi beäti, e…
quasi gemendo, e or scontenta e dimessa
di casti sensi fatàl lo assaliva, e…
e ella placidamente gli chiedeva:
«Ancòr un di quei abbracci tanto amati!».
Era giovane, e tanto bella e bruna,
apparsa dalle stufe dell’allegra e
lignea capanna, e era dolce e gagliarda, e
disse parole incomprese da ognuno, e
la illuminava da un vetro la Luna, e…
e sembrò neve nella Notte negra,
e la guancia arrossata era maliarda,
l’occhio azzurrino, e il suo crine era bruno.
Il narratore la guardò, ancòr, molto, e…
e bevve il tè, e quasi sputando disse:
«E che mai importa? Tu sei un sogno. Muori!», e…
e ella aggiunse: «Ancòr l’abbraccio ameno!».
Egli era fermo, e la mirò nel volto,
e folle le sembrò, e in occhio l’affisse; e…
e ella ancora: «Non ricordi i dolori
che lamentavo? E il mio mellifluo seno?».
Egli sorrise, e per sogno la intese,
e la scansava: «Oh preda di follia!», e…
e gli sembrava un sogno, era un miraggio, e…
e alza il bicchiere, e brinda, e ride e beve;
e cupamente irridendo la offese, e
e incauto la mandò lontano e via.
Ma ella a quest’uomo illuso - o no! - selvaggio
ella disse: «Son la Fanciulla della Neve». E:
«E come è certo? Sei un sogno, chimera,
tu non esisti, se qui non ti penso.
La vera dama s’è sciolta al mio bacio, e
l’acqua sua mi divenne un pianto eterno.
La Fanciulla di Neve è morta ier sera,
nell’attimo spezzato, il sonno intenso. E…
e tu, fantasma, vedi che mi giacio
oppresso e triste. Perché questo scherno?». E…
ed ella allòr che per lui aveva Amore,
s’allontanava e gli gelava il cuore.
Ecco! Pei disillusi questa è pena:
avèr di ghiaccio il cuor, neve la vena!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Mercoledì XXX Settembre, Giovedì I Ottobre AD MMXV