Pilato a Cesare Tiberio
Ave!
È Notte.. è sempre più Notte, oh
Principe! e io, tuo umilissimo servo e misero governatore di una regione
desertica dell’Impero.. e io, oh amato Cesare!.. è da molto che non riesco più
a prendere sonno. Ho provato in tutti i modi, perfino con la salvia o altre
erbe sonnifere. Nulla: il mio corpo, la mia mente.. il mio cuore non vogliono
chiudere occhio, nemmeno per un attimo. Perfino il talamo che divido con la mia
sposa m’è diventato orrore.. incubo, tende nere come la Morte.. come il rimorso
che vedo sempre in giro. Né riesco più a star composto, mangiando e bevendo,
ormai da sobrio, presso il triclinio. Anche il vino con il miele mi è amaro.
È
già avvenuto che, uscito di soprassalto nel pretorio nella notte più agitata,
sono stato scambiato per un fantasma dalla centuria. Devo fare davvero molta
paura.. tanta paura! Fisicamente, intendo!... Non so, a dire il vero, o Cesare,
ti scrivo, ma non ho ancora avuto il coraggio di guardarmi all’argento di uno
specchio. Immagino io sia pallido, che abbia occhiaie più scure della pece.
Credo che se fosse così, Plutone mi invidierebbe l’aspetto e lo vorrebbe, per
questo, fare suo.
Ma
la tragedia che mi prende è proprio questa: non mi guardo più allo specchio
perché ai miei occhi si presenta soltanto un volto.. il suo.. e per esso, tutte
le volte che esco in lettiga, vedo masnade di uomini neri inchinarsi, salutarmi
e benedirmi, mentre una parte di popolo.. oh! il popolo! Quella no, mi guarda
torvo.. come a Roma i nostri avi potevano scrutare e maledire Tarquinio! Sento
su di me pugnali di maledizioni come ne ebbe Cesare dai congiurati… E tutto per
via di quel volto.
Oh
Principe! Mi portarono quell’uomo.. se uomo posso ancora chiamarlo! Me lo
portarono alcuni dei loro sacerdoti.. uomini orrendi.. certamente uomini ma, te
lo dirò, più simili alle Erinni dell’Orco, o alle Parche, ché si sentono
custodi della Vita e della Morte. Volevano che lo giudicassi reo.. reo di
essere il loro Re!... Erano chiaramente dei pazzi e, sinceramente, anch’egli mi
sembrava un folle. Se fosse stato davvero loro Re, come dicevano, allora
sarebbero stati loro stessi a investirlo tale.. e ora, volevano che lo
giudicassi per una cosa scelta da loro stessi. Matti!... Matti!... Così mi
sembrava. Compresi dopo che non furono loro a proclamarlo Re. E chi è stato?
Non lo so, Cesare. Ma a me parve sùbito una delle loro questioni.. cose che non
mi riguardavano e, così, volevo che se ne sbrigassero essi stessi, come più
volevano.
No..
no.. non fu la loro insistenza, o l’odore appena appena fiutato di una
ricompensa.. non furono le loro minacce, rivolte anche a te che mi fecero
cambiare d’opinione; ma vistolo, il cuore mi sussurrò “Interrogalo!”.
Era
un bell’uomo di aspetto e portamento, come il nostro Marte. Aveva uno sguardo
mite.. calmo, ma altrettanto fermo.. composto. I suoi occhi mi fissavano
intensamente, quasi a pormi essi stessi delle domande. Ero il suo aguzzino..
io! il perfido padrone del suo Popolo! Doveva odiarmi! Eppure, non v’era sdegno
o paura nel suo sguardo, non v’erano giudizi, preghiere o maledizioni. Nemmeno
mia moglie mi guarda così. Ella spesso mi rimprovera.. le faccio ribrezzo. Sa
che ormai ho sempre più sangue sulle mie mani. Dorme sovente da sola. Non mi
vuole. Del resto le donne sono così: odiano gli uomini di sangue, i
massacratori del popolo, gli assassini degli innocenti. Né mai io volli davvero
Amore da lei!... Ma quella volta era diverso. Ella mi avvisò di (un) qualche
suo sogno e m’intimò di lasciar perdere se mi avessero portato quell’uomo che
ora era davanti a me. Solo per qualche attimo vidi in lui della paura.. la mia
paura!.. la mia paura che si rifletteva nei suoi occhi, perché, Cesare, in quel
momento avevo davvero tanta paura. Non ero certo degno di te, in quell’istante!...
Egli
taceva. Gli avevo fatto alcune domande. Volevo sapere qualcosa di più da lui.
Chi era? Da dove veniva, esattamente? Che ci faceva a Gerusalemme?... Niente..
nulla, non mi rispose. Forse gli sono stato troppo amico o forse no. Del resto
se mi avesse parlato della sua regione non avrei potuto dire niente. Non la
conosco.. non l’ho mai vista, anche se a me sembra tutto abbastanza deserto. “Guardati
dentro, Pilato! Guardati dentro!”. Era questa la voce che continuavo a sentire “Cerca
l’essenza che desideri, non quello che è nulla!”.
Fu
così, allora, che gli chiesi: “È vero che sei il Re dei Giudei?”. Passò qualche
attimo di silenzio. Non mi ricordo esattamente le parole, ma so che mi rispose
qualcosa del tipo: “Che io sia il Re dei Giudei, è una cosa che dici tu”. Non
capivo più niente. Intendeva leggermi nel cuore e affermare che, sì, egli era
davvero il Re dei Giudei e che io lo avevo riconosciuto? O voleva dirmi che
quanto dissi era una cosa senza fondamento?...
Incalzai:
“Sei o no il Re dei Giudei?”.
E
ancora lui mi rispondeva: “Tu lo dici, io sono il Re dei Giudei e vengo qui per
testimoniare della Verità”.
Mi
dissero che costui passava le giornate a parlare di Amore e di perdono e a dire
altre cose di un Regno molto strano, non presente sulla terra, nemmeno sull’Olimpo.
Perché, Cesare, mi parlò della Verità?... Se mi avesse parlato di perdono, non
lo avrei compreso. Io?.. io, Pilato, governatore romano, ho bisogno di
perdono?... Oh no, non ne ho bisogno, o meglio, non ne avevo bisogno!... Ero
assolutamente felice di aver fatto tutto quello che feci.. perfino di aver
fatto sgozzare molti di loro presso delle dannate offerte. Ero contento di aver
fatto flagellare colpevoli di ogni specie, di aver usato la spada contro quanti
mettono in discussione la nostra Roma!... E tantomeno avevo io bisogno di Amore…
Non ho amato nessun altro che mia moglie! Un soldato non può amare.. un
politico nemmeno. Tutto è calcolo, congiura, interesse.. ed era bello per me
che fosse così. Ma nel mio cuore, sì, come adesso, allora c’era una sete
inesauribile di Verità. Mi toccò nel vivo del mio essere, quell’uomo; e seppe
catturare tutta la mia attenzione.
Avrei
voluto che fosse un Socrate, un Platone o un Aristotele e che mi avesse parlato
di questa Verità che andavo cercando. Ma nulla.. niente!... Io gli chiesi: “Che
cos’è la Verità?” ma non ebbi risposta, anche se dal cuore la stessa voce di
prima emergeva e mi diceva: “Ecco, la Verità.. eccola! È davanti a te!”, ma più
di tanto non ci volevo credere. La Verità era dunque una persona?... “Perché
non mi rispondi.. perché?” volevo dirgli, “Dimmi che cos’è la Verità, e sarò io
stesso a stabilire il tuo regno sopra tutti i Giudei!”. Ma tacqui. Nel silenzio,
quell’uomo aveva da dirmi qualcosa.
Ma
nello stesso istante, ecco.. nel mio petto insieme alla sete di Verità emersero
le mie mute lagrime.. le lagrime di un uomo che si riconosce desideroso di
perdono e di Amore. Oh Cesare! Hai mai sentito il cuore che ti dice “Non stai
amando, ama”?... Io in quel momento lo sentii e ne provai vergogna. Ma al tempo
stesso mi venne la brama di metterlo a morte, o meglio, di minacciarlo del
supplizio estremo. “Forse minacciato di Morte, mi dirà che cos’è la Verità!”,
pensai; e così, seguendo le rimostranze di quelle Erinni umane che ne volevano
la fine e che erano tosto tornate ad avvelenarmi, portai fuori nel pretorio
quell’uomo. In realtà, non volevo essere io a minacciarlo di Morte. Così pensai
al popolo. Poco fa era tra costoro.. costoro lo amano in molti. Ma era pur
sempre il popolo.
Oh
Cesare! Qui v’è usanza che in una delle loro dannate feste possano chiedere uno
scambio di colpevoli da uccidere. Sono matti, si sa! Io proposi questo: “Volete
che io liberi costui al posto di Barabba, o volete che io liberi Barabba al
posto di costui?”.. e il popolo, così come temevo e al tempo stesso speravo,
chiese la liberazione del ladrone.
Ormai
a quell’uomo non restava che dirmi tutto.. parlarmi della Verità.. parlare
delle sue teorie.. di farmi vedere il mondo, il cuore.. l’uomo e il Divino. Ma
non mi accorsi che il Fato mi aveva preso nelle sue spire, mi aveva obliato la
mente.. che una forza oscura e ignota mi fece impazzire e mi mise nella
condizione di non capire più nulla. Intanto, crescevano in me i desideri di
Amore e di perdono.. cresceva in me la convinzione che costui volesse morire
per farmi vedere quell’Amore e quel perdono, per farlo vedere a tutti, amici e
nemici.
All’ennesimo
silenzio lo minacciai personalmente di farlo morire in Croce. Gli dissi,
infatti: “Parla! Non sai che ho il potere di darti la libertà così come ho il
potere di farti crocifiggere?”.
“Non
avresti questo potere” mi rispose con mitezza e onestà “se non te lo avesse
dato qualcuno!”. Raggelai… Che cosa voleva dire? Alludeva a te, oh Cesare?
Alludeva al Fato che ormai mi aveva accecato?... Alludeva al suo Dio?... No! Mi
aveva fatto paura.. tanta paura. Qualunque fosse la cosa, mi aveva letto nel
cuore. Sapeva tutto di me. Sapeva tutto di te, Cesare.. tutto del Fato! Sapeva che
alla fine lo avrei fatto crocifiggere non perché sono un vile, ma perché lo
amavo.. mi era amico, perché era colui che con la sua Morte mi avrebbe concesso
Amore e perdono e mi avrebbe fatta vedere tutta la Verità, quantomeno quella
sull’essere umano.
Cesare!
Lo confesso.. non ero più in me e lo feci flagellare. Quando me lo portarono
tutto insanguinato, pensai “Ora mi è chiaro: ecco l’Uomo! Ecco che cos’è l’Uomo!
Un ammasso di carni e ossa senza senso, un mare di sangue e di dolore.. sempre
alle strette tra la bellezza effimera della Vita e le ombre oscure dell’Ade!..
è un sogno di Verità che nasconde quella vera: l’Uomo è fango.. io sono fango.
Tu, Cesare, sei fango… No, non possono esserci dei Campi Elisi, in essi l’Uomo
sarebbe continuamente e ancora fango! Dev’esserci di più. Non debbono esserci
soltanto allori per i più fortunati e letame per i miseri. Dev’esserci davvero
qualcosa di più!”. E mi fu chiaro che quell’uomo ero io.. io! nelle mie colpe,
nei miei vizi, nella mia tracotanza.. che ero davvero io e che io riflettevo me
stesso allo specchio di quel saggio.. che a quello specchio si riflettevano
anche quelle Erinni dannate.. il popolo.. se vuoi, anche tu, Cesare!
Sentivo
i flagelli dell’avarizia nelle mie carni.. i pungoli della lussuria sulla mia
schiena.. il potere che mi lacerava le membra.. la vanità che mi faceva
sanguinare copiosamente. “Percotete! Più forte! Più forte!” avrei gridato al
pretorio mentre lo flagellavano.. mentre permettevo che un uomo venisse
percosso al posto mio. Sentivo i colpi dell’oro.. dei miei crimini.. rivedevo
le miei vittime in quanti lo stavano flagellando. “Su’.. forza! Vendicatevi!
Vendicatevi!... Fate scorrere il sangue di Pilato da quest’uomo innocente!”.
Sentivo la corona di alloro, la stessa che è sul tuo santo capo, o Cesare,
farsi un serto di spine. “Bucatemi la mente, spine! Annientate la mia testa che
delira per un trono e per il potere!... Annientate la mia mente: che io sia
soltanto Cuore.. Cuore e basta.. nient’altro! Che io ami e non pensi! Che io
non pensi per amare!”.
Alla
fine, però, impazzivo. Sapevo di cedere anche alle richieste di individui
orrendi e spregevoli. Sapevo che anche in quel momento sentivo il peso della
mia posizione.. dell’essere governatore in una delle tue terre. Sentivo
dovunque, anche solo nella mia testa, mille e mille voci che mi gridavano “Tu
non sei amico di Cesare” o “Se non crocifiggi quest’uomo non fai il volere di
Cesare” o ancora “Pilato.. tu sei ribelle a Cesare!”… Non esserti amico?...
Esserti ribelle? No.. giammai! Non sia!
Mi
sentivo come un personaggio delle nostre Tragedie.. uno di quegli Eroi che il
nostro Bacco suole far rappresentare a teatro per metterci tutti davanti alle
nostre passioni più grandi e nascoste, per purificarci in lui.. per farci
immedesimare nelle conseguenze. Mi sentivo schiacciato dal Fato e, cosa più
strana, oltre tal Fato, scorgevo una Volontà ancor più superiore. Chiamai i
servi. Davanti a tutti li chiamai. Presi un catino, un asciugamano e mi lavai
le mani.
Cesare,
non ebbi il coraggio di amarlo fino alla fine e così mi mondai del suo sangue
che già mi imporporava le dita. Lo feci crocifiggere. Di lui non seppi nulla
per molto. Mi dissero che era in mezzo a due veri malfattori e che davanti a
lui a piangere e a supplicare c’erano soltanto tre donne, tra cui sua madre.
Che empietà! Ho fatto crocifiggere un uomo davanti a colei che lo ha generato!
Mi dissero che c’era anche un giovinetto, uno dei suoi.. uno che mi han detto,
assetato di verità come sono, che sembra un filosofo. Gli altri che erano
presenti, invece, gli bestemmiavano contro.
Mi
dissero, o Cesare, che morì nel pomeriggio, dopo aver richiesto da bere e che,
vistolo morto, Longino, uno dei miei uomini, gli aperse il costato con una
lancia.. per verificare che fosse appunto spirato.
Prima
del tramonto due di coloro che lo avevano fatto assassinare, costoro davvero
due uomini onesti che meritano si riconoscano umani, tali Giuseppe e Nicodemo,
vennero da me e mi chiesero di poter prendere il suo corpo per seppellirlo. Non
avevo nulla in contrario e lo permisi.
Oramai,
Cesare, sono passati alcuni giorni ed è davvero triste e altrettanto strano
sentire che per alcuni quell’uomo è risorto, facendo rotolare la pietra del suo
sepolcro e addormentando per qualche malia le guardie che avevo messo, per fare
un piacere alla pazzia di Erode. In realtà non lo trovo nemmeno così strano.
Quell’uomo non era un uomo e se questi Giudei ai quali governo non sono
abituati, io posso anche credere che sia risorto dai morti. Se non fosse così
ignorerei che Ulisse varcò le porte dell’Ade e vide e interrogò molte Anime,
tra cui quella del Pelide.. ignorerei che Plutone rapì Proserpina e che costei,
quando viene la Primavera, risorge dal regno delle Ombre per portare dovunque
la Vita.
Ma,
oh Cesare! Sarò in grado di risorgere, io?... Riuscirò ancora a prendere sonno
come prima o morirò insonne?... Avrò il tuo perdono se scrivendoti questo
resoconto ho offeso la tua maestà?...
L’unica cosa che mi resta da fare.. è lasciar perdere e non farti giungere nulla di quanto ti ho scritto.
Quadro di Antonio Ciseri (1821-1891), Ecce Homo: Pilato presenta Cristo alla Folla, Accademismo, Tardo-Romanticismo italo-svizzero, 1871 circa.
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