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sabato 14 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

V. Senso, Bellezza e Desiderio del Reno

Erda ha giurato: vendetta sia! E fugge,
Erda, alle nebbie svanendo nella Notte. E
qui Ygdrasìl trema oscuro e inferocito,
e le alte fronde del Fato son ombre,
lì, tra l’argento della Luna impura, oh
quercia, sotto cui si radunano i lupi, i
famelici Orchi della sera invitta, e
manti di Morte affamati di ragne.
E qui segretamente e lento rugge,
ei, il Regno del Destino, e alle sue grotte
ogni Norna lamenta. E l’infinito
aëre delle Furie, ei, orrido e informe
va. E fuori il cielo sempre più si oscura, e
domina i monti, e i vàlichi, e i dirupi.
Ogni Elemento danza una sua ridda,
e l’orizzonte fa eco alle sue lagne.
Erda, Erda è Spettro che vaga ululando,
e alle sue cure paziente provvede,
Erda, la Dea invidiosa. Oh la Ribelle!
Ed ella avvolta in Tutto va pensando,
e qui terribilmente più non cede, e
delle Valchirie vuol forse le selle.
Così lenta vien l’alba, e il nuovo giorno!
Tenebre fitte s’aggìran d’intorno.

Ora, mentre la Notte s’abbandona
a un mattutìn riposo, e dorme, e mentre
il primo Sole dà un bacio alla Luna,
e intanto che Ygdrasìl esausto trema
con le sue foglie in preda alla rugiada,
e quando tra le sue onde splende l’oro
del sacro fiume, specchio della stella,
tra gli Gnomi custodi, ebbri di vino,
Freya a uno scoglio si siede; e all’acque dona
un suo sorriso, un sospìr del ventre
che il seno muove nell’aurora bruna.
Ed è un sèn che non sa l’empio anatèma
che Erda gli ha ordito, Erda, la Dea sprezzata;
e che bello si erige, scialbo, e moro
dove un dì sarà il latte. Oh Freya, la bella!
Ed ella è Vita, Infinito divino,
e specchiàndosi a un’onda, ora innocente
si pettina i capei con la conchiglia
che in mano tiene: lì i riccioli biondi,
e qui le trecce presso le orecchie
che come baci scendono alla gola
solleticandole il corpo che ride,
e qua, lisci alla nuca, e ora là, dietro
il collo a ricoprirsi un po’ di schiena, e…
e una ciocca alle spalle. Oro… oro… e Sole!
E le pupille azzurre sulle viole
presso una riva si posano, amena
Dea di Bellezza e Gioventù. E sul vetro
delle sacre acque, ella, il suo sguardo incide,
un volto che nel vìver si consòla;
e lungi scorge gli scogli e le vecchie
foreste antiche, e in ciel i vagabondi
rondoni inquieti. E ha bionde ciglia,
nuda e selvaggia, qui, innocentemente;
e annoda ai fianchi un drappo falbo e intenso,
a ricoprirsi il femminino senso.

Oh mai veduta beltà, e mai Dea attesa!
E mai cantata giovinezza e donna!
Ella sta muta, e accarezzando il crine,
e poi solleticando il fianco, trae
le gambe sullo scoglio, e i piedi appoggia
dolci sul Reno, sensualità casta,
e con lor dita arpeggia l’acque fresche,
e canta le canzoni delle Ninfe,
un giorno prima apprese; e sotto i rai
del Sole vive, e le Ondine ridesta.
Tiene i capelli, e non lascia la presa,
e ride verso la pìccol sua gonna,
e ammira le lontane e bianche cime
dove l’attèndon gli Dei, e protrae
a queste il canto suo, rorida pioggia
d’insolite ansie; e ignora la nefasta
Sorte, e le Norne, possanze donnesche.
Ed ella sola tiene alle sue grinfie
il corpo suo, e ora scherza. Lorelei[1]
canta con lei, e l’invita a fare festa.
E Freya la segue, e qui cantano insieme,
e l’orizzonte si apre alle lor voci e…
e Freya cantando soffia aliti caldi
alle sue braccia e agli zefiri primi,
desiderosa di Vita e di gaudi; e
desiderosa di Vita e di gaudi
ell’è dassenno, coi sguardi sublimi,
col sensuale torace, e i sembianti alti,
labbra assassine dei venti più atroci,
e ricca di Bellezza, e poi di speme. Oh
desiderosa di Vita e di gaudi!
Ora le Ondine vanno alla sua cetra,
e le pòrgono i seni, e i ventri e gli occhi,
e come Lorelei, càntan con lei.
E questi suoni sentono gli Dei,
e codesti soävi e bei rintocchi,
e allor un Messaggèr màndan dall’etra.
E allora un Elfo scende, e va sul Reno,
e fulminato vièn da questo seno.

Ei si presenta alla Dea e dice poscia:
«Vieni con me: gli Dei ti vòglion presto,
e a te son io mandato. Sali ai monti!
Scherzerai dopo con queste Sirene;
ora sèguimi, andiamo. Ecco una veste!»;
e detto questo ei le dà un peplo e un drappo,
e poi le mostra le valli divine:
«Lorelei, oh Lorelei, canta per lei
che tra di noi festosamente inciela!».
E Freya lo ascolta, e il collo, il sen, la coscia
febbrilmente ricopre. Oh peplo mesto!
E con quest’Elfo sale agli orizzonti,
e invitte ha nel suo cuor le giòvin lene,
e guarda e ammira le tetre foreste.
E intanto l’Elfo gode e beve un nappo,
Messaggero fatale, al ber inclìne.
E così Freya a conòscer va gli Dei.
Ahi qual sciagure non sa, ahimè, costei!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Sabato XIV Novembre AD MMXV



[1]  Lorelei, si pronuncia Lorelài, è la mitica Sirena del Reno. Regina delle Ondine, con il suo canto affascinava chiunque la ascoltasse.

martedì 10 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

IV. Invidia e Ira. Bellezza e Odio. Il Monologo di Erda

Ygdrasìl ora è cupo, e solitario,
e ogni Norna or è andata altrove, all’antro
della sacra betulla; e lì il sudario
del Destino si tesse. Ma Erda accanto
alle più tetre frasche e immota e muta
al vìl tronco si regge, e grida. Tanto
or è ferita dai decreti; e cruda
già si muove a vendetta, empia… iraconda,
e la Tempesta che si placa scruta.
Chiama una nube; e vi specchia: la bionda
chioma, e il giovine volto, e il corpo ameno,
primigenia bellezza. E affonda… e affonda
nel mar dell’ira e dell’invidia; e il seno
per specchiarlo si spoglia, e il ventre, Dio
delle Stirpi divine, e Genio. Osceno
è l’ombreggiàr del suo corpo, che è fio
d’uno scorno inatteso; e quasi informe
è questa sua bellezza. E grida: «Oh mio
cuore di Donna suprema, ingannato
tu sei; e tu… tu, svanisci, oh nube folle,
mentitrice assoluta, oh specchio bruto!
Tu che mi mostri le bellezze mie,
quando v’è altra Bellezza che è più degna,
muori! Sparisci! Oh ladro di mia quiete!».
E piena d’ira, il peplo si è strappato,
e come un lupo, ella ulula su un colle,
e dal suo labbro, quasi scende un sputo.
Osserva… e osserva le irrequiete vie
delle civette, e la Notte che regna;
e di vendetta e di Morte Erda ha sete.
È un Mostro, Furia d’un Occhio ribelle,
Spettro del Fato; è una donna convulsa
dal sogno infranto di regnàr sul Mondo;
e chiama i nembi, e vi si specchia, e ingiuria,
e li allontana, e li richiama, e guarda,
perfettamente legge in ogni nube,
e sempre trema; e non scorge che Freya,
cimba vivente sui flutti del Reno,
lì, tra le Ninfe, sciagurate al cenno
della Sorte nascosta ai loro corpi:
non vede che la bianca e dolce pelle
della Dea per la qual ode ripulsa,
e il volto bello, e il suo labbro giocondo,
le guance belle… e s’infuria… e s’infuria;
e la boccuccia giovine e maliarda,
e il ventre puro, e i fianchi, e il casto pube, e
le gambe belle. Ed Erda quasi abbaia!
E scorge la sua schiena, e il fresco seno…
e va… e va… e va a infuriarsi. È fuor di senno!
E i suoi sogni supremi sono morti.
Ma quel che ‘l più spaventa e ‘l fa dolère
è il sapèr dell’arcano e oscùr Potere.

«Io son la Dea, la Prima delle Schiatte,
e nessun Dio più di me è forte, e esiste.
E io ho il nome: Madre; e reggo e Norne e Fato,
e Tutto a me si piega e si costerna;
ed esse le mie Figlie dìcon questo:
che Freya è Bellezza superiore, e un Nume
di me più eccelso nel suo cuor s’incarna,
un Potere a me ignoto. Egli! Immortale
quando nel Regno mio anche gli Dei han fine!
Oh del Destino parole empie e matte! E…
e io già lo sento: è un Dio che mi sussiste, e
che nel mio cuore ora non è che odiato.
Egli mi fece…. Oh arroganza superna!
No, Dio… Dio mio! No!.... Son lo Spettro mesto
che il Tutto ha ordito, e che irradia di Lume
la tua Natura, sì finita e scarna,
e che rivela al Vivente il fatale
decreto del Destino. E Tu, Sublime
chimera, oh Tu, spauracchio d’uno Gnomo
credulone e gaudente, ascolta l’ira
d’una tua Donna, ingannata e reiëtta,
cui hai ben nascosto e il Vero, e il Male e il Bene,
Tu, sapendo che creo ogni cosa! Ascolta!
Vada il tuo Amore nel Caos primordiale,
la tua Bellezza crolli, e Freya svanisca;
e la mia Possa ti premerà! Morte
giuro e Vendetta! E contro Te già tuono,
e contro i Vivi il mio Spettro si aggira,
e contro la tua Stirpe maledetta,
e pel mio trionfo bramo laide cene.
Vedi, oh Superno! Già nell’ira avvolta
strùggere voglio il tuo Mondo gioviale;
e Freya, la bella… e Freya sarà una lisca
che affogherà nel Reno. È la sua Sorte!».
Erda! Erda! Oh Erda! Ah perché così tu ingiuri?
Anche i tuoi Fati saranno più oscuri. E
Erda ingiuriando svanisce nel Nulla.
Oh Freya! Oh Misera! Oh Dea! Oh bella Fanciulla!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Martedì X Novembre AD MMXV 

lunedì 9 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

III. Il Destino di Freya

Allor le Norne tessono le ragne,
e nella Notte son streghe di Luna.
Erda, la Madre, le scruta e le osserva,
divinamente balda e pièn d’orgoglio,
e inquieta attende il fatàl lor decreto,
come uno Spettro che nel vento ondeggia; e
esse, le figlie, urlando oscure lagne,
danzano intorno, e a una rorida runa
incidono gli arcani. E falba serva
è questa seta d’un ragno e un germoglio, e
esse, le Norne, osservano irrequieto
lo sguardo della Madre. E il ciel rosseggia
di fredde piogge e di saëtte oscure,
e Dònner si lamenta, empio il Martello,
e Ygdrasìl trema, e tremando annera
nelle tènebre fosche, dove ei giace,
indòmite radici della Terra.
E gli Elementi si fanno la guerra,
ed Erda è lieta e di lor si compiace,
ed è perennemente e sempre sera,
e tra le frasche geme un mesto augello.
Ahi! Del Fato quai son le attese cure?
E le caverne non son che terrore
di chi ordire ne vuol la fin d’Amore!

Allor le Norne tessono le ragne,
e all’arcoläio all’opra sono intente,
e Ùror afferra l’estremo di un filo,
Skùld prende l’altro, e Verdàndi lo scruta;
e cammina… e cammina un ragno in salti,
ed Erda è immota, e qui attende il verdetto,
avvolta nei vapori del suo spiro,
lì, dove appare il Destino furioso.
Ygdrasìl ode le tetre campagne
colpite dalle piogge, e allegro sente
i fulmini di Dònner; e giù, l’imo
antro ei protegge, ‘ve una possa muta
quasi s’avanza. E gli Spettri dei Scaldi
degli Elementi giùngon al cospetto
dell’ossee Norne, e danzanti in delirio
tolgono il velo al Fato anche più ombroso.
E a Erda dinnanzi, appàr Freya in visïone,
ombre mistiche e in nubi e prepotenti:
un denso nembo di femminee forme,
immoto e privo fors’anche di Vita,
dove il sèn sembra marmo, e l’occhio argento,
e oro la bionda chioma, e il corpo morto;
e i Scaldi antichi cantano a Costei,
e strìngon l’arpe della Sorte arcana.
E l’ombra ignuda più non va lontana, e
è catturata, e è il Destìn degli Dei.
Erda lo sguardo nella nube ha assorto,
e quasi sente un profondo spavento
per colei che ha crëàto. Oh l’infinita
Madre più antica! E ora giace difforme.
«Ditemi, oh Figlie: i Destini soffrenti!»
ella comanda, ansando una canzone.
E le sue Norne ascoltano i Poëti,
che poi svanìscon, sepolti e irrequieti.

Verdàndi dice: «Di Morte ha le membra,
Freya la più bella, ma invitta ha la possa.
Ora l’ho letto: morirà, ella, un giorno;
ma il suo cuore è immortale, ed è infinito.
Ho visto: e Dei e Giganti e Nibelunghi
per lei far guerre, e maledirla - e tanto -
in nome del Potere d’un Anello,
che è l’Odio primigenio e mai domato
dell’Universo tuo, oh Erda; e lei venduta
ai bruti Divi di Riesenheim, pegno
di Wòtan per la reggia dei suoi pari.
Erda, oh Madre, Erda! Di Morte ha le membra,
ma il suo Potere non avrà la fossa,
e spento il corpo, ei s’aggirerà intorno,
ei, primigenio Iddio, e perenne Mito!
Vincerà il Mondo, quando i Ghibicunghi
corromperanno l’Eroe, oscuro manto;
e volerà, e sarà come un fringuello
libero e lieto, cui nulla può il Fato!
Oh Erda! Freya è Amore; e Tu… Tu l’hai intessuta!
Ma ella si sottrae a quello che è il tuo Regno:
non di Te ella è minore, e non è pari!».
Ed Erda ascolta, e ascoltando ella trema,
ride alle Figlie, ma in cuor è anatèma.
E mentre ora le Norne tàccion meste,
nel cuore di Erda vi son le Tempeste.

E ora Ùror dice: «Freya ha una possa eterna
che non è Anima, né Spirito; e è un Dio,
Madre, un Dio che è il più forte, oh Erda; egli Mente
è e Azione e Amore! E perché ci ingannasti?
Madre? Oh Tu, nascondendoci il suo Serto?
Perché dicesti che Tu sei la Dea
delle Dee, e Madre di ciò che qui è vivo,
e che mai nulla si sottrae al Destino?....
Erda, Erda! Oh Madre! Nella ragna ho letto
anche il tuo, e il nostro Fato. Il Ciel soccombe
dei folli Dei, e il Destino ‘l va a seguire,
e Tu, Madre di Vita, or sei la Morte!».
Ma Skùld aggiunge: «Madre, oh Tu, superna,
or vedi che accusiamo; e ingrato è il fio.
Ma poiché noi siam Figlie tue, oh Possente,
noi con Te andiamo a cercàr prepotente
Gloria, e Vendetta! E i Destini nefasti
vinceremo, se unite; e questo è certo!
Affretteremo quel che si dicea:
corrompiamo gli Dei, e il lor sacro rivo,
il quieto Reno, e diàm voglie a un meschino,
Alberigo, il feroce, egli, il Folletto!
Si schiuderanno agli Dei le orbe tombe,
e ciò che questo Iddio creò, andrà a morire;
e vinceremo noi, e Tu, oh sì, e la Sorte!
Ma il Nibelungo or corromperai Tu,
Erda, Erda! Oh Madre! E Dea d’un Dio che fu!».
E le Norne or svanìscon. Erda grida! E
sola rimane: oscura e irata e infìda!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Lunedì IX Novembre AD MMXV