Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta Racconti sui Sogni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Racconti sui Sogni. Mostra tutti i post

domenica 30 maggio 2021

XXX Maggio. L'ultima Visione. Revisione de' I Frammenti della Visionaria

Si svegliò di colpo.. un sussulto fremebondo e inconsueto, proprio come se qualcuno la stesse scuotendo ferocemente per toglierle il sonno e farle paura. Fuori, il silenzio.. il Nulla. Non c’era nessuno. Soltanto la vacuità.. il perfido vuoto.

 

Gli sgherri.. le ronde.. le urla degli ubriachi.. i dadi gettati.. i passi di ferro.. le scommesse.. le bestemmie che le accompagnavano… Nulla, era tutto sparito.. era sparita anche la fioca luce della piccola finestrella, la pallida Luna che rispecchiava sul pavimento il suo scialbo argento.. erano sparite le stelle, quei puntini illuminati appena appena visibili, ogni tanto, da quel vecchio ripostiglio per miserabili esseri umani che vagamente potevansi beare di questi piccoli lumicini nella notte della noia. Erano svaniti i rintocchi furtivi.. i tintinni delle campane. Che ore erano?... Certamente la notte.. profonda notte… Quale? l’ultima. E dopo sarebbe stato il giorno, ovviamente.. sarebbe stato anch’esso l’ultimo… E dopo? E poi? E dopo ancora? Che cosa? La notte?... Una notte senza fine?... Una nuova alba con la sua rugiada di vita? Un’aurora intensa e senza fine? Un mattino molto lungo.. lunghissimo? Un pomeriggio eterno? Un Tramonto senza morte?...

 

In ogni caso, tutto era ormai sparito.. dissolto.. annientato, come in una malia indefinita di altrettanto indefinito incantatore. Del resto, esistono gli incantatori. Specialmente il loro re. È un incantatore molto oscuro anche se dicono che abbia in sé della luce.. molta luce, quanta serve per ingannare.

 

Ancora qualche scossone. Una spinta o due… Spingete, orsù, quelle povere membra! Non sarà la prima volta che vengono scosse! Spingete e fate che sembri tutto il galoppo di un palafreno selvaggio in mezzo alla battaglia!... Ancora qualche spinta, forza!


“Vattene! Lasciami.. lasciami!” gridava in un crescendo rabbioso di timore e di voce “Lasciami stare.. ti prego! Lasciami stare!”.

 

Intanto, ella cercava qualcosa alla cintola.. che cosa? un rosario, forse una croce.. ma non lo trovava. Dov’era quel rosario? Eppure, poche ore fa era lì.. e adesso?... Dissolto.. annientato.. sparito, come tutto. Ma non poteva essere svanito. A volte, infatti, balbettando delle preghiere a metà, si addormentava perfino tenendolo nella mano. Ora non c’era. Dove l’aveva messo? Dove gliela avevano messo? Chi gliela aveva portato via?... Chi gliela aveva portato via?... Chi le voleva così male?...

 

“Dove l’ho messo? Dove l’ho messo?” ripeteva trattenendo a stento le lagrime “Dove me l’hanno messo?... Dio mio, dove l’ho messo?”.

 

Non c’era più nemmeno la candela.. povera bimba! Le avevano portato via anche il suo lumicino. Tutto era tremendamente buio. E come se tutto questo non bastasse, si sentiva sudata e, come capita spesso a chi suda, ora che sembrava ben lungi dall’aver caldo, aveva i brividi.. fortissimi brividi. Forse era la febbre. Frattanto, persisteva il silenzio!... Eterno silenzio!... Tutta rannicchiata sul duro giaciglio, infatti, sentiva soltanto l’eco dei suoi palpiti.. erano davvero agitati, come battiti di piedi che corrono sulla pietra, come grandine che precipita sui veroni di marmo, come gli accordi di un liuto nei giardini nascosti di un castello.

 

Poi, tutto d’un tratto si piegò in quattro, come presa da un forte spasmo e, disperatamente mettendosi le mani sulle orecchie, iniziò a gridare: “Vattene via! Vattene via!... Lasciami!” e senza mai finire la preghiera continuava a dire singhiozzando “Padre nostro che sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli… Aiutami tu… Padre nostro che sei nei cieli…”. Dopo, piena di angoscia e disperazione, quasi incapace di finire di pregare, proruppe in pianto. Inoltre, cercava disperatamente una coperta… Non c’era. Voleva coprirsi tutta… per proteggersi. Per nascondersi. Per non farsi vedere.


“No! Non guardarmi! Non guardarmi! Vattene!”.

 

Continuavano i brividi, come se nella pelle si fosse riflessa a uno specchio una paura tremenda per una presenza indeterminata e occulta. Forse con lei c’era qualcuno.

 

“No!... Vattene! Non guardarmi!... Chi sei? Cosa vuoi?... Vattene!”.

 

Gli attimi passavano.. l’angoscia persisteva.. le lagrime scendevano copiose. Poi, senza che qualcosa suggerisse che la crisi fosse passata, ella balzò in piedi, come risoluta e, presa da qualche altro indefinito eccesso, cercò eroicamente qualcosa al suo fianco. Dov’era? Non c’era. Dov’era il fodero.. la spada?... Nulla. Non c’era più nulla.

 

Fu come un fulmine. Atterrata e attonita si buttò in ginocchio… Era davvero molto disperata.. e, con le mani coprendosi il volto quasi come per vergogna, soffriva immensamente nell’anima. Tremava.

 

“Non ho ucciso nessuno.. non ho fatto nulla di male… Non sono una strega! Non sono un’assassina! Non ho ammaliato nessuno!”.

 

… E la sua mente andò all’infanzia.. volò a un vecchio noce e a quel noce si ricordò che giuocava così piccola alle Fate con tutte le sue più care amiche.. si rimembrò che arrivavano i soliti monelli - i soliti Borgognoni, quelli lì, duri di cervice e di cuore - che questi stuzzicavano le fanciulle.. che a quel noce arrivavano dunque i fanciulli del suo paesello, che scappava con le sue amichette, mentre gli altri.. giù botte! A quel noce portava sempre le pecore.. sentiva voci strane tra le sue fronde.. vegliava e dormiva, vedeva e sognava. Erano le Fate?... Chi era?... Le Fate hanno forse le ali folgoranti di luce?... A quel noce si sedeva a pregare, vi incise una croce sul duro tronco.. a quel noce giuocava a confessare i suoi compagni, come un prete, - e forse per lei non era nemmeno un giuoco! - a quel noce vedeva riflessi i fumi dei villaggi bruciati, sentiva le grida dei sopravvissuti, “Salvate la Patria! Salvate la Patria!” e poi.. sùbito! galoppi furiosi di cavalli e cavalieri dalle gualdrappe azzurre e rosse e con leoni d’oro, risa, bestemmie.. le spade nei foderi grondanti sangue… A quel noce.. a quel noce.. udendo voci di veglie e di sogni.. a quel noce, ebbene, si fece strega?...

 

A un tratto si ricordò anche dei bellissimi tramonti che vedeva d’estate - fra poco sarebbe stata una nuova estate ed ella, no, non l’avrebbe più rivista! - tra i suoi campi d’oro. Che orizzonti belli e liberi! Invidiabili e innamoranti! Allora era il tempo in cui vedendoli correva tra le spighe.. correva.. correva inseguendo qualcosa, come un sognatore corre per arrivare alla sua notte e avere i suoi sogni... e correva e correva, cercando nel vento l’abbraccio di qualcuno che lei sola potea intravedere.. ed erano gli attimi in cui voleva andare oltre.. e oltre ancora.. e sempre più oltre.. dimenticarsi di tutto: dei divieti, delle convenienze, degli obblighi. Voleva essere ella stessa quegli orizzonti! Perdersi in loro e nel volto nascosto di Chi li volle plasmare. E in siffatto desiderio, sovente, si addormentava e veniva trovata assopita in mezzo al grano.. e riportata a casa e, ivi una volta arrivata, veniva rimproverata severamente.

 

“Pazza! Il grano è fatto per essere raccolto non per dormirci sopra!”. Le ricordava bene.. eccome se le ricordava! suo papà diceva sempre le solite parole. Ma.. se invece il grano fosse fatto per dormirci sopra e non per essere raccolto?... E se fosse fatto per far seguire ai fanciulli i loro sogni? E se esistesse per indirizzare i cuori a oltrepassare l’orizzonte, e un altro.. e un altro ancora? E se fosse un giuoco di bimba?...

 

“Va là che tu sei una pazzerella.. una malnata… Andrà a finir male.. molto male.. sta’ pur certa! E ora va’ a dormire senza cena.. così impari”.

 

E il giorno dopo, in sua vece, si ritrovava nel suo lettuccio un poverello.. un vagabondo, mentre ella se ne stava distesa sporca di fuliggine sulla cenere del caminetto. Che disperazione! Che monelleria! E il padre giù dal prete a confessare i peccati della figliuola.. e quegli - che l’ascoltava e molto più assennato - giù a perdonare le lamentele di questo papà. Che male c’è nel dormire nella cenere?...

 

La cenere… Orrore!... Presto o tardi tutto finirà in cenere!... Già.. la cenere!... Quei bellissimi campi di grano dove si addormentava venivano presto raccolti e le sue paglie.. ebbene, erano soltanto buone per il fuoco. Tutto quel mare dorato.. fu cenere… gli orizzonti si inebriavano di siffatta cenere.. lo erano anch’essi. Tutto si dissolveva e non era più. E poi da questa dissoluzione misteriosa altrettanto misteriosamente ecco altro grano.. altri sognatori.. altre fiamme e altra cenere.

 

Del resto anche questa cenere serve.. ma resta semplicemente cenere. Nulla di più. Frammenti minuscoli e insignificanti di sassolini e di legnetti neri, carbonizzati, da lasciare ai margini di qualche rigagnolo.. forse ancora un po’ fumanti. Appunto, nulla di più.. una miseria infinitamente triste e orrenda.

 

“Che cosa ho fatto di male, mio Dio?” continuava a singhiozzare “Non ho ucciso nessuno… Non sono una strega!”.

 

Forse, in quell’attimo, sarebbe stato meglio per lei se non avesse mai vegliato e sognato, se non avesse mai ascoltato l’inascoltabile mistero di voci celestiali - erano vere? Erano menzogna? - se fosse rimasta nel seno della casa paterna, se come tutte le sue care amiche avesse imparato il segreto della danza e della giovinezza, se avesse fatto all’amore con un semplice giovinotto, un contadino.. se lo avesse sposato per dargli la forza lavoro di tantissimi figli… Del resto, era bella.. molto bella.. sì, forse qualche callo alle mani e ai piedi, capelli tra il castagno e il corvino - strano, per il mal pelo d’una strega! - potea attrarre, sì. Ma se fosse stato tutto questo, che senso avrebbe avuta la sua piccola vita?... No, non sarebbe stato meglio nulla di tutto questo. Era una strega.. bene.. era una dannata.. non importa. Ma almeno la sua vita aveva un senso.

 

Intanto, si ricordava ancora del noce. Oh che bel noce e che tristissima storia!

 

Un giorno, forse anche ora, un lagnaiuolo ha tagliato quel noce, lo ha portato nella sua piccola capanna e ci ha ricavato tantissimi fasci e, per guadagnare un po’ da vivere, è andato in città e lo ha venduto per poco a un mercante di passaggio. Quest’ultimo, con il suo somarello, è arrivato in quell’altro posto, ben conosciuto, e ha venduto quella legna a una soldataglia che ne aveva bisogno per bivaccare; e quei soldati, saputo del bisogno di quel legno per ben altro, lo hanno ceduto a dei pretonzoli da quattro soldi e a un vescovo bifolco per una manciata di altri miseri danari.. forse una trentina.. e quegli altri - i preti e il vescovo bifolco! - ci hanno fatto una bella pira, con tanto di palo.. e adesso la vogliono accendere per bruciare la strega… Non è nemmeno la prima volta. E questa strega, una fanciulla di appena diciannove anni, viene portata a quel palo.. discinta, con una tunica bianca, viene legata dal boia e, mentre implora il nome di Cristo, nel mezzo dei più atroci dolori si scioglie e diventa cenere.. quella cenere buona solo a stare in un caminetto.. buona a stare nei campi di grano dopo il raccolto.. quella cenere cui basta un debole soffio di vento per portarla nell’orizzonte.. oltre l’orizzonte.. sempre più oltre.

 

Ora, non le importa proprio più niente: dei suoi assassini che ha perdonato, della Patria che non ha capita la lezione, dei campi di grano e del noce. La sua Anima si bea del fuoco infinito e glorioso dell’Amore e ha scoperto che nulla fu un Sogno e che fu tutto vero, dassenno, tutto vero.. il suo corpo, invece, al par dell’animuccia, è eterno, in tante parti, in tanti fiori.. in tanta vita e in tante culle. Ha girato il mondo, è andato ovunque. Altri, invece, al contrario di lei, sono perennemente chiusi in un sepolcro di marmo, dove vengono solleticati da un gomitolo di vermi. Bella fine, per loro! È così, del resto, che il Cielo fa ridere i suoi dannati!

Quadro di Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), (Santa) Giovanna d'Arco all'Incoronazione di Carlo VII di Valois, Neo-Classicismo, Romanticismo, Accademismo francese, 1854.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì XXVIII Maggio AD MMXXI.

venerdì 20 dicembre 2019

Fiaba - Il Cesto vuoto

C'era una volta, tanto tempo fa, un villaggio dove i fanciullini, in occasione del Natale, andavano in piazza a raccogliere dei doni. Si diceva loro che era l'anima stessa del Vescovo di Myra che li portava. Ovviamente bisognava comportarsi bene, ovvio! Altrimenti, beh, si sa... un mucchio di legna mezza arsa e bruciacchiata. Del resto, in Paradiso non si entra se si è monelli; ed è meglio correggerli per bene, costoro, finché sono in terra!.... Eppure, al diavolo le ciance! tutti sapevano che alla fine c'era lo zampino di qualcheduno: la mamma, il papà, i nonni, i vecchietti... e così, nel tempo, accadde che si iniziò a chiedere cose che il santo Vescovo non avrebbe poi così tanto accettato. E poi, chi le chiedeva! Ora i viziatissimi figliuoli del nobiluccio che pretendevano oro; ora la smorfiosa figliuola del magistrato che bramava una cetra; adesso la fanciulla sempre annoiata ma che deve apparire sempre più bella delle altre che chiede stoffe preziose e ambra.... E come si può pensare, tutti venivano accontentati. 
C'era, però, un povero fanciullino che tutti gli anni, venuto Natale, chiedeva soltanto un regalo. Lo scriveva in pessimo Latino, accompagnato dalla madre quasi sempre malaticcia; e agli inizi di dicembre consegnava questo piccolo straccio di pergamena in una cassetta in chiesa. Chiedeva appunto soltanto una cosa: un cesto... un cesto vuoto. Lo ebbe la prima volta a quattro anni; e su consiglio della madre, ogni anno lo rimetteva in piazza qualche giorno prima della vigilia per ritirarne uno nuovo nel dì della festa. Ovviamente il cesto era sempre il solito; ma qualche buon'anima lo prendeva, lo ripuliva, lo aggiustava nei piccoli difetti e a Natale, eccolo che sembra nuovo!
Adesso questo fanciullino sapeva benissimo perché agiva in questo modo; glielo aveva spiegato più volte la mamma. Così non ebbe esitazione né paura quando il centurione della guardia cittadina, incuriosito dal suo singolare dono, gli chiese delle spiegazioni.
"Caro fanciullo" gli disse con tono paterno "Gli altri bimbi hanno ricevuto oro, argento, stoffe, strumenti... spade di legno.... Perché tu hai preso questo cesto vuoto?".
"Semplice... perché l'ho chiesto!" rispose il fanciullino.
"Ma saranno tre anni che ti vedo sempre a prendere lo stesso dono. Cos'ha di speciale questo cesto?".
"Oh, se sapessi... è un cesto magico!" tentennò il bimbo quasi nell'atteggiamento di chi vuole svelare un segreto.
"Magico?".
"Sì, mamma dice che questo cesto è proprio magico... magico davvero. Infatti, lo puoi riempire" e si avvicinò sussurrando all'orecchio del centurione "con i tuoi sogni e i tuoi desideri. Ci metti dentro un sogno e poi un desiderio; ed ecco che si avverano... uno dopo l'altro. Basta solo sognare e desiderare, nient'altro. Poi, ogni anno, lo si riporta indietro, affinché da Lassù lo possano svuotare. Oh! che bello pensare agli Angioli nel vedere i sogni di un bambino! Chissà come sorridono e sono contenti! Così contenti che, se piace a Iddio, ti riportano indietro il cesto in qualche modo, oppure te ne danno uno nuovo; e poi puoi ancora sognare... e desiderare. A volte, infatti, troppi sogni e desideri riempiono il cesto e non ce ne stanno degli altri. E poi, è anche bello cambiare, aggiungerne di nuovi, purché siano buoni e sinceri. Nessun desiderio di Amore passa innosservato dagli Angioli".
"Ma dimmi ancora una cosa" disse il centurione che inizialmente voleva scoppiare a ridere ma che ora era così incuriosito da continuare "che cosa se ne fanno gli Angioli dei nostri desideri?".
"Non lo so.... La mamma mi dice che raccolgono per davvero tutto quello che abbiamo sognato e desiderato in un anno, che tessono le lodi a Iddio per averne avverato ogni cosa e che poi trasformano i sogni in giuocattoli per i bimbi che sono andati in Cielo prima ancora di conoscerne di veri".
"E tu, caro fanciullo, che cosa desideri adesso?".
"Vedi... mia mamma è molto malata. Noi siamo poveri. Non ho più il papà e i miei fratellini sono morti già da tempo. Ogni volta che viene l'inverno, la mamma non sta bene. Ho paura. Non voglio perderla. No... no! non chiedo ricchezze; ma soltanto che ella possa avere un farmaco, e che qualche anima buona la aiuti a guarire".
"Senti" aggiunse ancora il centurione "qui fuori ci sono fanciulletti della tua età che vogliono giuocattoli e ricchezze. Tu davvero ti accontenti di così poco?".
"Mia mamma non è poco!.... Mia mamma non è poco!" esclamò tra il risentito e il melanconico il poverello il quale, senza dar possibilità di ribattere, si mise a scappare a gambe levate. 
Per tutto il giorno, benché fosse festa, stette poi a fare la carità, ottenendone che pochi spiccioli. Ma quando tornò in una specie di cadente scantinato di un altrettanto diroccata casupola vide una signora che stava accudendo la madre. Non seppe mai chi fosse, né da dove venisse; ma conobbe in seguito che ella era venuta lì nel pomeriggio, aveva portato con sé dei farmaci e aveva fatto fare un bagno caldo alla malata. Ora la stava aiutando a mangiare qualcosa.
"Grazie, oh Signore, per avere esaudito il mio desiderio! Grazie, miei Angioletti!" ripeté più volte il fanciullino per tutta la sera e per tutta la notte.
Passarono così altri Natali; e sempre il fanciullino chiedeva in dono un nuovo cesto, sempre lo riprendeva, sempre incontrava il centurione che gli domandava ogni cosa circa i suoi sogni e i suoi desideri, e sempre quest'ultimi venivano esauditi. Ma un Natale, quando il poverello aveva circa dieci anni, non andò per niente per il verso giusto. Quell'anno, purtroppo, fece troppo freddo, e per via del gelo e della carestia la sua mamma si ammalò gravemente. Ovviamente, il fanciullino espresse il desiderio che ella guarisse; ma nel giro di pochi giorni, questa volta, gli spirò tra le braccia, lasciandolo solo e abbandonato da tutti.
Quella notte il suo strazio e le sue lagrime non diedero pace a tutto il vicinato; e sarebbe finito male anche lui se non fosse stato per un vecchio falegname che, non solo lo salvò da alcuni uomini che lo volevano assassinare (tant'erano ciechi e malvagi), ma si prese il compito di costruire il feretro per la defunta. Anche il fanciullo ci volle lavorare, forse per sfogare la sua rabbia, il suo dolore e la sua delusione.
Avvenne il giorno e il momento della cerimonia funebre. Dopo di questa, il poverello iniziò a vagabondare qua e là per il villaggio completamente fuori di sé. A notte fonda si ritrovò attonito e perduto in riva al mare. Pieno di dolore e sentendosi naufragare nella solitudine più immensa si accasciò sulla spiaggia, si coprì gli occhi con le mani e pianse a dirotto. Più volte ripeté "Mamma", più volte ancora con strazio e nostalgia; e così stette molte ore finché un piccolo tonfo, come di un oggetto che cadeva sulla sabbia, non lo scosse. Si guardò intorno e vide alla sua destra il suo cesto. Per la prima volta sentì allora salirgli una rabbia feroce e crudele dal cuore; e sicuramente lo avrebbe preso in mano, fatto a pezzi e gettato nel mare se un'ombra dal passo ferreo non gli fosse seduta al fianco. Era il centurione che, di nascosto, lo aveva seguito tutto il giorno.
Riconoscendolo, il fanciullo si alzò di scatto, prese il cesto e fece per scagliarlo in mare. Ma il soldato gli fermò la mano appena in tempo.
"Lasciami... lasciami!" gridava il poverello che, sentendosi quasi incatenato dal braccio robusto dell'uomo, ammorbidì i suoi arti per poi scoppiare a piangere. 
Il centurione, intanto, lo abbracciò forte; e così i due rimasero per molto tempo.
"Perché?.... Dimmi perché?" domandò il fanciullo quando si fu calmato.
"Era malata grave" rispose l'altro.
"Perché non hanno avverato i miei desideri?".
"Non lo so.... Ma la volontà d'Iddio spesso è diversa dalla nostra".
"Allora Iddio visto che fa morire le mamme è crudele".
"No... non è vero... non è vero!".
"O forse non esiste nemmeno... è solo un sogno... anche Lui".
"No... Lui esiste!".
"Ma non ha salvato la mamma. Non ha avverato i miei sogni. Dev'essere cattivo davvero!".
"Non è cattivo... non dire così. Senti.... Tu mi hai detto più volte che gli Angioli sono contenti, che Iddio è contento quando i sogni si avverano e vengono avverati. Mi hai parlato tanto della contentezza degli Angioli. Ma non hai mai pensato che possono anche piangere?".
"Gli Angioli non possono piangere.... Loro ridono sempre, anche delle nostre disgrazie. Son fatti così!".
"Pensi che Iddio sia contento di avere accolto nel suo Regno l'anima di una mamma... ma che dico, non di una mamma! di più mamme?".
"Se non è contento allora poteva anche non farlo accadere!".
"E tu glielo hai chiesto?".
"Sì, gliel'ho chiesto, ma non mi ha sentito!".
"E invece ti ha sentito!".
"Se mi ha sentito, allora, non doveva togliermi la mamma".
"Può essere.... Ma anche Lui ora sta piangendo insieme a te e a tutti i suoi Angioli".
"E che cosa me ne posso fare del suo pianto? Può forse rendermi ciò che mi ha tolto?".
"No, hai ragione. Eppure ti sta dicendo la verità della Vita. Vedi, caro fanciullo, non sempre tutti i nostri sogni e i nostri desideri vengono avverati. Alcuni ce li mettiamo in testa noi, semplicemente per il gusto di sognare; altri ci vengono per farci imparare a illuderci. Alcuni per farci capire che anche Lassù a volte si piange".
"E ciò dovrebbe farmi sentire meglio?.... Sei proprio come tutti gli uomini che fanno la guerra... anche mio papà ha fatto la guerra. Ma è morto... morto come mia mamma.... Io li rivoglio indietro... rivoglio la mia mamma!".
"Calmo, fanciullo! Calmo!".
"No, non posso.... Perché esiste la guerra? Perché esiste la malattia?.... Mia mamma non ha fatto proprio niente di male. Sono gli uomini come te che causano disastri.... Nessuno la guardava in faccia!".
"Tu non la guardavi?".
"Io sì, ma gli altri no. Nessuno tranne che lei mi guarda in faccia!".
"Io ti sto guardando in faccia.... E ti dirò che ho guardato in faccia anche tua madre. Sono io che ho mandato più volte una serva ad aiutarla e a guarirla. Tu mi confidavi i tuoi desideri e io provvedevo".
"Ma al momento giusto non hai mandato nessuno, vero?".
"Non ti vedevo più. Inoltre fui richiamato al fronte per un breve periodo. Sai, i Goti non ci lasciano molto in pace.... Ma so una cosa, ed è questa, ovvero che desiderare e sognare sono cose molto belle. Eppure, se non si riesce a condividere con qualcuno i propri sogni e desideri, difficilmente costoro si avvereranno".
"Non basta condividerli con il Cielo?".
"Non basta".
"Ma se eri tu ad aiutare mia mamma, allora da Lassù non hanno fatto nulla. Forse quel Lassù non esiste".
"Ti sbagli, caro fanciullo. Da Lassù hanno fatto in modo che tu mi incontrassi".
"Comunque nel momento del bisogno hanno fatto anche in modo che io non ti vedessi più".
"Ora mi vedi".
"Ma non prima.... Mi servivi prima. E il Cielo ti ha mandato al fronte".
"No, sono stati gli uomini a mandarmi a combattere. Iddio non vuole che ci uccidiamo, lo sai?.... Caro fanciullo, ci dev'essere nel mondo in cui viviamo un qualche Destino impetuoso, una forza crudele e malvagia, ma anche senza testa, che nei momenti sbagliati ci mette in difficoltà: ci separa, ci fa fare la guerra, ci ispira parole orrende e altrettante azioni. E...".
"E Iddio non può fermare questo Destino?" interruppe quasi sbottando il fanciullino.
"Può, altrimenti non sarebbe l'Onnipotente. Ma...".
"Ma non lo fa, vero?".
"Non lo fa, hai ragione! perché se lo facesse dovrebbe piegare al suo Volere mille e mille uomini; e costoro finirebbero con l'essere liberi".
"Eppure al suo Volere ha piegato me.... Che cosa gli ho fatto?".
"Nulla. Infatti, non ti ha piegato al suo Volere. Tu sei libero... libero di prendere questo cesto, di farlo in pezzi e di gettarlo nel mare. Libero di fuggire, di vagabondare per tutta la terra. Oppure sei libero di istruirti, cercare un mestiere.... Hai ancora molto da vivere".
"Ma le lagrime che sto spremendo sono costrette dal Volere di quel Dio lontano".
"Volevi bene alla mamma?".
"Sì... ma questo cosa c'entra?".
"Vedi, quando si ama nulla è per costrizione, e forse nemmeno per libertà. Ecco perché esiste la guerra ed esistono gli uomini come me. Perché noi mortali non amiamo; anzi, sovente vogliamo piegare molti altri alla nostra volontà, oppure bramiamo essere liberi da tutto e plasmare da questo mondo un altro a nostra immagine e somiglianza che non esiste".
"Tu parli bene.... Ma ciò non mi toglie la tristezza!".
"Sì, perché una tristezza d'Amore rimane per tutta la Vita".
Passarono così molte ore e, alla fine, iniziò ad annunziarsi l'alba. La stella del mattino, infatti, si fece vedere in mezzo a tanto nero, e splendeva... splendeva. Perfino delle stelle sembravano danzarle intorno, mentre la Luna, come un tappeto ai piedi di una Dea, stava tramontando. Soltanto una nuvola scura stava a lei vicino, disegnando quasi le sembianze di un Mostro. Ma a poco, a poco anche codesta nuvola disparve; e il cielo iniziò a farsi sempre più chiaro.
Il fanciullino volse lo sguardo al centurione. Si erano parlati, ma guardarsi molto in faccia proprio no. Resta il fatto che nel vederlo, notò uno strano elmo in testa.
"Quello che cos'è?" domandò il fanciullo incuriosito.
"Questo?" ribatté il centurione che all'affermazione del suo amico proseguì "è un elmo... vecchio, vecchissimo. Apparteneva a un mio Avo, quando Cesare conquistava la Gallia. Mi piace tenerlo".
"Un po' come il mio cesto?".
"Sì... proprio così!".
"Quindi è magico?".
"No, non lo è.... Ma mi piace tenerlo per ricordare i miei cari. Anche loro saranno da qualche parte; e mi staranno guardando. Forse qualche desiderio me lo hanno esaudito".
"Posso venire con te?" domandò d'un tratto il fanciullino.
"Certo! Ma devi imparare molte cose!".
Ed ecco che fu così che iniziò una nuova vita per il nostro fanciulletto il quale venne prima di tutto istruito, poi iniziò a servire come scudiero e, infine, una volta cresciuto e diventato un giovinotto, e dopo ardui allenamenti, divenne un perfetto ed eroico guerriero, così bello e così forte che i pochi rimasti fedeli a una certa cultura lo paragonavano ad Achille. Però, anche se continuava a pregare e a credere, del cesto non gliene importava proprio più niente, tant'è che nella sua tenda lo lasciava quasi sempre in disparte.
Tuttavia, un giorno scoppiò di nuovo la guerra tra i Romani e i Goti, e le battaglie furono così cruente che da una parte e dall'altra erano ormai quasi tutti esausti. In ogni caso, il Re dei barbari non era comunque convinto di chiedere una tregua e, dissimulando, facendo credere in una ritirata, pensò di cogliere il nemico da dietro le spalle e di sorpresa. Però non fece conto con il nostro giovinotto il quale, in avanscoperta, rintracciò i suoi movimenti e sùbito li andò a riferire. 
Quella sera, nell'accampamento, aveva davvero molta paura. Sapeva da tempo che cos'è una battaglia... e specialmente conosceva le stragi tra i suoi e i Goti. Posando di fuggita lo sguardo sul cesto, tra sé e sé, sospirò "Oh Iddio, oh Angioli! vi prego, esprimo quest'altro desiderio dopo molto tempo: fate che vi sia la pace tra noi e i nemici!". E fu così che all'indomani fu esaudito. Non solo un ambasciatore goto annunziò la tregua, ma il Re in persona volle riflettere su un accordo di pace, giungendo perfino a proporre in sposa Siglinde, la più bella delle sue principesse.
Era costei una giovine fanciulla che aveva la particolarità di subire quasi una specie di incantesimo per il quale quand'era annoiata e scontenta i suoi occhi diventavano smorti, grigi... privi di vitalità e i suoi capelli sembravano come se fossero bianchi; mentre, invece, quand'era felice e gioiosa diventava bionda, e le sue pupille splendevano di un immenso azzurro.
Il giovinotto la vide per la prima volta proprio nel momento in cui, assai contenta, vagava per un praticello con le sue ancelle; e come è ovvio, se ne innamorò immediatamente. Tuttavia, la sorte non era affatto in suo favore ché pur essendo valoroso e bello restava comunque di umili origini. 
Ma accadde anche che tutti i pretendenti della fanciulla che accorrevano da lei dopo aver sentito parlare della sua bellezza infinita, rimanevano a secco nel vedersi davanti una giovinetta scolorita e smorta. Inoltre, i loro doni e le loro promesse né piacevano, né convincevano la principessa, la quale, in fin dei conti, dell'oro e dell'argento era abbastanza stanca. Solitamente ella riceveva questi miserrimi infelici in un atrio del palazzo; ma anche il giardino, o i sentieri della foresta non le dispiacevano, purché ci fossero delle dame di compagnia. Intanto, il Re era molto paziente e rispettava dignotosamente la sua volontà, cosicché non gli passò mai per la testa di obbligarla nella scelta. In fin dei conti, non era nemmeno sua figliuola, ma di un suo nobiluccio, morto in battaglia anni e anni prima. Lui, il Re! sì che aveva dei figliuoli e delle fanciulle, e aveva sistemato per bene tutti costoro. Ma con Siglinde non aveva interessi, se non quello di garantire un po' di pace con i Romani; e l'unica cosa che aveva stabilito era che ogni pretendente si dovesse presentare con un dono.
Un giorno il giovinotto, sapendola in procinto di entrare nella foresta, si fece coraggio e, dopo aver espresso davanti al suo cesto il desiderio di amarla e di essere da lei amato, si presentò a lei. Oh! in questo frangente non era per niente smorta e scolorita! ma biondissima, bella, gentile e con degli occhi sfolgoranti d'azzurro ché al giovine parve perfino di svenire e di sprofondare.
"Chi sei?" domandò ella vedendolo arrivare, un po' arrossito.
"Un tuo pretendente, principessa" rispose il giovinotto.
"Anche tu sei qui per offrirmi oro?".
"No!".
"Allora forse hai da volermi dare dell'argento".
"Non ho nulla, principessa, se non i soldi con cui mi pagano".
"Quindi mi vuoi comprare con questi?".
"Nemmeno per scherzo, signora!".
"E perché?" domandò perplessa ma felice la fanciulla.
"Perché so che una donna non si può comprare, ma amare" rispose il giovinotto.
"Può essere così... sì, hai ragione... è proprio così. Ma vedi, tutti quelli che mi pretendono mi hanno portato dei doni. Così vuole il Re. Tu cosa mi porti?".
"Ti porto questo" rispose il giovine presentandole il suo cesto "Questo è un cesto, un semplice cesto... come ne puoi trovare in giro dei migliori. Non ha nulla di particolare. Ma è la sua storia che lo rende interessante. Principessa, quand'ero piccolo mia mamma diceva sempre che questo è un cesto magico, dove tu puoi mettere i sogni e i desideri, e aspettare che questi si avverino. Ogni anno, la vigilia di Natale, lo portavo in piazza pensando che per davvero gli Angioli e il Vescovo di Myra venissero a svuotarlo, a guardarci dentro e darmene un altro, per farmi continuare a sognare e a desiderare. Io ci credevo davvero. Poi venne una sciagura. Un Natale, quando avevo dieci anni, mia madre mi spirò tra le braccia, poiché era malata gravemente, e io provai una delusione infinita. Mi sentii dimenticato da tutti, perfino da Iddio. Fu il mio maestro, un centurione, a farmi cambiare un po' idea in riva al mare. Ora, principessa, questo dono non ha valore. Ti sto donando una favola... nient'altro che una favola. Ma se lo accetti, anche tu puoi fingere di metterci dentro i tuoi sogni e i tuoi desideri... anche tu puoi spargere una lagrima per le illusioni. Ma alla fine, quello che conta di più è che con questo cesto io ti dono il cuore; e codesto cuore è davvero un cesto magico. Basta ascoltarlo e condividerlo con quanti sono a noi più cari".
Sentendo queste parole, anche Siglinde ripensò d'un tratto alla sua giovinezza, alle leggende dei suoi bardi, ai primi doni ricevuti quando fu fatta cristiana... e la sua mente andava... andava a vagare in un mare di sogni, di desideri e di fantasia che alla fine si innamorò perdutamente del giovinotto; e dopo qualche mese, lo sposò.
Vissero per anni e anni l'uno al fianco dell'altra e furono felici. Né la principessa ebbe più i capelli bianchi, se non quando fu molto vecchia; né ebbe gli occhi smorti e velati, nemmeno quando morì. Ci furono sogni, e desideri, qualche illusione, qualche pianto.... Ci furono dei figli, e poi dei nipoti e dei nipoti ancora che, alla fine, a Natale, si accontentavano semplicemente di un cesto vuoto, perché il regalo più bello è far sì che le persone possano sognare e condividere i loro sogni.

Hans Makart, Una Valchiria, Tardo-Romanticismo e Simbolismo tedesco, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Giovedì XIX e Venerdì XX del Mese di Dicembre AD MMXIX.