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venerdì 20 dicembre 2019

Fiaba - Il Cesto vuoto

C'era una volta, tanto tempo fa, un villaggio dove i fanciullini, in occasione del Natale, andavano in piazza a raccogliere dei doni. Si diceva loro che era l'anima stessa del Vescovo di Myra che li portava. Ovviamente bisognava comportarsi bene, ovvio! Altrimenti, beh, si sa... un mucchio di legna mezza arsa e bruciacchiata. Del resto, in Paradiso non si entra se si è monelli; ed è meglio correggerli per bene, costoro, finché sono in terra!.... Eppure, al diavolo le ciance! tutti sapevano che alla fine c'era lo zampino di qualcheduno: la mamma, il papà, i nonni, i vecchietti... e così, nel tempo, accadde che si iniziò a chiedere cose che il santo Vescovo non avrebbe poi così tanto accettato. E poi, chi le chiedeva! Ora i viziatissimi figliuoli del nobiluccio che pretendevano oro; ora la smorfiosa figliuola del magistrato che bramava una cetra; adesso la fanciulla sempre annoiata ma che deve apparire sempre più bella delle altre che chiede stoffe preziose e ambra.... E come si può pensare, tutti venivano accontentati. 
C'era, però, un povero fanciullino che tutti gli anni, venuto Natale, chiedeva soltanto un regalo. Lo scriveva in pessimo Latino, accompagnato dalla madre quasi sempre malaticcia; e agli inizi di dicembre consegnava questo piccolo straccio di pergamena in una cassetta in chiesa. Chiedeva appunto soltanto una cosa: un cesto... un cesto vuoto. Lo ebbe la prima volta a quattro anni; e su consiglio della madre, ogni anno lo rimetteva in piazza qualche giorno prima della vigilia per ritirarne uno nuovo nel dì della festa. Ovviamente il cesto era sempre il solito; ma qualche buon'anima lo prendeva, lo ripuliva, lo aggiustava nei piccoli difetti e a Natale, eccolo che sembra nuovo!
Adesso questo fanciullino sapeva benissimo perché agiva in questo modo; glielo aveva spiegato più volte la mamma. Così non ebbe esitazione né paura quando il centurione della guardia cittadina, incuriosito dal suo singolare dono, gli chiese delle spiegazioni.
"Caro fanciullo" gli disse con tono paterno "Gli altri bimbi hanno ricevuto oro, argento, stoffe, strumenti... spade di legno.... Perché tu hai preso questo cesto vuoto?".
"Semplice... perché l'ho chiesto!" rispose il fanciullino.
"Ma saranno tre anni che ti vedo sempre a prendere lo stesso dono. Cos'ha di speciale questo cesto?".
"Oh, se sapessi... è un cesto magico!" tentennò il bimbo quasi nell'atteggiamento di chi vuole svelare un segreto.
"Magico?".
"Sì, mamma dice che questo cesto è proprio magico... magico davvero. Infatti, lo puoi riempire" e si avvicinò sussurrando all'orecchio del centurione "con i tuoi sogni e i tuoi desideri. Ci metti dentro un sogno e poi un desiderio; ed ecco che si avverano... uno dopo l'altro. Basta solo sognare e desiderare, nient'altro. Poi, ogni anno, lo si riporta indietro, affinché da Lassù lo possano svuotare. Oh! che bello pensare agli Angioli nel vedere i sogni di un bambino! Chissà come sorridono e sono contenti! Così contenti che, se piace a Iddio, ti riportano indietro il cesto in qualche modo, oppure te ne danno uno nuovo; e poi puoi ancora sognare... e desiderare. A volte, infatti, troppi sogni e desideri riempiono il cesto e non ce ne stanno degli altri. E poi, è anche bello cambiare, aggiungerne di nuovi, purché siano buoni e sinceri. Nessun desiderio di Amore passa innosservato dagli Angioli".
"Ma dimmi ancora una cosa" disse il centurione che inizialmente voleva scoppiare a ridere ma che ora era così incuriosito da continuare "che cosa se ne fanno gli Angioli dei nostri desideri?".
"Non lo so.... La mamma mi dice che raccolgono per davvero tutto quello che abbiamo sognato e desiderato in un anno, che tessono le lodi a Iddio per averne avverato ogni cosa e che poi trasformano i sogni in giuocattoli per i bimbi che sono andati in Cielo prima ancora di conoscerne di veri".
"E tu, caro fanciullo, che cosa desideri adesso?".
"Vedi... mia mamma è molto malata. Noi siamo poveri. Non ho più il papà e i miei fratellini sono morti già da tempo. Ogni volta che viene l'inverno, la mamma non sta bene. Ho paura. Non voglio perderla. No... no! non chiedo ricchezze; ma soltanto che ella possa avere un farmaco, e che qualche anima buona la aiuti a guarire".
"Senti" aggiunse ancora il centurione "qui fuori ci sono fanciulletti della tua età che vogliono giuocattoli e ricchezze. Tu davvero ti accontenti di così poco?".
"Mia mamma non è poco!.... Mia mamma non è poco!" esclamò tra il risentito e il melanconico il poverello il quale, senza dar possibilità di ribattere, si mise a scappare a gambe levate. 
Per tutto il giorno, benché fosse festa, stette poi a fare la carità, ottenendone che pochi spiccioli. Ma quando tornò in una specie di cadente scantinato di un altrettanto diroccata casupola vide una signora che stava accudendo la madre. Non seppe mai chi fosse, né da dove venisse; ma conobbe in seguito che ella era venuta lì nel pomeriggio, aveva portato con sé dei farmaci e aveva fatto fare un bagno caldo alla malata. Ora la stava aiutando a mangiare qualcosa.
"Grazie, oh Signore, per avere esaudito il mio desiderio! Grazie, miei Angioletti!" ripeté più volte il fanciullino per tutta la sera e per tutta la notte.
Passarono così altri Natali; e sempre il fanciullino chiedeva in dono un nuovo cesto, sempre lo riprendeva, sempre incontrava il centurione che gli domandava ogni cosa circa i suoi sogni e i suoi desideri, e sempre quest'ultimi venivano esauditi. Ma un Natale, quando il poverello aveva circa dieci anni, non andò per niente per il verso giusto. Quell'anno, purtroppo, fece troppo freddo, e per via del gelo e della carestia la sua mamma si ammalò gravemente. Ovviamente, il fanciullino espresse il desiderio che ella guarisse; ma nel giro di pochi giorni, questa volta, gli spirò tra le braccia, lasciandolo solo e abbandonato da tutti.
Quella notte il suo strazio e le sue lagrime non diedero pace a tutto il vicinato; e sarebbe finito male anche lui se non fosse stato per un vecchio falegname che, non solo lo salvò da alcuni uomini che lo volevano assassinare (tant'erano ciechi e malvagi), ma si prese il compito di costruire il feretro per la defunta. Anche il fanciullo ci volle lavorare, forse per sfogare la sua rabbia, il suo dolore e la sua delusione.
Avvenne il giorno e il momento della cerimonia funebre. Dopo di questa, il poverello iniziò a vagabondare qua e là per il villaggio completamente fuori di sé. A notte fonda si ritrovò attonito e perduto in riva al mare. Pieno di dolore e sentendosi naufragare nella solitudine più immensa si accasciò sulla spiaggia, si coprì gli occhi con le mani e pianse a dirotto. Più volte ripeté "Mamma", più volte ancora con strazio e nostalgia; e così stette molte ore finché un piccolo tonfo, come di un oggetto che cadeva sulla sabbia, non lo scosse. Si guardò intorno e vide alla sua destra il suo cesto. Per la prima volta sentì allora salirgli una rabbia feroce e crudele dal cuore; e sicuramente lo avrebbe preso in mano, fatto a pezzi e gettato nel mare se un'ombra dal passo ferreo non gli fosse seduta al fianco. Era il centurione che, di nascosto, lo aveva seguito tutto il giorno.
Riconoscendolo, il fanciullo si alzò di scatto, prese il cesto e fece per scagliarlo in mare. Ma il soldato gli fermò la mano appena in tempo.
"Lasciami... lasciami!" gridava il poverello che, sentendosi quasi incatenato dal braccio robusto dell'uomo, ammorbidì i suoi arti per poi scoppiare a piangere. 
Il centurione, intanto, lo abbracciò forte; e così i due rimasero per molto tempo.
"Perché?.... Dimmi perché?" domandò il fanciullo quando si fu calmato.
"Era malata grave" rispose l'altro.
"Perché non hanno avverato i miei desideri?".
"Non lo so.... Ma la volontà d'Iddio spesso è diversa dalla nostra".
"Allora Iddio visto che fa morire le mamme è crudele".
"No... non è vero... non è vero!".
"O forse non esiste nemmeno... è solo un sogno... anche Lui".
"No... Lui esiste!".
"Ma non ha salvato la mamma. Non ha avverato i miei sogni. Dev'essere cattivo davvero!".
"Non è cattivo... non dire così. Senti.... Tu mi hai detto più volte che gli Angioli sono contenti, che Iddio è contento quando i sogni si avverano e vengono avverati. Mi hai parlato tanto della contentezza degli Angioli. Ma non hai mai pensato che possono anche piangere?".
"Gli Angioli non possono piangere.... Loro ridono sempre, anche delle nostre disgrazie. Son fatti così!".
"Pensi che Iddio sia contento di avere accolto nel suo Regno l'anima di una mamma... ma che dico, non di una mamma! di più mamme?".
"Se non è contento allora poteva anche non farlo accadere!".
"E tu glielo hai chiesto?".
"Sì, gliel'ho chiesto, ma non mi ha sentito!".
"E invece ti ha sentito!".
"Se mi ha sentito, allora, non doveva togliermi la mamma".
"Può essere.... Ma anche Lui ora sta piangendo insieme a te e a tutti i suoi Angioli".
"E che cosa me ne posso fare del suo pianto? Può forse rendermi ciò che mi ha tolto?".
"No, hai ragione. Eppure ti sta dicendo la verità della Vita. Vedi, caro fanciullo, non sempre tutti i nostri sogni e i nostri desideri vengono avverati. Alcuni ce li mettiamo in testa noi, semplicemente per il gusto di sognare; altri ci vengono per farci imparare a illuderci. Alcuni per farci capire che anche Lassù a volte si piange".
"E ciò dovrebbe farmi sentire meglio?.... Sei proprio come tutti gli uomini che fanno la guerra... anche mio papà ha fatto la guerra. Ma è morto... morto come mia mamma.... Io li rivoglio indietro... rivoglio la mia mamma!".
"Calmo, fanciullo! Calmo!".
"No, non posso.... Perché esiste la guerra? Perché esiste la malattia?.... Mia mamma non ha fatto proprio niente di male. Sono gli uomini come te che causano disastri.... Nessuno la guardava in faccia!".
"Tu non la guardavi?".
"Io sì, ma gli altri no. Nessuno tranne che lei mi guarda in faccia!".
"Io ti sto guardando in faccia.... E ti dirò che ho guardato in faccia anche tua madre. Sono io che ho mandato più volte una serva ad aiutarla e a guarirla. Tu mi confidavi i tuoi desideri e io provvedevo".
"Ma al momento giusto non hai mandato nessuno, vero?".
"Non ti vedevo più. Inoltre fui richiamato al fronte per un breve periodo. Sai, i Goti non ci lasciano molto in pace.... Ma so una cosa, ed è questa, ovvero che desiderare e sognare sono cose molto belle. Eppure, se non si riesce a condividere con qualcuno i propri sogni e desideri, difficilmente costoro si avvereranno".
"Non basta condividerli con il Cielo?".
"Non basta".
"Ma se eri tu ad aiutare mia mamma, allora da Lassù non hanno fatto nulla. Forse quel Lassù non esiste".
"Ti sbagli, caro fanciullo. Da Lassù hanno fatto in modo che tu mi incontrassi".
"Comunque nel momento del bisogno hanno fatto anche in modo che io non ti vedessi più".
"Ora mi vedi".
"Ma non prima.... Mi servivi prima. E il Cielo ti ha mandato al fronte".
"No, sono stati gli uomini a mandarmi a combattere. Iddio non vuole che ci uccidiamo, lo sai?.... Caro fanciullo, ci dev'essere nel mondo in cui viviamo un qualche Destino impetuoso, una forza crudele e malvagia, ma anche senza testa, che nei momenti sbagliati ci mette in difficoltà: ci separa, ci fa fare la guerra, ci ispira parole orrende e altrettante azioni. E...".
"E Iddio non può fermare questo Destino?" interruppe quasi sbottando il fanciullino.
"Può, altrimenti non sarebbe l'Onnipotente. Ma...".
"Ma non lo fa, vero?".
"Non lo fa, hai ragione! perché se lo facesse dovrebbe piegare al suo Volere mille e mille uomini; e costoro finirebbero con l'essere liberi".
"Eppure al suo Volere ha piegato me.... Che cosa gli ho fatto?".
"Nulla. Infatti, non ti ha piegato al suo Volere. Tu sei libero... libero di prendere questo cesto, di farlo in pezzi e di gettarlo nel mare. Libero di fuggire, di vagabondare per tutta la terra. Oppure sei libero di istruirti, cercare un mestiere.... Hai ancora molto da vivere".
"Ma le lagrime che sto spremendo sono costrette dal Volere di quel Dio lontano".
"Volevi bene alla mamma?".
"Sì... ma questo cosa c'entra?".
"Vedi, quando si ama nulla è per costrizione, e forse nemmeno per libertà. Ecco perché esiste la guerra ed esistono gli uomini come me. Perché noi mortali non amiamo; anzi, sovente vogliamo piegare molti altri alla nostra volontà, oppure bramiamo essere liberi da tutto e plasmare da questo mondo un altro a nostra immagine e somiglianza che non esiste".
"Tu parli bene.... Ma ciò non mi toglie la tristezza!".
"Sì, perché una tristezza d'Amore rimane per tutta la Vita".
Passarono così molte ore e, alla fine, iniziò ad annunziarsi l'alba. La stella del mattino, infatti, si fece vedere in mezzo a tanto nero, e splendeva... splendeva. Perfino delle stelle sembravano danzarle intorno, mentre la Luna, come un tappeto ai piedi di una Dea, stava tramontando. Soltanto una nuvola scura stava a lei vicino, disegnando quasi le sembianze di un Mostro. Ma a poco, a poco anche codesta nuvola disparve; e il cielo iniziò a farsi sempre più chiaro.
Il fanciullino volse lo sguardo al centurione. Si erano parlati, ma guardarsi molto in faccia proprio no. Resta il fatto che nel vederlo, notò uno strano elmo in testa.
"Quello che cos'è?" domandò il fanciullo incuriosito.
"Questo?" ribatté il centurione che all'affermazione del suo amico proseguì "è un elmo... vecchio, vecchissimo. Apparteneva a un mio Avo, quando Cesare conquistava la Gallia. Mi piace tenerlo".
"Un po' come il mio cesto?".
"Sì... proprio così!".
"Quindi è magico?".
"No, non lo è.... Ma mi piace tenerlo per ricordare i miei cari. Anche loro saranno da qualche parte; e mi staranno guardando. Forse qualche desiderio me lo hanno esaudito".
"Posso venire con te?" domandò d'un tratto il fanciullino.
"Certo! Ma devi imparare molte cose!".
Ed ecco che fu così che iniziò una nuova vita per il nostro fanciulletto il quale venne prima di tutto istruito, poi iniziò a servire come scudiero e, infine, una volta cresciuto e diventato un giovinotto, e dopo ardui allenamenti, divenne un perfetto ed eroico guerriero, così bello e così forte che i pochi rimasti fedeli a una certa cultura lo paragonavano ad Achille. Però, anche se continuava a pregare e a credere, del cesto non gliene importava proprio più niente, tant'è che nella sua tenda lo lasciava quasi sempre in disparte.
Tuttavia, un giorno scoppiò di nuovo la guerra tra i Romani e i Goti, e le battaglie furono così cruente che da una parte e dall'altra erano ormai quasi tutti esausti. In ogni caso, il Re dei barbari non era comunque convinto di chiedere una tregua e, dissimulando, facendo credere in una ritirata, pensò di cogliere il nemico da dietro le spalle e di sorpresa. Però non fece conto con il nostro giovinotto il quale, in avanscoperta, rintracciò i suoi movimenti e sùbito li andò a riferire. 
Quella sera, nell'accampamento, aveva davvero molta paura. Sapeva da tempo che cos'è una battaglia... e specialmente conosceva le stragi tra i suoi e i Goti. Posando di fuggita lo sguardo sul cesto, tra sé e sé, sospirò "Oh Iddio, oh Angioli! vi prego, esprimo quest'altro desiderio dopo molto tempo: fate che vi sia la pace tra noi e i nemici!". E fu così che all'indomani fu esaudito. Non solo un ambasciatore goto annunziò la tregua, ma il Re in persona volle riflettere su un accordo di pace, giungendo perfino a proporre in sposa Siglinde, la più bella delle sue principesse.
Era costei una giovine fanciulla che aveva la particolarità di subire quasi una specie di incantesimo per il quale quand'era annoiata e scontenta i suoi occhi diventavano smorti, grigi... privi di vitalità e i suoi capelli sembravano come se fossero bianchi; mentre, invece, quand'era felice e gioiosa diventava bionda, e le sue pupille splendevano di un immenso azzurro.
Il giovinotto la vide per la prima volta proprio nel momento in cui, assai contenta, vagava per un praticello con le sue ancelle; e come è ovvio, se ne innamorò immediatamente. Tuttavia, la sorte non era affatto in suo favore ché pur essendo valoroso e bello restava comunque di umili origini. 
Ma accadde anche che tutti i pretendenti della fanciulla che accorrevano da lei dopo aver sentito parlare della sua bellezza infinita, rimanevano a secco nel vedersi davanti una giovinetta scolorita e smorta. Inoltre, i loro doni e le loro promesse né piacevano, né convincevano la principessa, la quale, in fin dei conti, dell'oro e dell'argento era abbastanza stanca. Solitamente ella riceveva questi miserrimi infelici in un atrio del palazzo; ma anche il giardino, o i sentieri della foresta non le dispiacevano, purché ci fossero delle dame di compagnia. Intanto, il Re era molto paziente e rispettava dignotosamente la sua volontà, cosicché non gli passò mai per la testa di obbligarla nella scelta. In fin dei conti, non era nemmeno sua figliuola, ma di un suo nobiluccio, morto in battaglia anni e anni prima. Lui, il Re! sì che aveva dei figliuoli e delle fanciulle, e aveva sistemato per bene tutti costoro. Ma con Siglinde non aveva interessi, se non quello di garantire un po' di pace con i Romani; e l'unica cosa che aveva stabilito era che ogni pretendente si dovesse presentare con un dono.
Un giorno il giovinotto, sapendola in procinto di entrare nella foresta, si fece coraggio e, dopo aver espresso davanti al suo cesto il desiderio di amarla e di essere da lei amato, si presentò a lei. Oh! in questo frangente non era per niente smorta e scolorita! ma biondissima, bella, gentile e con degli occhi sfolgoranti d'azzurro ché al giovine parve perfino di svenire e di sprofondare.
"Chi sei?" domandò ella vedendolo arrivare, un po' arrossito.
"Un tuo pretendente, principessa" rispose il giovinotto.
"Anche tu sei qui per offrirmi oro?".
"No!".
"Allora forse hai da volermi dare dell'argento".
"Non ho nulla, principessa, se non i soldi con cui mi pagano".
"Quindi mi vuoi comprare con questi?".
"Nemmeno per scherzo, signora!".
"E perché?" domandò perplessa ma felice la fanciulla.
"Perché so che una donna non si può comprare, ma amare" rispose il giovinotto.
"Può essere così... sì, hai ragione... è proprio così. Ma vedi, tutti quelli che mi pretendono mi hanno portato dei doni. Così vuole il Re. Tu cosa mi porti?".
"Ti porto questo" rispose il giovine presentandole il suo cesto "Questo è un cesto, un semplice cesto... come ne puoi trovare in giro dei migliori. Non ha nulla di particolare. Ma è la sua storia che lo rende interessante. Principessa, quand'ero piccolo mia mamma diceva sempre che questo è un cesto magico, dove tu puoi mettere i sogni e i desideri, e aspettare che questi si avverino. Ogni anno, la vigilia di Natale, lo portavo in piazza pensando che per davvero gli Angioli e il Vescovo di Myra venissero a svuotarlo, a guardarci dentro e darmene un altro, per farmi continuare a sognare e a desiderare. Io ci credevo davvero. Poi venne una sciagura. Un Natale, quando avevo dieci anni, mia madre mi spirò tra le braccia, poiché era malata gravemente, e io provai una delusione infinita. Mi sentii dimenticato da tutti, perfino da Iddio. Fu il mio maestro, un centurione, a farmi cambiare un po' idea in riva al mare. Ora, principessa, questo dono non ha valore. Ti sto donando una favola... nient'altro che una favola. Ma se lo accetti, anche tu puoi fingere di metterci dentro i tuoi sogni e i tuoi desideri... anche tu puoi spargere una lagrima per le illusioni. Ma alla fine, quello che conta di più è che con questo cesto io ti dono il cuore; e codesto cuore è davvero un cesto magico. Basta ascoltarlo e condividerlo con quanti sono a noi più cari".
Sentendo queste parole, anche Siglinde ripensò d'un tratto alla sua giovinezza, alle leggende dei suoi bardi, ai primi doni ricevuti quando fu fatta cristiana... e la sua mente andava... andava a vagare in un mare di sogni, di desideri e di fantasia che alla fine si innamorò perdutamente del giovinotto; e dopo qualche mese, lo sposò.
Vissero per anni e anni l'uno al fianco dell'altra e furono felici. Né la principessa ebbe più i capelli bianchi, se non quando fu molto vecchia; né ebbe gli occhi smorti e velati, nemmeno quando morì. Ci furono sogni, e desideri, qualche illusione, qualche pianto.... Ci furono dei figli, e poi dei nipoti e dei nipoti ancora che, alla fine, a Natale, si accontentavano semplicemente di un cesto vuoto, perché il regalo più bello è far sì che le persone possano sognare e condividere i loro sogni.

Hans Makart, Una Valchiria, Tardo-Romanticismo e Simbolismo tedesco, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XIX e Venerdì XX del Mese di Dicembre AD MMXIX.