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domenica 5 dicembre 2021

Il Presepe del Sagrestano

Don Abelardo lo guardò torvo, con quel talare nerissimo e quel corpicino magro, con il suo sguardo di vecchio arcigno e maledetto e con quegli occhi lampeggianti di latinorum e quella barbetta ispida da Giuda; poi accennò un sorriso, macché, un sogghigno freddo come i ghiacciai e infine, presolo ben stretto per le spalle con le sue mani scheletriche, lo scrollò.

«Sagrestano d’Inferno! Ignorante.. villano che non siete altro! Siamo in ritardo.. vecchio farabutto da forca; e voi, non avete fatto ancora nulla.. nulla!».

«Padre, La prego.. mi sta stritolando l’ossa!» supplicò il poveraccio con voce tremolante.

«Non abbastanza, vecchio idiota! Non abbastanza!... Per tutti i diavoli del vostro dannatissimo Inferno, entro questa sera lo voglio finito.. avete capito? Finito!».

«E sia, reverendo! Ma mi lasci, per favore.. questi scrolloni mi sconquassano la schiena. Insomma.. non abbiam.. non ho più una certa età».

«Allora, somaro che non siete altro, asino impareggiabile, ragliatore schifosissimo.. se non ne volete degli altri e in più qualche sberla in testa e sul muso andate sùbito al lavoro.. e lasciatemi in pace, in canonica, con il mio breviario!».

Don Abelardo mollò la presa e, dandogli un ultimo sguardo arcigno, come per dire che non era finita lì, se ne andò via strascicando il talare per tutta la chiesa, tanto aveva il servo e la perpetua che gli pulivano perfino i piedi.

«Ahi, che male all’ossa! E tutto per un presepio!... E che? Mi poteva andar pur peggio; ma certo me n’andrà se non obbedisco, quello le botte al muso me le dà davvero. Poveraccio! Picchiar un asino, si può fare. In che guai mi ficco e per di più con questa età… Lo diceva il figliuol mio “Babbo, non far da sagrestano a questo qua” e io, davver somaro, non ci ho dato retta sicché a volte mi chiedo se non stia servendo il diavolo in persona… E meno mal che non sente mormorare e che mi tengo tutto dentro; e c’ha pure una gran fortuna, il reverendo! ché se n’aveva un più giovane di me costui gliene tirava di belle a lui. Ma no, picchiare un prete? Non si può… Vecchio idiota, sta’ zitto e lavora!.. Pensa!... Ecco, qui dentro ci son le statue. Iniziamo!».

Così pensando il gran somaro era ben presso a delle casse di legno. Il baldacchino e il muschio, per fortuna, erano pronti, ma tutto mancava.. tutto!... Alzò il coperchio di una cassa, prese in mano una statuetta qualsiasi e senza nemmeno vederla..

«Ehi, nonno, non farci caso!” bisbigliò una voce di donna da quella statua… E quel somaro a momenti la infrange tutta con un gran “Sacramento!” che se, alla fine, non avesse avuto l’accortezza di riprenderla all’istante, sarebbe andata in mille pezzi e allora sì, che sarebbero state le botte sul muso.

«No! No! Non è possibile.. non può essere! Che io sia davvero rimbambito?” poi gridò «Ehi, chi c’è in chiesa?... Non è ancor ora della Messa!». Silenzio.

«Dai, su’, non prendertela! Anzi, grazie che m’hai ripreso, sennò finivo in pezzi» rispose la voce di prima.

Il sagrestano scoppiò a ridere: «Ma davvero son sì rimbambito?... E pensar che volevo essere meno mammalucco di quel che si diceva!».

«Ma no, nonno! Non sei ancora andato fuori.. non del tutto!».

«Ma, insomma» chiese quegli guardando la statua «chi diavolo siete?»,

«Come chi sono?... Non si vede?».

«Una statua».

«No, nonno! Guarda bene.. guardami!... Non vedi le maniche su, fino alla spalla, e la scollatura alla camisa e le caviglie ignude e i miei riccioli ai capelli sì che sembro una zingarella?».

«Siete dunque una zingara?».

«Sì e no! Io fui nei postriboli… Ah vedo dai tuoi occhi che non sai che cosa sono questi qua che ho detto.. io fui del lupanare… Insomma, hai capito.. come dire, una buona donna».

«Sacramento!» esclamò il sagrestano che, tenendo la statuina con la sinistra, si fece il segno della Croce.

«Ehi.. non sono mica il diavolo!».

«Ma se avete appena detto che..».

«Facevo un certo mestiere.., E beh?».

«Nulla.. e che.. insomma.. non siete una santa… E mi chiedo perché siete qui, in una chiesa».

«Davvero pensi che solo i santi vadano a pregare?».

«No.. è che.. non so.. perché in una statua? Ora le statue parlano?».

«Ma non sono una statua, nonno!... O meglio, lo sono adesso.. prima no… Prima ero donna in carne e ossa e facevo sì quel mestiere che ti scandalizza. Poi è successa una sventura e sono morta e ho pensato “Non posso presentarmi al Signore così, senza preavviso!”. Dovrò trovare un modo per chiederGli scusa, no?».

«Sì, sì, dite bene. Ora, però, perdonatemi, ma visto che c’avete tanta voglia di parlarmi.. che v’è successo?».

«Oh nonno! Son felice che tu me l’abbia chiesto, anche se sono triste. Ebbene, nel mestiere capita di innamorarsi per davvero.. e le cose, tutto sommato, filavano dritte. Poi un bel giorno arriva come cliente..».

Un sonoro urlo proruppe da un’altra cassa, questa volta una voce maschile e robusta «Sta’ zitta, vecchia strega!».

«Ohibò, c’è da impazzire.. un altro ancora!» esclamò il sagrestano tra il colpito e il terrorizzato «Ma no.. non ascoltate quest’altro, povera donna… Dite, che fu?».

«Fossi in te non direi niente!» insistette l’altro. Allora il sagrestano andò a tirarlo fuori e n’apparve così la statuetta di un vecchio avvocato, inghirlandato per bene tanto da sembrare un Ministro, macché, il Re stesso.

«Oh di nuovo te, vecchio bavoso!» proruppe la donnicciuola «Tu m’hai rovinata.. e per bene, anche!».

«Ma perdonatemi, poverella» chiese quel somaro «Eravate innamorata di costui che manco vale mezza lira?».

«Come osate?» urlò l’avvocato «Chi siete voi per dire questo? Ben lo vedo.. uno straccione, un cencioso vecchio e rimbambito.. un somaro di vecchia data che, se non fosse per le botte che vi dà il reverendo, vi farei prelevare io e bastonare in pubblico… Che pezzente! Dire così di un avvocato.. e di quale avvocato!».

«Già: di quale avvocato!» chiosò la donna «Di quei che non pagano le prostitute e rovinano loro i veri amori! Costui, il pover nonno, non sa nulla, ma io sì, ché se non fossimo in chiesa ti farei arrossire per bene, magari davanti ai tuoi patetici impiegati… Sei pazzo, nevrotico, folle e impenitente!... Oh se almeno tu andassi in giro vestito sporco come sporca è la tua Anima! Saresti ben tu lo straccione di turno».

«Lesa Maestà! Lesa Maestà!» ingiuriò l’altro «Accusare me di simil cose?... Ma che?.. siamo matti?... Svergognarmi così in pubblico?... No! Giammai! Tu andrai dritta all’Inferno e il tuo nuovo amante ti seguirà presto… E voi, orripilante essere non umano» disse rivolgendosi al vecchietto «rimettetemi dentro.. non voglio più avere a che fare con voi due… Via,, sciò!».

Il sagrestano, seppure sconcertato, ubbidì e ubbidendo sentì qualcuno che dentro una cassa si lamentava, piangeva e singhiozzava.

«E adesso costui chi sarà?» andò a vedere e ne estrasse un bel giovinotto, ma che continuava a lagrimare.

«Oh Edoardo! Edoardo!... Sei proprio tu?» domandò la meretrice.

«Sì, son io, oh crudele! che sei causa del mio pianto e della mia fine.. son io, quegli che è stato da te rovinato e gettato all’ignominia della disperazione e della morte.. io! io che pensavo che tu fossi una fanciulla onesta e che tu fossi sincera nel rivelarmi il cuore tra quei dolci abbracci e quegli accenni di baci che più casti di così non sapevo cosa ci potesse essere, se non il volto della Vergine stessa che, per colpa tua, oh disgraziata, non posso più vedere. Sì, son io, il tuo Edoardo.. tuo? Macché.. il tuo raggirato Edoardo, il tuo drudo da quattro soldi al quale non osasti chiedere nemmeno mezza lira per averti fatto da bracciere quella sera, a teatro.. oh perfida!... Che sia maledetto il giorno in cui ci incontrammo! Sembravate un Angiolo.. ma sei Satana in persona… E che? Aspettavi forse di spennarmi per bene? Di avvelenarmi col tuo talamo fasullo?... Ebbene, sì.. m’hai avvelenato ugualmente sì che davvero di veleno di mia mano dovetti soccombere.. e mi piangevi?... E lagrimavi?... No.. no.. nulla! Altri clienti passarono tra le tue sante braccia.. e adesso? Ti fingi forse la Maddalena?».

«Oh Edoardo! Edoardo! Se fui con te crudele quanto crudelissimo sei tu ora con me!... Davvero dubiti?... Ebbene, oh ingrato! Io t’amai dassenno e davvero in te vidi una liberazione… A che dirti tutto? Era necessario?... Non mi avresti più amato e tu lo sai bene. Oh povero Edoardo! Così ti avvelenasti?... Se solo fossi vissuto.. avresti visto la tua povera fanciulla essere arrestata e finire in prigione e a stenti i suoi giorni, per colpa di quel dannatissimo! Oh Edoardo.. lo vidi.. lo sentii poco fa.. ecco di chi sei vittima! Io ti amo.. ti amo.. e come vorrei essere in Paradiso con te!... Ma siamo quaggiù, di nuovo… E se chiedessimo scusa al Signore?».

«Oh crudele! che in più non comprendi!» esclamò il giovinotto «Quello che è stato fatto è irrimediabile.. per te? qualche speranza. Per me? No. Vedi.. sono ancora tremante come quando bevvi il veleno.. porto ancora in mano quest’anello.. e perfino il prete non mi celebrò il funerale».

«Per forza, siete un suicida.. un violento contro sé stesso, una di quelle teste calde da romanzo» chiosò un’altra voce maschile donde sùbito il sagrestano ne cavò fuori la statuina d’un fraticello «Voi giovani d’oggi, dalla testa bacata e che vivete in un mondo di fiabe per femminucce. Uccidersi? E per di più, uccidersi per una della peggior schiatta di Eva?... Voi siete matti!... E, signorino, dite un po’, volevate pure il funerale?... Se lo aveste voluto, sareste andato in guerra e, forse, ammazzato da un Turco o da qualche altro assatanato, benché fosse di vostro desiderio, si sarebbe chiuso un occhio… E mi danno ragione anche i vostri zii che potrete vedere insieme a me, nelle altre statue della mia cassetta».

«È vero!» dissero in coro delle voci che poi quel somaro di sagrestano vide provenire da delle statuette elegantissime.. e quel somaro stava davvero impazzendo!

«Ecco! La miglior borghesia, il Clero stesso, Iddio vi accusa, oh scimunito d’un giovine!... Volevate il funerale? Non dovevate amare persone indegne… E ora, silenzio, lasciatemi alla mia preghiera!».

«Hai sentito?» domandò il giovanotto alla sua fanciulla «Hai sentito quanto t’amavo, oh ingrata?... Ed ecco, io ti rendo l’anello che...».

«Che avevi disgraziatamente comprato da un povero venditore ambulante ebreo» disse immediatamente una voce nasale «Che poi è stato preso dai soliti sgherri, accusato di rivendere oggetti rubati e bastonato a sangue fino a farlo morire… Non che io non abbia mai rubato nulla.. facevo la fame. Ma nel caso di quell’anello la cosa era davvero diversa». Ne uscì allora la statua di un vecchio rabbino «Voi cristiani, considerate! Che siate o no peccatori la vita dura a noi, però, la fate, eh?... E quando c’è da bastonare chi altri se non l’Ebreo?... Vendevo un po’ tutto, alcune cose erano davvero rubate.. qualche frutta, un po’ di fogli… Ma quell’anello no! Mia mamma diceva “Vendilo a chi sa amare davvero!” e a voi l’ho venduto… Com’è andata a finire? Male vedo, e mi dispiace. Ma l’anello ormai, o giovinotto, è vostro. Non è il caso di fare i patetici anche dopo la dipartita».

E la discussione andò avanti ancora per molto e ogni tanto saltava fuori qualche borghesuccio immacolato che gridava a qualche scandalo, altre volte qualche povero ladro; e i due innamorati, nel frattempo, continuavano a scambiarsi accuse di ingratitudine e, insomma, le solite cose di chi fa pazzie per Amore… E quel somaro di sagrestano stava impazzendo, pensava di sognare e non sapeva più che fare.

Gli accadde anche di imbattersi in un coro di pecorelle, dalle statue guerce e mezze andate, che si lamentarono con lui di qualche brutto macello.

«Noi siamo le anime di poveri agnellini» dicevano «Non già di quelli sacrificati al tempo d’Abramo, ma di quelli sgozzati per farvi festeggiare la Pasqua! E che Pasqua! con la nostra carne!... Felici voi!... E non v’è mai venuto in mente che noi potremmo essere un po’ dispiaciuti di aver vissuto poco e di essere finiti tra i vostri denti?».

E dopo queste povere Anime, apparve ancora quella d’un cane randagio, abbandonato e morto di stento tra la neve e il ghiaccio perché i soliti borghesucci, suoi padroni, non lo volevano più per non so quale cosa, forse mangiava troppo, come se quei soliti borghesucci - i soliti santi - non avessero lire per nutrire un povero cagnolino.. o forse lo avevano abbandonato perché era passato in noia a chi prima lo voleva… Eh sì, gli animali e le persone per certuni sono come i soldi: adesso da ritirare, dopo da dar via.. per far girare non so quale mercato.
E dopo ancora apparve la statua di un airone stecchito, anch’esso morto di fame ché nessuno gli dava nemmeno mezza briciola di pane e, secondo quanto pensava quel somaro di sagrestano, apparve nell’Angiolo della capanna perfino il Diavolo in persona, tanto accusò tutti di essere degli imbecilli nel credere a Iddio. 

Perfino il bue si mise a parlare.. narrando la fatica di lavorare per i campi, a suon di pedate e di bestemmie, per poi finire dal macellaio. Un colpo secco alla gola e via.. non soffriva più. Certo era strano che l’unico a stare zitto fosse l’asino!

Ma il tempo passava e passava.. le ore trascorrevano e il sagrestano non aveva tempo di chiedersi tante cose anche perché non aveva ancora combinato niente, sicché gli venne in mente di far qualcosa per non beccarsi le botte sul muso da don Abelardo. 

Quando finì andò tutto allegro a chiamare il reverendo. Questi, strascicando il suo talare nero, e con una faccia più arcigna di prima, quasi scontenta di non menar botte, almeno sul momento, andò a vedere il presepio e…

«Diavolo d’un sagrestano! Idiota, imbecille! Villano.. eretico, apostata!» gli urlò in faccia con tutta la voce che aveva, riprendendolo per le spalle e strattonandolo violentemente «Che diavoleria è questa?... Una sgualdrina davanti al Bambin Gesù? E che è ‘sto cane del demonio vicino alla Vergine? E questo airone dannatissimo al posto dell’Angiolo?... E chi è quel giovinotto vicino a quella donnaccia e a San Giuseppe?... E poi, tutte queste pecore? Ma le avete viste, rimbambito che non siete altro? Guardate, idiota, come sono ridotte: sono statue mezze rovinate! Qui si fa brutta figura, razza di vipera!... E poi, queste pecore davanti così?... Dove sono le mie statue preferite: il mio avvocato, il mio fraticello, i miei mercanti?... Io vi ammazzo, lo giuro.. siete un protestante.. un luterano.. un Turco del diavolo! Che? avete pur messo un Ebreo?... Io vi faccio a pezzi.. vi rompo tutte le ossa.. eretico che non siete altro!... Svergognare così sé stessi, la chiesa, il Clero, la comunità e il Santo Natale!... Vi caccerò via.. vi farò fare la fame.. rimbambito da manicomio!». Poi lo lasciò e buttatolo giù gli diete due o tre bei pugni in testa «Così rinsavite!... E adesso aiutatemi a servire Messa… Ci penserò io a sistemare questo insulto alla fede cristiana!» e, detto questo, strascicando con quel talare nerissimo, se ne andò in sagrestia.

Il poveraccio, invece, con le ossa indolenzite e con un mal di testa mai provato fino ad allora, si alzò a stento… Guardò San Giuseppe, guardò la Vergine, poi il Bambin Gesù.

«Signore» disse «Ho capito perché l’asino non m’ha parlato: non è ancora morto. Ma quando morirà, lo sostituirò con quel povero randagio!».

Ma nessuna delle statue ormai parlava.. erano soltanto statue.. nient’altro. Quelle povere Anime, compresi il cane, l’airone e gli agnellini, erano ormai in Cielo, cullati dalla Luce del Signore.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica V Dicembre AD MMXXI.

Dipinto di Gaetano Previati (1852-1920), Madonna dei Gigli, Tardo-Romanticismo, Scapigliatura, Post-Impressionismo, Divisionismo italiano, 1893-1894. Olio su Tela. Galleria d'Arte Moderna, Milano.



domenica 28 marzo 2021

La Passione secondo i Maledetti - Epistola a Cesare Tiberio. Prosa sacra di Finzione filosofica

Pilato a Cesare Tiberio

 

Ave!

 

        È Notte.. è sempre più Notte, oh Principe! e io, tuo umilissimo servo e misero governatore di una regione desertica dell’Impero.. e io, oh amato Cesare!.. è da molto che non riesco più a prendere sonno. Ho provato in tutti i modi, perfino con la salvia o altre erbe sonnifere. Nulla: il mio corpo, la mia mente.. il mio cuore non vogliono chiudere occhio, nemmeno per un attimo. Perfino il talamo che divido con la mia sposa m’è diventato orrore.. incubo, tende nere come la Morte.. come il rimorso che vedo sempre in giro. Né riesco più a star composto, mangiando e bevendo, ormai da sobrio, presso il triclinio. Anche il vino con il miele mi è amaro.

È già avvenuto che, uscito di soprassalto nel pretorio nella notte più agitata, sono stato scambiato per un fantasma dalla centuria. Devo fare davvero molta paura.. tanta paura! Fisicamente, intendo!... Non so, a dire il vero, o Cesare, ti scrivo, ma non ho ancora avuto il coraggio di guardarmi all’argento di uno specchio. Immagino io sia pallido, che abbia occhiaie più scure della pece. Credo che se fosse così, Plutone mi invidierebbe l’aspetto e lo vorrebbe, per questo, fare suo.

Ma la tragedia che mi prende è proprio questa: non mi guardo più allo specchio perché ai miei occhi si presenta soltanto un volto.. il suo.. e per esso, tutte le volte che esco in lettiga, vedo masnade di uomini neri inchinarsi, salutarmi e benedirmi, mentre una parte di popolo.. oh! il popolo! Quella no, mi guarda torvo.. come a Roma i nostri avi potevano scrutare e maledire Tarquinio! Sento su di me pugnali di maledizioni come ne ebbe Cesare dai congiurati… E tutto per via di quel volto.

Oh Principe! Mi portarono quell’uomo.. se uomo posso ancora chiamarlo! Me lo portarono alcuni dei loro sacerdoti.. uomini orrendi.. certamente uomini ma, te lo dirò, più simili alle Erinni dell’Orco, o alle Parche, ché si sentono custodi della Vita e della Morte. Volevano che lo giudicassi reo.. reo di essere il loro Re!... Erano chiaramente dei pazzi e, sinceramente, anch’egli mi sembrava un folle. Se fosse stato davvero loro Re, come dicevano, allora sarebbero stati loro stessi a investirlo tale.. e ora, volevano che lo giudicassi per una cosa scelta da loro stessi. Matti!... Matti!... Così mi sembrava. Compresi dopo che non furono loro a proclamarlo Re. E chi è stato? Non lo so, Cesare. Ma a me parve sùbito una delle loro questioni.. cose che non mi riguardavano e, così, volevo che se ne sbrigassero essi stessi, come più volevano.

No.. no.. non fu la loro insistenza, o l’odore appena appena fiutato di una ricompensa.. non furono le loro minacce, rivolte anche a te che mi fecero cambiare d’opinione; ma vistolo, il cuore mi sussurrò “Interrogalo!”.

Era un bell’uomo di aspetto e portamento, come il nostro Marte. Aveva uno sguardo mite.. calmo, ma altrettanto fermo.. composto. I suoi occhi mi fissavano intensamente, quasi a pormi essi stessi delle domande. Ero il suo aguzzino.. io! il perfido padrone del suo Popolo! Doveva odiarmi! Eppure, non v’era sdegno o paura nel suo sguardo, non v’erano giudizi, preghiere o maledizioni. Nemmeno mia moglie mi guarda così. Ella spesso mi rimprovera.. le faccio ribrezzo. Sa che ormai ho sempre più sangue sulle mie mani. Dorme sovente da sola. Non mi vuole. Del resto le donne sono così: odiano gli uomini di sangue, i massacratori del popolo, gli assassini degli innocenti. Né mai io volli davvero Amore da lei!... Ma quella volta era diverso. Ella mi avvisò di (un) qualche suo sogno e m’intimò di lasciar perdere se mi avessero portato quell’uomo che ora era davanti a me. Solo per qualche attimo vidi in lui della paura.. la mia paura!.. la mia paura che si rifletteva nei suoi occhi, perché, Cesare, in quel momento avevo davvero tanta paura. Non ero certo degno di te, in quell’istante!...

Egli taceva. Gli avevo fatto alcune domande. Volevo sapere qualcosa di più da lui. Chi era? Da dove veniva, esattamente? Che ci faceva a Gerusalemme?... Niente.. nulla, non mi rispose. Forse gli sono stato troppo amico o forse no. Del resto se mi avesse parlato della sua regione non avrei potuto dire niente. Non la conosco.. non l’ho mai vista, anche se a me sembra tutto abbastanza deserto. “Guardati dentro, Pilato! Guardati dentro!”. Era questa la voce che continuavo a sentire “Cerca l’essenza che desideri, non quello che è nulla!”.

Fu così, allora, che gli chiesi: “È vero che sei il Re dei Giudei?”. Passò qualche attimo di silenzio. Non mi ricordo esattamente le parole, ma so che mi rispose qualcosa del tipo: “Che io sia il Re dei Giudei, è una cosa che dici tu”. Non capivo più niente. Intendeva leggermi nel cuore e affermare che, sì, egli era davvero il Re dei Giudei e che io lo avevo riconosciuto? O voleva dirmi che quanto dissi era una cosa senza fondamento?...

Incalzai: “Sei o no il Re dei Giudei?”.

E ancora lui mi rispondeva: “Tu lo dici, io sono il Re dei Giudei e vengo qui per testimoniare della Verità”.

Mi dissero che costui passava le giornate a parlare di Amore e di perdono e a dire altre cose di un Regno molto strano, non presente sulla terra, nemmeno sull’Olimpo. Perché, Cesare, mi parlò della Verità?... Se mi avesse parlato di perdono, non lo avrei compreso. Io?.. io, Pilato, governatore romano, ho bisogno di perdono?... Oh no, non ne ho bisogno, o meglio, non ne avevo bisogno!... Ero assolutamente felice di aver fatto tutto quello che feci.. perfino di aver fatto sgozzare molti di loro presso delle dannate offerte. Ero contento di aver fatto flagellare colpevoli di ogni specie, di aver usato la spada contro quanti mettono in discussione la nostra Roma!... E tantomeno avevo io bisogno di Amore… Non ho amato nessun altro che mia moglie! Un soldato non può amare.. un politico nemmeno. Tutto è calcolo, congiura, interesse.. ed era bello per me che fosse così. Ma nel mio cuore, sì, come adesso, allora c’era una sete inesauribile di Verità. Mi toccò nel vivo del mio essere, quell’uomo; e seppe catturare tutta la mia attenzione.

Avrei voluto che fosse un Socrate, un Platone o un Aristotele e che mi avesse parlato di questa Verità che andavo cercando. Ma nulla.. niente!... Io gli chiesi: “Che cos’è la Verità?” ma non ebbi risposta, anche se dal cuore la stessa voce di prima emergeva e mi diceva: “Ecco, la Verità.. eccola! È davanti a te!”, ma più di tanto non ci volevo credere. La Verità era dunque una persona?... “Perché non mi rispondi.. perché?” volevo dirgli, “Dimmi che cos’è la Verità, e sarò io stesso a stabilire il tuo regno sopra tutti i Giudei!”. Ma tacqui. Nel silenzio, quell’uomo aveva da dirmi qualcosa.

Ma nello stesso istante, ecco.. nel mio petto insieme alla sete di Verità emersero le mie mute lagrime.. le lagrime di un uomo che si riconosce desideroso di perdono e di Amore. Oh Cesare! Hai mai sentito il cuore che ti dice “Non stai amando, ama”?... Io in quel momento lo sentii e ne provai vergogna. Ma al tempo stesso mi venne la brama di metterlo a morte, o meglio, di minacciarlo del supplizio estremo. “Forse minacciato di Morte, mi dirà che cos’è la Verità!”, pensai; e così, seguendo le rimostranze di quelle Erinni umane che ne volevano la fine e che erano tosto tornate ad avvelenarmi, portai fuori nel pretorio quell’uomo. In realtà, non volevo essere io a minacciarlo di Morte. Così pensai al popolo. Poco fa era tra costoro.. costoro lo amano in molti. Ma era pur sempre il popolo.

Oh Cesare! Qui v’è usanza che in una delle loro dannate feste possano chiedere uno scambio di colpevoli da uccidere. Sono matti, si sa! Io proposi questo: “Volete che io liberi costui al posto di Barabba, o volete che io liberi Barabba al posto di costui?”.. e il popolo, così come temevo e al tempo stesso speravo, chiese la liberazione del ladrone.

Ormai a quell’uomo non restava che dirmi tutto.. parlarmi della Verità.. parlare delle sue teorie.. di farmi vedere il mondo, il cuore.. l’uomo e il Divino. Ma non mi accorsi che il Fato mi aveva preso nelle sue spire, mi aveva obliato la mente.. che una forza oscura e ignota mi fece impazzire e mi mise nella condizione di non capire più nulla. Intanto, crescevano in me i desideri di Amore e di perdono.. cresceva in me la convinzione che costui volesse morire per farmi vedere quell’Amore e quel perdono, per farlo vedere a tutti, amici e nemici.

All’ennesimo silenzio lo minacciai personalmente di farlo morire in Croce. Gli dissi, infatti: “Parla! Non sai che ho il potere di darti la libertà così come ho il potere di farti crocifiggere?”.

“Non avresti questo potere” mi rispose con mitezza e onestà “se non te lo avesse dato qualcuno!”. Raggelai… Che cosa voleva dire? Alludeva a te, oh Cesare? Alludeva al Fato che ormai mi aveva accecato?... Alludeva al suo Dio?... No! Mi aveva fatto paura.. tanta paura. Qualunque fosse la cosa, mi aveva letto nel cuore. Sapeva tutto di me. Sapeva tutto di te, Cesare.. tutto del Fato! Sapeva che alla fine lo avrei fatto crocifiggere non perché sono un vile, ma perché lo amavo.. mi era amico, perché era colui che con la sua Morte mi avrebbe concesso Amore e perdono e mi avrebbe fatta vedere tutta la Verità, quantomeno quella sull’essere umano.

Cesare! Lo confesso.. non ero più in me e lo feci flagellare. Quando me lo portarono tutto insanguinato, pensai “Ora mi è chiaro: ecco l’Uomo! Ecco che cos’è l’Uomo! Un ammasso di carni e ossa senza senso, un mare di sangue e di dolore.. sempre alle strette tra la bellezza effimera della Vita e le ombre oscure dell’Ade!.. è un sogno di Verità che nasconde quella vera: l’Uomo è fango.. io sono fango. Tu, Cesare, sei fango… No, non possono esserci dei Campi Elisi, in essi l’Uomo sarebbe continuamente e ancora fango! Dev’esserci di più. Non debbono esserci soltanto allori per i più fortunati e letame per i miseri. Dev’esserci davvero qualcosa di più!”. E mi fu chiaro che quell’uomo ero io.. io! nelle mie colpe, nei miei vizi, nella mia tracotanza.. che ero davvero io e che io riflettevo me stesso allo specchio di quel saggio.. che a quello specchio si riflettevano anche quelle Erinni dannate.. il popolo.. se vuoi, anche tu, Cesare!

Sentivo i flagelli dell’avarizia nelle mie carni.. i pungoli della lussuria sulla mia schiena.. il potere che mi lacerava le membra.. la vanità che mi faceva sanguinare copiosamente. “Percotete! Più forte! Più forte!” avrei gridato al pretorio mentre lo flagellavano.. mentre permettevo che un uomo venisse percosso al posto mio. Sentivo i colpi dell’oro.. dei miei crimini.. rivedevo le miei vittime in quanti lo stavano flagellando. “Su’.. forza! Vendicatevi! Vendicatevi!... Fate scorrere il sangue di Pilato da quest’uomo innocente!”. Sentivo la corona di alloro, la stessa che è sul tuo santo capo, o Cesare, farsi un serto di spine. “Bucatemi la mente, spine! Annientate la mia testa che delira per un trono e per il potere!... Annientate la mia mente: che io sia soltanto Cuore.. Cuore e basta.. nient’altro! Che io ami e non pensi! Che io non pensi per amare!”.

Alla fine, però, impazzivo. Sapevo di cedere anche alle richieste di individui orrendi e spregevoli. Sapevo che anche in quel momento sentivo il peso della mia posizione.. dell’essere governatore in una delle tue terre. Sentivo dovunque, anche solo nella mia testa, mille e mille voci che mi gridavano “Tu non sei amico di Cesare” o “Se non crocifiggi quest’uomo non fai il volere di Cesare” o ancora “Pilato.. tu sei ribelle a Cesare!”… Non esserti amico?... Esserti ribelle? No.. giammai! Non sia!

Mi sentivo come un personaggio delle nostre Tragedie.. uno di quegli Eroi che il nostro Bacco suole far rappresentare a teatro per metterci tutti davanti alle nostre passioni più grandi e nascoste, per purificarci in lui.. per farci immedesimare nelle conseguenze. Mi sentivo schiacciato dal Fato e, cosa più strana, oltre tal Fato, scorgevo una Volontà ancor più superiore. Chiamai i servi. Davanti a tutti li chiamai. Presi un catino, un asciugamano e mi lavai le mani.

Cesare, non ebbi il coraggio di amarlo fino alla fine e così mi mondai del suo sangue che già mi imporporava le dita. Lo feci crocifiggere. Di lui non seppi nulla per molto. Mi dissero che era in mezzo a due veri malfattori e che davanti a lui a piangere e a supplicare c’erano soltanto tre donne, tra cui sua madre. Che empietà! Ho fatto crocifiggere un uomo davanti a colei che lo ha generato! Mi dissero che c’era anche un giovinetto, uno dei suoi.. uno che mi han detto, assetato di verità come sono, che sembra un filosofo. Gli altri che erano presenti, invece, gli bestemmiavano contro.

Mi dissero, o Cesare, che morì nel pomeriggio, dopo aver richiesto da bere e che, vistolo morto, Longino, uno dei miei uomini, gli aperse il costato con una lancia.. per verificare che fosse appunto spirato.

Prima del tramonto due di coloro che lo avevano fatto assassinare, costoro davvero due uomini onesti che meritano si riconoscano umani, tali Giuseppe e Nicodemo, vennero da me e mi chiesero di poter prendere il suo corpo per seppellirlo. Non avevo nulla in contrario e lo permisi.

Oramai, Cesare, sono passati alcuni giorni ed è davvero triste e altrettanto strano sentire che per alcuni quell’uomo è risorto, facendo rotolare la pietra del suo sepolcro e addormentando per qualche malia le guardie che avevo messo, per fare un piacere alla pazzia di Erode. In realtà non lo trovo nemmeno così strano. Quell’uomo non era un uomo e se questi Giudei ai quali governo non sono abituati, io posso anche credere che sia risorto dai morti. Se non fosse così ignorerei che Ulisse varcò le porte dell’Ade e vide e interrogò molte Anime, tra cui quella del Pelide.. ignorerei che Plutone rapì Proserpina e che costei, quando viene la Primavera, risorge dal regno delle Ombre per portare dovunque la Vita.

Ma, oh Cesare! Sarò in grado di risorgere, io?... Riuscirò ancora a prendere sonno come prima o morirò insonne?... Avrò il tuo perdono se scrivendoti questo resoconto ho offeso la tua maestà?...

 

L’unica cosa che mi resta da fare.. è lasciar perdere e non farti giungere nulla di quanto ti ho scritto.

Quadro di Antonio Ciseri (1821-1891), Ecce Homo: Pilato presenta Cristo alla Folla, Accademismo, Tardo-Romanticismo italo-svizzero, 1871 circa.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Domenica XXVIII Marzo (Domenica delle Palme) AD MMXXI.