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giovedì 23 dicembre 2021

Lo Spirito del Natale e la Fanciulla di Neve

Tanto tempo fa viveva nella steppa una fanciulla fatta di neve che, coperta con vesti di vento, di ramaglie, di foglie secche e di fiori invernali, era da tutti allontanata con il più immane disprezzo, e così avveniva perché a tutti sembrava più un prodigio mostruoso che una creatura benevola. Inoltre, poiché era appunto di neve, ella viveva sempre al freddo.. immersa nel freddo, nella bufera, nella tormenta.. in mezzo a qualche piccola foresta dove l’unica compagnia che aveva era quella dei lupi i quali, solitari e famelici, non sempre accettavano le sue carezze fredde e i suoi gelidi richiami. Per non parlare del Sole, il baldo Jarilo! Intendiamoci, non che lo disprezzasse, anzi, era davvero un bel fanciullo codesto splendore, un eroe di quelli piacevoli! ma come potete immaginare sarebbe bastato che egli schioccasse dal suo arco anche il più piccolo dardo più caldo del solito per scioglierla per sempre e, uccisa, renderla acqua; e in fin dei conti, persino al Sole.. a questo giovine Jarilo, piaceva la fanciulletta di neve. Eppure, gli era chiaro che non avrebbe mai potuto amarla, cosicché si arrese e dov’ella fosse stata, egli non avrebbe brillato.

Però, che vita insopportabile e amara! Che immensa e profonda solitudine! Con chi parlare? Con chi ridere? Con chi lanciare disfide per delle tenzoni di corsa per la foresta?... La fanciulla non aveva amici, non aveva una izba tutta sua, non aveva nulla e per di più tutti, quando la vedevano, fossero Cosacchi, Cumani o Tartari, si guardavano bene da avvicinarsela, chiudevano bene le porte con una preghiera o una bestemmia e la esorcizzavano come se si fosse trattato di un demonio.

Un giorno, che era la vigilia di Natale, mentre tutti cantavano koliadka, la povera fanciulla stava seduta su una roccia accanto a uno stagno ghiacciato e stava piangendo da molto tempo, perché voleva cantare anche lei, desiderava essere tra le fanciulle liete dei villaggi; quand’ecco d’un tratto le apparve un signore molto vecchio, vestito come un grande vescovo il quale, abbracciatola, le chiese: “Deviushka, perché piangi?”.

“Non mi vuole nessuno, Pope. Sono un mostro.. tutti si allontanano da me” rispose la fanciulla di neve con mille singhiozzi e sospiri dopo un attimo di silenzio: “Vorrei cantare anch’io.. vorrei stare in mezzo a loro.. ma tutte le volte che mi avvicino imbiancando i loro campi e le loro vie mi mandano via. Inoltre, anche se fossi tra loro, dovrei stare attenta e molto: basterebbe un raggio di Jarilo e io rimarrei senza vita”.

Deviushka” disse la strana apparizione: “Se dunque desideri stare tra loro, allora, ascoltami: oggi è la Vigilia di Natale e questa sera debbo girare il mondo intero, in lungo e in largo, per portare qualcosa ai miei poveretti. Se tu mi volessi aiutare, potresti andare da loro e, mentre dormono, portare dei doni per i loro fanciulletti. Ma attenta! Che non ti veda nessuno e non ti colga l’arco infuocato di Jarilo all’alba!”.

Sentite queste parole, la fanciulla di neve, pur titubando, trasalì e pur di vedere e di stare in mezzo a quegli esseri strani che la scacciavano sempre e ben sapendo di stare per fare dei regali a quanti la odiavano, accettò la proposta del vecchio e, preso da quest’ultimo un sacco destinato ai villaggi dei dintorni e aspettata la mezzanotte, andò di izba in izba a mettere giù dei doni per i pargoletti. 

Ma come sempre il Diavolo, geloso delle buone gesta e nemico del Natale e di Dio, vedendo la fanciulla di neve che aiutava il vecchietto e che, forse senza saperlo, stava facendo felici molti fanciullini, si mise a provocare Jarilo, in modo che egli sorgesse con il suo carro prima del dovuto e sciogliesse la poveretta una volta per tutte.

“Tu.. stella da due soldi, guerriero con un arco che non vale nemmeno quello del più sfortunato dei Tartari.. piccolo dietto da riderci sopra.. allora, sei ancora convinto di brillare più di me che per millenni ho portato la luce?”.

“Oh piccolo demonietto che da quassù sembri un mezzo granello di polvere! Perché devi sempre turbare il mio riposo?... Lo sai bene che mentre tu puoi rischiarare poco più della tua ombra io rischiaro tutte le terre”.

“Oh piccola candela da cimitero, lumicino da strapazzo! Quanto dici è una menzogna. Lo sanno tutti che io allumino ogni cosa e che, se Dio mi lasciasse stare, la mia luce rimarrebbe anche di notte. Vuoi vedere?”.

“Oh insignificante moscerino dell’Inferno! Se tu brillassi, riusciresti a fare così tanta luce a distanza di un misero piede che per leggere le tue dannate pergamene di incantesimi dovresti rubare un cero da una chiesa”.

“Dunque tu, piccolo sasso infuocato che vai a dormire appena dopo il tramonto, come fanno nei pollai, pensi che io non sia in grado di brillare più di te?... Ebbene, te ne darò sùbito dimostrazione del fatto che ti sbagli”.

Una volta che disse così, il Diavolo si concentrò così tanto da cercare di alluminarsi; ma anche dopo un’ora non riuscì a fare nient’altro che emanare una piccola, debolissima luce fredda. Ma Jarilo, contentissimo del fallimento del rivale e dimenticandosi del proprio dovere, ridendo a più non posso, scagliò sulla terra tutte le sue frecce fino a sorgere con il suo bel carro.

Nel frattempo, la fanciulla di neve, che si era accorta dell’insolito arrivo dell’alba, avendo ancora dei doni da consegnare, per non venire meno all’impegno dato al vecchio e per non far piangere gli ultimi fanciullini, continuò il suo giro per le izbe e si dimenticò di riparare nella sua piccola foresta e così mettersi in salvo.

Aveva appena finito di consegnare gli ultimi giocattoli, quando, fuori da una izba, la colse una stanchezza mai provata, si sentì addosso un fuoco insopportabile, iniziò ad avere gli occhi profondamente annebbiati e fatti due o tre passi iniziò a tentennare, a sentirsi mancare e più di una volta si figurò prossima a cadere per terra. No! Non era possibile: era inverno, doveva essere ancora notte, dovevano mancare ancora due o tre ore all’alba. Cos’era questo fuoco da Primavera? E perché, ormai, era già giorno? Perché il villaggio iniziava a risvegliarsi?... In quel momento voleva maledire se stessa e quel vecchietto, e quel dannato Natale.. voleva maledire i suoi sogni, i suoi desideri e quelle dannate canzoni che avrebbe voluto tanto cantare tra le amiche. E Jarilo?!... Come si permetteva Jarilo di fare questi scherzi?... Lo aveva sempre saputo che Jarilo in realtà la disprezzava come tutti gli altri. Miserabile Jarilo! Ora la stava uccidendo e forse il suo regno.. il regno della Primavera e dell’Estate, voleva conquistare l’Inverno, probabilmente anche quello dell’immortale Katscheij, l’Autunno nebbioso e melanconico. Miserabile! Miserabili tutti!

Ma a un certo punto la fanciulla di neve, mentre aveva nel cuore tutto questo malessere e questi sentimenti, iniziò a sentire le grida di gioia dei fanciulli, i canti dei Cosacchi, le campane che martellavano a festa. Si avvicinò a una finestra, guardò dentro.. vide dei volti festosi e sorridenti… E poi.. si sciolse.

Dio stesso, dopo aver visto tutto questo, si arrabbiò molto con Jarilo e con il Diavolo e impose al primo di rispettare le stagioni e le ore del giorno, lo obbligò a ritirarsi per un po’.. per un mese e di far nevicare; al secondo ordinò di ritornare all’Inferno e di rinunziare per un anno intero a sedurre e a insidiare quelle terre. Guai se non lo avesse fatto! Lo avrebbe fatto bastonare dai suoi Angioli!... Poi, Dio chiamò il suo vecchio vescovo e si volle far spiegare meglio ogni cosa.

Era la sera di Natale quando in un villaggio nella steppa innevata apparve una fanciulla bellissima, in carne e ossa, pronta a imparare dei koliadka, ad avere amici, a vivere e ad amare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì XXIII Dicembre AD MMXXI.

In Memoria dei Maestri Piotr Il’ic Tchaikowskij (1840-1893) e Nikolaij Andreevic Rimskij-Korsakov (1844-1908).


Dipinto di Viktor Mikhailovich Vasnetsov (1848–1926), Snegurochka - La Fanciulla di Neve, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Simbolismo russo, 1899. Olio su Tela, 116x80 cm. State Tretyakov Gallery, Mosca (Russia).

venerdì 20 dicembre 2019

Fiaba - Il Cesto vuoto

C'era una volta, tanto tempo fa, un villaggio dove i fanciullini, in occasione del Natale, andavano in piazza a raccogliere dei doni. Si diceva loro che era l'anima stessa del Vescovo di Myra che li portava. Ovviamente bisognava comportarsi bene, ovvio! Altrimenti, beh, si sa... un mucchio di legna mezza arsa e bruciacchiata. Del resto, in Paradiso non si entra se si è monelli; ed è meglio correggerli per bene, costoro, finché sono in terra!.... Eppure, al diavolo le ciance! tutti sapevano che alla fine c'era lo zampino di qualcheduno: la mamma, il papà, i nonni, i vecchietti... e così, nel tempo, accadde che si iniziò a chiedere cose che il santo Vescovo non avrebbe poi così tanto accettato. E poi, chi le chiedeva! Ora i viziatissimi figliuoli del nobiluccio che pretendevano oro; ora la smorfiosa figliuola del magistrato che bramava una cetra; adesso la fanciulla sempre annoiata ma che deve apparire sempre più bella delle altre che chiede stoffe preziose e ambra.... E come si può pensare, tutti venivano accontentati. 
C'era, però, un povero fanciullino che tutti gli anni, venuto Natale, chiedeva soltanto un regalo. Lo scriveva in pessimo Latino, accompagnato dalla madre quasi sempre malaticcia; e agli inizi di dicembre consegnava questo piccolo straccio di pergamena in una cassetta in chiesa. Chiedeva appunto soltanto una cosa: un cesto... un cesto vuoto. Lo ebbe la prima volta a quattro anni; e su consiglio della madre, ogni anno lo rimetteva in piazza qualche giorno prima della vigilia per ritirarne uno nuovo nel dì della festa. Ovviamente il cesto era sempre il solito; ma qualche buon'anima lo prendeva, lo ripuliva, lo aggiustava nei piccoli difetti e a Natale, eccolo che sembra nuovo!
Adesso questo fanciullino sapeva benissimo perché agiva in questo modo; glielo aveva spiegato più volte la mamma. Così non ebbe esitazione né paura quando il centurione della guardia cittadina, incuriosito dal suo singolare dono, gli chiese delle spiegazioni.
"Caro fanciullo" gli disse con tono paterno "Gli altri bimbi hanno ricevuto oro, argento, stoffe, strumenti... spade di legno.... Perché tu hai preso questo cesto vuoto?".
"Semplice... perché l'ho chiesto!" rispose il fanciullino.
"Ma saranno tre anni che ti vedo sempre a prendere lo stesso dono. Cos'ha di speciale questo cesto?".
"Oh, se sapessi... è un cesto magico!" tentennò il bimbo quasi nell'atteggiamento di chi vuole svelare un segreto.
"Magico?".
"Sì, mamma dice che questo cesto è proprio magico... magico davvero. Infatti, lo puoi riempire" e si avvicinò sussurrando all'orecchio del centurione "con i tuoi sogni e i tuoi desideri. Ci metti dentro un sogno e poi un desiderio; ed ecco che si avverano... uno dopo l'altro. Basta solo sognare e desiderare, nient'altro. Poi, ogni anno, lo si riporta indietro, affinché da Lassù lo possano svuotare. Oh! che bello pensare agli Angioli nel vedere i sogni di un bambino! Chissà come sorridono e sono contenti! Così contenti che, se piace a Iddio, ti riportano indietro il cesto in qualche modo, oppure te ne danno uno nuovo; e poi puoi ancora sognare... e desiderare. A volte, infatti, troppi sogni e desideri riempiono il cesto e non ce ne stanno degli altri. E poi, è anche bello cambiare, aggiungerne di nuovi, purché siano buoni e sinceri. Nessun desiderio di Amore passa innosservato dagli Angioli".
"Ma dimmi ancora una cosa" disse il centurione che inizialmente voleva scoppiare a ridere ma che ora era così incuriosito da continuare "che cosa se ne fanno gli Angioli dei nostri desideri?".
"Non lo so.... La mamma mi dice che raccolgono per davvero tutto quello che abbiamo sognato e desiderato in un anno, che tessono le lodi a Iddio per averne avverato ogni cosa e che poi trasformano i sogni in giuocattoli per i bimbi che sono andati in Cielo prima ancora di conoscerne di veri".
"E tu, caro fanciullo, che cosa desideri adesso?".
"Vedi... mia mamma è molto malata. Noi siamo poveri. Non ho più il papà e i miei fratellini sono morti già da tempo. Ogni volta che viene l'inverno, la mamma non sta bene. Ho paura. Non voglio perderla. No... no! non chiedo ricchezze; ma soltanto che ella possa avere un farmaco, e che qualche anima buona la aiuti a guarire".
"Senti" aggiunse ancora il centurione "qui fuori ci sono fanciulletti della tua età che vogliono giuocattoli e ricchezze. Tu davvero ti accontenti di così poco?".
"Mia mamma non è poco!.... Mia mamma non è poco!" esclamò tra il risentito e il melanconico il poverello il quale, senza dar possibilità di ribattere, si mise a scappare a gambe levate. 
Per tutto il giorno, benché fosse festa, stette poi a fare la carità, ottenendone che pochi spiccioli. Ma quando tornò in una specie di cadente scantinato di un altrettanto diroccata casupola vide una signora che stava accudendo la madre. Non seppe mai chi fosse, né da dove venisse; ma conobbe in seguito che ella era venuta lì nel pomeriggio, aveva portato con sé dei farmaci e aveva fatto fare un bagno caldo alla malata. Ora la stava aiutando a mangiare qualcosa.
"Grazie, oh Signore, per avere esaudito il mio desiderio! Grazie, miei Angioletti!" ripeté più volte il fanciullino per tutta la sera e per tutta la notte.
Passarono così altri Natali; e sempre il fanciullino chiedeva in dono un nuovo cesto, sempre lo riprendeva, sempre incontrava il centurione che gli domandava ogni cosa circa i suoi sogni e i suoi desideri, e sempre quest'ultimi venivano esauditi. Ma un Natale, quando il poverello aveva circa dieci anni, non andò per niente per il verso giusto. Quell'anno, purtroppo, fece troppo freddo, e per via del gelo e della carestia la sua mamma si ammalò gravemente. Ovviamente, il fanciullino espresse il desiderio che ella guarisse; ma nel giro di pochi giorni, questa volta, gli spirò tra le braccia, lasciandolo solo e abbandonato da tutti.
Quella notte il suo strazio e le sue lagrime non diedero pace a tutto il vicinato; e sarebbe finito male anche lui se non fosse stato per un vecchio falegname che, non solo lo salvò da alcuni uomini che lo volevano assassinare (tant'erano ciechi e malvagi), ma si prese il compito di costruire il feretro per la defunta. Anche il fanciullo ci volle lavorare, forse per sfogare la sua rabbia, il suo dolore e la sua delusione.
Avvenne il giorno e il momento della cerimonia funebre. Dopo di questa, il poverello iniziò a vagabondare qua e là per il villaggio completamente fuori di sé. A notte fonda si ritrovò attonito e perduto in riva al mare. Pieno di dolore e sentendosi naufragare nella solitudine più immensa si accasciò sulla spiaggia, si coprì gli occhi con le mani e pianse a dirotto. Più volte ripeté "Mamma", più volte ancora con strazio e nostalgia; e così stette molte ore finché un piccolo tonfo, come di un oggetto che cadeva sulla sabbia, non lo scosse. Si guardò intorno e vide alla sua destra il suo cesto. Per la prima volta sentì allora salirgli una rabbia feroce e crudele dal cuore; e sicuramente lo avrebbe preso in mano, fatto a pezzi e gettato nel mare se un'ombra dal passo ferreo non gli fosse seduta al fianco. Era il centurione che, di nascosto, lo aveva seguito tutto il giorno.
Riconoscendolo, il fanciullo si alzò di scatto, prese il cesto e fece per scagliarlo in mare. Ma il soldato gli fermò la mano appena in tempo.
"Lasciami... lasciami!" gridava il poverello che, sentendosi quasi incatenato dal braccio robusto dell'uomo, ammorbidì i suoi arti per poi scoppiare a piangere. 
Il centurione, intanto, lo abbracciò forte; e così i due rimasero per molto tempo.
"Perché?.... Dimmi perché?" domandò il fanciullo quando si fu calmato.
"Era malata grave" rispose l'altro.
"Perché non hanno avverato i miei desideri?".
"Non lo so.... Ma la volontà d'Iddio spesso è diversa dalla nostra".
"Allora Iddio visto che fa morire le mamme è crudele".
"No... non è vero... non è vero!".
"O forse non esiste nemmeno... è solo un sogno... anche Lui".
"No... Lui esiste!".
"Ma non ha salvato la mamma. Non ha avverato i miei sogni. Dev'essere cattivo davvero!".
"Non è cattivo... non dire così. Senti.... Tu mi hai detto più volte che gli Angioli sono contenti, che Iddio è contento quando i sogni si avverano e vengono avverati. Mi hai parlato tanto della contentezza degli Angioli. Ma non hai mai pensato che possono anche piangere?".
"Gli Angioli non possono piangere.... Loro ridono sempre, anche delle nostre disgrazie. Son fatti così!".
"Pensi che Iddio sia contento di avere accolto nel suo Regno l'anima di una mamma... ma che dico, non di una mamma! di più mamme?".
"Se non è contento allora poteva anche non farlo accadere!".
"E tu glielo hai chiesto?".
"Sì, gliel'ho chiesto, ma non mi ha sentito!".
"E invece ti ha sentito!".
"Se mi ha sentito, allora, non doveva togliermi la mamma".
"Può essere.... Ma anche Lui ora sta piangendo insieme a te e a tutti i suoi Angioli".
"E che cosa me ne posso fare del suo pianto? Può forse rendermi ciò che mi ha tolto?".
"No, hai ragione. Eppure ti sta dicendo la verità della Vita. Vedi, caro fanciullo, non sempre tutti i nostri sogni e i nostri desideri vengono avverati. Alcuni ce li mettiamo in testa noi, semplicemente per il gusto di sognare; altri ci vengono per farci imparare a illuderci. Alcuni per farci capire che anche Lassù a volte si piange".
"E ciò dovrebbe farmi sentire meglio?.... Sei proprio come tutti gli uomini che fanno la guerra... anche mio papà ha fatto la guerra. Ma è morto... morto come mia mamma.... Io li rivoglio indietro... rivoglio la mia mamma!".
"Calmo, fanciullo! Calmo!".
"No, non posso.... Perché esiste la guerra? Perché esiste la malattia?.... Mia mamma non ha fatto proprio niente di male. Sono gli uomini come te che causano disastri.... Nessuno la guardava in faccia!".
"Tu non la guardavi?".
"Io sì, ma gli altri no. Nessuno tranne che lei mi guarda in faccia!".
"Io ti sto guardando in faccia.... E ti dirò che ho guardato in faccia anche tua madre. Sono io che ho mandato più volte una serva ad aiutarla e a guarirla. Tu mi confidavi i tuoi desideri e io provvedevo".
"Ma al momento giusto non hai mandato nessuno, vero?".
"Non ti vedevo più. Inoltre fui richiamato al fronte per un breve periodo. Sai, i Goti non ci lasciano molto in pace.... Ma so una cosa, ed è questa, ovvero che desiderare e sognare sono cose molto belle. Eppure, se non si riesce a condividere con qualcuno i propri sogni e desideri, difficilmente costoro si avvereranno".
"Non basta condividerli con il Cielo?".
"Non basta".
"Ma se eri tu ad aiutare mia mamma, allora da Lassù non hanno fatto nulla. Forse quel Lassù non esiste".
"Ti sbagli, caro fanciullo. Da Lassù hanno fatto in modo che tu mi incontrassi".
"Comunque nel momento del bisogno hanno fatto anche in modo che io non ti vedessi più".
"Ora mi vedi".
"Ma non prima.... Mi servivi prima. E il Cielo ti ha mandato al fronte".
"No, sono stati gli uomini a mandarmi a combattere. Iddio non vuole che ci uccidiamo, lo sai?.... Caro fanciullo, ci dev'essere nel mondo in cui viviamo un qualche Destino impetuoso, una forza crudele e malvagia, ma anche senza testa, che nei momenti sbagliati ci mette in difficoltà: ci separa, ci fa fare la guerra, ci ispira parole orrende e altrettante azioni. E...".
"E Iddio non può fermare questo Destino?" interruppe quasi sbottando il fanciullino.
"Può, altrimenti non sarebbe l'Onnipotente. Ma...".
"Ma non lo fa, vero?".
"Non lo fa, hai ragione! perché se lo facesse dovrebbe piegare al suo Volere mille e mille uomini; e costoro finirebbero con l'essere liberi".
"Eppure al suo Volere ha piegato me.... Che cosa gli ho fatto?".
"Nulla. Infatti, non ti ha piegato al suo Volere. Tu sei libero... libero di prendere questo cesto, di farlo in pezzi e di gettarlo nel mare. Libero di fuggire, di vagabondare per tutta la terra. Oppure sei libero di istruirti, cercare un mestiere.... Hai ancora molto da vivere".
"Ma le lagrime che sto spremendo sono costrette dal Volere di quel Dio lontano".
"Volevi bene alla mamma?".
"Sì... ma questo cosa c'entra?".
"Vedi, quando si ama nulla è per costrizione, e forse nemmeno per libertà. Ecco perché esiste la guerra ed esistono gli uomini come me. Perché noi mortali non amiamo; anzi, sovente vogliamo piegare molti altri alla nostra volontà, oppure bramiamo essere liberi da tutto e plasmare da questo mondo un altro a nostra immagine e somiglianza che non esiste".
"Tu parli bene.... Ma ciò non mi toglie la tristezza!".
"Sì, perché una tristezza d'Amore rimane per tutta la Vita".
Passarono così molte ore e, alla fine, iniziò ad annunziarsi l'alba. La stella del mattino, infatti, si fece vedere in mezzo a tanto nero, e splendeva... splendeva. Perfino delle stelle sembravano danzarle intorno, mentre la Luna, come un tappeto ai piedi di una Dea, stava tramontando. Soltanto una nuvola scura stava a lei vicino, disegnando quasi le sembianze di un Mostro. Ma a poco, a poco anche codesta nuvola disparve; e il cielo iniziò a farsi sempre più chiaro.
Il fanciullino volse lo sguardo al centurione. Si erano parlati, ma guardarsi molto in faccia proprio no. Resta il fatto che nel vederlo, notò uno strano elmo in testa.
"Quello che cos'è?" domandò il fanciullo incuriosito.
"Questo?" ribatté il centurione che all'affermazione del suo amico proseguì "è un elmo... vecchio, vecchissimo. Apparteneva a un mio Avo, quando Cesare conquistava la Gallia. Mi piace tenerlo".
"Un po' come il mio cesto?".
"Sì... proprio così!".
"Quindi è magico?".
"No, non lo è.... Ma mi piace tenerlo per ricordare i miei cari. Anche loro saranno da qualche parte; e mi staranno guardando. Forse qualche desiderio me lo hanno esaudito".
"Posso venire con te?" domandò d'un tratto il fanciullino.
"Certo! Ma devi imparare molte cose!".
Ed ecco che fu così che iniziò una nuova vita per il nostro fanciulletto il quale venne prima di tutto istruito, poi iniziò a servire come scudiero e, infine, una volta cresciuto e diventato un giovinotto, e dopo ardui allenamenti, divenne un perfetto ed eroico guerriero, così bello e così forte che i pochi rimasti fedeli a una certa cultura lo paragonavano ad Achille. Però, anche se continuava a pregare e a credere, del cesto non gliene importava proprio più niente, tant'è che nella sua tenda lo lasciava quasi sempre in disparte.
Tuttavia, un giorno scoppiò di nuovo la guerra tra i Romani e i Goti, e le battaglie furono così cruente che da una parte e dall'altra erano ormai quasi tutti esausti. In ogni caso, il Re dei barbari non era comunque convinto di chiedere una tregua e, dissimulando, facendo credere in una ritirata, pensò di cogliere il nemico da dietro le spalle e di sorpresa. Però non fece conto con il nostro giovinotto il quale, in avanscoperta, rintracciò i suoi movimenti e sùbito li andò a riferire. 
Quella sera, nell'accampamento, aveva davvero molta paura. Sapeva da tempo che cos'è una battaglia... e specialmente conosceva le stragi tra i suoi e i Goti. Posando di fuggita lo sguardo sul cesto, tra sé e sé, sospirò "Oh Iddio, oh Angioli! vi prego, esprimo quest'altro desiderio dopo molto tempo: fate che vi sia la pace tra noi e i nemici!". E fu così che all'indomani fu esaudito. Non solo un ambasciatore goto annunziò la tregua, ma il Re in persona volle riflettere su un accordo di pace, giungendo perfino a proporre in sposa Siglinde, la più bella delle sue principesse.
Era costei una giovine fanciulla che aveva la particolarità di subire quasi una specie di incantesimo per il quale quand'era annoiata e scontenta i suoi occhi diventavano smorti, grigi... privi di vitalità e i suoi capelli sembravano come se fossero bianchi; mentre, invece, quand'era felice e gioiosa diventava bionda, e le sue pupille splendevano di un immenso azzurro.
Il giovinotto la vide per la prima volta proprio nel momento in cui, assai contenta, vagava per un praticello con le sue ancelle; e come è ovvio, se ne innamorò immediatamente. Tuttavia, la sorte non era affatto in suo favore ché pur essendo valoroso e bello restava comunque di umili origini. 
Ma accadde anche che tutti i pretendenti della fanciulla che accorrevano da lei dopo aver sentito parlare della sua bellezza infinita, rimanevano a secco nel vedersi davanti una giovinetta scolorita e smorta. Inoltre, i loro doni e le loro promesse né piacevano, né convincevano la principessa, la quale, in fin dei conti, dell'oro e dell'argento era abbastanza stanca. Solitamente ella riceveva questi miserrimi infelici in un atrio del palazzo; ma anche il giardino, o i sentieri della foresta non le dispiacevano, purché ci fossero delle dame di compagnia. Intanto, il Re era molto paziente e rispettava dignotosamente la sua volontà, cosicché non gli passò mai per la testa di obbligarla nella scelta. In fin dei conti, non era nemmeno sua figliuola, ma di un suo nobiluccio, morto in battaglia anni e anni prima. Lui, il Re! sì che aveva dei figliuoli e delle fanciulle, e aveva sistemato per bene tutti costoro. Ma con Siglinde non aveva interessi, se non quello di garantire un po' di pace con i Romani; e l'unica cosa che aveva stabilito era che ogni pretendente si dovesse presentare con un dono.
Un giorno il giovinotto, sapendola in procinto di entrare nella foresta, si fece coraggio e, dopo aver espresso davanti al suo cesto il desiderio di amarla e di essere da lei amato, si presentò a lei. Oh! in questo frangente non era per niente smorta e scolorita! ma biondissima, bella, gentile e con degli occhi sfolgoranti d'azzurro ché al giovine parve perfino di svenire e di sprofondare.
"Chi sei?" domandò ella vedendolo arrivare, un po' arrossito.
"Un tuo pretendente, principessa" rispose il giovinotto.
"Anche tu sei qui per offrirmi oro?".
"No!".
"Allora forse hai da volermi dare dell'argento".
"Non ho nulla, principessa, se non i soldi con cui mi pagano".
"Quindi mi vuoi comprare con questi?".
"Nemmeno per scherzo, signora!".
"E perché?" domandò perplessa ma felice la fanciulla.
"Perché so che una donna non si può comprare, ma amare" rispose il giovinotto.
"Può essere così... sì, hai ragione... è proprio così. Ma vedi, tutti quelli che mi pretendono mi hanno portato dei doni. Così vuole il Re. Tu cosa mi porti?".
"Ti porto questo" rispose il giovine presentandole il suo cesto "Questo è un cesto, un semplice cesto... come ne puoi trovare in giro dei migliori. Non ha nulla di particolare. Ma è la sua storia che lo rende interessante. Principessa, quand'ero piccolo mia mamma diceva sempre che questo è un cesto magico, dove tu puoi mettere i sogni e i desideri, e aspettare che questi si avverino. Ogni anno, la vigilia di Natale, lo portavo in piazza pensando che per davvero gli Angioli e il Vescovo di Myra venissero a svuotarlo, a guardarci dentro e darmene un altro, per farmi continuare a sognare e a desiderare. Io ci credevo davvero. Poi venne una sciagura. Un Natale, quando avevo dieci anni, mia madre mi spirò tra le braccia, poiché era malata gravemente, e io provai una delusione infinita. Mi sentii dimenticato da tutti, perfino da Iddio. Fu il mio maestro, un centurione, a farmi cambiare un po' idea in riva al mare. Ora, principessa, questo dono non ha valore. Ti sto donando una favola... nient'altro che una favola. Ma se lo accetti, anche tu puoi fingere di metterci dentro i tuoi sogni e i tuoi desideri... anche tu puoi spargere una lagrima per le illusioni. Ma alla fine, quello che conta di più è che con questo cesto io ti dono il cuore; e codesto cuore è davvero un cesto magico. Basta ascoltarlo e condividerlo con quanti sono a noi più cari".
Sentendo queste parole, anche Siglinde ripensò d'un tratto alla sua giovinezza, alle leggende dei suoi bardi, ai primi doni ricevuti quando fu fatta cristiana... e la sua mente andava... andava a vagare in un mare di sogni, di desideri e di fantasia che alla fine si innamorò perdutamente del giovinotto; e dopo qualche mese, lo sposò.
Vissero per anni e anni l'uno al fianco dell'altra e furono felici. Né la principessa ebbe più i capelli bianchi, se non quando fu molto vecchia; né ebbe gli occhi smorti e velati, nemmeno quando morì. Ci furono sogni, e desideri, qualche illusione, qualche pianto.... Ci furono dei figli, e poi dei nipoti e dei nipoti ancora che, alla fine, a Natale, si accontentavano semplicemente di un cesto vuoto, perché il regalo più bello è far sì che le persone possano sognare e condividere i loro sogni.

Hans Makart, Una Valchiria, Tardo-Romanticismo e Simbolismo tedesco, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XIX e Venerdì XX del Mese di Dicembre AD MMXIX.