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giovedì 23 dicembre 2021

Lo Spirito del Natale e la Fanciulla di Neve

Tanto tempo fa viveva nella steppa una fanciulla fatta di neve che, coperta con vesti di vento, di ramaglie, di foglie secche e di fiori invernali, era da tutti allontanata con il più immane disprezzo, e così avveniva perché a tutti sembrava più un prodigio mostruoso che una creatura benevola. Inoltre, poiché era appunto di neve, ella viveva sempre al freddo.. immersa nel freddo, nella bufera, nella tormenta.. in mezzo a qualche piccola foresta dove l’unica compagnia che aveva era quella dei lupi i quali, solitari e famelici, non sempre accettavano le sue carezze fredde e i suoi gelidi richiami. Per non parlare del Sole, il baldo Jarilo! Intendiamoci, non che lo disprezzasse, anzi, era davvero un bel fanciullo codesto splendore, un eroe di quelli piacevoli! ma come potete immaginare sarebbe bastato che egli schioccasse dal suo arco anche il più piccolo dardo più caldo del solito per scioglierla per sempre e, uccisa, renderla acqua; e in fin dei conti, persino al Sole.. a questo giovine Jarilo, piaceva la fanciulletta di neve. Eppure, gli era chiaro che non avrebbe mai potuto amarla, cosicché si arrese e dov’ella fosse stata, egli non avrebbe brillato.

Però, che vita insopportabile e amara! Che immensa e profonda solitudine! Con chi parlare? Con chi ridere? Con chi lanciare disfide per delle tenzoni di corsa per la foresta?... La fanciulla non aveva amici, non aveva una izba tutta sua, non aveva nulla e per di più tutti, quando la vedevano, fossero Cosacchi, Cumani o Tartari, si guardavano bene da avvicinarsela, chiudevano bene le porte con una preghiera o una bestemmia e la esorcizzavano come se si fosse trattato di un demonio.

Un giorno, che era la vigilia di Natale, mentre tutti cantavano koliadka, la povera fanciulla stava seduta su una roccia accanto a uno stagno ghiacciato e stava piangendo da molto tempo, perché voleva cantare anche lei, desiderava essere tra le fanciulle liete dei villaggi; quand’ecco d’un tratto le apparve un signore molto vecchio, vestito come un grande vescovo il quale, abbracciatola, le chiese: “Deviushka, perché piangi?”.

“Non mi vuole nessuno, Pope. Sono un mostro.. tutti si allontanano da me” rispose la fanciulla di neve con mille singhiozzi e sospiri dopo un attimo di silenzio: “Vorrei cantare anch’io.. vorrei stare in mezzo a loro.. ma tutte le volte che mi avvicino imbiancando i loro campi e le loro vie mi mandano via. Inoltre, anche se fossi tra loro, dovrei stare attenta e molto: basterebbe un raggio di Jarilo e io rimarrei senza vita”.

Deviushka” disse la strana apparizione: “Se dunque desideri stare tra loro, allora, ascoltami: oggi è la Vigilia di Natale e questa sera debbo girare il mondo intero, in lungo e in largo, per portare qualcosa ai miei poveretti. Se tu mi volessi aiutare, potresti andare da loro e, mentre dormono, portare dei doni per i loro fanciulletti. Ma attenta! Che non ti veda nessuno e non ti colga l’arco infuocato di Jarilo all’alba!”.

Sentite queste parole, la fanciulla di neve, pur titubando, trasalì e pur di vedere e di stare in mezzo a quegli esseri strani che la scacciavano sempre e ben sapendo di stare per fare dei regali a quanti la odiavano, accettò la proposta del vecchio e, preso da quest’ultimo un sacco destinato ai villaggi dei dintorni e aspettata la mezzanotte, andò di izba in izba a mettere giù dei doni per i pargoletti. 

Ma come sempre il Diavolo, geloso delle buone gesta e nemico del Natale e di Dio, vedendo la fanciulla di neve che aiutava il vecchietto e che, forse senza saperlo, stava facendo felici molti fanciullini, si mise a provocare Jarilo, in modo che egli sorgesse con il suo carro prima del dovuto e sciogliesse la poveretta una volta per tutte.

“Tu.. stella da due soldi, guerriero con un arco che non vale nemmeno quello del più sfortunato dei Tartari.. piccolo dietto da riderci sopra.. allora, sei ancora convinto di brillare più di me che per millenni ho portato la luce?”.

“Oh piccolo demonietto che da quassù sembri un mezzo granello di polvere! Perché devi sempre turbare il mio riposo?... Lo sai bene che mentre tu puoi rischiarare poco più della tua ombra io rischiaro tutte le terre”.

“Oh piccola candela da cimitero, lumicino da strapazzo! Quanto dici è una menzogna. Lo sanno tutti che io allumino ogni cosa e che, se Dio mi lasciasse stare, la mia luce rimarrebbe anche di notte. Vuoi vedere?”.

“Oh insignificante moscerino dell’Inferno! Se tu brillassi, riusciresti a fare così tanta luce a distanza di un misero piede che per leggere le tue dannate pergamene di incantesimi dovresti rubare un cero da una chiesa”.

“Dunque tu, piccolo sasso infuocato che vai a dormire appena dopo il tramonto, come fanno nei pollai, pensi che io non sia in grado di brillare più di te?... Ebbene, te ne darò sùbito dimostrazione del fatto che ti sbagli”.

Una volta che disse così, il Diavolo si concentrò così tanto da cercare di alluminarsi; ma anche dopo un’ora non riuscì a fare nient’altro che emanare una piccola, debolissima luce fredda. Ma Jarilo, contentissimo del fallimento del rivale e dimenticandosi del proprio dovere, ridendo a più non posso, scagliò sulla terra tutte le sue frecce fino a sorgere con il suo bel carro.

Nel frattempo, la fanciulla di neve, che si era accorta dell’insolito arrivo dell’alba, avendo ancora dei doni da consegnare, per non venire meno all’impegno dato al vecchio e per non far piangere gli ultimi fanciullini, continuò il suo giro per le izbe e si dimenticò di riparare nella sua piccola foresta e così mettersi in salvo.

Aveva appena finito di consegnare gli ultimi giocattoli, quando, fuori da una izba, la colse una stanchezza mai provata, si sentì addosso un fuoco insopportabile, iniziò ad avere gli occhi profondamente annebbiati e fatti due o tre passi iniziò a tentennare, a sentirsi mancare e più di una volta si figurò prossima a cadere per terra. No! Non era possibile: era inverno, doveva essere ancora notte, dovevano mancare ancora due o tre ore all’alba. Cos’era questo fuoco da Primavera? E perché, ormai, era già giorno? Perché il villaggio iniziava a risvegliarsi?... In quel momento voleva maledire se stessa e quel vecchietto, e quel dannato Natale.. voleva maledire i suoi sogni, i suoi desideri e quelle dannate canzoni che avrebbe voluto tanto cantare tra le amiche. E Jarilo?!... Come si permetteva Jarilo di fare questi scherzi?... Lo aveva sempre saputo che Jarilo in realtà la disprezzava come tutti gli altri. Miserabile Jarilo! Ora la stava uccidendo e forse il suo regno.. il regno della Primavera e dell’Estate, voleva conquistare l’Inverno, probabilmente anche quello dell’immortale Katscheij, l’Autunno nebbioso e melanconico. Miserabile! Miserabili tutti!

Ma a un certo punto la fanciulla di neve, mentre aveva nel cuore tutto questo malessere e questi sentimenti, iniziò a sentire le grida di gioia dei fanciulli, i canti dei Cosacchi, le campane che martellavano a festa. Si avvicinò a una finestra, guardò dentro.. vide dei volti festosi e sorridenti… E poi.. si sciolse.

Dio stesso, dopo aver visto tutto questo, si arrabbiò molto con Jarilo e con il Diavolo e impose al primo di rispettare le stagioni e le ore del giorno, lo obbligò a ritirarsi per un po’.. per un mese e di far nevicare; al secondo ordinò di ritornare all’Inferno e di rinunziare per un anno intero a sedurre e a insidiare quelle terre. Guai se non lo avesse fatto! Lo avrebbe fatto bastonare dai suoi Angioli!... Poi, Dio chiamò il suo vecchio vescovo e si volle far spiegare meglio ogni cosa.

Era la sera di Natale quando in un villaggio nella steppa innevata apparve una fanciulla bellissima, in carne e ossa, pronta a imparare dei koliadka, ad avere amici, a vivere e ad amare.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Giovedì XXIII Dicembre AD MMXXI.

In Memoria dei Maestri Piotr Il’ic Tchaikowskij (1840-1893) e Nikolaij Andreevic Rimskij-Korsakov (1844-1908).


Dipinto di Viktor Mikhailovich Vasnetsov (1848–1926), Snegurochka - La Fanciulla di Neve, Tardo-Romanticismo, Accademismo, Simbolismo russo, 1899. Olio su Tela, 116x80 cm. State Tretyakov Gallery, Mosca (Russia).

domenica 5 dicembre 2021

Il Presepe del Sagrestano

Don Abelardo lo guardò torvo, con quel talare nerissimo e quel corpicino magro, con il suo sguardo di vecchio arcigno e maledetto e con quegli occhi lampeggianti di latinorum e quella barbetta ispida da Giuda; poi accennò un sorriso, macché, un sogghigno freddo come i ghiacciai e infine, presolo ben stretto per le spalle con le sue mani scheletriche, lo scrollò.

«Sagrestano d’Inferno! Ignorante.. villano che non siete altro! Siamo in ritardo.. vecchio farabutto da forca; e voi, non avete fatto ancora nulla.. nulla!».

«Padre, La prego.. mi sta stritolando l’ossa!» supplicò il poveraccio con voce tremolante.

«Non abbastanza, vecchio idiota! Non abbastanza!... Per tutti i diavoli del vostro dannatissimo Inferno, entro questa sera lo voglio finito.. avete capito? Finito!».

«E sia, reverendo! Ma mi lasci, per favore.. questi scrolloni mi sconquassano la schiena. Insomma.. non abbiam.. non ho più una certa età».

«Allora, somaro che non siete altro, asino impareggiabile, ragliatore schifosissimo.. se non ne volete degli altri e in più qualche sberla in testa e sul muso andate sùbito al lavoro.. e lasciatemi in pace, in canonica, con il mio breviario!».

Don Abelardo mollò la presa e, dandogli un ultimo sguardo arcigno, come per dire che non era finita lì, se ne andò via strascicando il talare per tutta la chiesa, tanto aveva il servo e la perpetua che gli pulivano perfino i piedi.

«Ahi, che male all’ossa! E tutto per un presepio!... E che? Mi poteva andar pur peggio; ma certo me n’andrà se non obbedisco, quello le botte al muso me le dà davvero. Poveraccio! Picchiar un asino, si può fare. In che guai mi ficco e per di più con questa età… Lo diceva il figliuol mio “Babbo, non far da sagrestano a questo qua” e io, davver somaro, non ci ho dato retta sicché a volte mi chiedo se non stia servendo il diavolo in persona… E meno mal che non sente mormorare e che mi tengo tutto dentro; e c’ha pure una gran fortuna, il reverendo! ché se n’aveva un più giovane di me costui gliene tirava di belle a lui. Ma no, picchiare un prete? Non si può… Vecchio idiota, sta’ zitto e lavora!.. Pensa!... Ecco, qui dentro ci son le statue. Iniziamo!».

Così pensando il gran somaro era ben presso a delle casse di legno. Il baldacchino e il muschio, per fortuna, erano pronti, ma tutto mancava.. tutto!... Alzò il coperchio di una cassa, prese in mano una statuetta qualsiasi e senza nemmeno vederla..

«Ehi, nonno, non farci caso!” bisbigliò una voce di donna da quella statua… E quel somaro a momenti la infrange tutta con un gran “Sacramento!” che se, alla fine, non avesse avuto l’accortezza di riprenderla all’istante, sarebbe andata in mille pezzi e allora sì, che sarebbero state le botte sul muso.

«No! No! Non è possibile.. non può essere! Che io sia davvero rimbambito?” poi gridò «Ehi, chi c’è in chiesa?... Non è ancor ora della Messa!». Silenzio.

«Dai, su’, non prendertela! Anzi, grazie che m’hai ripreso, sennò finivo in pezzi» rispose la voce di prima.

Il sagrestano scoppiò a ridere: «Ma davvero son sì rimbambito?... E pensar che volevo essere meno mammalucco di quel che si diceva!».

«Ma no, nonno! Non sei ancora andato fuori.. non del tutto!».

«Ma, insomma» chiese quegli guardando la statua «chi diavolo siete?»,

«Come chi sono?... Non si vede?».

«Una statua».

«No, nonno! Guarda bene.. guardami!... Non vedi le maniche su, fino alla spalla, e la scollatura alla camisa e le caviglie ignude e i miei riccioli ai capelli sì che sembro una zingarella?».

«Siete dunque una zingara?».

«Sì e no! Io fui nei postriboli… Ah vedo dai tuoi occhi che non sai che cosa sono questi qua che ho detto.. io fui del lupanare… Insomma, hai capito.. come dire, una buona donna».

«Sacramento!» esclamò il sagrestano che, tenendo la statuina con la sinistra, si fece il segno della Croce.

«Ehi.. non sono mica il diavolo!».

«Ma se avete appena detto che..».

«Facevo un certo mestiere.., E beh?».

«Nulla.. e che.. insomma.. non siete una santa… E mi chiedo perché siete qui, in una chiesa».

«Davvero pensi che solo i santi vadano a pregare?».

«No.. è che.. non so.. perché in una statua? Ora le statue parlano?».

«Ma non sono una statua, nonno!... O meglio, lo sono adesso.. prima no… Prima ero donna in carne e ossa e facevo sì quel mestiere che ti scandalizza. Poi è successa una sventura e sono morta e ho pensato “Non posso presentarmi al Signore così, senza preavviso!”. Dovrò trovare un modo per chiederGli scusa, no?».

«Sì, sì, dite bene. Ora, però, perdonatemi, ma visto che c’avete tanta voglia di parlarmi.. che v’è successo?».

«Oh nonno! Son felice che tu me l’abbia chiesto, anche se sono triste. Ebbene, nel mestiere capita di innamorarsi per davvero.. e le cose, tutto sommato, filavano dritte. Poi un bel giorno arriva come cliente..».

Un sonoro urlo proruppe da un’altra cassa, questa volta una voce maschile e robusta «Sta’ zitta, vecchia strega!».

«Ohibò, c’è da impazzire.. un altro ancora!» esclamò il sagrestano tra il colpito e il terrorizzato «Ma no.. non ascoltate quest’altro, povera donna… Dite, che fu?».

«Fossi in te non direi niente!» insistette l’altro. Allora il sagrestano andò a tirarlo fuori e n’apparve così la statuetta di un vecchio avvocato, inghirlandato per bene tanto da sembrare un Ministro, macché, il Re stesso.

«Oh di nuovo te, vecchio bavoso!» proruppe la donnicciuola «Tu m’hai rovinata.. e per bene, anche!».

«Ma perdonatemi, poverella» chiese quel somaro «Eravate innamorata di costui che manco vale mezza lira?».

«Come osate?» urlò l’avvocato «Chi siete voi per dire questo? Ben lo vedo.. uno straccione, un cencioso vecchio e rimbambito.. un somaro di vecchia data che, se non fosse per le botte che vi dà il reverendo, vi farei prelevare io e bastonare in pubblico… Che pezzente! Dire così di un avvocato.. e di quale avvocato!».

«Già: di quale avvocato!» chiosò la donna «Di quei che non pagano le prostitute e rovinano loro i veri amori! Costui, il pover nonno, non sa nulla, ma io sì, ché se non fossimo in chiesa ti farei arrossire per bene, magari davanti ai tuoi patetici impiegati… Sei pazzo, nevrotico, folle e impenitente!... Oh se almeno tu andassi in giro vestito sporco come sporca è la tua Anima! Saresti ben tu lo straccione di turno».

«Lesa Maestà! Lesa Maestà!» ingiuriò l’altro «Accusare me di simil cose?... Ma che?.. siamo matti?... Svergognarmi così in pubblico?... No! Giammai! Tu andrai dritta all’Inferno e il tuo nuovo amante ti seguirà presto… E voi, orripilante essere non umano» disse rivolgendosi al vecchietto «rimettetemi dentro.. non voglio più avere a che fare con voi due… Via,, sciò!».

Il sagrestano, seppure sconcertato, ubbidì e ubbidendo sentì qualcuno che dentro una cassa si lamentava, piangeva e singhiozzava.

«E adesso costui chi sarà?» andò a vedere e ne estrasse un bel giovinotto, ma che continuava a lagrimare.

«Oh Edoardo! Edoardo!... Sei proprio tu?» domandò la meretrice.

«Sì, son io, oh crudele! che sei causa del mio pianto e della mia fine.. son io, quegli che è stato da te rovinato e gettato all’ignominia della disperazione e della morte.. io! io che pensavo che tu fossi una fanciulla onesta e che tu fossi sincera nel rivelarmi il cuore tra quei dolci abbracci e quegli accenni di baci che più casti di così non sapevo cosa ci potesse essere, se non il volto della Vergine stessa che, per colpa tua, oh disgraziata, non posso più vedere. Sì, son io, il tuo Edoardo.. tuo? Macché.. il tuo raggirato Edoardo, il tuo drudo da quattro soldi al quale non osasti chiedere nemmeno mezza lira per averti fatto da bracciere quella sera, a teatro.. oh perfida!... Che sia maledetto il giorno in cui ci incontrammo! Sembravate un Angiolo.. ma sei Satana in persona… E che? Aspettavi forse di spennarmi per bene? Di avvelenarmi col tuo talamo fasullo?... Ebbene, sì.. m’hai avvelenato ugualmente sì che davvero di veleno di mia mano dovetti soccombere.. e mi piangevi?... E lagrimavi?... No.. no.. nulla! Altri clienti passarono tra le tue sante braccia.. e adesso? Ti fingi forse la Maddalena?».

«Oh Edoardo! Edoardo! Se fui con te crudele quanto crudelissimo sei tu ora con me!... Davvero dubiti?... Ebbene, oh ingrato! Io t’amai dassenno e davvero in te vidi una liberazione… A che dirti tutto? Era necessario?... Non mi avresti più amato e tu lo sai bene. Oh povero Edoardo! Così ti avvelenasti?... Se solo fossi vissuto.. avresti visto la tua povera fanciulla essere arrestata e finire in prigione e a stenti i suoi giorni, per colpa di quel dannatissimo! Oh Edoardo.. lo vidi.. lo sentii poco fa.. ecco di chi sei vittima! Io ti amo.. ti amo.. e come vorrei essere in Paradiso con te!... Ma siamo quaggiù, di nuovo… E se chiedessimo scusa al Signore?».

«Oh crudele! che in più non comprendi!» esclamò il giovinotto «Quello che è stato fatto è irrimediabile.. per te? qualche speranza. Per me? No. Vedi.. sono ancora tremante come quando bevvi il veleno.. porto ancora in mano quest’anello.. e perfino il prete non mi celebrò il funerale».

«Per forza, siete un suicida.. un violento contro sé stesso, una di quelle teste calde da romanzo» chiosò un’altra voce maschile donde sùbito il sagrestano ne cavò fuori la statuina d’un fraticello «Voi giovani d’oggi, dalla testa bacata e che vivete in un mondo di fiabe per femminucce. Uccidersi? E per di più, uccidersi per una della peggior schiatta di Eva?... Voi siete matti!... E, signorino, dite un po’, volevate pure il funerale?... Se lo aveste voluto, sareste andato in guerra e, forse, ammazzato da un Turco o da qualche altro assatanato, benché fosse di vostro desiderio, si sarebbe chiuso un occhio… E mi danno ragione anche i vostri zii che potrete vedere insieme a me, nelle altre statue della mia cassetta».

«È vero!» dissero in coro delle voci che poi quel somaro di sagrestano vide provenire da delle statuette elegantissime.. e quel somaro stava davvero impazzendo!

«Ecco! La miglior borghesia, il Clero stesso, Iddio vi accusa, oh scimunito d’un giovine!... Volevate il funerale? Non dovevate amare persone indegne… E ora, silenzio, lasciatemi alla mia preghiera!».

«Hai sentito?» domandò il giovanotto alla sua fanciulla «Hai sentito quanto t’amavo, oh ingrata?... Ed ecco, io ti rendo l’anello che...».

«Che avevi disgraziatamente comprato da un povero venditore ambulante ebreo» disse immediatamente una voce nasale «Che poi è stato preso dai soliti sgherri, accusato di rivendere oggetti rubati e bastonato a sangue fino a farlo morire… Non che io non abbia mai rubato nulla.. facevo la fame. Ma nel caso di quell’anello la cosa era davvero diversa». Ne uscì allora la statua di un vecchio rabbino «Voi cristiani, considerate! Che siate o no peccatori la vita dura a noi, però, la fate, eh?... E quando c’è da bastonare chi altri se non l’Ebreo?... Vendevo un po’ tutto, alcune cose erano davvero rubate.. qualche frutta, un po’ di fogli… Ma quell’anello no! Mia mamma diceva “Vendilo a chi sa amare davvero!” e a voi l’ho venduto… Com’è andata a finire? Male vedo, e mi dispiace. Ma l’anello ormai, o giovinotto, è vostro. Non è il caso di fare i patetici anche dopo la dipartita».

E la discussione andò avanti ancora per molto e ogni tanto saltava fuori qualche borghesuccio immacolato che gridava a qualche scandalo, altre volte qualche povero ladro; e i due innamorati, nel frattempo, continuavano a scambiarsi accuse di ingratitudine e, insomma, le solite cose di chi fa pazzie per Amore… E quel somaro di sagrestano stava impazzendo, pensava di sognare e non sapeva più che fare.

Gli accadde anche di imbattersi in un coro di pecorelle, dalle statue guerce e mezze andate, che si lamentarono con lui di qualche brutto macello.

«Noi siamo le anime di poveri agnellini» dicevano «Non già di quelli sacrificati al tempo d’Abramo, ma di quelli sgozzati per farvi festeggiare la Pasqua! E che Pasqua! con la nostra carne!... Felici voi!... E non v’è mai venuto in mente che noi potremmo essere un po’ dispiaciuti di aver vissuto poco e di essere finiti tra i vostri denti?».

E dopo queste povere Anime, apparve ancora quella d’un cane randagio, abbandonato e morto di stento tra la neve e il ghiaccio perché i soliti borghesucci, suoi padroni, non lo volevano più per non so quale cosa, forse mangiava troppo, come se quei soliti borghesucci - i soliti santi - non avessero lire per nutrire un povero cagnolino.. o forse lo avevano abbandonato perché era passato in noia a chi prima lo voleva… Eh sì, gli animali e le persone per certuni sono come i soldi: adesso da ritirare, dopo da dar via.. per far girare non so quale mercato.
E dopo ancora apparve la statua di un airone stecchito, anch’esso morto di fame ché nessuno gli dava nemmeno mezza briciola di pane e, secondo quanto pensava quel somaro di sagrestano, apparve nell’Angiolo della capanna perfino il Diavolo in persona, tanto accusò tutti di essere degli imbecilli nel credere a Iddio. 

Perfino il bue si mise a parlare.. narrando la fatica di lavorare per i campi, a suon di pedate e di bestemmie, per poi finire dal macellaio. Un colpo secco alla gola e via.. non soffriva più. Certo era strano che l’unico a stare zitto fosse l’asino!

Ma il tempo passava e passava.. le ore trascorrevano e il sagrestano non aveva tempo di chiedersi tante cose anche perché non aveva ancora combinato niente, sicché gli venne in mente di far qualcosa per non beccarsi le botte sul muso da don Abelardo. 

Quando finì andò tutto allegro a chiamare il reverendo. Questi, strascicando il suo talare nero, e con una faccia più arcigna di prima, quasi scontenta di non menar botte, almeno sul momento, andò a vedere il presepio e…

«Diavolo d’un sagrestano! Idiota, imbecille! Villano.. eretico, apostata!» gli urlò in faccia con tutta la voce che aveva, riprendendolo per le spalle e strattonandolo violentemente «Che diavoleria è questa?... Una sgualdrina davanti al Bambin Gesù? E che è ‘sto cane del demonio vicino alla Vergine? E questo airone dannatissimo al posto dell’Angiolo?... E chi è quel giovinotto vicino a quella donnaccia e a San Giuseppe?... E poi, tutte queste pecore? Ma le avete viste, rimbambito che non siete altro? Guardate, idiota, come sono ridotte: sono statue mezze rovinate! Qui si fa brutta figura, razza di vipera!... E poi, queste pecore davanti così?... Dove sono le mie statue preferite: il mio avvocato, il mio fraticello, i miei mercanti?... Io vi ammazzo, lo giuro.. siete un protestante.. un luterano.. un Turco del diavolo! Che? avete pur messo un Ebreo?... Io vi faccio a pezzi.. vi rompo tutte le ossa.. eretico che non siete altro!... Svergognare così sé stessi, la chiesa, il Clero, la comunità e il Santo Natale!... Vi caccerò via.. vi farò fare la fame.. rimbambito da manicomio!». Poi lo lasciò e buttatolo giù gli diete due o tre bei pugni in testa «Così rinsavite!... E adesso aiutatemi a servire Messa… Ci penserò io a sistemare questo insulto alla fede cristiana!» e, detto questo, strascicando con quel talare nerissimo, se ne andò in sagrestia.

Il poveraccio, invece, con le ossa indolenzite e con un mal di testa mai provato fino ad allora, si alzò a stento… Guardò San Giuseppe, guardò la Vergine, poi il Bambin Gesù.

«Signore» disse «Ho capito perché l’asino non m’ha parlato: non è ancora morto. Ma quando morirà, lo sostituirò con quel povero randagio!».

Ma nessuna delle statue ormai parlava.. erano soltanto statue.. nient’altro. Quelle povere Anime, compresi il cane, l’airone e gli agnellini, erano ormai in Cielo, cullati dalla Luce del Signore.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica V Dicembre AD MMXXI.

Dipinto di Gaetano Previati (1852-1920), Madonna dei Gigli, Tardo-Romanticismo, Scapigliatura, Post-Impressionismo, Divisionismo italiano, 1893-1894. Olio su Tela. Galleria d'Arte Moderna, Milano.