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venerdì 4 ottobre 2019

Fratello Lupo

Pregava al pozzo all'altissimo Iddio,
appena fatta l'alba, nel buio cupo,
con il cuore in oblio,
fratello lupo;
e al cielo che luccicava di rame,
ei legger gli diceva
"Oggi ti mostrerò ben altra fame,
misero figlio della selva e di Eva!".
Onde fratello lupo la sua zampa
nelle sue mani pose,
a chiamar imparò l'Amor, la vampa,
e le sorelle rose.
E la sorella allodola cantava,
mentre il famelico lupo ora pregava.

Un Padre Nostro con un dente atroce,
un'Ave con l'artiglio,
una zampa per un segno di Croce....
Fu un Mostro di scompiglio.
Or s'ammäestra al pozzo, e sente il Santo,
confessa i suoi peccati,
e sente il Canto
degli Angioletti alati.
Ora il suo cuore è luce e buio, ombra e fuoco,
sogna, sospira e pensa,
saltella per un giuoco,
e sente fame sol per quella mensa
che gli prepara altissimo il Signore,
il Corpo e il Sangue dell'et(t)erno Amore. E

venne sora Morte per il frate e per il lupo:
il primo del Signor contempla il viso,
e il secondo, or men cupo,
l'han fatto guardian del Paradiso.
Un po' vicin... vicin a papa Pietro
ringhia all'impenitente peccatore,
e a ogni ingannatore
abbaia forte un grande "Vade retro"
che perfin a siffatto irato conio
intiero trema scappando il Demonio.

Josep Benlliure, San Francesco e Santa Chiara, Simbolismo cattolico spagnolo, Inizi del Secolo XX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Venerdì IV del Mese di Ottobre AD MMXIX.




giovedì 24 settembre 2015

Ave Maria

L’inverno è giunto e s’appressa un nevischio,
e Tu, divinamente bella, e casta,
e pura, e eburnea, oh Tu, Santa Maria
con quest’ultimo canto dell’allodola
e col meriggio del precoce Sole
forse vieni così a rianimàr soffi…
aër di Vita in questi nostri cuori;
e mentre il vento ulula e fa il suo fischio,
e dove regna un ghiaccio iconoclasta,
allor percorri Tu la nostra via,
qui, come in Primavera - oh sì - un’allodola
il fresco bosco e il campo delle viole,
e consacrando i cieli, soffi… e soffi… e
soffi implorando, e mondando i dolori.
Ave Maria, ave, o tra le benedette
la donna eterna, che il Signor hai teco,
di grazia il volto femminino e lieve;
sii Tu, sii benedetta, e benedetto
al par di Te le carni del tuo seno,
Cristo Gesù! Santa Maria, oh Maria,
che sulle nevi regni delle vette,
‘ve l’orizzonte Iddio lì porta seco,
guancia di porpora e di molle neve,
oh Tu, Tu, il crine più lieto ed eletto,
oh di bellezza il cuor che è quei più pieno,
Santa Maria, oh Tu, la Madre d’Iddio,
prega per noi che nel peccato ergiamo
l’insuperbita fronte… prega… prega
per noi… prega per noi! Finché non vien
l’ora tremenda della nostra Morte.

Amen


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




Lunedì VII Dicembre AD MMXV

giovedì 28 maggio 2015

XXX Maggio - Ode alla Vergine di Rouen, ovvero La Passione di Santa Giovanna d'Arco

I. Dagli atri urlava una canzone estrema,
ed ella allor l’udiva; ed era un liuto
d’un ignoto che ergeva un anatèma.

Fu come il canto che a un castel perduto
mestamente lagnava un Trovatore,
quand’ella stava dinnanzi a un re muto;

e questo labbro ripeteva all’ore
un Miserere: «Pietà, oh mio Signore!».

II. Oh Giovanna, per questo io gemo e canto
le doglie atroci dell’ultimo giorno,
perché di te il ricordo non sia infranto.

Dico alle nubi del Cielo tuo adorno
l’eco dei tuoi dolori, e il spasmo indìo
di te che forse qui mi stai d’intorno;

e tu, fanciulla, ascolta il cuore mio,
prega per me, e per noi, e supplica Iddio!

III. E giunse l’ora temuta e tramata,
Sàtana venne a strappar le catene,
ed ella si giaceva trasognata.

Sognava forse le campagne amene
che un giorno abbandonava, e i cardi e i fiori,
e dimentica fu delle sue pene.

Ma l’Inferno irrorava i suoi terrori,
fiamme giulive, terribili ardori!

IV. Or canto una fanciulla morta al fuoco,
cenere tetro di giovani fiori,
canto la Morte, gli estremi dolori,
e il Sole all’orizzonte che s’è fioco:
non c’è un Amore nemmen in canzone
che non sia fiamma, supplizio e Passione!

V. Era bella, era giovane
e bionda e candida,
falba come la veste
rozza e discinta,
come le bianche nuvole
verso il crepuscolo,
ed era alle funeste
catene avvinta,

era una donna povera,
fu miserabile,
e andava trascinata
da empi demòni,
come nell’onde i turbini
scorrono l’àlighe,
ed era addolorata
cogli occhi proni;

e ammirava la cerula
pelle, l’estatico
e tetro mezzogiorno,
e l’orizzonte
che ardeva in mezzo ai palpiti
d’un nembo pallido,
del quieto Sole adorno
alto su un monte,

ed era un volto debole,
occhio di femmina
che la bestemmia urlava
infame strega,
che l’empia piazza immobile
ergeva in tremiti,
che in furia le imputava
l’empia congrega.

Lunghi i capei scendevano
al collo tremulo,
e tremavan le mani
le braccia ignude,
dove la veste lacera
scopriva i gomiti  
contristati d’arcani,
le doglie crude,

e stava il labbro in spasimo,
contorto in brividi
presso i morsi agitati
della paüra,
lungo i ferri terribili
del legno, il Dèmone,
si compivano i Fati
della Natura,

e il volto pron, spasmodico
cadeva al cumulo
del legno, la catasta
su cui era un piolo,
sul qual gridò il patibolo
del fuoco spastico,
ed ella e pura e casta
piangeva al suolo.

Aveva in cuor incogniti
pensier, rammarico,
sogni privi d’un volto
di giovinezza,
ricordi incerti e anonimi
che si fuggivano
dal tormento disciolto,
ignea la brezza,

martìr secreti indocili,
segreto spasimo,
e barcollava bianca
tra l’alabarde
che al cielo minacciavano
furie diaboliche,
e si fremeva stanca
lungo le barde,

ed ella era l’eretica,
sprezzo eucaristico,
era la visionaria
eresiärca,
occhio d’insani Dèmoni
che ne inquietavano
le terre e i boschi e l’aria,
e il Patriärca,

era la donna in fregola,
bruta caligine,
che in vero amava il Cristo,
e ch’era santa,
era la giovin vittima
d’un truce vescovo:
Sàtana è giunto, è visto,
il Verbo incanta.

Ella saliva al talamo
del fuoco angelico,
e lo sguardo perduto -
casto piacere -
porgeva ai sgherri orribili,
e i polsi incolumi,
e i piè, e il costato muto
a un vil dolère,

chiudeva i tristi pollici
al legno timido,
le vene perforate
dal vento fiero,
e sanguinò invisibile
tralci di turbini,
caviglie raggelate
a un spino altèro,

come facea lo Spirito
che in furie all’incubo
scorgeva denudato
sopra due travi
che lente sanguinavano
presso le Vergini,
col sogghigno chinato
steso sui schiavi,

come quest’Uom davìdico
col mento lacero,
ed ella alla sua schiena
soffriva i tocchi
dei legni che sferzavano,
incauti fulmini,
e sanguinò la vena
dei cupi suoi occhi.

I popoli gridavano,
nella sua porpora
mirava l’assassino
la piazza in furia,
e tradito il Pontefice
e l’ecclesiastico
dovere, e il suo divino
pegno e la curia,

faceva omaggi all’anglico
paggio satanico,
e coglieva il denaro
di questa taglia,
di questa mesta e misera,
di quella femmina
che lo rendeva avaro
per la battaglia.

Allor la dama il ruvido
ramo dei platani
scalza saliva e mentre
venne legata
chiedeva invan un simbolo,
bramava stringere
al condannato ventre
Croce dorata:

gli sgherri orrendi presero
le corde in fremiti,
al ceppo il destro piede,
dopo il mancino,
e i giovin fianchi avvolsero,
e li stringevano
bestemmiando la fede,
inno al Destino,

strìnser le forme vergini
del petto in ansimo,
il collo ignudo al pioppo,
le guance rosse,
tristi la schiaffeggiarono,
e il suo carnefice
qui camminando zoppo
ruppe dell’osse;

ed ella allora l’indole
alzava in lagrime,
gemeva in cupo pianto,
e singhiozzava,
e le diceva il Popolo:
«Vanne a un prostibolo!»,
e il cuore l’era infranto,
e sibilava.

Gli strali la coprivano
del Sole insolito,
e come un Mostro i fumi
del fuoco acceso
di strazi l’assalivano,
e sospiravano
di stelle come i lumi
nel ciel sospeso,

e le fiamme s’alzavano
tra i tetri frassini,
e i piedi sofferenti
e le caviglie
truci solleticavano
e si gemevano,
e i velami aderenti
a queste chiglie

di queste sete d’aride
ragne infiammabili,
bruciarono i polpacci
giovin nel grido
delle labbra che urlavano
al Ciel le suppliche,
e in fuochi i catenacci
e il rogo infìdo;

ed ella ormai frenetica
e lamentevole
abbassando lo sguardo
li perdonava,
come spirando a Davide
paradisiäco
di Lui l’eterno dardo
ne seguitava,

e ruppe i lacci ai gomiti
del fuoco al fulmine,
le man in prece univa,
e tosto ardeva,
i veli si disciolsero,
la denudarono,
la Morte l’assaliva,
e si gemeva…

ed ella lagrimàvasi,
nel duol patetico,
sempre gridava il nome
del suo Gesù,
e divampava in formide
lingue di Spiriti
e si scorgeva come
ella già fu.

Così attristato un parroco
a quest’immagine
d’empio fuoco e di fiamma
porse una Croce,
con rigore monastico,
egli un ascetico,
la pose sul diaframma
a brace atroce.

Quando i vampar morirono
non fu che il cenere;
ma tra l’ossa bruciate
apparve un cuore:
rosso, rubino, e incolume,
pegno d’un Angiolo,
carni meravigliate.
Vinse il Signore!

In Gloria Dei, Iesus Christi, et Sanctae Suae Johannae Arci, Virginis Galliae, Virginis cordis mei. Amen

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Mercoledì XXVII Maggio AD MMXV