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giovedì 23 dicembre 2021

Lo Spirito del Natale e la Fanciulla di Neve

Tanto tempo fa viveva nella steppa una fanciulla fatta di neve che, coperta con vesti di vento, di ramaglie, di foglie secche e di fiori invernali, era da tutti allontanata con il più immane disprezzo, e così avveniva perché a tutti sembrava più un prodigio mostruoso che una creatura benevola. Inoltre, poiché era appunto di neve, ella viveva sempre al freddo.. immersa nel freddo, nella bufera, nella tormenta.. in mezzo a qualche piccola foresta dove l’unica compagnia che aveva era quella dei lupi i quali, solitari e famelici, non sempre accettavano le sue carezze fredde e i suoi gelidi richiami. Per non parlare del Sole, il baldo Jarilo! Intendiamoci, non che lo disprezzasse, anzi, era davvero un bel fanciullo codesto splendore, un eroe di quelli piacevoli! ma come potete immaginare sarebbe bastato che egli schioccasse dal suo arco anche il più piccolo dardo più caldo del solito per scioglierla per sempre e, uccisa, renderla acqua; e in fin dei conti, persino al Sole.. a questo giovine Jarilo, piaceva la fanciulletta di neve. Eppure, gli era chiaro che non avrebbe mai potuto amarla, cosicché si arrese e dov’ella fosse stata, egli non avrebbe brillato.

Però, che vita insopportabile e amara! Che immensa e profonda solitudine! Con chi parlare? Con chi ridere? Con chi lanciare disfide per delle tenzoni di corsa per la foresta?... La fanciulla non aveva amici, non aveva una izba tutta sua, non aveva nulla e per di più tutti, quando la vedevano, fossero Cosacchi, Cumani o Tartari, si guardavano bene da avvicinarsela, chiudevano bene le porte con una preghiera o una bestemmia e la esorcizzavano come se si fosse trattato di un demonio.

Un giorno, che era la vigilia di Natale, mentre tutti cantavano koliadka, la povera fanciulla stava seduta su una roccia accanto a uno stagno ghiacciato e stava piangendo da molto tempo, perché voleva cantare anche lei, desiderava essere tra le fanciulle liete dei villaggi; quand’ecco d’un tratto le apparve un signore molto vecchio, vestito come un grande vescovo il quale, abbracciatola, le chiese: “Deviushka, perché piangi?”.

“Non mi vuole nessuno, Pope. Sono un mostro.. tutti si allontanano da me” rispose la fanciulla di neve con mille singhiozzi e sospiri dopo un attimo di silenzio: “Vorrei cantare anch’io.. vorrei stare in mezzo a loro.. ma tutte le volte che mi avvicino imbiancando i loro campi e le loro vie mi mandano via. Inoltre, anche se fossi tra loro, dovrei stare attenta e molto: basterebbe un raggio di Jarilo e io rimarrei senza vita”.

Deviushka” disse la strana apparizione: “Se dunque desideri stare tra loro, allora, ascoltami: oggi è la Vigilia di Natale e questa sera debbo girare il mondo intero, in lungo e in largo, per portare qualcosa ai miei poveretti. Se tu mi volessi aiutare, potresti andare da loro e, mentre dormono, portare dei doni per i loro fanciulletti. Ma attenta! Che non ti veda nessuno e non ti colga l’arco infuocato di Jarilo all’alba!”.

Sentite queste parole, la fanciulla di neve, pur titubando, trasalì e pur di vedere e di stare in mezzo a quegli esseri strani che la scacciavano sempre e ben sapendo di stare per fare dei regali a quanti la odiavano, accettò la proposta del vecchio e, preso da quest’ultimo un sacco destinato ai villaggi dei dintorni e aspettata la mezzanotte, andò di izba in izba a mettere giù dei doni per i pargoletti. 

Ma come sempre il Diavolo, geloso delle buone gesta e nemico del Natale e di Dio, vedendo la fanciulla di neve che aiutava il vecchietto e che, forse senza saperlo, stava facendo felici molti fanciullini, si mise a provocare Jarilo, in modo che egli sorgesse con il suo carro prima del dovuto e sciogliesse la poveretta una volta per tutte.

“Tu.. stella da due soldi, guerriero con un arco che non vale nemmeno quello del più sfortunato dei Tartari.. piccolo dietto da riderci sopra.. allora, sei ancora convinto di brillare più di me che per millenni ho portato la luce?”.

“Oh piccolo demonietto che da quassù sembri un mezzo granello di polvere! Perché devi sempre turbare il mio riposo?... Lo sai bene che mentre tu puoi rischiarare poco più della tua ombra io rischiaro tutte le terre”.

“Oh piccola candela da cimitero, lumicino da strapazzo! Quanto dici è una menzogna. Lo sanno tutti che io allumino ogni cosa e che, se Dio mi lasciasse stare, la mia luce rimarrebbe anche di notte. Vuoi vedere?”.

“Oh insignificante moscerino dell’Inferno! Se tu brillassi, riusciresti a fare così tanta luce a distanza di un misero piede che per leggere le tue dannate pergamene di incantesimi dovresti rubare un cero da una chiesa”.

“Dunque tu, piccolo sasso infuocato che vai a dormire appena dopo il tramonto, come fanno nei pollai, pensi che io non sia in grado di brillare più di te?... Ebbene, te ne darò sùbito dimostrazione del fatto che ti sbagli”.

Una volta che disse così, il Diavolo si concentrò così tanto da cercare di alluminarsi; ma anche dopo un’ora non riuscì a fare nient’altro che emanare una piccola, debolissima luce fredda. Ma Jarilo, contentissimo del fallimento del rivale e dimenticandosi del proprio dovere, ridendo a più non posso, scagliò sulla terra tutte le sue frecce fino a sorgere con il suo bel carro.

Nel frattempo, la fanciulla di neve, che si era accorta dell’insolito arrivo dell’alba, avendo ancora dei doni da consegnare, per non venire meno all’impegno dato al vecchio e per non far piangere gli ultimi fanciullini, continuò il suo giro per le izbe e si dimenticò di riparare nella sua piccola foresta e così mettersi in salvo.

Aveva appena finito di consegnare gli ultimi giocattoli, quando, fuori da una izba, la colse una stanchezza mai provata, si sentì addosso un fuoco insopportabile, iniziò ad avere gli occhi profondamente annebbiati e fatti due o tre passi iniziò a tentennare, a sentirsi mancare e più di una volta si figurò prossima a cadere per terra. No! Non era possibile: era inverno, doveva essere ancora notte, dovevano mancare ancora due o tre ore all’alba. Cos’era questo fuoco da Primavera? E perché, ormai, era già giorno? Perché il villaggio iniziava a risvegliarsi?... In quel momento voleva maledire se stessa e quel vecchietto, e quel dannato Natale.. voleva maledire i suoi sogni, i suoi desideri e quelle dannate canzoni che avrebbe voluto tanto cantare tra le amiche. E Jarilo?!... Come si permetteva Jarilo di fare questi scherzi?... Lo aveva sempre saputo che Jarilo in realtà la disprezzava come tutti gli altri. Miserabile Jarilo! Ora la stava uccidendo e forse il suo regno.. il regno della Primavera e dell’Estate, voleva conquistare l’Inverno, probabilmente anche quello dell’immortale Katscheij, l’Autunno nebbioso e melanconico. Miserabile! Miserabili tutti!

Ma a un certo punto la fanciulla di neve, mentre aveva nel cuore tutto questo malessere e questi sentimenti, iniziò a sentire le grida di gioia dei fanciulli, i canti dei Cosacchi, le campane che martellavano a festa. Si avvicinò a una finestra, guardò dentro.. vide dei volti festosi e sorridenti… E poi.. si sciolse.

Dio stesso, dopo aver visto tutto questo, si arrabbiò molto con Jarilo e con il Diavolo e impose al primo di rispettare le stagioni e le ore del giorno, lo obbligò a ritirarsi per un po’.. per un mese e di far nevicare; al secondo ordinò di ritornare all’Inferno e di rinunziare per un anno intero a sedurre e a insidiare quelle terre. Guai se non lo avesse fatto! Lo avrebbe fatto bastonare dai suoi Angioli!... Poi, Dio chiamò il suo vecchio vescovo e si volle far spiegare meglio ogni cosa.

Era la sera di Natale quando in un villaggio nella steppa innevata apparve una fanciulla bellissima, in carne e ossa, pronta a imparare dei koliadka, ad avere amici, a vivere e ad amare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì XXIII Dicembre AD MMXXI.

In Memoria dei Maestri Piotr Il’ic Tchaikowskij (1840-1893) e Nikolaij Andreevic Rimskij-Korsakov (1844-1908).


Dipinto di Viktor Mikhailovich Vasnetsov (1848–1926), Snegurochka - La Fanciulla di Neve, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Simbolismo russo, 1899. Olio su Tela, 116x80 cm. State Tretyakov Gallery, Mosca (Russia).

mercoledì 2 dicembre 2020

Sneguroçka - La Fanciulla di Neve, ossia Fantasia slava di una Nevicata di Dicembre

Svanì… come ombra fuggitiva dentro

la neve scialba. Svanì come un Sogno!

Ah, mia tormenta! tu la divorasti

nelle tue fauci dai denti più gelidi,

immani latrati porgendo nel vuoto del giorno.

 

Artigli e impronte di sangue dovunque

splendono, intanto, alle rive dei ben

poco o mai soleggiati Desideri,

come se fossero stuoli di Unni sulle sponde del Fato.

 

Ma bardo dell’inverno canta il mio

cuore che ha freddo l’esausta malia

dell’amaro risveglio dalla folle

illusione che l’ha preso e perduto,

i salici contando che - rimasti -

specchio al suo pianto dirotto consigliano il sale alle lagrime.

 

Pur nel frattempo

l’immensità della steppa dei Sogni

chiama per nome l’eterno del suo

volto… piovon di slitte per le vie

le sue orme sempre infantili dai piedi

femminei d’oro,

bei piedi di femmina, non di marmo orditi, ma ghiaccio,

non seno di carne coperto di sete, ma seno

di neve ricamato con le foglie vecchie dei salici.

 

… L’orma si perde nel Nulla profondo….

 

Due occhi-fiocchi di Luna! Un labbro sciolto

di sempiterna assenza!

Il canto solitario della steppa!

I giuochi d’azzardo dei Cosacchi che urlano bestemmie!

 

Questa è la leggenda della solita Dea. Nel buio,

la Fanciulla di Neve, lei… nemica del Sole!

Quadro di Viktor Mikhailovich Vasnetsov (1848-1926), La Principessa addormentata, Tardo-Romanticismo e Simbolismo russo, 1900-1926.

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Mercoledì II Dicembre AD MMXX.

giovedì 1 ottobre 2015

La Leggenda della Fanciulla di Neve

La Luna alla Karèlia si mostrava,
pallida come una pietra di talco, e
era l’autunno, e venne il freddo vento,
soffiando spesso i primi argenti in neve, e…
e intorno il mar dei Fìnnici gelava
lievemente agli scogli, e urlava il falco
dai monti oscuri, e l’ululato lento
dei lupi ardiva, e il vespro era greve
come una roccia di tomba appassita. E…
e oltre la Luna v’era l’orizzonte
illimitato che la steppa ardeva
nelle bufere sue e nell’Asia oscura,
e nel regno tartàrico. La Vita
fu fredda e cupa, e ghiacciava ogni fonte,
e neve eterna i licheni stringeva,
perenne Morte della sua Natura.
Soffiava il gelo dalla Svezia, e il cigno
selvatico ghermiva i ghiacci ai laghi, e…
e le campagne tacèvano, e ardevano
nei lignei templi le più sante icòne,
ove pregava il Penitente arcigno, e…
e i nudi campi erano e tristi e vaghi,
e tra le stoppie i corvi ne gemèvano,
truce e selvaggia e funerea canzone.
La slitta urlava le lettere ai tetti
della gleba dispersa e analfabeta,
dove i signori restàvan coperti
nei cappotti degli orsi, e lì, a dormire
nei comodi lenzuoli dei lor letti,
udendo il canto dell’Anacorèta; e…
e i venti andàvan terribili e incerti, e
le nevi i fanghi a baciàr e a coprire. E
lungi brillava Pietroburgo, e poco
però si scorse nell’immensa Notte,
se non i corni tra le nebbie ai porti, e…
e i fuocherelli dei suoi monasteri,
e questo lume era debole e fioco, e
fredde s’ergèvan le vicine grotte,
ed era un sogno, un sonno di cuor morti,
tra le leggende e i loro desidèri.
E un contadino arpeggiando cantava
una ballata e nel gelo tremava. E…
e diceva costui assente e infelice:
«Ho da narrare una storia d’un folle», e…
e non si fece implorare, e diceva:
«L’altra Notte l’ho vista, la mia bionda,
e mi apparve alla Luna - la Fenìce
del ciel notturno - presso il pìcciol colle,
e verso me veniva, e a me fremeva,
ombra di neve eterna e vagabonda. E
sembrava sale la neve plasmata,
argento niveo i capei irrigiditi,
e ghiaccio il collo, e il labbro, e il mento, e il seno,
e nuda parve nel vento furioso, e…
e la pupilla brillava dorata,
adamanti di pietre e stalagmìti, e…
e l’aria da lei mossa era oro e fieno,
e il corpo errava vagamente ombroso. E
dissi: - Chi sei? E perché t’aggiri ignuda? -. E
l’eco mi rispondeva; ed ella tacque. E
ancor: - Chi sei? Sei fanciulla o sei spettro? -.
E tacque, e s’appressava a me, e era bella.
Mi parve un sogno; ed ella stava muta,
e lievemente gocciolava d’acque
il giòvin ventre. Aveva in man lo scettro
ordìto d’un cristallo e d’una stella. E: -
Perché sei ignuda? Non hai tu vergogna? -.
Ed ella allor rispose: - Sai! Se vesto
mi sciolgo e non vivrò. Io sono di neve,
anche la seta più leggera è Morte.
Mortale, ascolta! Suono una zampogna
con le mie labbra, e il cuor m’è sempre mesto
perché non posso amare; e nulla è lieve,
e tutto intorno è soltanto la Sorte
al mio ghiacciàr tremendo. Se mi abbracci,
mi scioglierò per sempre. Fuggi! E viva
sarò ancòr nella Notte fino al giorno,
e all’alba esalerò l’Anima fresca -. E…
ed io allor estasiäto: - E mi discacci? -.
Ed ella corse, e giunse ad una riva.
Ma ormai le stavo d’accanto e d’intorno, e
era stupenda, e melliflua, e donnesca. E: -
Sono l’improba di Tuonèla: uccidi! -. E
e io le miravo le forme gelate,
e i capei cristallini, e gli occhi d’oro,
e il nudo seno di ghiaccio, e le gote,
e il freddo ventre e dicevo: - Sorridi! - e…
e le mani graziose, e le ghiacciate
iridi belle, e il suo mantello moro -
la Notte russa! - e le sembianze immote.
Sentivo Amore, o pietà; e l’abbracciai,
così forte che avevo gelo anch’io,
e l’abbraccio mio ai fianchi ora la strinse,
e nel mio fuoco d’Ignoto ei la avvolse. E…
e ora tremavo, e tanto singhiozzai, e…
e la baciavo! La baciavo! Oh Dio!.... E
l’impeto mio così costei ne avvinse, e…
e ella tra le mani mi si sciolse!
E adesso per costei non fò che un canto.
La trucidai! Eh! Non mi resta che il pianto!». E…
e lenta venne la giòvine ostessa,
e al visionario il tè ridente offriva, e…
e sguardi incauti d’Amor gli porgeva,
e lo scrutava con occhi beäti, e…
quasi gemendo, e or scontenta e dimessa
di casti sensi fatàl lo assaliva, e…
e ella placidamente gli chiedeva:
«Ancòr un di quei abbracci tanto amati!».
Era giovane, e tanto bella e bruna,
apparsa dalle stufe dell’allegra e
lignea capanna, e era dolce e gagliarda, e
disse parole incomprese da ognuno, e
la illuminava da un vetro la Luna, e…
e sembrò neve nella Notte negra,
e la guancia arrossata era maliarda,
l’occhio azzurrino, e il suo crine era bruno.
Il narratore la guardò, ancòr, molto, e…
e bevve il tè, e quasi sputando disse:
«E che mai importa? Tu sei un sogno. Muori!», e…
e ella aggiunse: «Ancòr l’abbraccio ameno!».
Egli era fermo, e la mirò nel volto,
e folle le sembrò, e in occhio l’affisse; e…
e ella ancora: «Non ricordi i dolori
che lamentavo? E il mio mellifluo seno?».
Egli sorrise, e per sogno la intese,
e la scansava: «Oh preda di follia!», e…
e gli sembrava un sogno, era un miraggio, e…
e alza il bicchiere, e brinda, e ride e beve;
e cupamente irridendo la offese, e
e incauto la mandò lontano e via.
Ma ella a quest’uomo illuso - o no! - selvaggio
ella disse: «Son la Fanciulla della Neve». E:
«E come è certo? Sei un sogno, chimera,
tu non esisti, se qui non ti penso.
La vera dama s’è sciolta al mio bacio, e
l’acqua sua mi divenne un pianto eterno.
La Fanciulla di Neve è morta ier sera,
nell’attimo spezzato, il sonno intenso. E…
e tu, fantasma, vedi che mi giacio
oppresso e triste. Perché questo scherno?». E…
ed ella allòr che per lui aveva Amore,
s’allontanava e gli gelava il cuore.
Ecco! Pei disillusi questa è pena:
avèr di ghiaccio il cuor, neve la vena!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Mercoledì XXX Settembre, Giovedì I Ottobre AD MMXV