Si svegliò di colpo.. un sussulto fremebondo e inconsueto, proprio come se qualcuno la stesse scuotendo ferocemente per toglierle il sonno e farle paura. Fuori, il silenzio.. il Nulla. Non c’era nessuno. Soltanto la vacuità.. il perfido vuoto.
Gli sgherri.. le ronde.. le urla degli
ubriachi.. i dadi gettati.. i passi di ferro.. le scommesse.. le bestemmie che
le accompagnavano… Nulla, era tutto sparito.. era sparita anche la fioca luce
della piccola finestrella, la pallida Luna che rispecchiava sul pavimento il
suo scialbo argento.. erano sparite le stelle, quei puntini illuminati appena
appena visibili, ogni tanto, da quel vecchio ripostiglio per miserabili esseri
umani che vagamente potevansi beare di questi piccoli lumicini nella notte
della noia. Erano svaniti i rintocchi furtivi.. i tintinni delle campane. Che
ore erano?... Certamente la notte.. profonda notte… Quale? l’ultima. E dopo
sarebbe stato il giorno, ovviamente.. sarebbe stato anch’esso l’ultimo… E dopo?
E poi? E dopo ancora? Che cosa? La notte?... Una notte senza fine?... Una nuova
alba con la sua rugiada di vita? Un’aurora intensa e senza fine? Un mattino
molto lungo.. lunghissimo? Un pomeriggio eterno? Un Tramonto senza morte?...
In ogni caso, tutto era ormai sparito..
dissolto.. annientato, come in una malia indefinita di altrettanto indefinito
incantatore. Del resto, esistono gli incantatori. Specialmente il loro re. È un
incantatore molto oscuro anche se dicono che abbia in sé della luce.. molta
luce, quanta serve per ingannare.
Ancora qualche scossone. Una spinta o
due… Spingete, orsù, quelle povere membra! Non sarà la prima volta che vengono
scosse! Spingete e fate che sembri tutto il galoppo di un palafreno selvaggio
in mezzo alla battaglia!... Ancora qualche spinta, forza!
“Vattene! Lasciami.. lasciami!” gridava in un crescendo rabbioso di timore e di
voce “Lasciami stare.. ti prego! Lasciami stare!”.
Intanto, ella cercava qualcosa alla
cintola.. che cosa? un rosario, forse una croce.. ma non lo trovava. Dov’era
quel rosario? Eppure, poche ore fa era lì.. e adesso?... Dissolto..
annientato.. sparito, come tutto. Ma non poteva essere svanito. A volte,
infatti, balbettando delle preghiere a metà, si addormentava perfino tenendolo
nella mano. Ora non c’era. Dove l’aveva messo? Dove gliela avevano messo? Chi
gliela aveva portato via?... Chi gliela aveva portato via?... Chi le voleva
così male?...
“Dove l’ho messo? Dove l’ho messo?”
ripeteva trattenendo a stento le lagrime “Dove me l’hanno messo?... Dio mio, dove
l’ho messo?”.
Non c’era più nemmeno la candela.. povera
bimba! Le avevano portato via anche il suo lumicino. Tutto era tremendamente
buio. E come se tutto questo non bastasse, si sentiva sudata e, come capita
spesso a chi suda, ora che sembrava ben lungi dall’aver caldo, aveva i
brividi.. fortissimi brividi. Forse era la febbre. Frattanto, persisteva il
silenzio!... Eterno silenzio!... Tutta rannicchiata sul duro giaciglio, infatti,
sentiva soltanto l’eco dei suoi palpiti.. erano davvero agitati, come battiti
di piedi che corrono sulla pietra, come grandine che precipita sui veroni di
marmo, come gli accordi di un liuto nei giardini nascosti di un castello.
Poi, tutto d’un tratto si piegò in
quattro, come presa da un forte spasmo e, disperatamente mettendosi le mani
sulle orecchie, iniziò a gridare: “Vattene via! Vattene via!... Lasciami!” e
senza mai finire la preghiera continuava a dire singhiozzando “Padre nostro che
sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli…
Aiutami tu… Padre nostro che sei nei cieli…”. Dopo, piena di angoscia e
disperazione, quasi incapace di finire di pregare, proruppe in pianto. Inoltre,
cercava disperatamente una coperta… Non c’era. Voleva coprirsi tutta… per
proteggersi. Per nascondersi. Per non farsi vedere.
“No! Non guardarmi! Non guardarmi! Vattene!”.
Continuavano i brividi, come se nella
pelle si fosse riflessa a uno specchio una paura tremenda per una presenza
indeterminata e occulta. Forse con lei c’era qualcuno.
“No!... Vattene! Non guardarmi!... Chi
sei? Cosa vuoi?... Vattene!”.
Gli attimi passavano.. l’angoscia
persisteva.. le lagrime scendevano copiose. Poi, senza che qualcosa suggerisse
che la crisi fosse passata, ella balzò in piedi, come risoluta e, presa da
qualche altro indefinito eccesso, cercò eroicamente qualcosa al suo fianco.
Dov’era? Non c’era. Dov’era il fodero.. la spada?... Nulla. Non c’era più
nulla.
Fu come un fulmine. Atterrata e
attonita si buttò in ginocchio… Era davvero molto disperata.. e, con le mani
coprendosi il volto quasi come per vergogna, soffriva immensamente nell’anima.
Tremava.
“Non ho ucciso nessuno.. non ho fatto
nulla di male… Non sono una strega! Non sono un’assassina! Non ho ammaliato
nessuno!”.
… E la sua mente andò all’infanzia..
volò a un vecchio noce e a quel noce si ricordò che giuocava così piccola alle
Fate con tutte le sue più care amiche.. si rimembrò che arrivavano i soliti
monelli - i soliti Borgognoni, quelli lì, duri di cervice e di cuore - che
questi stuzzicavano le fanciulle.. che a quel noce arrivavano dunque i
fanciulli del suo paesello, che scappava con le sue amichette, mentre gli
altri.. giù botte! A quel noce portava sempre le pecore.. sentiva voci strane
tra le sue fronde.. vegliava e dormiva, vedeva e sognava. Erano le Fate?... Chi
era?... Le Fate hanno forse le ali folgoranti di luce?... A quel noce si sedeva
a pregare, vi incise una croce sul duro tronco.. a quel noce giuocava a
confessare i suoi compagni, come un prete, - e forse per lei non era nemmeno un
giuoco! - a quel noce vedeva riflessi i fumi dei villaggi bruciati, sentiva le
grida dei sopravvissuti, “Salvate la Patria! Salvate la Patria!” e poi..
sùbito! galoppi furiosi di cavalli e cavalieri dalle gualdrappe azzurre e rosse
e con leoni d’oro, risa, bestemmie.. le spade nei foderi grondanti sangue… A
quel noce.. a quel noce.. udendo voci di veglie e di sogni.. a quel noce,
ebbene, si fece strega?...
A un tratto si ricordò anche dei bellissimi
tramonti che vedeva d’estate - fra poco sarebbe stata una nuova estate ed ella,
no, non l’avrebbe più rivista! - tra i suoi campi d’oro. Che orizzonti belli e
liberi! Invidiabili e innamoranti! Allora era il tempo in cui vedendoli correva
tra le spighe.. correva.. correva inseguendo qualcosa, come un sognatore corre
per arrivare alla sua notte e avere i suoi sogni... e correva e correva, cercando
nel vento l’abbraccio di qualcuno che lei sola potea intravedere.. ed erano gli
attimi in cui voleva andare oltre.. e oltre ancora.. e sempre più oltre..
dimenticarsi di tutto: dei divieti, delle convenienze, degli obblighi. Voleva
essere ella stessa quegli orizzonti! Perdersi in loro e nel volto nascosto di
Chi li volle plasmare. E in siffatto desiderio, sovente, si addormentava e
veniva trovata assopita in mezzo al grano.. e riportata a casa e, ivi una volta
arrivata, veniva rimproverata severamente.
“Pazza! Il grano è fatto per essere
raccolto non per dormirci sopra!”. Le ricordava bene.. eccome se le ricordava! suo
papà diceva sempre le solite parole. Ma.. se invece il grano fosse fatto per
dormirci sopra e non per essere raccolto?... E se fosse fatto per far seguire
ai fanciulli i loro sogni? E se esistesse per indirizzare i cuori a
oltrepassare l’orizzonte, e un altro.. e un altro ancora? E se fosse un giuoco
di bimba?...
“Va là che tu sei una pazzerella.. una
malnata… Andrà a finir male.. molto male.. sta’ pur certa! E ora va’ a dormire
senza cena.. così impari”.
E il giorno dopo, in sua vece, si
ritrovava nel suo lettuccio un poverello.. un vagabondo, mentre ella se ne
stava distesa sporca di fuliggine sulla cenere del caminetto. Che disperazione!
Che monelleria! E il padre giù dal prete a confessare i peccati della
figliuola.. e quegli - che l’ascoltava e molto più assennato - giù a perdonare
le lamentele di questo papà. Che male c’è nel dormire nella cenere?...
La cenere… Orrore!... Presto o tardi
tutto finirà in cenere!... Già.. la cenere!... Quei bellissimi campi di grano
dove si addormentava venivano presto raccolti e le sue paglie.. ebbene, erano
soltanto buone per il fuoco. Tutto quel mare dorato.. fu cenere… gli orizzonti
si inebriavano di siffatta cenere.. lo erano anch’essi. Tutto si dissolveva e
non era più. E poi da questa dissoluzione misteriosa altrettanto
misteriosamente ecco altro grano.. altri sognatori.. altre fiamme e altra
cenere.
Del resto anche questa cenere serve..
ma resta semplicemente cenere. Nulla di più. Frammenti minuscoli e
insignificanti di sassolini e di legnetti neri, carbonizzati, da lasciare ai
margini di qualche rigagnolo.. forse ancora un po’ fumanti. Appunto, nulla di
più.. una miseria infinitamente triste e orrenda.
“Che cosa ho fatto di male, mio Dio?”
continuava a singhiozzare “Non ho ucciso nessuno… Non sono una strega!”.
Forse, in quell’attimo, sarebbe stato
meglio per lei se non avesse mai vegliato e sognato, se non avesse mai
ascoltato l’inascoltabile mistero di voci celestiali - erano vere? Erano menzogna?
- se fosse rimasta nel seno della casa paterna, se come tutte le sue care
amiche avesse imparato il segreto della danza e della giovinezza, se avesse
fatto all’amore con un semplice giovinotto, un contadino.. se lo avesse sposato
per dargli la forza lavoro di tantissimi figli… Del resto, era bella.. molto
bella.. sì, forse qualche callo alle mani e ai piedi, capelli tra il castagno e
il corvino - strano, per il mal pelo d’una strega! - potea attrarre, sì. Ma se
fosse stato tutto questo, che senso avrebbe avuta la sua piccola vita?... No,
non sarebbe stato meglio nulla di tutto questo. Era una strega.. bene.. era una
dannata.. non importa. Ma almeno la sua vita aveva un senso.
Intanto, si ricordava ancora del noce.
Oh che bel noce e che tristissima storia!
Un giorno, forse anche ora, un
lagnaiuolo ha tagliato quel noce, lo ha portato nella sua piccola capanna e ci
ha ricavato tantissimi fasci e, per guadagnare un po’ da vivere, è andato in
città e lo ha venduto per poco a un mercante di passaggio. Quest’ultimo, con il
suo somarello, è arrivato in quell’altro posto, ben conosciuto, e ha venduto
quella legna a una soldataglia che ne aveva bisogno per bivaccare; e quei
soldati, saputo del bisogno di quel legno per ben altro, lo hanno ceduto a dei
pretonzoli da quattro soldi e a un vescovo bifolco per una manciata di altri
miseri danari.. forse una trentina.. e quegli altri - i preti e il vescovo
bifolco! - ci hanno fatto una bella pira, con tanto di palo.. e adesso la
vogliono accendere per bruciare la strega… Non è nemmeno la prima volta. E
questa strega, una fanciulla di appena diciannove anni, viene portata a quel
palo.. discinta, con una tunica bianca, viene legata dal boia e, mentre implora
il nome di Cristo, nel mezzo dei più atroci dolori si scioglie e diventa
cenere.. quella cenere buona solo a stare in un caminetto.. buona a stare nei
campi di grano dopo il raccolto.. quella cenere cui basta un debole soffio di
vento per portarla nell’orizzonte.. oltre l’orizzonte.. sempre più oltre.
Ora, non le importa proprio più niente: dei suoi assassini che ha perdonato, della Patria che non ha capita la lezione, dei campi di grano e del noce. La sua Anima si bea del fuoco infinito e glorioso dell’Amore e ha scoperto che nulla fu un Sogno e che fu tutto vero, dassenno, tutto vero.. il suo corpo, invece, al par dell’animuccia, è eterno, in tante parti, in tanti fiori.. in tanta vita e in tante culle. Ha girato il mondo, è andato ovunque. Altri, invece, al contrario di lei, sono perennemente chiusi in un sepolcro di marmo, dove vengono solleticati da un gomitolo di vermi. Bella fine, per loro! È così, del resto, che il Cielo fa ridere i suoi dannati!
Quadro di Jean-Auguste-Dominique Ingres (1780-1867), (Santa) Giovanna d'Arco all'Incoronazione di Carlo VII di Valois, Neo-Classicismo, Romanticismo, Accademismo francese, 1854. |