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sabato 4 marzo 2017

Grande Elegia al Vento di un Giorno di Marzo

Come mi è o furia o sprezzo questo vento
che dal mattin che va a risoffiar sento,
mentre gelida grida una Tempesta,
che urla funesta!...
e come mesto mi sembra il suo sguardo,
d’eterne guerre invincìbil baluardo,
con il suo labbro che durante il giorno
dà fiato a un truce corno,
e ordina forse il preparato assalto,
mentr’io lo intendo chiuso nel mio spalto!...
e come piega, soffiando là, fuori,
i primi fiori!
Mi sembra sia una possa che crüènta
sempre mi scruta, e dopo mi spaventa
qui, lievemente alzandomi da terra,
e che poi ovunque afferra
le polveri a me d’intorno, e in suoi vortici
le prende e le trascina, e come forbici
la Primavera che viene e sorride
bruto recide.
Mi sembra che ei percuota anche il mio cuore,
con le sue attese, tra i Sogni e il torpore…
che lo prenda e lo stringa e che lo scagli
qua e là, gridando ragli
per la campagna ora da lui vessata,
e per i campi arati. E mai placata
è la sua Furia, il suo fischio irridente
e irriverente
che di se stesso inghiotte l’eco, e il muto
chiasso, e il tacito aspetto; e che perduto,
come l’Anima mia, di marzo spegne
e Sole e nubi indegne.
Fors’ei non è che l’ultimo discorso
guerresco dell’inverno, tra il rimorso
di rinunciare al gelo delle nevi
o aver più lievi
zefiri, e il canto di una vana impresa:
che il verno vinca! e spenta e vilipesa
resti la Primavera, e s’allontani
co’ il suo cuor, le sue mani;
e vada oltre. Chè codesto Pöèta
non la deve conoscere! E si allieta
questo vento a ripeterlo alle curie
delle sue Furie,
mentre d’intorno io scorgo le campagne
‘ve vanamente l’äirone in lagne
riscagliato qua e là prova a volare,
e forse per scappare,
e dove i rami impiccano i germogli
penzolanti al soffiar dell’aër, spogli
appena, appena, e la terra apre pozze
di piogge sozze,
e le ripe riposano, chiudendo
in sé le foglie dei fiori, spendendo
le loro prime posse contro il Fato
che con loro è infuriato,
dove presto vedrò forse il fraseggio
rosso dei rossi papaveri, e il seggio
degli uccelli del bosco sulle querce
ancora guerce;
e dove, adesso, il Sole che risplende
fa risaltar di smeraldo le bende
delle ferite foglie, in mezzo a’ soffi
di quest’eteri goffi.
Oh come mi cattura questo verde
contrasto di ombre e fuochi, e che si sperde
negli orizzonti donde si ritira
il verno, e spira!
E così presto la Tempesta muore,
e il vento scema, e sboccia un altro fiore,
in un nuovo ritorno eterno, e santo
nel mezzo del mio canto.
Sì, un eterno ritorno! Dove l’aria
di questo vento è la stessa che varia
più volte io respirai, e d’altri polmoni,
e che ora è in tuoni,
dove rinasce il fiore che io raccolsi
lo scorso anno e cui un pensier ne rivolsi,
e tutto scorre, e riappare, ma è nuovo
come il germe di un uovo.
Rimane solo quella campanella -
sulla strada - che or giace e ferma, e bella,
e sospesa nel vacuo aër di un vento
che più non c’è.
Or sta suonando gli anni di mia Vita,
in una nenia silente e infinita,
e sempre è immobile, e pendente in suo
andare e ritornar.
Sta piangendo perché non ho più vento!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

George Inness, Un Paesaggio in Scozia, Romanticismo scozzese, Seconda Metà del Secolo XIX, Epoca Vittoriana



In Dì di Sabato IV del Mese di Marzo dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Fede e di Grazia AD MMXVII.

mercoledì 15 febbraio 2017

Ai primi Fiorellin di Primavera

Que’ primi fior azzurri che si schiudono
in questi dì di febbràiö pe’ i dossi
della campagna, e illudono
l’onde dei fossi,

è da piccìn che li sento chiamar
occhi-della-Madonna, tanto sono
delicati e pii, un mar
che apprende il suono

della ventura Primavera bella.
Quante volte io cercai prenderli in mano!
Ma cadde il fulcro della
lor Vita. Invano!

Occhi di bianco-azzurro ciel di gemma!
Li scorgo sempre su’ questi sentieri,
rinascono con flemma,
e son leggeri,

ognòr ne’ i stessi capei di prima erba,
tra i gambi de’i ranuncoli che si alzano,
e più che impazzita cerva
nel vento danzano.

Sembran dassenno occhi di Infinito,
mi somigliano a molti sguardi eterni,
oltre il nembo ingrigito
di questi inverni;

ed essi allora mi guardano attenti,
occhi al mio occhio, ombre ridenti di spene,
nei miei alti sentimenti,
per le mie vene.

Non-ti-scordar-di-me li chiama il volgo,
parola d’aura amorosa e sottile,
e io in questi fiori accolgo
il far di aprile.

Non-ti-scordar-di-me li chiama Amore,
tra i mazzolìn che svolazzano al vento
or gettati da un cuore,
or da tormento.

Ma io ritorno a’ i miei dì passati e quieti,
della mia infanzia, quando era il mulino
a muover flutti lieti
su’ un fiorellino,

quando al crocicchio di vecchia cascina
saltavo su e giù pe’ il pìccol muretto
di un’erma chiesettina
pe’ il mio diletto,

quando ignoravo patimento e duolo,
il bene e il male di codesta terra,
scorgendo gli augèi in volo,
e non fu guerra.

E tu, mia Primavera, che in ricordi
mi conquidi il cuore… che hai? Che v’è?
Se tu mi assordi,
non ti scordar di me!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Louis Aston Knight, A Summer Afternoon, Tardo-Romanticismo statunitense, Seconda Metà del XIX Secolo



In Dì di Martedì XIV del Mese di Febbraio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo e di Grazia AD MMXVII.

venerdì 20 gennaio 2017

Elegia a un'Ombra nella Notte

È buio come di Notte, è in ciel buia Luna,
e burrascoso vento, e un po’ oltre, gelido
nevischio, e tetra nebbia.

Donna cieca è Natura in tanta tenebra,
stretta-bendata, è fanciulla al patibolo
dei fior decapitati
da folle inverno,
e non attende che il capestro ceda.
Rimarrà appesa co’ i piedi sul vuoto!

Chi era? Era solo una ribelle insana:
chiedeva pane per le umide strade,
dormiva sulla polvere,
e non è mai esistita.
Vento! ripeti a bassa voce il suo
nome!.... Se mai ti sentissero, tosto
morir potresti
condannato alla gogna.

Sentinella!.... Ombra, chi è là?.... Ombra null’altro!
Ombra senza uomo, né corpo… né cuore,
spirito vagolante tra le fregole
di lupi e streghe.
La senti?.... Si avvicina! Muti passi
rendono eterno il fragòr del silenzio
lievemente schiacciando a terra il ghiaccio
dove or scìvolano il ciel e sue nubi.
Dio non sa pattinare.

L’ombra non è uno spettro, non è specchio
di membra… e denti, e fauci. Ma è una belva,
un Titano che irride la päura
dei timorosi ánimi.
Su qualche riva di un fiume c’è un uomo
che gli abissi contempla, e non ha più
il suo riflesso. Di’: ha perduta l’Anima?....
Sentinella!.... Rispondi!

Forse i Titani già marciano contro
la sanguinosa ambrosia del Calvario,
ombre tra le ombre in ombra sola, è Sàtana
che chiede sangue e Morte.

Avete eletto voi, o Popoli, i sommi
capi di queste corrotte tribù.
Tutto prosegue, cambia… e si ripete.
Resta Lucifero. Ha indosso l’èfod.

E in così tanto silenzio or singhiozza
la lieve brezza che sentiva Elia.
Maledetta la stirpe delle serpi!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

William Turner, La Barca di un Pescatore in Notte di Luna piena, Romanticismo classico inglese, prima Metà del Secolo XIX



In Dì di Venerdì XX del Mese di Gennaio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo e di Grazia AD MMXVII.

lunedì 3 ottobre 2016

Nebbia

Biancospìn di nebbia, i campi e i rivi,
verso il mattino, le più lontane Alpi,
e la campagna; le foglie del tièpido
e primo ottobre emigràr come i pàsseri
dal nido delle frasche a fredda ripa,
e il bacio delle brume sopra le ùltime
risàïe che attèndono la falce:
oh dolce, oh quieta mia terra, oh mio fango!
E quivi così presto io ti contemplo
in tanta furia di àliti autunnali,
dove un dì mi dirai forse quèl che è
nel tuo nebbioso mantello dei tuoi occhi;
e i tuoi cadenti cascinali intorno
senso or mi danno di mestizia e requie,
e le tue solitarie e vecchie querce
me un’Ànima ugualmente solitaria
raggelando mi pìngono, e il tuo vespro
l’Ignoto specchia dell’Inquieto mio,
tra un sorriso di Sole e un nembo oscuro
che pur muggendo non ha più le posse
di scatenàr il Temporale e i fùlmini.
Per questo, dunque, è sempre più perenne
il venìr delle inattese e orbe nebbie;
e questa ragnatela delle nùvole
chiude orizzonti a un infinito sguardo.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Kaspar David Friedrich, L'Albero solitario, Romanticismo classico tedesco, Prima Metà del Secolo XIX



In Dì di Domenica II del Mese di Ottobre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 16 settembre 2016

Elegia agli ultimi Cinguettii

E ora io odo: èsule un canto degli stormi,
e il cinguettàr dei rami, e dai dintorni
il ciel solleticàr dell’ale andanti
pe’ i nembi di adamanti.

E urlando con il cuore, io dico tàcito:

Addio! ròndine dal mio tetto avìto!
Un addio all’usignuòl che si è smarrito!
E sento, e intendo:
cinguettìi risplendenti lungo il Sole
mentre dòrmon le viole.

E io, che non so volare, dormirò
in una veglia dell’Autunno; e andrò
ad attènder la Primavera ai lidi
di indefiniti Sogni.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Konstantin Yakovlevich Kryzytskij, Una Palude, Tardo-Romanticismo russo, Seconda Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Giovedì XV del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

giovedì 15 settembre 2016

Elegia a una Sera settembrina

Oh settembrina sera! E qui odo io i tuoi
primi ciel di tue òïdi: e ùrlano i buoi,
che nelle letàrgiche stalle dòrmono,
e che quietamente si prepàrano
all’ùltima fatìca per i campi;
e forse lungi odo un rombàr di lampi,
che non sarà che l’estrema Tempesta
pe’ i rivi e la foresta. E adesso il vento
lentamente solleva le tue foglie,
colà, dove il mio occhio il tuo sguardo coglie,
e poi si acquieta rumorosamente.
Dalla campagna ascolto il soffio suo;
e qui mi intenerisce èsule canto
di ansie ànitre selvàtiche e di ròndini,
e päùra il latràr di inquieti cani,
che vèngono dai cascinàl lontani,
e che forse hanno scôrto la romìta
Ànima mia aggiràrsi pe’ i lor sogni
dei cuori di una bestia. E presso un pino
sur d’una ripa ascolto il beccaccino
chiamàr la nidïàta a prènder scorte
tra le rimaste paglie. E gli orizzonti
tramòntano oltre i monti. Ombre! È il silenzio!
Qua e là sento cantàr i negri corvi,
lamèntano un idillio sepolcrale, e
rovistando la terra, il rostro assale
indefinite larve. E ancora un càn
abbàïa feroce da cascina
ignota, e poi a dormìr ei si trascina.
Trascòrrono ore inquiete. Ma la sera
tua, oh settembre, ne avrà addotto gli stormi
alle sperate terre, o ai lidi informi
del più lontano mare, o del deserto?
Una bestia fors’anche scriverà
al mio perplesso sguardo che è arrivata
alla sua levantina sabbia ambrata?
Mi illustrerà il torpore di una duna,
e il gelo quando vièn la scialba Luna,
e gli incensi del Bèrbero fugace,
in una tenda tra i cammelli e i dàtteri?
Ahimè! L’eco dei cani è la follia
di un infantile sogno di fanciullo
che sa che è giunta la Notte, con l’ìncubo
di nuovo Autunno.
Oh settembrina! oh settembrina sera!
Rabbrividisco io al tuo respiràr freddo,
tra un vano senso di gioia, e di tristezza,
con la tua destra che qui mi accarezza,
forse per dìrmi che non debbo avèr
inquietùdine per te, e non temèrti,
forse perché tu mi illuda per sempre,
e portare l’oscuro dei tuoi boschi,
eternamente spaventati e foschi,
sulla mia guancia di càndida pelle;
e mentre corri, balda tra le stelle,
così mi chiedo:
oh settembrina! oh settembrina sera!
Vedrò io la pròssima mia Primavera?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Ivàn Endogùrov, Pioggia, Tardo-Romanticismo russo, Seconda Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Mercoledì XIV del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 7 settembre 2016

Il Nome dell'Autunno

L’Autunno ha il nome di Nerone, il folle,
il Sole che arde l’ùltimo frumento,
e teme il fàr del vento,
le làgrime di prime piogge, e i tùrbini
che spèngono le fiamme in su’ i fienili,
e i ramoscelli vili
che alimèntano il guizzo qui del fuoco,
rimanèndone poco;
mentre d’intorno, per le selve e i pioppi,
il Mostro grida co’ il sparàr dei schioppi…
e il giòvine leprotto che è inseguito
al piè di un sàlice esàla il suo estremo
spiro, e corre al banchetto
di un cacciatòr e di un padre vecchietto.
L’Autunno ha il nome di Unni vagabondi,
lungo l’amara dolcezza del mosto,
è la tomba di agosto,
Àttila che le stirpi sottomette
delle estati del Reno e delle piane
e delle Alpi lontane;
e i trïònfi dei mesi estivi e belli
non son ora che un cènere, e che avelli….
E le foglie or princìpiano a specchiàr
d’in sul mare dei nùgoli ammalati
l’argento ocra del Sole,
pètali rossi di sospese viole.
L’Autunno ha il nome di Napolëòne
con il destriero delle nebbie scialbe
sul fàr delle prime albe,
urla di guerra eterna alle stagioni
quiete, e che ovunque annienta gli orizzonti
con il vespro in su’ i monti,
e con la Morte che esce dalle tasche,
e inghiotte e opprime le cadute frasche….
E l’ùltima bagnante or piange alle onde
che si son fatte gèlide e crudeli,
e piangendo si veste,
mentre tramòntan le gialle foreste.
E tra i miei monti è di caccia oricàlco;
le mie estati, i miei Sogni ei scruta, Autunno,
come la lepre il falco.
Sàtana che è geloso delle chiome
delle querce, ecco! oh stagione, il tuo nome!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Anne-Louis Girodet Trioson, Ossian riceve i Generali della Repubblica, Pre-Romanticismo francese, Prima Metà del Secolo XIX



Nei Dì di Martedì VI e Mercoledì VII del Mese di Settembre dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI