Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Le Norne. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Le Norne. Mostra tutti i post

venerdì 15 aprile 2016

Il Canto di RagnarøkkrI

O Erda, le Norne, tue figlie, le Streghe,
le falbe ragne hanno or dunque reciso,
e Wòtan stanco è di vìvere, e muor.

È giunto il Tempo dell’ùltimo spìr
di questa Vita degli Dei supremi,
e Ygdrasìl arde il Valhalla di argento.

Oh figliuole del Reno, oh ignude Ondine,
così la Sorte vi ridona l’oro
delle vostre conchiglie, e delle fresche
tièpide ripe, e de’ i vostri bracciali,
e della gemma vostra che accarezza
il crìn più biondo, e il seno che è fremente
ne’ il suo cògliere i baci di quest’acqua
che è primigenia e sacra.

Oh voi, non mai temete! Ora uno Spìrito
di Erda più immane, avvolge i Sogni
della nostàlgica e prode Brunilde;
sella il destriero, e salta.
Va… e cavalca… e cavalca, e ne’ il suo ambito
sognàr si avventa in su’ il fuoco perenne;
e la fiamma la spoglia lentamente,
Loge impazzito la ghermisce in un
bacio cinèreo di voluttà antica.
Non rimane che un cènere di donna
nella Notte di un Sogno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Il Sacrificio di Brunilde, per Il Crepuscolo degli Dei di W. R. Wagner, Illustrazione di Arthur Rackham, Fine del XIX Secolo



In Dì di Venerdì XV Aprile dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 20 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

VI. Preludio poetico. Le Fanciulle del Reno e Alberico

E mentre Freya agli Dei sale e ai fratelli,
rimàngon sole le Ninfe del Reno,
e Lorelei si lagna e si tormenta,
e alla Dea canta un carme di dolore.
Così giuocando trascòrron quest’ore,
e vêr il mezzogiorno un nembo in lenta
dolcezza piove, e il gemere suo è ameno,
e scorre ei su quei sguardi e freschi e belli, e…
e poscia questa pioggia i venticelli
solleticano ansando ogni bel seno.
Lorelei si ritira nella grotta,
dove sovente piange il suo Destino,
e molte Ninfe la seguono meste.
A scherzàr tra quest’acque rèstan leste,
col crine all’onde asperso e vôlto e chino, e
coi nudi seni e la scialba guanciotta,
e dentro il petto un cuor, un cuor che scotta,
e che è Figlio del Reno, egli, divino,
sol le tre primigenie Ninfe e bionde.
Ecco: Flosshilde, Woglinde e Wellgunde.
E son Sirene, esse, tra le più belle,
eterne e bianche, e guance seducenti,
lievemente arrossate dal lor senso,
ardendo incensi di rose e di viole,
e sorrisi leggiadri, e solitarie
ombre di Notte, allegre eternamente.
L’una fa un scherzo all’altra, e poi si pente,
e la terza danzando e l’acque e l’arie
in vortici dischiude, e ride al Sole,
oltre il nugolo oscùr che mugge immenso;
e son fanciulle divine e ridenti,
nate da un solo grembo, e son gemelle.
Ora scherzano e vanno sugli scogli,
e vanno… e vanno cantando una saga,
e la pioggia finisce, ed è il sereno.
All’orizzonte sta l’arcobaleno,
e la Natura intorno è dolce e paga,
e in fior si càngian i freschi germogli.
Ma a frànger quiete vièn ora un nemico,
da Nibelheim il Re infame, Alberico.

Egli è lo Gnomo delle nebbie oscure,
pìccolo e rozzo, di pelli coperto,
vestito d’orsi, e di lupi sgozzati,
la folta barba fin sul suo ginocchio,
e i capei negri di Morte e di sprezzo;
e qui sul Reno, lo muove una possa,
il Fato di Erda, che muta l’ha fatto
suo nel silenzio d’una Notte infame,
sussurràndogli arcani di Potere,
e promettendo una sposa al suo istinto.
Allòr costui contempla quelle pure
Ninfe che scorge, e tiene in capo un serto,
d’oro e di ossami biechi e trapuntati;
e corrivo… e corrivo sen va il suo occhio
su queste forme di donne e di vezzo,
ed ei per poco qui già non s’addossa,
furioso e incline al senso, e scaltro e matto.
E gli sta intorno d’insetti uno sciame,
e tanto ei odora di vin che va a bere,
e dalle sue Sirene - pensa - è vinto.
E così appena e appena qui nascosto,
Alberico contempla queste carni
di fanciullette natanti, e i loro scherzi,
i canti ingenuamente detti, e i trilli
delle onde quiete e delle lor conchiglie,
solleticate tutte dai bei piedi
danzanti delle Ninfe; e vede ei e ammira
le bianche mani gettàr l’acque in fronte,
e d’acque i lor capelli rigonfiarsi,
e saltellàr i ventri, e i seni tondi.
Egli le vede, e le vuole a ogni costo,
estasiäto dai lor molli carmi,
volti ridenti, e belli e sempre eterni,
i capei saltellanti come grilli.
Le brama tutte… tutte ghermìr Figlie
del sacro Reno. Oh Erda, oh Erda, oh Tu, non vedi?
E il Nibelungo or folle più sospira,
e quietamente va di ninfee a un ponte,
e il suo cuor ne ribolle e sta a infiammarsi,
s’incammina furtivo a’ qui crìn biondi.
Erda, oh meschina, è dunque tuo il meschino
che compirà l’infame e orbo Destino?

«Weia, Waga, Waga!» càntan le fanciulle:
«Oh Reno, oh Reno, custodisci il tuo oro!
Abbi tu a cuore, oh tu, le nostre perle,
e il nostro argento, degli Dei custode!
E vieni qui a cullare i scherzi nostri,
e le canzoni che cantiamo insieme,
sorelle in festa della tua Natura!
Weia, Waga, Waga! Riddiamo felici!»
càntan le Ninfe all’ombra di betulle:
«Oh come il flutto tuo s’è fatto moro,
acque raggianti tanto dolci a berle;
e il nostro scoglio lentamente erode
le sue pietre e i suoi sassi, e i freddi rostri!
Sorelle in festa: ora cantiamo insieme!
Oh acqua, oh acqua, fresca, eternamente pura!».
Ma qui procede con l’ombra sua oscura
il Nibelungo dal Regno di brume,
che ovunque porta la Notte sua orrenda,
nebbioso spettro del Nord dei Folletti,
ammaliäto da quel canto udito
che è misterioso e che è voce di dama; e
ei s’avvicina… s’avvicina e azzarda
lo sguardo ancora sulle femminine
forme, non visto - lo scaltro! - e sorride,
perverso come una Furia indomata,
e spia le schiene sedute allo scoglio,
pelle dorata d’estatico lume.
E alfine il bruto si fa avanti udendo
la paüra sconvolta delle Ninfe,
e i loro acerbi sospìr e i lor detti,
e sempre ei più le mira, ed è smarrito,
e nei lor sguardi lievemente sfama
la sua brama brutale; e poscia guarda
tra l’acque sacre le sue fanciulline,
riparate nell’onde, la spogliata
pelle lì proteggendo… lì, sul soglio
del santo fiume, fino al collo immerse,
e arrossite per tanta lor vergogna,
e maledìcon quest’infame Gnomo
il qual sogghigna e poi se ne rallegra,
inchinàndosi ai flutti, vêr di loro.
Così gli vèdon il sembiante moro,
e questa lunga barba ansiosa e negra,
e lo sprèzzano queste: «Non è un uomo!»,
e gli lànciano un’onda. Ahi quale rogna!
E qui dal Reno sono sempre asperse.
Ma egli, Alberico, porge le sue terse
mani, e non sa ei che è come su una gogna.
«Fanciulle belle» egli soävemente dice:
«Ah perché nascondete l’alme forme:
i seni vostri, e i ventri, e l’anche, e i fianchi?».
E le Sirene vòlgono i lor bianchi
volti, si guàrdan, e invòcan le Norne,
e già un silenzio ora le maledice.
«Fanciulle belle!» sclama l’infelice
che sulla terra lascia piccole orme.
Ma più fatale d’una cupa runa
chi gli risponde, ahimè, se non nessuna?

Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Venerdì XX Novembre AD MMXV

martedì 10 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

IV. Invidia e Ira. Bellezza e Odio. Il Monologo di Erda

Ygdrasìl ora è cupo, e solitario,
e ogni Norna or è andata altrove, all’antro
della sacra betulla; e lì il sudario
del Destino si tesse. Ma Erda accanto
alle più tetre frasche e immota e muta
al vìl tronco si regge, e grida. Tanto
or è ferita dai decreti; e cruda
già si muove a vendetta, empia… iraconda,
e la Tempesta che si placa scruta.
Chiama una nube; e vi specchia: la bionda
chioma, e il giovine volto, e il corpo ameno,
primigenia bellezza. E affonda… e affonda
nel mar dell’ira e dell’invidia; e il seno
per specchiarlo si spoglia, e il ventre, Dio
delle Stirpi divine, e Genio. Osceno
è l’ombreggiàr del suo corpo, che è fio
d’uno scorno inatteso; e quasi informe
è questa sua bellezza. E grida: «Oh mio
cuore di Donna suprema, ingannato
tu sei; e tu… tu, svanisci, oh nube folle,
mentitrice assoluta, oh specchio bruto!
Tu che mi mostri le bellezze mie,
quando v’è altra Bellezza che è più degna,
muori! Sparisci! Oh ladro di mia quiete!».
E piena d’ira, il peplo si è strappato,
e come un lupo, ella ulula su un colle,
e dal suo labbro, quasi scende un sputo.
Osserva… e osserva le irrequiete vie
delle civette, e la Notte che regna;
e di vendetta e di Morte Erda ha sete.
È un Mostro, Furia d’un Occhio ribelle,
Spettro del Fato; è una donna convulsa
dal sogno infranto di regnàr sul Mondo;
e chiama i nembi, e vi si specchia, e ingiuria,
e li allontana, e li richiama, e guarda,
perfettamente legge in ogni nube,
e sempre trema; e non scorge che Freya,
cimba vivente sui flutti del Reno,
lì, tra le Ninfe, sciagurate al cenno
della Sorte nascosta ai loro corpi:
non vede che la bianca e dolce pelle
della Dea per la qual ode ripulsa,
e il volto bello, e il suo labbro giocondo,
le guance belle… e s’infuria… e s’infuria;
e la boccuccia giovine e maliarda,
e il ventre puro, e i fianchi, e il casto pube, e
le gambe belle. Ed Erda quasi abbaia!
E scorge la sua schiena, e il fresco seno…
e va… e va… e va a infuriarsi. È fuor di senno!
E i suoi sogni supremi sono morti.
Ma quel che ‘l più spaventa e ‘l fa dolère
è il sapèr dell’arcano e oscùr Potere.

«Io son la Dea, la Prima delle Schiatte,
e nessun Dio più di me è forte, e esiste.
E io ho il nome: Madre; e reggo e Norne e Fato,
e Tutto a me si piega e si costerna;
ed esse le mie Figlie dìcon questo:
che Freya è Bellezza superiore, e un Nume
di me più eccelso nel suo cuor s’incarna,
un Potere a me ignoto. Egli! Immortale
quando nel Regno mio anche gli Dei han fine!
Oh del Destino parole empie e matte! E…
e io già lo sento: è un Dio che mi sussiste, e
che nel mio cuore ora non è che odiato.
Egli mi fece…. Oh arroganza superna!
No, Dio… Dio mio! No!.... Son lo Spettro mesto
che il Tutto ha ordito, e che irradia di Lume
la tua Natura, sì finita e scarna,
e che rivela al Vivente il fatale
decreto del Destino. E Tu, Sublime
chimera, oh Tu, spauracchio d’uno Gnomo
credulone e gaudente, ascolta l’ira
d’una tua Donna, ingannata e reiëtta,
cui hai ben nascosto e il Vero, e il Male e il Bene,
Tu, sapendo che creo ogni cosa! Ascolta!
Vada il tuo Amore nel Caos primordiale,
la tua Bellezza crolli, e Freya svanisca;
e la mia Possa ti premerà! Morte
giuro e Vendetta! E contro Te già tuono,
e contro i Vivi il mio Spettro si aggira,
e contro la tua Stirpe maledetta,
e pel mio trionfo bramo laide cene.
Vedi, oh Superno! Già nell’ira avvolta
strùggere voglio il tuo Mondo gioviale;
e Freya, la bella… e Freya sarà una lisca
che affogherà nel Reno. È la sua Sorte!».
Erda! Erda! Oh Erda! Ah perché così tu ingiuri?
Anche i tuoi Fati saranno più oscuri. E
Erda ingiuriando svanisce nel Nulla.
Oh Freya! Oh Misera! Oh Dea! Oh bella Fanciulla!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì X Novembre AD MMXV 

martedì 6 ottobre 2015

La Ballata dell'Ondina del Reno

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
tra le nebbie del Reno i vapori,
Ondina la fanciulla del re delle onde,
la bella ninfa, e il dolce cuore suo,
quando canta con l’arpa delle Norne
sotto lo strale della scialba Luna.

Perché volete sapere di lei?
Chiunque la ha scrutata è presto morto.
Perché volete sapere di lei?
Ella dòmina il vento e ogni Destino.
Orsù! Chiedètelo al mio pescatore,
è uno spettro che vaga nella Notte,
è stato ucciso da uno sguardo amabile
di questa Dea che lievemente arpeggia.
Chiedètelo al mio pescatore morto,
se mai incontrate la sua Anima oscura.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
ci dicono che è bella e che è bionda,
Ondina argentea dell’oro delle acque,
la selvatica ombra che racconta i suoi
spasimi antichi, nelle orrende Furie
dei tremuli naufragi della sera.

Tacete, ignari, di questo mistero!
La sua bellezza dischiude la tomba.
Tacete, ignari, di questo mistero!
È meglio non udire le sue nenie.
Domandàtelo al figlio del prìncipe,
è uno scheletro bruto sulle sponde,
lo hanno affogato le Ondine ribelli,
mentre rideva la vostra fanciulla.
Domandàtelo al figlio del prìncipe,
quando inciampate nelle sue ossa orrende.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
del canto che dischiude il suo labbro,
Ondina cara alle nubi del vespro
e agli irrequieti sogni dei barcaiuoli,
estasi folle del senso notturno
di chi viaggia confidando nel buio.

Di qua fuggite, prima che sia tardi!
O moriremo tutti al suo bel trillo.
Di qua fuggite, prima che sia tardi!
Sol io ho il potère di intènderne il canto.
Ma se la Ninfa mi vede con voi
mi annegherà nel vortice di un ballo,
e muterò in uno spettro blasfemo,
muto e insepolto e non avrò riposo.
Ma se la Ninfa mi vede con voi,
mi attoscherà con il suo crine inquieto.

Raccòntaci di Ondina nel suo ninfale,
il letto delle rive del Reno,
Ondina sacra agli Dei degli stagni
che è la figlia di un sogno sofferente
nel visionario tramonto del cielo,
dove la Luna emerge dal Nulla del monte.

Voi disfidate la Sorte iraconda,
non vi son che sepolcri che ci inghiòttono.
Voi disfidate la Sorte iraconda,
sentite il trillo: è la Morte che incombe!
Raccontiamo di Ondina nel suo ninfale:
siamo spettri nella tomba delle tenebre!  


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì VI Ottobre AD MMXV