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venerdì 28 maggio 2021

XXX Maggio. Frammenti della Visionaria

Si svegliò di colpo.. come se qualcuno la stesse scuotendo ferocemente per toglierle il sonno e farle paura. Fuori, il silenzio.. il Nulla. Non c’era nessuno.


“Vattene! Lasciami.. lasciami!” gridava in un crescendo rabbioso di timore e di voce.

 

Intanto cercava qualcosa alla cintola.. un rosario, ma non lo trovava. Dov’era quel rosario? Poche ore fa era lì.. a volte si addormentava perfino tenendolo nella mano. Non c’era. Dove l’aveva messo? Chi gliela aveva portato via?...

 

“Dove l’ho messo? Dove l’ho messo?” ripeteva trattenendo a stento le lagrime.

 

Non c’era più nemmeno la candela.. tutto era tremendamente buio. E come se tutto questo non bastasse, si sentiva sudata e aveva i brividi.. fortissimi brividi. Silenzio!... Tutta rannicchiata sul duro giaciglio, infatti, sentiva soltanto l’eco dei suoi palpiti.. erano davvero agitati, come battiti di piedi che corrono sulla pietra.

 

Poi, tutto d’un tratto si piegò in quattro e disperatamente mettendosi le mani sulle orecchie iniziò a gridare: “Vattene via! Vattene via!... Lasciami!” e senza mai finire la preghiera continuava a dire singhiozzando “Padre nostro che sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli… Padre nostro che sei nei cieli”. Dopo proruppe in pianto. Cercava disperatamente una coperta… Non c’era. Voleva coprirsi tutta…


“No! Non guardarmi! Non guardarmi! Vattene”.

 

Gli attimi passavano.. l’angoscia persisteva.. le lagrime scendevano copiose. Poi, senza che qualcosa suggerisse che la crisi fosse passata, ella balzò in piedi, come risoluta e, presa da qualche altro indefinito eccesso, cercò eroicamente qualcosa al suo fianco. Non c’era. Dov’era il fodero.. la spada?... Nulla.

 

Si buttò in ginocchio.. disperata.. con le mani coprendosi il volto quasi come per vergogna.

 

“Non ho ucciso nessuno.. non ho fatto nulla di male… Non sono una strega!”.

 

… E la sua mente andò a un noce e a quel noce si ricordò che giuocava da piccola alle Fate con le sue amiche, che arrivavano i soliti monelli - i soliti Borgognoni - che questi stuzzicavano le fanciulle.. che a quel noce arrivavano i fanciulli del suo paesello, che scappava con le sue amichette, mentre gli altri.. giù botte! A quel noce portava sempre le pecore.. sentiva voci strane tra le sue fronde… Erano le Fate?... Chi era?... A quel noce si sedeva a pregare, incise una croce sul suo tronco.. a quel noce giuocava a confessare i suoi compagni - e forse per lei non era nemmeno un giuoco! - a quel noce vedeva riflessi i fumi dei villaggi bruciati, sentiva le grida dei sopravvissuti… A quel noce.. a quel noce.. si fece strega?...

 

A un tratto si ricordò anche dei tramonti che vedeva d’estate tra i suoi campi d’oro. Che orizzonti belli e liberi! Allora era il tempo in cui vedendoli correva tra le spighe, cercando nel vento l’abbraccio di qualcuno che lei sola intravedeva ed erano gli attimi in cui voleva andare oltre.. e oltre ancora.. e sempre più oltre.. dimenticarsi di tutto: dei divieti, delle convenienze, degli obblighi. Voleva essere ella stessa quegli orizzonti! E nel suo desiderio spesso si addormentava e veniva trovata assopita in mezzo al grano.. e riportata a casa, dove veniva rimproverata.

 

“Il grano è fatto per essere raccolto non per dormirci sopra!”. Le ricordava bene.. suo papà diceva sempre le solite parole. Ma.. se invece il grano fosse fatto per dormirci sopra e non per essere raccolto?...

 

“Va là che tu sei una pazzerella.. una malnata… Andrà a finir male.. sta’ pur certa! E ora va’ a dormire senza cena.. così impari”.

 

E il giorno dopo, in sua vece, si ritrovava nel suo lettuccio un poverello.. un vagabondo, mentre ella se ne stava distesa sporca di fuliggine sulla cenere del caminetto.

 

La cenere… Orrore!... Presto o tardi tutto finirà in cenere!... Già.. la cenere!

 

“Che cosa ho fatto di male, mio Dio?” continuava a singhiozzare “Non ho ucciso nessuno… Non sono una strega!”.

 

E si ricordava ancora del noce.

 

Ora un lagnaiuolo ha tagliato quel noce, lo ha portato nella sua piccola capanna e ci ha ricavato tantissimi fasci e, per guadagnare un po’ da vivere, è andato in città e lo ha venduto per poco a un mercante di passaggio. Quest’ultimo è arrivato in quell’altro posto e ha venduto quella legna a una soldataglia che ne aveva bisogno per bivaccare; e quei soldati, saputo del bisogno di quel legno per altro, lo hanno ceduto a dei pretonzoli da quattro soldi per una manciata di altri miseri danari.. e quegli altri - i preti! - ci hanno fatto una bella pira, con tanto di palo.. e adesso la vogliono accendere per bruciare la strega… E questa strega, una fanciulla di diciannove anni, viene portata a quel palo, viene legata e, mentre implora il nome di Cristo, nel mezzo dei più atroci dolori si scioglie e diventa cenere.. quella cenere buona solo a stare in un caminetto.. quella cenere cui basta un debole soffio di vento per portarla nell’orizzonte.. oltre l’orizzonte.. sempre più oltre.

 

Ora, non le importa proprio più niente. La sua Anima si bea del fuoco infinito e glorioso dell’Amore.. il suo corpo è eterno, in tante parti, in tanti fiori.. in tanta vita e in tante culle. Altri, invece, sono perennemente chiusi in un sepolcro di marmo, solleticati da un gomitolo di vermi. È così che il Cielo fa ridere i suoi dannati!

Quadro di Howard Pyle (1853-1911), Illustrazione, Giovanna d'Arco in Prigione, Tardo-Romanticismo, Realismo, Simbolismo statunitense, 1911.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì XXVIII Maggio AD MMXXI.

martedì 28 maggio 2019

XXX Maggio MCDXXXI

Oh Visionaria! oh misera fanciulla!
vanamente brandisci nelle mani 
imbelli e care questo eterno e truce
volto del Cielo... oh tu! esanime e atroce
diadema di capelli - sciolti a poco
in trecce etesie.... Non ti splende più luce,
non ti palpita più l'amata Croce,
ma ti consuma dolcemente il fuoco.

L'ultima volta in cui ti sei veduta
a uno speglio è menzogna.... - Ora sei un'Anima
nel vento - trascinata da impetuosi
occhi d'un Temporal di vèrgin Morte.

Ho lagrimato tanto sulla tua
sì spenta gioventù.

Carl Gustav Carus, Un'Urna funeraria, Romanticismo tedesco, Prima Metà del Secolo XIX.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XXVIII del Mese di Maggio AD MMXIX.

giovedì 28 maggio 2015

XXX Maggio - Ode alla Vergine di Rouen, ovvero La Passione di Santa Giovanna d'Arco

I. Dagli atri urlava una canzone estrema,
ed ella allor l’udiva; ed era un liuto
d’un ignoto che ergeva un anatèma.

Fu come il canto che a un castel perduto
mestamente lagnava un Trovatore,
quand’ella stava dinnanzi a un re muto;

e questo labbro ripeteva all’ore
un Miserere: «Pietà, oh mio Signore!».

II. Oh Giovanna, per questo io gemo e canto
le doglie atroci dell’ultimo giorno,
perché di te il ricordo non sia infranto.

Dico alle nubi del Cielo tuo adorno
l’eco dei tuoi dolori, e il spasmo indìo
di te che forse qui mi stai d’intorno;

e tu, fanciulla, ascolta il cuore mio,
prega per me, e per noi, e supplica Iddio!

III. E giunse l’ora temuta e tramata,
Sàtana venne a strappar le catene,
ed ella si giaceva trasognata.

Sognava forse le campagne amene
che un giorno abbandonava, e i cardi e i fiori,
e dimentica fu delle sue pene.

Ma l’Inferno irrorava i suoi terrori,
fiamme giulive, terribili ardori!

IV. Or canto una fanciulla morta al fuoco,
cenere tetro di giovani fiori,
canto la Morte, gli estremi dolori,
e il Sole all’orizzonte che s’è fioco:
non c’è un Amore nemmen in canzone
che non sia fiamma, supplizio e Passione!

V. Era bella, era giovane
e bionda e candida,
falba come la veste
rozza e discinta,
come le bianche nuvole
verso il crepuscolo,
ed era alle funeste
catene avvinta,

era una donna povera,
fu miserabile,
e andava trascinata
da empi demòni,
come nell’onde i turbini
scorrono l’àlighe,
ed era addolorata
cogli occhi proni;

e ammirava la cerula
pelle, l’estatico
e tetro mezzogiorno,
e l’orizzonte
che ardeva in mezzo ai palpiti
d’un nembo pallido,
del quieto Sole adorno
alto su un monte,

ed era un volto debole,
occhio di femmina
che la bestemmia urlava
infame strega,
che l’empia piazza immobile
ergeva in tremiti,
che in furia le imputava
l’empia congrega.

Lunghi i capei scendevano
al collo tremulo,
e tremavan le mani
le braccia ignude,
dove la veste lacera
scopriva i gomiti  
contristati d’arcani,
le doglie crude,

e stava il labbro in spasimo,
contorto in brividi
presso i morsi agitati
della paüra,
lungo i ferri terribili
del legno, il Dèmone,
si compivano i Fati
della Natura,

e il volto pron, spasmodico
cadeva al cumulo
del legno, la catasta
su cui era un piolo,
sul qual gridò il patibolo
del fuoco spastico,
ed ella e pura e casta
piangeva al suolo.

Aveva in cuor incogniti
pensier, rammarico,
sogni privi d’un volto
di giovinezza,
ricordi incerti e anonimi
che si fuggivano
dal tormento disciolto,
ignea la brezza,

martìr secreti indocili,
segreto spasimo,
e barcollava bianca
tra l’alabarde
che al cielo minacciavano
furie diaboliche,
e si fremeva stanca
lungo le barde,

ed ella era l’eretica,
sprezzo eucaristico,
era la visionaria
eresiärca,
occhio d’insani Dèmoni
che ne inquietavano
le terre e i boschi e l’aria,
e il Patriärca,

era la donna in fregola,
bruta caligine,
che in vero amava il Cristo,
e ch’era santa,
era la giovin vittima
d’un truce vescovo:
Sàtana è giunto, è visto,
il Verbo incanta.

Ella saliva al talamo
del fuoco angelico,
e lo sguardo perduto -
casto piacere -
porgeva ai sgherri orribili,
e i polsi incolumi,
e i piè, e il costato muto
a un vil dolère,

chiudeva i tristi pollici
al legno timido,
le vene perforate
dal vento fiero,
e sanguinò invisibile
tralci di turbini,
caviglie raggelate
a un spino altèro,

come facea lo Spirito
che in furie all’incubo
scorgeva denudato
sopra due travi
che lente sanguinavano
presso le Vergini,
col sogghigno chinato
steso sui schiavi,

come quest’Uom davìdico
col mento lacero,
ed ella alla sua schiena
soffriva i tocchi
dei legni che sferzavano,
incauti fulmini,
e sanguinò la vena
dei cupi suoi occhi.

I popoli gridavano,
nella sua porpora
mirava l’assassino
la piazza in furia,
e tradito il Pontefice
e l’ecclesiastico
dovere, e il suo divino
pegno e la curia,

faceva omaggi all’anglico
paggio satanico,
e coglieva il denaro
di questa taglia,
di questa mesta e misera,
di quella femmina
che lo rendeva avaro
per la battaglia.

Allor la dama il ruvido
ramo dei platani
scalza saliva e mentre
venne legata
chiedeva invan un simbolo,
bramava stringere
al condannato ventre
Croce dorata:

gli sgherri orrendi presero
le corde in fremiti,
al ceppo il destro piede,
dopo il mancino,
e i giovin fianchi avvolsero,
e li stringevano
bestemmiando la fede,
inno al Destino,

strìnser le forme vergini
del petto in ansimo,
il collo ignudo al pioppo,
le guance rosse,
tristi la schiaffeggiarono,
e il suo carnefice
qui camminando zoppo
ruppe dell’osse;

ed ella allora l’indole
alzava in lagrime,
gemeva in cupo pianto,
e singhiozzava,
e le diceva il Popolo:
«Vanne a un prostibolo!»,
e il cuore l’era infranto,
e sibilava.

Gli strali la coprivano
del Sole insolito,
e come un Mostro i fumi
del fuoco acceso
di strazi l’assalivano,
e sospiravano
di stelle come i lumi
nel ciel sospeso,

e le fiamme s’alzavano
tra i tetri frassini,
e i piedi sofferenti
e le caviglie
truci solleticavano
e si gemevano,
e i velami aderenti
a queste chiglie

di queste sete d’aride
ragne infiammabili,
bruciarono i polpacci
giovin nel grido
delle labbra che urlavano
al Ciel le suppliche,
e in fuochi i catenacci
e il rogo infìdo;

ed ella ormai frenetica
e lamentevole
abbassando lo sguardo
li perdonava,
come spirando a Davide
paradisiäco
di Lui l’eterno dardo
ne seguitava,

e ruppe i lacci ai gomiti
del fuoco al fulmine,
le man in prece univa,
e tosto ardeva,
i veli si disciolsero,
la denudarono,
la Morte l’assaliva,
e si gemeva…

ed ella lagrimàvasi,
nel duol patetico,
sempre gridava il nome
del suo Gesù,
e divampava in formide
lingue di Spiriti
e si scorgeva come
ella già fu.

Così attristato un parroco
a quest’immagine
d’empio fuoco e di fiamma
porse una Croce,
con rigore monastico,
egli un ascetico,
la pose sul diaframma
a brace atroce.

Quando i vampar morirono
non fu che il cenere;
ma tra l’ossa bruciate
apparve un cuore:
rosso, rubino, e incolume,
pegno d’un Angiolo,
carni meravigliate.
Vinse il Signore!

In Gloria Dei, Iesus Christi, et Sanctae Suae Johannae Arci, Virginis Galliae, Virginis cordis mei. Amen

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XXVII Maggio AD MMXV