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sabato 27 marzo 2021

Nero

Nero!.. vedeva sempre tutto nero. Nero!... Qualsiasi cosa sarebbe stata un disastro.. un pasticcio.. la peggior polenta di grano saraceno! Repubblica, Monarchia, Papa.. al diavolo! Sarebbe stato un annientamento totale. L’Italia, il Piemonte.. la Francia, l’Austria? Al diavolo anche loro. Di nero vestiva anche. Perfino il bastone da passeggio era nero. Cosicché le persone che lo conoscevano lo chiamavano Nero.

Di nero aveva anche la pelle.. insomma, non proprio di nero, s’intende, ma avendo fatte delle battaglie in terre lontane per non so quale cosa, era abbronzato.. non come un ottentotto, ma - beh, diciamo - come un berbero, tanto che nei paesi circostanti lo soprannominavano Mametto. Di nero aveva un passato poco chiaro dove secondo alcuni sarebbe stato seminarista dai Gesuiti i quali, come si sa, vestono nero. Di nero, del resto, amava la tonaca dei preti, quando non officiavano o quando celebravano i funerali. Che belli i funerali! Specialmente se c’erano drappi neri.

Una volta, a Pasqua, si diceva che il sagrestano - un po’ avvinazzato - non si ricordasse più dove avesse messo gli abiti d’oro; e quell’altro, dunque, cosa dice?.. “Beh, può anche celebrare la Pasqua vestito di nero!”. Anche il vin santo, secondo lui, doveva essere nero.

Cosa preferiva del giorno? Ovvio, la notte.. la nera notte.. o nelle belle stagioni le nuvole nere dei temporali. Perfin le tende del suo studio erano nere.. nere erano le tovaglie.. neri i fazzoletti… Anche il suo cane era nero.. tutto nero. Di nero aveva i capelli, le ciglia.. gli occhi.

Il signor Chinetti aveva il nero pure nel cognome ché si sa che nella china il colore più usato è il nero; ed era un avvocato.. uno di quelli che legge e legge, scruta e scruta e parla latinorum senza capire un’acca delle cause che gli portavano. Alla fine, non voleva fare l’avvocato.. desiderava riflettere e, riflettendo, le sue conclusioni erano che tutto è..? che tutto è nero.

Tra l’altro, nel suo paese, del signor Chinetti non sapeva niente nessuno.. o quasi, sicché quando veniva a cercarlo qualche forestiero, a quest’ultimo le comari e gli uomini in piazza rispondevano:

Chinetti? E chi à l’è cusquì?”.

Ah.. l’è al Negar!... Povar fiö!”.

Perché, alla fine, Nero era davvero un povero figliuolo, un uomo cui non si vide mai un sorriso e al quale piaceva più la sua ombra nera.. nera che se stesso. Anche dal sole si riparava con un ombrello nero, quando usciva, tutto vestito di nero.

Ormai non più giovane, si fece tosto rasar la barba e i baffi non appena questi da neri divennero un po’ grigio-bianchi. Infatti, non gli piaceva nient’altro che il nero. Perfino il legno del suo pianoforte era nero. La carne gli piaceva quand’era ben abbruciacchiata.. perché era nera.

Di donne non ne voleva sapere! Nella sua vita passata gli dissero di sposare qualche fanciulla d’Africa.. ma lui? Niente.. niente di niente! Non per qualche avversione a certe stirpi; ma perché anche in Africa c’è sempre qualcosa che è più chiaro del nero.

 

Una mattina era nel suo studio a guardare certe sue carte del diavolo (e il diavolo in molte raffigurazioni è nero!), piene di scritte belle nere, quando qualcuno, chiamandolo da giù, gli urlò: “È successo! È successo!... Venite!”.

Sùbito Nero posò la penna vicino al calamaio, si tolse gli occhiali - ahimè, poco neri! - andò alla finestra e l’aperse. No.. c’era il sole. Non andava bene. Senza dir nulla si mise un attimo la destra sulla fronte, come un pellerossa su una montagna, vicino i segnali neri di fumo altrettanto nero, poi si ritirò, frugò vicino al suo tavolo di lavoro, ne prese un ombrello (nero), lo aprì e tornò alla finestra.

“Quando?” domandò con calma e mezzo accigliato all’uomo che era sotto e che frenava a stento le risate.

“Poco fa! Venite!”.

“Ma siete già andati per il prete?”.

“Sì.. ma l’han trovato indisposto”.

“Indisposto un corno!” sbraitò il signor Chinetti, tutto nero “Doveva essere lì.. già presente, fin da sùbito. Questo non è comportamento da cristiani”.

“Oh.. beh, perché? Voi siete cristiano?” gli ribatté l’altro che certo già s’immaginava di avere presto al collo le mani nere del suo amico.

“Più di voi altri, di certo!” ansimò Chinetti, ma con una certa calma. Poi aggiunse “Ma l’hanno già messo.. là.. come si chiama.. mi dimentico perfino le parole… Fossero nere anche le parole!... Insomma, l’hanno già messo nell’affare di legno?”.

“Sì.. sì.. e par che dorma beato!” rispose l’altro che nel frattempo, trattenendo le sghignazzate, si diceva tra sé “Costui è davvero un gran babbione!”.

“Olà.. ma ditemi. Secondo voi avranno i soldi?... Verrà a costare e so che non stanno molto bene”.

“Ah.. se è per questo chiederanno qualcosa alla signoria vostra!”.

“Un corno!... Un corno!” urlò Nero che poi si ricompose “Beh.. vediamo! Li avevo avvisati… No, non sono avaro… darei loro volentieri qualche lire, è che.. è che”.

“Che cosa?”.

“Gli è che i soldi non son neri!”.

Quell’altro sotto scoppiò a ridere mentre pensava tra sé: “Oibò, è successo.. e ora questo idiota pensa ai soldi che non son neri!”.

“Che mai ridete?” lo sgridò Chinetti “Mi state forse tirando qualche brutto scherzo?... Mi state infinocchiando?... Ah! Capisco.. capisco, voi altri! Sempre a farsi beffe di me. Non è così?... Quindi immagino che non sia ancora successo!”.

“Ma no.. è successo.. e sbrigatevi, ve ne prego. È che ridevo che voi in questo momento pensate alle lire, che non son nere”.

“E dopo quel che è successo non dovreste nemmeno ridere” ansimò Nero che poi disse “Dite che verrò presto!” e si ritirò in casa, chiudendo l’ombrello.

 

Innervosito come non mai, aprì mille cassetti neri e ne trasse fuori parecchie lire (ah, che orrore, poco nere!), aperse un armadio nero e ne cavò fuori il suo cilindro, ovviamente sempre nero; poi prese il suo bastone da passeggio, che abbiamo detto che era.. nero… Infine, scese le scale, andò sulla strada e riaprì il suo ombrello.

Che fare, adesso?... Andare lui stesso dal prete, vista la gravità della situazione e intimargli con le brutte di fare il proprio dovere?... Andare nella casa del misfatto, a mani vuote?... E chissà che tristezza infinita vederlo tra quelle assi di legno dove pare che dorma!... Ma possibile!? Hanno fatto davvero così veloce? L’han già lavato e messo là dentro?... Ah! che fretta hanno avuto di stringerlo tra quelle assi! Si fa alla svelta!... E lui, arcigno.. scrutatore del futuro.. pessimista come nessuno al mondo, lo aveva ben detto di fare attenzione e che purtroppo tutto questo sarebbe avvenuto.

Così pensando arrivò alla casa del misfatto.

 

Che via vai di gente! Donne e uomini vestiti di tutti i colori, fuorché di nero! Poveracci!... E il nipote alla porta, terribilmente commosso, al quale qualcheduno offriva pure un cordiale!...

“Dov’è? Dove lo avete messo?” chiese al giovanotto il signor Chinetti.

“Ah, zio.. è sopra.. è sopra!... Andateci vi prego.. non fate il testardo!” gli rispose il nipote.

Nero entrò, chiuse l’ombrello e lo appoggiò alla parete, davanti al vigile sguardo di una sguattera da due soldi.. e nemmeno lei vestiva di nero.

Salì le scale, entrò in una porta aperta, scostò una tenda e.. lo vide… Alfine lo vide! In una bellissima culla stava coperto di bianco un bel bambino, nato da poco. Vivo? Oh sì.. era vivo.. e sembrava così ben in salute che vi sarebbe rimasto.. e per molto.. e molto ancora. Nel momento in cui Nero lo fissava, egli aprì gli occhi. Che bei occhi azzurri! E che bei capelli.. pochi, ma di un colore tra il biondo e il castano! E che belle guanciotte!... Si fissarono per molto.

“È vostro nipote!” gli disse avvicinandoglisi una donna di giovane età, probabilmente la madre, ancora mezza discinta “Ben sappiamo cosa ne pensate della vita.. ma è vostro nipote!”.

“Tenete.. sono per voi.. sono per lui!” disse Nero dandole delicatamente in mano le lire che aveva portato con sé.

“Vi ringrazio, zio!” rispose la donna.

“No.. no! Vi ringrazio io!” ribatté Nero che, sùbito ricomposto, riabbassò le tende, volse le spalle alla culla e uscì. Scese le scale.

Stava per uscire dalla porta di casa quando la voce della sguattera lo incalzò.
“Scusatemi, dimenticate l’ombrello!”.

 

Nero si girò, la guardò.. le fece un sorriso, si ricompose e le disse: “Ah, sì! L’ombrello!... Beh, non mi serve.. tenetelo lì dov’è.. usatelo.. bruciatelo… Fate come volete!... Non vedete?... Oggi c’è il sole!”.

Quadro di Francisco José de Goya y Lucientes (1746-1828), Saturno divora i suoi Figli, Pre-Romanticismo, Romanticismo spagnolo, 1819-1823.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Sabato XXVII Marzo AD MMXXI.

domenica 14 ottobre 2018

Ebe

Le sue foltissime ciglia bianche stavano fisse su quel calice che, appena alzato da una mano vecchia e tremula, traboccava di raffinato vino, uno di quei delle migliori vendemmie. Appena nascosti, i suoi occhi fissavano ancor più il divino sangue della vite e de' suoi tralci; e sembravano quasi assenti di fronte alla realtà, una tavola imbandita, un attimo dedicato a un festeggiamento di trofei e di vanità... erano contemplativi, perduti in qualche orizzonte non presente... fors'anche mai esistito, o premonitore di una Vita migliore prossima ad accoglierli.... Affogavano e naufragavano ripetutamente nel vino, ed erano ebbri... ebbri di qualcosa di non ben definito, almeno per il momento.
D'intorno, sedevano rispettosi e pieni di ossequio molti ospiti, elegantemente vestiti, qualcheduno perfino se ne stava con il cilindro sulla testa; qualchedun altro lustrava con un tavagliuolo di tessuto pregiato il corpo del bastone da passeggio... sia chiaro, non uno di quelli che si usano davvero per camminare, ma un che fia d'uopo mostrare per ottenerne una certa opinione, un vacuo o reale aspetto di ricchezza e di eloquenza. Oh quanta triste e prepotente Vanità!... Quanto inutile spreco di apparenza e di futilità in quel simposietto che stava giungendo a termine!
Tutto d'un tratto, infatti, fu declamato un brindisi che sùbito dopo fu ripetuto in un coro sempre più crescente, come in un canone da chiesa; e fu un cozzare di vetri, di saluti... di sguardi amorosi, colpevoli... di occhiatacce miste a gelosie perverse e ben radicate... di convenevoli tra un ospite e l'altro. 
Soltanto il Signor Corrado, il vecchietto prossimo a' novant'anni che veniva festeggiato per il suo immenso contributo all'arte delle Lettere, con tanto di messa in mostra di articoli di giornale provenienti da tutto il Regno, non sembrava partecipare del brindisi... il suo brindisi! ma pareva davvero del tutto assente, trasognato nel suo sguardo infisso a quel calice e a quel vino, perduto... fattosi muto dopo molte parole spese per tutta la durata della cena, se appunto di cena si poteva parlare. Del resto, erano soltanto le sei della sera, o meglio, di un melanconico meriggio di inizio autunno... e tutto stava per finire con il brindisi. Il festeggiato, infatti, aveva ormai molti problemi di digestione, e cenare in un'ora più consona agli ospiti non sarebbe stata una galanteria ne' suoi confronti che, altrimenti, avrebbe vegliato tutta la notte, o peggio. Si sa che diventare vecchi non è mai bello, anche se una vita vissuta probabilmente è tale dopo i novant'anni, anche i cento. Al diavolo Mimnermo con le sue liriche! Si vive per invecchiare, e si invecchia per morire... per spirare felicemente, con un alone di saggezza non dico nel cuore, ma almeno alle spalle.
Ma il Signor Corrado era forse felice in que' suoi festeggiamenti, dove prima di tutto, altri, perfino de' sconosciuti, si pavoneggiavano con uomini e donne pensando di sostituirlo e di fargli riuscire la cosa assai gradita? Quando anche lui ebbe avuti i suoi quaranta, trent'anni faceva forse così con i suoi amati vecchietti?.... No! Che disgusto! Altri stavano dunque per prendere il suo posto, e non sapevano poi bene... anzi, per niente, di che cosa si sarebbe trattato.
Egli ebbe la gloria... molta gloria, ma poi? Come accade a coloro che seguono furiosamente i loro Sogni e il martellante gridìo delle Idee e degli Ideali più alti, come succede a chi vive o si nasconde dietro una fede granitica e prepotente, no... egli non poteva essere felice, non poteva davvero sorridere davanti a una vita intera consegnata alla solitudine più oscura e disperata. Che tristezza! A quanta gioventù aveva rinunziato per tirare avanti con gli studi... a quanta bellezza della Vita concreta, con le sue stagioni, con il suo sole e le sue tempeste aveva detto il suo "No!"... quanto lo aveva fatto soffrire la mancanza incolmabile di un po' d'Amore, di un cuore altrui che, al contrario, lo avrebbe ascoltato, accolto... compreso!.... No! Come poteva dirsi felice?
"La Felicità non esiste" soleva ripetere con voce altisonante e imperiosa quand'era ancora un po' più giovine "è soltanto una stolida invenzione de' Poeti classici che si illudevano di ubriacarsi e di amare", ed era solito aggiungervi "E Iddio? Iddio ci ha destinati al dolore in questo mondo... e bisogna accettarlo". E se qualcheduno avesse osato ribattere e dirgli che le sue asserzioni erano menzognere, egli lo avrebbe ignorato borbottando qualcosa di incomprensibile, con fare indispettito e nervoso; e se un altro gli avesse detto che proprio perché Iddio ci ha destinati alla sofferenza bisogna ribellarsi per bene, diceva semplicemente "Siano banditi i Titani", e gettava un'occhiataccia da inquisitore sul povero malcapitato. 
Anche nell'ambito della politica Corrado era profondamente cambiato. Era nato sotto la tirannia di Buonaparte e, da giovine, ovvero tra i quindici e i trent'anni, s'era fatto prendere un po' troppo da certi languori rivoluzionari e innovativi, tant'è che ne' disordini del 1830 ebbe non pochi problemi con la censura e la gendarmeria di Torino. Per tutta la valle, in quegli anni, veniva indicato ora con sprezzo ora con ammirazione come un burrascoso rivoluzionario in contatto con Mazzini; e qualche anno più tardi, per questo, giravano voci che mentre quest'ultimo se ne andava in esilio passando per la vallata in direzione dell'Elvezia, costui lo avesse ospitato nella locanda di una sua parente. E Corrado né smentiva né ammetteva queste cose, i suoi passati. Certo che adesso, negli ultimi decenni del secolo, era molto cambiato. 
Prima di tutto, di rivoluzioni e di guerre d'indipendenza non ne voleva più sapere; e s'era perfino fatta un'idea tutto sommato vicina a una compatente ammirazione nei confronti del miserabile Luigi XVI e de' suoi compari europei. Sì... strizzava un po' l'occhio dinnanzi al dilagarsi di un leggero socialismo, o meglio ancora, a certe aperture politiche del Papa; ma quando la classe operaia rumoreggiava troppo... no, si fermava. Meglio il manganello e la baionetta che avere d'intorno una marea di stolidi illetterati e burrascosi! Meglio lasciar lontani quelli che ragionano con il languore del ventre! Potrebbero anche avere ragione, sì... ma il ventre rimane sempre tale e, per questo, si scontrerà in sempiterno con il Cuore e con la Ragione! Rimaneva, però, un convinto nemico del colonialismo e di ogni impulso di natura razzista, tant'è vero che quando l'esercito italiano acquisì l'Eritrea, egli protestò... e non poco.
Ma queste cose, in fin de' conti, gli davano e gli restituivano ancora una parvenza di vita e di vitalità, fors'anche di piccola e impercettibile gioia. No... no! A Corrado non andava per niente giù il fatto d'aver sprecata la giovinezza in Sogni e futilità d'ogni genere, d'essersi fermato con la mente da filosofo su tante cose che avrebbe dovuto coglierle... prenderle sùbito, e non pensarle... non scansarle con la capacità del pensiero e della riflessione.... Che sventurato! 
Dinnanzi a una bella e virtuosa fanciulla, infatti, ci si può forse domandare se l'Amore... macché, quest'Amore... quest'Amore che intercorrerebbe tra lui e lei, nelle sue più profonde manifestazioni spirituali e carnali, sia giusto o sbagliato? Se sia questo che Iddio vuole? Ci si può forse perdere in disquisizioni su futili differenze di età? O chiedersi se, in fin de' conti, sarebbe lecito gettarsi in un Oceano di purissimi Sentimenti quando la propria mente, le proprie membra fossero pietrificate e rigide per via di una Vita intera impostata sulla vergogna, sul martellante urlo dell'onore... su quel che gli altri pensano e si attendono?.... Si può forse disprezzare il proprio mestiere perché si accumolando fallimenti su fallimenti, perché ogni passo che si fa è una caduta... una risata da parte di qualchedun altro, un rimprovero, una rampogna... perché dovunque impera la disillusione più disperata?
No! Corrado non seppe vivere e fu un infelice, destinato da se stesso a esserlo, senza che lui se ne fosse minimamente accorto nemmanco per un breve attimo... nemmeno in una misera e povera intuizione. E ora, dinnanzi al suo simposio, stava lì... pietrificato come sempre, assorto in chissà quali mille pensieri di bene e di male, impossibilitato a prendere una decisione, a scegliere... né di continuare a vivere né di accingersi a morire... senza la possibilità di abbassare quel braccio e quella mano, di gridare anche lui il suo brindisi soave e di scambiare finalmente due chiacchiere spensierate con gli ospiti più vicini... di alzare quel nappo al labbro e di godere di quel vino.... Stava seduto, non volendo ascoltare niente e nessuno, ma il rumore, il baccano lo invadeva... gli faceva tremare le ossa; non osava chiedere più nulla, scoprire la verità del mondo che gli stava d'intorno, delle persone che lo accompagnavano così vanamente in questi momenti che dovevano essere di allegria per tutti. Non parlava e non beveva, con mille sguardi fissi su di lui.... E il tempo scorreva... e scorreva; ed egli rimaneva sempre più fermo, inetto... incapace a tutto da vecchio così come da giovine, esprimendo tutto il putrido fango di Adamo di fronte a Iddio e agli uomini. Restava lì, tenendo delicatamente sollevata con la destra una coppetta di vetro finissimo in cui Ebe aveva versato ormai da molti istanti una bevanda amare e dolce di ricordi, di rimembranze fatali e di accuse. La Dea greca della Gioventù, la Coppiera degli Dei, sì... ora era diventata la fedele ministra d'Iddio, e si riversava su Corrado ricordandogli tutti i passati mancamenti avuti ne' suoi confronti. E gli recitava... sì! gli recitava l'Ecclesiaste, con la sua divisione de' tempi della Vita, con le sue Vanità da amare e da disprezzare insieme.
Ma nel frattempo a Corrado si ergeva una strana voce dal cuore... un singulto lieve e sottile che da ultimo gli ordinava "Bevi! Bevi! e ridi!"... un singhiozzo che gli sussurrava che nulla era perduto, che gli cercava di far comprendere che la gioventù era ancora lì, Ebe, in quel calice, sotto la parvenza di quel vino... lì, mista perfino con un po' di sangue del Redentore.... Bastava bere! Bere per ridere, per vivere e per salvarsi... per coprire finalmente con un po' di Gioia l'inettitudine di anni e anni trascorsi a rifiutare inviti, a non sapere come comportarsi, a essere impacciati... a reputarsi indegni di amicizie e di Amore. "Bevi!" continuava a ordinargli sempre più frequente, e fremendo tra il chiasso degli ospiti, ignari di questa battaglia... di questa Waterloo della coscienza... della misera e miserabile mente d'un decrepito vecchietto, forse giunto ai quasi novant'anni perché non del tutto consumato dal corso della Vita. "Bevi! e ridi!".
Eppure, cos'era per Corrado questa voce, questo sussulto leggero e sottile, se non una semplice illusione, un furioso farsi avanti in pieno giorno d'un Sogno beffardo e pungente? Se non un Demòne crudele che gli rammentava i suoi fallimenti, e che faceva questo travestendosi da ministro d'Iddio, e fingendosi voce del Santo Spirito?.... La sua Vita, infatti, era finita, e la sua gioventù era trascorsa; e niente, e nulla gli avrebbe potuto ridare tutto ciò che perdette... sia chiaro, per colpa sua. Ed Ebe se ne era andata altrove, laddove c'erano persone che la meritavano davvero, i veri giovinotti, coloro che sono veramente degni di amare e di provare passioni e gioie; e agli occhi di Corrado, in quel calice la Dea aveva lasciato semmai le sue vesti da lutto per ritornare poi a vestire i più candidi pepli. Tutto era finito. Tutto poteva dirsi finito!
Allora il Signor Corrado tutto d'un tratto abbassò il braccio, la mano... il nappo e, preso da sdegno verso se stesso da un sentimento di ira, lo scaraventò giù, contro il pavimento. Ci fu un piccolo ma assordante rumore di vetro infranto. Tutti si volsero verso di lui; ed egli, timidamente, coprendosi il volto con le mani e abbassando la testa, si mise finalmente a piangere.

Thomas Faed, Oh, Why I Left My Hame, Romanticismo scozzese, Secolo XIX


Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XIV del Mese di Ottobre dell'Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia, di Fede e di Pace AD MMXVIII.