Cerca nel blog

Visualizzazione post con etichetta madrigale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta madrigale. Mostra tutti i post

domenica 13 settembre 2015

Introspezione delle prime Piogge di quest'Autunno

Era un trillo e - era un canto, e - erano l’onde
delle sentite piogge, e - dove il cuore
mio - oh cuor! - il vento udiva, l’iraconde
foglie strillàvan, e l’autunno e il fiore

mirai: l’uno appassìr e - l’altro e bionde
frasche dei campi gridàr. E il dolore
della perduta estate e vagabonde
rondinelle io lambivo e - era un pallore

per me quest’alba, e - erano ora infeconde
di sensi le ansie, e - le cure, e - èran l’ore  
d’un mattino interrotto, e sere immonde
si seguivano; e allora un sogno or muore.

Odo così il tintinnìo e l’acque urlare,
gelo perenne nel petto mio, e - inquieto
sonno, e perduto. E tu, oh cuore, e tu, oh mare

di Sentimenti, dove andate? E mieto
io forse l’oro di altri sogni? E il grano
scialbo di foglie? E - i monti? E tu, irrequieto,

Mostro, oh Orco, spasimante nel lontano
avvenire, perché mi maledici? E…
e l’ultimo speràr m’è sempre vano!

Sento le piogge cadèr, - le infelici e
tremule frasche a seguìrle, e - l’inverno
è forse giunto; e alle incerte pendìci e

ai monti dove stetti - e ora - m’è scherno
questa Tempesta, sublime d’Eterno!

E addio, a te, oh sogno, e - a te, pioggia che cadi
tuonando e - ricordando - la mia estate, e
a te, Titàno d’un monte, che invadi

intorno i campi, e - le spighe dorate - e
a te, fatale Destino, e - a voi, oh dadi!
E queste piogge fremono infuriate….

E son io il loro Vate;
tra molti sogni distrutti del cuore:
un sogno oscuro, e – desidèrio, e - Amore!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica XIII Settembre AD MMXV

venerdì 21 agosto 2015

Ultime Immagini dell'Estate

Presto è l'istante dell'autunno. Vedi?
Le bionde vigne moscate. Odi, oh assiolo?
Svelto il Sole tramonta; e tu non siedi
più all'arboscello. Ascolta! L'usignolo
tuo compàr peregrìna e va lontano,
e con lui vola l'orba rondinella,
oltre quest'alba che è una fioca fiammella,
soffio d'un cero d'un sepolcro vano.
L’ultimo Tempo dell’estate muore,
e una riva lamenta al mietitore.
Arso è il ruscello, e una foglia ingiallisce,
più fresco il vento nel cielo guaïsce.

La terra allora col vino s’allieta,
ed ebbra si prepara al sonno ombroso,
e solo tu non dormi, oh tu, Poëta!
Questo che senti fatàl, tempestoso
non è che estremo e crudèl Temporale,
che a te dischiude l’autunno nebbioso.
Oh tu, non vedi? Tra i nembi d’opàle
viene già il Tempo del gelo invernale!

All’orizzonte giacciono le brume,
ma sai che è l’alba? e che agosto è finito?
Nel crepuscolo crolla il scialbo lume
del Sole estivo; e sovvièn l’Infinito.
È una stagione senza un Tempo, e un’ora,
un intermezzo di ciel pellegrini,
dove gli uccelli sfidano i Destini;
e sai che il vespro oramai t’innamora?
Bevi, oh mio cuore, finché vuole il Fato,
l’ultima Vita d’estate, il moscato!
E nella sera i nevischi pur sogna.
Presto è dicembre! Senti la zampogna?

Scriverai, oh tu Poëta, a morta estate
le cupe nenie d’una tetra bara.
Sarai d’autunno il Vate?
Bardo d’una gioia amara?....
Temprerai l’epitaffio a un’urna mesta,
dove defunge un’alba fanciulla.
Ma che cosa ti resta?
La Poësia e il suo Nulla!

Tinta d’autunno la Vita scompare.
Vedi? La foglia che cade pallente?
La nebbia s’erge; e naufraghi al suo mare?
Oh tu, cuor mio? Oh tu, che sei demente?
Non rimane che un giorno di settembre,
dove l’ultimo splende il caldo Sole;
e tu lo sai? Non vedrai più le viole
tranne che lor che gelerà novembre.
Ma non temèr! Contemplerai l’aprile,
e il zefiro fugace, e il ciel gentile!
Perenne muta la Natura adorna
d’Iddio che vuole che va e che ritorna!

Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XXI Agosto AD MMXV
 

martedì 18 agosto 2015

In Ode d'una Rosa e d'un Cigno

Il lago palpita,
dal fresco lido
v’è la montagna.
E tu, e tu, oh càndido,
esci dal nido.
Che è questa lagna?

Cigno dei monti, perché piangi all'acque?
Forse è la rosa che scorgi e che grida,
e che appassisce, come un'altra giacque,
e un fiore della Morte in te s'annida.
Vedi? I suoi steli decadono, e lenti
ondeggiano sul lago; e va il tuo canto
a seguirli, e l’Ignoto asperge il pianto
di lunghi e incerti e intensi patimenti.
Ma non sai che defunti i canti, i tuoi,
i tuoi Destini, ahimè, saranno i suoi?
Non finìr di cantàr! La Sorte vede!
Se un cigno tace, sai tu che succede?

La rosa è l’ultima
del monte estivo.
Cantale un salmo!
Non sai che il petalo
sarà giulivo,
forse più calmo?

Ala di Luna, perché questa danza?
La rosa muore, e tramonta l’estate.
No! Non tacèr! Continua la romanza!
Sii tu del Fato il sempiterno Vate!....
Ma perché il fiore che annega s’avanza?
È il rosso sangue di sere dorate;
e nella Notte che viene s’ammanta.
Anima mesta, perché il cuor ti canta?

La Morte è in spasimo,
tinta di nero.
La senti, oh mesto?
Silenti i gemiti
del cimitero,
Fato funesto!

Rostro di nenie, non odi il silenzio?
È la valle d’intorno che guaïsce,
un labbro muto attoscato d’assenzio.
Vedi la rosa? Un’onda la ferisce,
e nel perenne flutto la trascina,
dove il lago in furòr la seppellisce.
Oh perché, oh cigno, ella non s’incammina
sotto le tue ali, cui l’acqua addestina?

Devi sol gèmere!
Oh falbe penne,
non v’agitate!
La Vita spasima,
volto perenne.
Perché lagnate?

Cigno in singhiozzi, perché piangi il fiore?
Non fu che vano, e vanamente langue.
Ma non era il tuo sogno? era l’Amore
che il tuo cuor lamentava in tanto sangue?
È morto! È morto! e il sognàr è finito,
e non ti resta che un canto d’eterno,
qui prolungato all’autunno e all’inverno;
e se vuoi, muori! E vedrai l’Infinito!
La rosa annega, e tramonta e scompare,
come fa il Sole al termine del mare.
Una speranza d’Amore è sepolta.
Tace il tuo labbro. La Morte! Ecco! Ascolta!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Martedì XVIII Agosto AD MMXV

domenica 16 agosto 2015

Romanticismo di Montagna. Ode al Lamento d'un Contrabbandiere

Hai tu dell’oro, oh bandito irredento?
Senti! Va’ al monte e compra la tua Vita,
sì, lei che un dì hai perduta; e nel vento
ascolta! Suona il ciel d’un’eremita.
Oh piacèr del fugace contrabbando!
I boschi scruti, e hai timòr dei fucili,
ghigni vi sono più oscuri e più vili,
e il tetro sterpo può esserti nefando.
Orsù! Orsù! Bevi il liquòr della Luna,
sfida la Sorte, e la vana Fortuna!
Non senti che il pugnàl preme le spine?
È Notte tarda. Dov’è il tuo confine?

Taci! Nascondi il tuo sigaro. Senti?
V’è un frèmer di lanterne e di mastini.
Se muori, dimmi: cosa emani ai venti?
Sogni d’Amore, e angosce di Destini.
Ma qui i tuoi passi camminano lenti,
e riparo ti sono i neri pini.
Fermati! E pensa! Cos’hai nel tuo cuore?
Torna al paëse, ritorna al tuo Amore!

Zingara alpina la Notte t’avvince,
docile danza coi veli lunari,
e l’Alpe ha un occhio come d’una lince;
e ora sei un’ombra, sottìl più dei mari,
e al seno della roccia ti giaci al sicuro,
e invochi i Santi, quelli tutelari.
Così a un castagno nudo e tristo e impuro
la sera inghiotti, l’Infinito oscuro!

La ronda s’allontana. Non la intendi?
Varca il confine, e compi il tuo mestiere!
Ora tu compri, contratti e poi vendi,
e dei banditi tu sei il cavaliere.
Allor tu puoi tornàr alla tua donna;
ma attento, oh folle, oh tu, alle carabine.
Non sognàr già le guance femminine,
e la temente e spasimante gonna!
Hai comprato la Vita; e vuoi morire?
Scappa! Stai quieto! Ora è meglio fuggire!
E se il tuo cuore tormentando sogna,
sappi: t’aspetta o la forca o la gogna!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Domenica XVI Agosto AD MMXV
 

domenica 15 marzo 2015

I Madrigali d'una Notte di Primavera

Un Ululato nel Bosco

Mentre in sul vespro si discende ‘l cupo
stral della Luna in tra’i cieli perduti,
d’in su’un bosco i’ ne ascolto un tetro lupo.

Ulula un urlo d’un’upupa, i liuti
delle nubi di marzo soffian mesti,
e in tetri e tanti tremiti son muti.

E tu, mio cor che gemi, a che mai resti?....
Nuguli d’urla d’un Nulla a un dirupo,
e ulula un spettro pe’i boschi funesti.

Per questo i’ n’ascoltando qui m’incupo:
l’orba Notte sen vien; e temo ‘l lupo.

Una Luna di Primavera

Nel flebile e cullante e allegro arpeggio
dell’arpa ch’i’ ne sòno e in Notte bruna
pelle ripe de’i rivi i’ qui passeggio.

Ombra che grida in silvestre laguna
in tra’ le fronde i’ veggo un fioco ardore,
e ‘l guardo ergendo al ciel miro la Luna.

Questa si splende in tra’ le nubi, e un fiore
di margherita falba or n’assomiglia,
e cotanto mi giova al mesto core

che di lei colme or stan le fresche ciglia
col suo mare di latte. Oh maraviglia!

I Brividi nel Vento

Tetro trema e pe’i tratti ‘l vento grida
e tanto mi tormenta in trista tosse,
e ‘l tremito s’infuria e in lui s’annida.

D’in sul Nord de’i Normanni un dì si mosse,
e nel gelo del verno ancor mi culla,
soffi d’un Mostro, dell’Orco percosse.

Ne’i brividi mi giacio, e ‘l vespro al Nulla
schiude i sentieri d’un sognar che muore,
e in questo urlar non ho un Dio, una fanciulla,

né nel gelo mi scalda un fior d’Amore:
vento di Morte, e perenne dolore!

L’ultime Paglie de’i Campi

Ombre cullanti di gentile Luna
pe’i campi se ne vanno, e l’orbo fieno
s’allumina d’argento a’ Notte bruna.

Allor i’ ne contemplo ‘l mar sereno
della paglia che giace ordìta in oro,
l’onde dell’orzo mietuto; e i’ mi peno

chè in questo vespro eterno e cupo e moro
la beltà d’esti campi or si disperde
per cui de’i biondi fieni i’ m’innamoro.

Ad aprile si cresce ‘l riso verde,
e allor in fin settembre ‘l fien si perde.

Annientamento notturno

Or tant’ansie m’assalgon meste e orrende
quando la Notte de’i sogni si desta,
e inquietudine ‘l core omai n’apprende.

Spasmando i’ ne vorrei fuggir, e questa
Vita di duolo annientare nel bosco,
nella roggia che scorre e rea e funesta.

Essere Nulla i’ vorrei o un spettro fosco
che pelle felci danza al sòn del Fato,
e sùggere d’un fungo ‘l svelto tosco;

e perché i’ ne rimango un uom odiato,
e perché ‘l Mal fors’anche i’ volli amato.

Il Timore della Notte

Dio, i’ n’ho paüra; e la Notte sen viene,
la tenebra confusa che m’opprime,
e feroce mi toglie in fin la spene.

Ho paüra di queste ombrose cime,
dell’assenza degli astri, e tremo in pianto,
lagna d’un core a una nube sublime.

Dio, i’ son perduto, e di strazi i’ m’ammanto,
e un Demòne m’uccide e oscuro geme;
e tu, n’ascolterai questo mio canto?....

Dio, i’ n’ho paüra; ma se’ la mia speme.
Satana, ammira, che ‘l Nume ti preme!

Inquietudine notturna

Anima trista in tra’ le nevi i’ sono,
l’orizzonte s’annienta, e a me davante
la Notte ne pronunzia un tetro tòno.

Non ho più speni e strali, e un guardinfante,
e un Cielo, e mi trascino all’avvenire,
misero fiore d’un mesto adamante;

e vivere non voglio, e né morire,
cogliere i sogni che furon menzogna,
né vò restare, né bramo fuggire.

Mi resta ‘l disonore, e la vergogna,
la Poësia d’un’odiata zampogna.

Illusione di Primavera

Menzogna si divien la Primavera,
e ‘l guadio che ne adduce è un sogno illuso,
e per questo i’ la chiamo or menzognera.

Oh Poëta che se’ in tra’i ciel confuso,
non credere alle viole, e a’ gelsi e a’ fiori,
né al Sole che contempli al vento, in suso!....

Sono menzogne, e perenni dolori,
i fantasimi eterni in stel beffardi,
contra li qual ne vivi, co’ qual ne muori.

Chiamali tosto mendaci e bugiardi,
e sii saggio: non son che insani dardi!

Le Foglie nella Notte

Sassi in singulto sibilanti e oscuri
le foglie ne ricopron fatte in vento,
e ondeggiano alle lande in sopra i muri.

Come chiome d’opàle, al torneamento
dell’aure graziöse or stanno, e a’ peschi
cullano i fiori che crescono a’ stento.

Allor un canto s’erge a’ nembi freschi
fatto di pianto e di tremiti ansanti:
si lamenta una foglia a’ stel donneschi.

Così le foglie or sono i muti pianti
delle gemme in notturni e inqueti manti.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì XIII, Sabato XIV Marzo AD MMXV

sabato 10 gennaio 2015

I Madrigali del Vento di Gennaio

La Campagna tra le Brine dell’Inverno

Come argento si splende ‘l campo in brina,
e i candidi covoni or giaccion scialbi,
e lungo i rivi la neve è ferina.

Pe’ boschi de’i cipressi e de’i prunalbi
le nevi a terra stanno, e ‘l ciel s’oscura
nel meriggio insicuro; e a’ nembi falbi

del vespro che ricopre la Natura
di ghiaccio si biancheggia la radura.

Il Ghiaccio in su’i Ruscelli

Di vetro si lamenta or l’acqua al gelo,
e lungo ‘l vagolante spir d’un monte
di pallidi nevischi giace ‘l cielo.

Ma al tremulo imbrunir dell’orizzonte
un freddo ghiaccio si sta in su’ un ruscello
che lento e in ansia scorre in sotto un ponte;

e intorno si tormenta un ramoscello
che secco e ignudo piagne al vitreo vello.

Immagini di Campagna d’in sulla Finestra

Le foreste d’intorno e i rovi scorgo,
e l’orizzonte che in nebbie si lagna,
e de’i campi innevati omai m’accorgo.

Allor che mi dileguo alla campagna
dal finestrel lambito i’ veggo lieve
la ripa che ‘l ghiacciar tra l’acque bagna;

e poscia in tanta e falba e fresca neve
l’effigie addolorata or d’una pieve.

Un Bosco invernale

Come croci a un cancel del camposanto
ignude se ne stan le piante e l’erbe,
e grezzo si tramonta ‘l Sole affranto.

Or gli arboscelli si posano, e acerbe
le legne de’i carpin ne vanno in doglie
tra ‘l vento che del Nord canta e le serbe

canzon di nevi apriche in sulle foglie
che dal noce e dal pruno ‘l suol accoglie.

Un Murmure nel Pineto

D’un ruscel che si scorre al cor d’un bosco
tristemente s’intende un grido arcano,
e quivi, nel pineto, ‘l ciel è fosco.

Tra l’appuntite chiome or n’ha ‘l fagiano
nel verno che s’espande un’orba cuna,
e le pigne ne geme un ramo insano;

e solo qui la Vita, in pia laguna,
nel dì ghermisce ‘l Sol, la sera in Luna.

Un Nocciuòlo di Campagna

Alle ripe d’un rivo or solitario
un arboscel si lamenta alle nevi
e al cielo che s’ammanta funerario.

Non ha più ‘l suo fogliame, ne ha sollievi,
e degli ultimi stormi ammira ‘l volo,
e a’ suoi piedi i ghiacciar son tristi e grevi;

e l’ansia primavera attende in duolo.
Oh miserrimo e mesto e bel nocciuòlo!

I Fiocchi di Neve

Nella Notte si piove e all’aura bruna
si scendono i cristalli in scialbo argento
tant’è che pianto son di scialba Luna.

Lampeggiando di stelle e al cor del vento,
alluminano etesi or l’orizzonte
e al ballo delle nubi in torneamento;

e inebriano le fronde, e i rovi e ‘l fonte,
e in lor si cola l’oro in sopra a un monte.

La Furia della Bufera

Tra’i sterpi e le foreste e in torva sera,
spasmando oscura e in terribile voce,
come un spettro sen va la rea bufera.

Sen vagola spettrale ed empia e atroce,
e in mezzo al nembo che giacesi cupo
sempre più si lamenta, ed è feroce;

e come un’onda insana, a un vil dirupo
crudele si propaga, e grida e piange,
com’occhio d’una belva, occhio di lupo.

Così in su’i boschi al gelo ormai s’infrange,
qual possa delle Norne, e di falange.

Un Tramonto di Giaccio

Un festevol tramonto al ghiaccio splende,
e nel rubìn de’i nembi e delle cime
la Notte che s’appresta ormai s’attende..

Ne’i cieli ‘l verno che dorme in sublime
sonno in placide forme affanna ‘l senso,
e grondano le nevi a’ boschi e all’ime

convalli, e alle montagne; e ‘l ghiaccio denso
febbrilmente s’irrora, e al novo giorno
tra’i campi e le campagne or giace immenso.

Allor l’aurora biancheggia d’intorno,
fredda come lo stril d’un tenue corno.

Luna di Neve

Di nevi si risplende in ciel la Luna,
e d’argento lo stral ne compatisce
l’impronte della Notte ombrosa e bruna;

e in cielo ‘l verno or mai più si finisce,
e ‘l ghiaccio si distende sepolcrale,
sicché la fredda terra ne ferisce.

Allora questa Luna ‘l vespro assale,
e più del ghiaccio or sen va alla riviera,
e un alito ne soffia, e un maëstrale;

e nell’ansia e crudele e tetra sera
tristemente risplende oscura e altèra.

Il Noce della Strega

A un noce si lamenta una congrega
che a un crocicchio si mòve in cupo manto,
e qui spietatamente v’è una strega.

Tra gli aridi fogliami emana un canto
che di strazio ne colma ‘l torvo verno,
e d’un lamento e d’un spasimo affranto.

Par che fora un latrato in tristo Inferno,
e che un lupo feroce al ciel ne gridi:
un regno della Morte, un duolo eterno.

Così gl’incanti vanno in sotto a’ nidi,
e tetri sono e fieri, e ansiosi e infìdi.

Un Corvo affamato

Un corvo a un campo ne cerca un granello,
e tra ‘l ghiaccio ne mòve l’orbo artiglio,
e pallido sen va al vicin ruscello.

Della fame ne corre ‘l gran periglio,
e indarno tra le paglie or raspa ‘l suolo,
e ‘l fa per tanto e a lungo, e quasi un miglio.

Ma alfine si distende a’ terra, e presso
la forma consumata d’un bel fiore
febbricitante grida; e tace adesso
chè scarno all’ale e in volto omai si muore.

La Furia del Vento invernale

Ferocemente ‘l vento a’ boschi vola,
e i gelidi carpin or piega e fere,
e ‘l ghiaccio che si forma ne consòla.

D’invisibili e triste e nivee cere
qui palpitando or nel volto ei si pinge,
e sempre ne serpeggia in queste sere.

Allor nell’insicuro e tenue cielo
un alito s’espande antico e mesto:
un perenne e fatale ed empio gelo
che nella nova Notte or fia funesto.

La Neve al Cimitero

La neve ne discende al sepolcreto,
e alle cripte s’infuria e pe’ gli avelli,
e ne ricopre ‘l vicino pineto;

e cantano innevati i mesti augelli
che vegliano alla Morte e agli ansi spettri,
e a’ compatiti marmi e cupi e belli.

Qui una croce si giace in neve scialba,
e ‘l sepolcro sen dorme in tanto argento;
e quando ne risplende in cielo l’alba
tra le fosse s’invola un freddo vento.

Morte invernale all’Orizzonte

Scialbo e tenue e febbrile l’orizzonte,
come una croce a un sepolcro dorato,
di Morte inebria un monte,
un valico del Fato.

La Notte si propaga, e la Natura
tra le nevi cosparse in ansie geme,
e qui funerea e oscura
perfin ne fia la speme.

Una Sinfonia d’Inverno

I cembali feroci e i tintinnii
de’i freddi violoncelli a’ nivei fiocchi
discendon pe’i pendii,
e n’han funerei gli occhi.

Così pell’aër freddo e in cielo e intorno
un clarinetto ombroso or grida al vento,
e a caccia strilla ‘l corno,
un piffero in tormento.

La Vanità nell’Inverno

Insipiente n’ammiri ‘l vil mistero,
e ‘l mesto e affranto senso, oh folle core!
Nel ciel notturno e nero
v’è solo ‘l reo dolore.

Pur non guardar per questo or più lontano,
ne volgere ne devi un vago addio.
Senti che ‘l sogno è vano,
ma sappi che v’è Iddio!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro



Venerdì IX, Sabato X Gennaio AD MMXV