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lunedì 9 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

III. Il Destino di Freya

Allor le Norne tessono le ragne,
e nella Notte son streghe di Luna.
Erda, la Madre, le scruta e le osserva,
divinamente balda e pièn d’orgoglio,
e inquieta attende il fatàl lor decreto,
come uno Spettro che nel vento ondeggia; e
esse, le figlie, urlando oscure lagne,
danzano intorno, e a una rorida runa
incidono gli arcani. E falba serva
è questa seta d’un ragno e un germoglio, e
esse, le Norne, osservano irrequieto
lo sguardo della Madre. E il ciel rosseggia
di fredde piogge e di saëtte oscure,
e Dònner si lamenta, empio il Martello,
e Ygdrasìl trema, e tremando annera
nelle tènebre fosche, dove ei giace,
indòmite radici della Terra.
E gli Elementi si fanno la guerra,
ed Erda è lieta e di lor si compiace,
ed è perennemente e sempre sera,
e tra le frasche geme un mesto augello.
Ahi! Del Fato quai son le attese cure?
E le caverne non son che terrore
di chi ordire ne vuol la fin d’Amore!

Allor le Norne tessono le ragne,
e all’arcoläio all’opra sono intente,
e Ùror afferra l’estremo di un filo,
Skùld prende l’altro, e Verdàndi lo scruta;
e cammina… e cammina un ragno in salti,
ed Erda è immota, e qui attende il verdetto,
avvolta nei vapori del suo spiro,
lì, dove appare il Destino furioso.
Ygdrasìl ode le tetre campagne
colpite dalle piogge, e allegro sente
i fulmini di Dònner; e giù, l’imo
antro ei protegge, ‘ve una possa muta
quasi s’avanza. E gli Spettri dei Scaldi
degli Elementi giùngon al cospetto
dell’ossee Norne, e danzanti in delirio
tolgono il velo al Fato anche più ombroso.
E a Erda dinnanzi, appàr Freya in visïone,
ombre mistiche e in nubi e prepotenti:
un denso nembo di femminee forme,
immoto e privo fors’anche di Vita,
dove il sèn sembra marmo, e l’occhio argento,
e oro la bionda chioma, e il corpo morto;
e i Scaldi antichi cantano a Costei,
e strìngon l’arpe della Sorte arcana.
E l’ombra ignuda più non va lontana, e
è catturata, e è il Destìn degli Dei.
Erda lo sguardo nella nube ha assorto,
e quasi sente un profondo spavento
per colei che ha crëàto. Oh l’infinita
Madre più antica! E ora giace difforme.
«Ditemi, oh Figlie: i Destini soffrenti!»
ella comanda, ansando una canzone.
E le sue Norne ascoltano i Poëti,
che poi svanìscon, sepolti e irrequieti.

Verdàndi dice: «Di Morte ha le membra,
Freya la più bella, ma invitta ha la possa.
Ora l’ho letto: morirà, ella, un giorno;
ma il suo cuore è immortale, ed è infinito.
Ho visto: e Dei e Giganti e Nibelunghi
per lei far guerre, e maledirla - e tanto -
in nome del Potere d’un Anello,
che è l’Odio primigenio e mai domato
dell’Universo tuo, oh Erda; e lei venduta
ai bruti Divi di Riesenheim, pegno
di Wòtan per la reggia dei suoi pari.
Erda, oh Madre, Erda! Di Morte ha le membra,
ma il suo Potere non avrà la fossa,
e spento il corpo, ei s’aggirerà intorno,
ei, primigenio Iddio, e perenne Mito!
Vincerà il Mondo, quando i Ghibicunghi
corromperanno l’Eroe, oscuro manto;
e volerà, e sarà come un fringuello
libero e lieto, cui nulla può il Fato!
Oh Erda! Freya è Amore; e Tu… Tu l’hai intessuta!
Ma ella si sottrae a quello che è il tuo Regno:
non di Te ella è minore, e non è pari!».
Ed Erda ascolta, e ascoltando ella trema,
ride alle Figlie, ma in cuor è anatèma.
E mentre ora le Norne tàccion meste,
nel cuore di Erda vi son le Tempeste.

E ora Ùror dice: «Freya ha una possa eterna
che non è Anima, né Spirito; e è un Dio,
Madre, un Dio che è il più forte, oh Erda; egli Mente
è e Azione e Amore! E perché ci ingannasti?
Madre? Oh Tu, nascondendoci il suo Serto?
Perché dicesti che Tu sei la Dea
delle Dee, e Madre di ciò che qui è vivo,
e che mai nulla si sottrae al Destino?....
Erda, Erda! Oh Madre! Nella ragna ho letto
anche il tuo, e il nostro Fato. Il Ciel soccombe
dei folli Dei, e il Destino ‘l va a seguire,
e Tu, Madre di Vita, or sei la Morte!».
Ma Skùld aggiunge: «Madre, oh Tu, superna,
or vedi che accusiamo; e ingrato è il fio.
Ma poiché noi siam Figlie tue, oh Possente,
noi con Te andiamo a cercàr prepotente
Gloria, e Vendetta! E i Destini nefasti
vinceremo, se unite; e questo è certo!
Affretteremo quel che si dicea:
corrompiamo gli Dei, e il lor sacro rivo,
il quieto Reno, e diàm voglie a un meschino,
Alberigo, il feroce, egli, il Folletto!
Si schiuderanno agli Dei le orbe tombe,
e ciò che questo Iddio creò, andrà a morire;
e vinceremo noi, e Tu, oh sì, e la Sorte!
Ma il Nibelungo or corromperai Tu,
Erda, Erda! Oh Madre! E Dea d’un Dio che fu!».
E le Norne or svanìscon. Erda grida! E
sola rimane: oscura e irata e infìda!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Lunedì IX Novembre AD MMXV

venerdì 6 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

II. La Caverna delle Norne

E la valle è tremenda che dà all’Alpi,
tetra nel vitreo terrore d’un pianto,
e sul far della sera un monte grida,
dove il giorno tramonta e non s’avanza:
il regno delle Norne, primigènie
figliuole di Erda, e tessitrici
dei velami segreti del Destino.
Ùror, Skùld e Verdàndi vèston gli albi
pepli del Fato, e indagano col canto
ciò che nei Vivi di mistèr s’annida;
e vanno… e vanno, e si tèngon per danza,
oscura e dura e immatura Progènie,
e della Sorte son le genitrici,
han bello il volto, ma il cuor han meschino.
E la valle è tremenda che dà all’Alpi,
mentre sul Reno ondeggia la Dea bella,
tessendo scherzi alle Figlie delle onde,
le placide Sirene degli scogli;
dov’ella il crine cinge di ninfee, e
solleticato sente il sèn dall’àlighe,
e la gioja della sua Vita; e ove sella
le acque danzanti, e sulle chiome bionde
dei salci intorno accoglie i bei germogli,
ella, la più fatale delle Dee,
la più ridente tra gli Dei immortali.
E la valle è tremenda che dà all’Alpi;
e all’ombra di Ygdrasìl sovviene il Fato,
il scialbo telo d’un Dio inesorato.  

Ùror, Skùld e Verdàndi giàccion meste
sotto le fronde della sacra pianta,
le cui frasche tremanti urlano al cielo,
tra l’argento che è effuso dalla Luna,
Mostri ancestrali delle terre oscure.
E Notte è sempre, e orrende le Nature,
ed esse hanno alle mani un’empia runa,
ordita nelle nevi. Oh eterno è il gelo!
E questa pietra flebilmente canta,
e affanni invòca, e carestie e Tempeste.
Ùror, Skùld e Verdàndi giàccion meste,
avvolte nei velami della Notte,
figlie di Erda, lo Spettro, e brute streghe;
e qui, sotto Ygdrasìl, han l’arcoläio,
tomba funerea di guerrieri e amanti,
onde tràggon le ragne del Destino.
Hanno divelto nel legno le grotte,
e vivono nascoste, e fan congreghe,
col vischio e il vento, e il salice e il roväio;
e hanno gli occhi fatti di adamanti,
e il torvo collo piegato e supino.
Son giovinette ululanti e deformi,
sguardi di lupi, e voci come i corni.

Mostri ancestrali delle terre oscure,
tutto esse sanno: la Vita e la Morte,
e il vile e il prode, e il tempo degli Dei,
e il Divenire eterno del Vivente,
e la possa temuta del Dio Loge[1],
e tessono coi ragni le lor tele.
Sui lor pepli discèndon l’ambra e il miele
della sacra Ygdrasìl; e han tetre toghe,
e all’Infinito han rivolta la Mente,
e non conòscon gioje né imenei,
Posse occulte e feroci della Sorte.
Ed Erda ora le chiama e appàr tra loro
per ordìr il Fato a quel crine che è d’oro.

«Figlie!» ella sclama: «Ho dato agli Dei un’altra
Dea la più bella, la giovine, e balda,
Figlia del mio Volere, e fior divino,
Freya, gioventù del Cielo, Freya l’Amore,
Potenza prima del nostro Universo.
Ella ha un’ora di Vita, e ride al Reno,
e ignuda sfide fa scherzosamente
alle Ninfe fluviali e alle viöle.
Tanto appàr dolce, e celestiale e scaltra,
e nella Vita già si crede salda.
Tessete, oh voi, tessete il suo Destino!
Or decidete l’ora del suo cuore,
quando del suo Dèstin il mondo asperso
sarà e nel pianto, e quando il seno
morirà della Dea! Oh Figlie mie: lente…
lente ordìtele i giorni e il quieto Sole!».
E lor, le Norne, obbediscono al Genio
della Madre che tièn l’immenso Regno;
poiché anche le celesti e posse prime
per Erda, per Erda, lo Spettro, hanno fine!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì VI Novembre AD MMXV



[1]  Loge, da pronunciarsi Loghe, è il Dio del Fuoco nella Mitologia norrena e germanica. 

martedì 3 novembre 2015

Das Freyalied - La Canzone di Freya

I. La Nascita di Freya

Erda! Erda! Madre della Stirpe, oh tu, Erda!
Oh Ventre di Ùror, di Skùld e di Verdàndi!
Erda! Erda! Ordisci la gioventù eterna;
e chiàmala bellezza, e gioja e Amore!
Primigènia perenne degli Dei,
Erda! Erda! Madre della Stirpe, oh tu, Erda!
Oh! Prendi le onde del Mare; oh tu, espandi
la tua alta creäzione, alba superna
della Vita gaudente; e sul biancore
delle spume, oh tu, fa’ i quieti imenei
della più bella tra tutte le Dee,
poiché risplenda, ella, tra le ninfee!

Erda! Erda! Spettro sibilante e puro,
prendi la sabbia del lido vicino;
e plasma: il crine con le fronde d’oro,
e le sue guance, e il volto, e il mento oscuro,
e il giòvin seno, e il ventre, e il suo Destino,
e l’inguine, e le gambe, e i piedi, e il moro
ombreggiàr lieto delle membra sue!
Erda! Erda! Spettro sibilante e puro,
prendi le frasche dell’àlighe fresche,
e tessi a lei così un serto d’argento,
e un pìccol peplo da annodarle ai fianchi,
perché costei sia ignuda sol coi seni
e con il ventre, Regina dei Numi.
Oh Erda! Sia gloria alle ciglia donnesche
che vai plasmando nel soffio del vento;
e d’acque le pupille agli occhi bianchi,
occhi che sono eternamente ameni,
e che splèndon di truci e altèri lumi!
Erda! Erda! Oh possente Creätrice!
Plasma Freya! Plàsmala! Oh la Dea più altrìce!

Allor dall’onde l’Ondine belle vanno,
e tèssono la Donna, la Dea bella;
nuda la plàsmano, ed ella respira.
Ed Erda dà alle Norne, le sue figlie,
la ragna oscura del di lei Destino,
perché lo scrìvano a un stel d’una runa.
E Freya, frattanto, sorride in affanno,
e vien vestita, oh la diva donzella!
E per la prima volta ella sospira,
e i piè suoi immersi bàcian le conchiglie
che vêr la sponda stanno al suo cammino;
ed è meriggio, in ciel è il Sol, la Luna.
Figlia la chiama Wòtan, il possente,

sorella Dònner, dal tuono lucente!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro


Martedì III Novembre AD MMXV