Nero!.. vedeva sempre tutto nero. Nero!... Qualsiasi cosa sarebbe stata un disastro.. un pasticcio.. la peggior polenta di grano saraceno! Repubblica, Monarchia, Papa.. al diavolo! Sarebbe stato un annientamento totale. L’Italia, il Piemonte.. la Francia, l’Austria? Al diavolo anche loro. Di nero vestiva anche. Perfino il bastone da passeggio era nero. Cosicché le persone che lo conoscevano lo chiamavano Nero.
Di
nero aveva anche la pelle.. insomma, non proprio di nero, s’intende, ma avendo
fatte delle battaglie in terre lontane per non so quale cosa, era abbronzato..
non come un ottentotto, ma - beh, diciamo - come un berbero, tanto che nei
paesi circostanti lo soprannominavano Mametto. Di nero aveva un passato poco
chiaro dove secondo alcuni sarebbe stato seminarista dai Gesuiti i quali, come
si sa, vestono nero. Di nero, del resto, amava la tonaca dei preti, quando non
officiavano o quando celebravano i funerali. Che belli i funerali! Specialmente
se c’erano drappi neri.
Una
volta, a Pasqua, si diceva che il sagrestano - un po’ avvinazzato - non si
ricordasse più dove avesse messo gli abiti d’oro; e quell’altro, dunque, cosa
dice?.. “Beh, può anche celebrare la Pasqua vestito di nero!”. Anche il vin
santo, secondo lui, doveva essere nero.
Cosa
preferiva del giorno? Ovvio, la notte.. la nera notte.. o nelle belle stagioni
le nuvole nere dei temporali. Perfin le tende del suo studio erano nere.. nere
erano le tovaglie.. neri i fazzoletti… Anche il suo cane era nero.. tutto nero.
Di nero aveva i capelli, le ciglia.. gli occhi.
Il
signor Chinetti aveva il nero pure nel cognome ché si sa che nella china il
colore più usato è il nero; ed era un avvocato.. uno di quelli che legge e
legge, scruta e scruta e parla latinorum senza
capire un’acca delle cause che gli portavano. Alla fine, non voleva fare l’avvocato..
desiderava riflettere e, riflettendo, le sue conclusioni erano che tutto è..?
che tutto è nero.
Tra
l’altro, nel suo paese, del signor Chinetti non sapeva niente nessuno.. o
quasi, sicché quando veniva a cercarlo qualche forestiero, a quest’ultimo le
comari e gli uomini in piazza rispondevano:
“Chinetti? E chi à l’è cusquì?”.
“Ah.. l’è al Negar!... Povar fiö!”.
Perché,
alla fine, Nero era davvero un povero figliuolo, un uomo cui non si vide mai un
sorriso e al quale piaceva più la sua ombra nera.. nera che se stesso. Anche
dal sole si riparava con un ombrello nero, quando usciva, tutto vestito di nero.
Ormai
non più giovane, si fece tosto rasar la barba e i baffi non appena questi da
neri divennero un po’ grigio-bianchi. Infatti, non gli piaceva nient’altro che
il nero. Perfino il legno del suo pianoforte era nero. La carne gli piaceva
quand’era ben abbruciacchiata.. perché era nera.
Di
donne non ne voleva sapere! Nella sua vita passata gli dissero di sposare
qualche fanciulla d’Africa.. ma lui? Niente.. niente di niente! Non per qualche
avversione a certe stirpi; ma perché anche in Africa c’è sempre qualcosa che è
più chiaro del nero.
Una
mattina era nel suo studio a guardare certe sue carte del diavolo (e il diavolo
in molte raffigurazioni è nero!), piene di scritte belle nere, quando qualcuno,
chiamandolo da giù, gli urlò: “È successo! È successo!... Venite!”.
Sùbito
Nero posò la penna vicino al calamaio, si tolse gli occhiali - ahimè, poco
neri! - andò alla finestra e l’aperse. No.. c’era il sole. Non andava bene.
Senza dir nulla si mise un attimo la destra sulla fronte, come un pellerossa su
una montagna, vicino i segnali neri di fumo altrettanto nero, poi si ritirò,
frugò vicino al suo tavolo di lavoro, ne prese un ombrello (nero), lo aprì e
tornò alla finestra.
“Quando?”
domandò con calma e mezzo accigliato all’uomo che era sotto e che frenava a
stento le risate.
“Poco
fa! Venite!”.
“Ma
siete già andati per il prete?”.
“Sì..
ma l’han trovato indisposto”.
“Indisposto
un corno!” sbraitò il signor Chinetti, tutto nero “Doveva essere lì.. già
presente, fin da sùbito. Questo non è comportamento da cristiani”.
“Oh..
beh, perché? Voi siete cristiano?” gli ribatté l’altro che certo già s’immaginava
di avere presto al collo le mani nere del suo amico.
“Più
di voi altri, di certo!” ansimò Chinetti, ma con una certa calma. Poi aggiunse “Ma
l’hanno già messo.. là.. come si chiama.. mi dimentico perfino le parole…
Fossero nere anche le parole!... Insomma, l’hanno già messo nell’affare di
legno?”.
“Sì..
sì.. e par che dorma beato!” rispose l’altro che nel frattempo, trattenendo le
sghignazzate, si diceva tra sé “Costui è davvero un gran babbione!”.
“Olà..
ma ditemi. Secondo voi avranno i soldi?... Verrà a costare e so che non stanno
molto bene”.
“Ah..
se è per questo chiederanno qualcosa alla signoria vostra!”.
“Un
corno!... Un corno!” urlò Nero che poi si ricompose “Beh.. vediamo! Li avevo
avvisati… No, non sono avaro… darei loro volentieri qualche lire, è che.. è che”.
“Che
cosa?”.
“Gli
è che i soldi non son neri!”.
Quell’altro
sotto scoppiò a ridere mentre pensava tra sé: “Oibò, è successo.. e ora questo
idiota pensa ai soldi che non son neri!”.
“Che
mai ridete?” lo sgridò Chinetti “Mi state forse tirando qualche brutto
scherzo?... Mi state infinocchiando?... Ah! Capisco.. capisco, voi altri!
Sempre a farsi beffe di me. Non è così?... Quindi immagino che non sia ancora
successo!”.
“Ma
no.. è successo.. e sbrigatevi, ve ne prego. È che ridevo che voi in questo
momento pensate alle lire, che non son nere”.
“E
dopo quel che è successo non dovreste nemmeno ridere” ansimò Nero che poi disse
“Dite che verrò presto!” e si ritirò in casa, chiudendo l’ombrello.
Innervosito
come non mai, aprì mille cassetti neri e ne trasse fuori parecchie lire (ah,
che orrore, poco nere!), aperse un armadio nero e ne cavò fuori il suo cilindro,
ovviamente sempre nero; poi prese il suo bastone da passeggio, che abbiamo
detto che era.. nero… Infine, scese le scale, andò sulla strada e riaprì il suo
ombrello.
Che
fare, adesso?... Andare lui stesso dal prete, vista la gravità della situazione
e intimargli con le brutte di fare il proprio dovere?... Andare nella casa del
misfatto, a mani vuote?... E chissà che tristezza infinita vederlo tra quelle
assi di legno dove pare che dorma!... Ma possibile!? Hanno fatto davvero così
veloce? L’han già lavato e messo là dentro?... Ah! che fretta hanno avuto di
stringerlo tra quelle assi! Si fa alla svelta!... E lui, arcigno.. scrutatore
del futuro.. pessimista come nessuno al mondo, lo aveva ben detto di fare
attenzione e che purtroppo tutto questo sarebbe avvenuto.
Così
pensando arrivò alla casa del misfatto.
Che
via vai di gente! Donne e uomini vestiti di tutti i colori, fuorché di nero!
Poveracci!... E il nipote alla porta, terribilmente commosso, al quale
qualcheduno offriva pure un cordiale!...
“Dov’è?
Dove lo avete messo?” chiese al giovanotto il signor Chinetti.
“Ah,
zio.. è sopra.. è sopra!... Andateci vi prego.. non fate il testardo!” gli
rispose il nipote.
Nero
entrò, chiuse l’ombrello e lo appoggiò alla parete, davanti al vigile sguardo
di una sguattera da due soldi.. e nemmeno lei vestiva di nero.
Salì
le scale, entrò in una porta aperta, scostò una tenda e.. lo vide… Alfine lo
vide! In una bellissima culla stava coperto di bianco un bel bambino, nato da
poco. Vivo? Oh sì.. era vivo.. e sembrava così ben in salute che vi sarebbe
rimasto.. e per molto.. e molto ancora. Nel momento in cui Nero lo fissava,
egli aprì gli occhi. Che bei occhi azzurri! E che bei capelli.. pochi, ma di un
colore tra il biondo e il castano! E che belle guanciotte!... Si fissarono per
molto.
“È
vostro nipote!” gli disse avvicinandoglisi una donna di giovane età,
probabilmente la madre, ancora mezza discinta “Ben sappiamo cosa ne pensate
della vita.. ma è vostro nipote!”.
“Tenete..
sono per voi.. sono per lui!” disse Nero dandole delicatamente in mano le lire
che aveva portato con sé.
“Vi
ringrazio, zio!” rispose la donna.
“No..
no! Vi ringrazio io!” ribatté Nero che, sùbito ricomposto, riabbassò le tende,
volse le spalle alla culla e uscì. Scese le scale.
Stava
per uscire dalla porta di casa quando la voce della sguattera lo incalzò.
“Scusatemi, dimenticate l’ombrello!”.
Nero si girò, la guardò.. le fece un sorriso, si ricompose e le disse: “Ah, sì! L’ombrello!... Beh, non mi serve.. tenetelo lì dov’è.. usatelo.. bruciatelo… Fate come volete!... Non vedete?... Oggi c’è il sole!”.
Quadro di Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828), Saturno divora i suoi Figli, Pre-Romanticismo, Romanticismo spagnolo, 1819-1823.
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