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lunedì 29 agosto 2016

Settembre

Oh figlie delle risàië! or e presto
sovverrà a voi l’angoscia del nascente
autunno; e lì, per i vostri capelli
di bionda dama che attende fuggèvole
il trovatore della mietitura,
e le canzoni sue, lì, dove or siete,
così svelto, oggi, o
forse domàni, vedrò io alzàrsi oscuro
il bieco stormo dei corvi che fùggono
le funèree carezze di una falce,
e le rimaste paglie - orbe e infeconde -
e qui il vacuo richiamo delle fiamme
di questo rogo che - erètiche al fàscino
del mosto - le arderà, un dì ei dissolvèndole
nel cènere delle prime foschìe,
il sospìr di settembre.
E osserverò io il crepùscolo che è ordìto
da Ècate e dalle Pàrche e dai Titàni  
con i rapìti istanti al mio meriggio…
ei che è così costretto tra le fresche
effìgi dell’estate e le pìccole nebbie
di quello che avverrà, quando io udrò dìr
che agosto è morto e che ora avrà ei il suo regno
nell’Èrebo dei perduti miei Sogni,
e delle ricordanze, ei, chiuso a chiave
e custodito da una nostalgìa
che si rinnova e si ripete, e che è
pianto e sorriso.
E più io qui crescerò, e più aiuterò
l’Ocèäno irrequieto dei ricordi
brindando tralci al selvaggio settembre,
con un tocco di miele che si confonde
con le làgrime amare della pioggia
che ha inondato il vigneto, quando al fàr
di così svelta sera e della caccia,
e di questa Natura che va a Morte,
tutto è tristezza… ed è melanconìa,
ed è terrore.
E mi sarà compagna l’onda oscura
della mia ombra che annega nell’Arbogna;
e allora il cuòr che è mio ivi apparterrà -
come promesso sposo - al tristo trono
delle brume autunnali e della Notte,
e attenderà… e attenderà impazientito
la dèbol spene della Primavera,
e forse ei si è già illuso.
Oh figlie delle risàië! su’, dìtemi!
Voi forse mi darete - indietro la perduta
gioia della Vita mia - il mio sapòr di vìvere,
la fu mia gioventù?


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

George Vicat Cole, Autunno, Tardo-romanticismo vittoriano, Inghilterra, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Lunedì XXIX del Mese di Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 12 agosto 2016

Indefinito Anelito nella Notte di un Poeta

La Notte alfìn sen viene, ella, errabonda,
e nella sua rapsodìa e nel suo gèmere,
e in suoi tormenti, e nell’ombra sua oscura,
e in suo passàr delle ore,
qui e or, trascìna - ella irredenta - orbi spìriti
delle nebbie delle Alpi, che non son
altro che questi miei ìncubi infiniti
d’indefinito senso, e profanate
speni, dove lo spàsimo si affretta
a salìr nel mio cuore più di quanto
tra le nùvole va la falba Luna;
ed è sempre più tènebra,
dovunque, un vacuo occhio orrendo di nòttole,
le più nascoste occhiate dei sogghigni
del Nulla vespertino, Ècate, Dea
che se medèsma dissolve e ogni nuova alba,
a me riproponendo uguali Sogni,
e disuguale Destino di Incògnito,
e feroce silenzio, e disumana
quïète. E allora?
Sento io che nel tacèr delle sue stelle,
e nel frinìr de’ i suoi tremendi gufi,
e nel gridàr del dissolvente vèspero,
con tanta doglia mi manca il coraggio
di dìr al vento:
«Ho bisogno di un bacio!».
Perché, di’, oh Iddio, mi vuoi marito di una
Notte fuggente, dove la fanciulla
ha il più dorato nome
dei Sogni inquieti?....
E mentre io penso, e sogno io, e mi tormento,
è già giunta nuova alba.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Thomas Wilmer Dewing, La Spinetta, Romanticismo statunitense, Seconda Metà del Secolo XIX


In Dì di Giovedì XI Agosto dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI


venerdì 22 luglio 2016

In Ode dell'Alito di un Temporale in sul finir di Luglio

O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento stormo di fùlmini errabondi, i
qual per cerulèa assenza di una meta
indefiniti vàgano tra i nùgoli,
così tu, mentre leggero - ei - percuote
l’orbo spettro del vento i rami intorno
e gli estivi fogliami e i campi e i fiori,
ad alluminàr tu - tu! - vai i miei più pàllidi
orizzonti, e il mio senso che si volge
oltre le ombre tue, e lungi… lungi, in vêr
le alte e sublimi vette di montagna,
ove presto io sarò; e indi, tu mi culli
e mi paschi di un non so che di Incògnito,
tu, sguardo della mia medèsima Ànima,
tra i tuoni dei miei pàlpiti del cuore,
e le fòlgori estinte del mio più
vivo sognàr, cosicché io dica ai faggi,
e ai pioppi scialbi di malattia sana,
e ai bei castagni che pòrtano il feto
del frutto dell’autunno, e al dolce legno
delle ghiande dei mieli delle querce…
sì, cosicché io proclami, ovunque, e a Ignoto,
per ogni via, per ogni sentièr, per
l’ôr delle rive inumidite e terree,
che il mio nome è Tempesta, il mio cuor Tùrbine,
che io sono come te, àër vagabondo,
e che pur come te, mi è sempre splèndida
la Vita. Ma così presto si estingue,
come l’incendio di un fùlmine in cielo,
ciò che mi fa diverso e che mi fa uomo,
il retaggio del Sogno,
l’eredità del pianto.
O àër, sospìr di Temporàl fuggèvol,
lento… lento, su’, dimmi… di’, e rispòndimi:
se sia l’Eterno la tua ìride ardente,
se sia Finito, o se sia tomba ignuda,
dove tu vada e dove ne andrai un giorno,
se tu debba tacèr al mio gridàr.
E viene così presto la quïète
a fare tramontàr nel vacuo dì,
la tua orma, impronta di caccia, àër mesto,
e questa tua säètta che mi è sera
per l’Ànima sognatrice e incantata?....
E dopo tanto, la gioventù e poi
la vecchiaia, vièn così svelto e orbo il tèrmine
dei lagrimati Sogni,
dei rivissuti pianti.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Philip Richard Morris, Home, Sweet Home, Romanticismo vittoriano inglese, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Venerdì XXII Luglio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 4 maggio 2016

La muta Lamentanza delle Figlie di Wotan

Oh àër che ardi nel fosco orròr del vespro
estremo, e tra le nebbie che risòrgono,
esse qui serpeggiando d’in su’ gli antri
di Nibelheim, tu, dimmi qual lutto ùltimo
la più superba sala or fia a inghiottìr
nel fuoco che è perenne!
Oh àër… àër! sospiro di Erda, Dea
che il pianto del Destino agli occhi tesse,
Erda! Svèlami il silenzio eterno
della vorace attesa.
Hlaöguör-svanhvìt, Hèrvôr, Siegrdrìfa, e
Svàva, Brunn, la pargoletta di Dònner,
Hnòß, Waltràüte, e Schwertleite, ombre di Hèriann, e
figlie di Wotan, e fanciulle selvàtiche,
le portatrici di guerra e di Morte,
ahi! esse con vesti discinte e consunte, e
con i velami che scèndono scialbi
a denudàr le spalle, e scalze, e prive
degli usberghi fatali, e meste, sièdono,
oh Erda! oh Norne sue! a’ i piè del muto padre,
il qual assiso sul trono di tomba
di un rozzo marmo, e con il bendato occhio,
monòcolo, ei contempla il suo crepùscolo,
con un respiro di tàcito pànico, e
di soffrente agonìa, ei posando oscuro
la man destra alle tempie.
E le sue figlie, che fùron Valchirie,
accarezzando flèbili le pelli
degli orsi alpestri che copròn le gambe
del Nume, esse, respìrano gli incensi
di cènere de’ i ceppi, i lucernari,
divelti un dì dagli Eroi, oh Erda! dal fràssino
cimiteriale delle Norne,
Ygdrasìl, sguardo del Destino estremo;
e mute… e mute, e con gli sguardi attòniti,
intèrrogano il viso del severo
genitore, chiedèndosi ora forse
«Perché, oh padre, perché?»,
otto guance di donne fatte fiamme
di silenziosa vergogna e di attesa
di un’ùltima porpòrea onda di sangue,
dove agli occhi zampìllano le calde
acque d’un freddo pianto che è strozzato,
come gèlido è fatto il Sole, e bolle
di divampàr notturno la beffarda
Luna, Dea della Vita che è e che muòr;
ed esse tàcite ùrlano e si stràziano,
rimembrando che fu del loro vìvere:
i mai mietuti sguardi affettüòsi
dei guerrieri del Dio, e lì, dentro il seno
un cuore soffocato dalla Furia
di un vèrgine sentìr, gli abbracci mai
accolti dei suoi Wälsi, e la segreta
invidia per Brunhìlde…
ognuna con un senso di dolore
indefinito e arcano, qui, con una
gioventù uccisa nell’èssere-Dea, e
tramontata su’ i campi delle pugne, e
con una trama d’Amore mai avuta,
e trasognata nei Sogni del vespro.
Erda, oh Erda! che mai hai ordito?....
E le fanciulle di Wòtan lo chièdono,
meste, e nostàlgiche, e orbe e melancòniche,
l’una con l’altra con silenziosi occhi
passàndosi tremanti questo quèsito,
mentre alle ùltime nate ora prorompe
il funerario pianto, e va… e va ei su’ i
volti che mai conòbbero codesta
trista ebbrezza di làgrime, ove il viso
del Nume è sempre più immòbile e cupo,
lì, tra il Tempo che scorre e quest’eterno
tristo annichilimento nella Morte,
morto da giorni, nel suo orgoglio. E muor.
Erda… Erda! svela l’arcano gomìtolo:
«Tutto ciò che è finisce», urla il Destino;
e il fuoco… e il fuoco divampa, e consuma
la più superba sala, e adesso regna
il silenzio di Dio.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




In Dì di Mercoledì IV Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

martedì 3 maggio 2016

Il Viandante della Foresta

Cuor viandante… oh viandante, non più mai
tu puoi sfidàr le frasche del Destino,
che pellegrìn pur sempre ti desìdera,
e il truce e inesorato e oscuro velo
che tèssono le Norne, e il decadèr
dei Sogni tuoi all’alba, e la condanna
della Notte e del sonno e del risveglio,
e il tramontàr del giorno;
né qui tu ancora,
cuor viandante… oh viandante, non più mai
andrai vagando per le orbe foreste
delle irrequiete vette, e per i sassi
e per gli sterpi che muti rispòndono
al tuo straziato sospiro di Morte,
dove le vìpere ordìscono in ghigni
irridenti i venèfici ruscelli
della tua sete, e né avrai nelle grotte -
esse cimiteriali nella Vita
dei freschi boschi della Primavera -
un aspro e infermo letto per dormire.
Ma immòbile starai su’ di una pietra,
cuor viandante… oh viandante, e non più mai
si muoverà il tuo passo lungo il bosco;
e attenderai il crepùscolo selvàtico,
e l’orizzonte farsi immane e roseo,
e tu contemplerai l’empia Natura
con l’estremo tuo spir.
E nell’ora dei Sogni che non giùngono
ti sarà caro, dunque, anche quest’ultimo
occhio che volgerai alla Notte eterna;
e sarà un bacio alla Luna più eterea,
un alto desidèrio di rivìvere, e…
e saranno le Norne del Destino
a risparmiàrti la Vita, e a concèderti
ancora un altro dì.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Illustrazione di Wotan in Veste di Pellegrino, Seconda Metà del Secolo XIX



In Dì di Martedì III Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

domenica 1 maggio 2016

Il Pensiero di un Naufragio dei Sogni

E va la Notte! E né so io perché dirla
con il nome de’ i Sogni, e a che sognàr
se presto vièn quest’alba, e il sonno ha fine,
se il trasognato istante come nebbia
precocemente svanisce, e se ciò
che è Sogno non rimane con il dì,
quando la Luna tramonta nel vuoto,
e forse a sera più non vi sarà
a illuminàr le nubi
fatte di cera;
e né io conosco più qual sia la Vita:
quand’ella vesta le sete de’ i spàsimi
notturni, o i fiori di un mellifluo anèlito
di concitate speni e singhiozzata
nebbia, tra insonni pupille di un cuore
che geme eternamente,
e va… e va, e sogna;
né più io discerno se sia il Sogno un vìvere
che si alterna all’altro suo respiro, e
quale sarà l’esistenza mia in questo
regno nebbioso, ella che forse insegue
un incògnito Tempo, e che continua
un non so che di Ignoto e che io non qui
ricordo, io, Ànima spezzata ne’ il fosco
ombreggiàr di così tante orme e di àttimi
di mille Sogni infermi,
quando forse la Vita è solo fatta
di tetre crune di pungenti Sogni.
E che mai sogna il mio cuore nel vespro?
Beve l’Altrove dei monti innevati, e
va oltre le vette delle àquile ardite, e…
e poi tramonta in un suo desidèrio
d’inappagàbile e straziato Amòr,
e il vespro ei maledice,
fino a tacèr.
Ma so io che questa Notte non è quella
che i nembi oscura appèn dopo il crepùscolo,
e che quest’alba non si annunzia con
il sorgere del Sole mäèstòso,
e che questo sognàr non è un’effigie
che lungo il sonno salta,
e si ripete;
né mai saranno Sogni queste sol
visïòni di tante e tante Vite
notturne, e lì confuse, e frastagliate,
e senza un senso, laddove il patìr,
l’amàr, l’avèr non son che finti istanti
d’infinito mistero.
Così la Notte
è il nudo seno di un mìsero spìr
di indebolito vìvere; e sognàr
è un cuòr umano che anela al Sublime,
e che all’alba si ridesta su’ una cimba
che naufraga nel Nulla.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Ivàn Aivazovskij, Una Tempesta notturna, Romanticismo russo, Secolo XIX



In Dì di Domenica I Maggio dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 22 aprile 2016

Idillio di un Attimo di Inquietudine notturna

Ancòr morbosa, e alfìn, la mia ansia è giunta,
la malattia di un tossìr che mi è sèmplice
Tempo di ritmo cadenzato e oscuro
per una Notte che sovviene lenta, e
che più lenta trascorre,
e va via. Ahimè! E
così nel raffredòr del cuòr che pàlpita
i suoi starnuti di sangue in un Sogno
e la sua tosse di ombre cristalline,
e nella Notte dove io solitario
dormo, e ove le ansie oscure si propàgano
ripetèndosi esse più di una volta e
nel bàttito di un àttimo,
e lungo il dèbil penetràr da’ i vetri
di questa Luna argentea, scialba pelle
del seno suo lunare tra le fiamme
di un’eclissi di un Sole di ghiacciaio
nel sepolcro del vespro, e quando insonne
mi giunge l’ora del riposo; come -
chiedo io a’ un vento tortuoso -
come fàr sonni plàcidi e tranquilli,
e respiràr io bene, e riposàr,
se l’agitazïòne mi consuma,
e mi toglie il respiro, essa colmàndomi
di Sogni a occhi dischiusi, e di Destino
inesorabilmente misterioso
più della pròssima alba?.... E
è così che si propàga questo Vero:
è nella Notte che io sento che manca
la dòcile corona della mia
perduta gioventù: l’avveràrsi
di ognùn de’ i Sogni miei, e un abbraccio, un bacio
di un labbro che mi culla in tra le mie
päùre, un occhio di fanciulla che è
soltanto seta e velluto di un Sogno,
che va… e va, e muore - oh Dio! - perennemente
mancante nel mio cuòr,
come più assenti sòn:
i suoi baci, e le sue a me sussurrate
canzoni di conforto, e i suoi respiri,
un àlito di Vita prepotente,
ghirlanda di una tomba di mia Notte!
E passato il notturno àttimo inquieto
seppellisco io il dolore sotto i rami
dell’aprile festoso, dove maggio
è forse un altro Sogno…. E
è un’altra Notte!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Aleksej Savrasov, Primavera, Seconda Metà del Secolo XIX, Scuola romantica russa


In Dì di Venerdì XXII Aprile dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

venerdì 15 aprile 2016

Il Canto di RagnarøkkrI

O Erda, le Norne, tue figlie, le Streghe,
le falbe ragne hanno or dunque reciso,
e Wòtan stanco è di vìvere, e muor.

È giunto il Tempo dell’ùltimo spìr
di questa Vita degli Dei supremi,
e Ygdrasìl arde il Valhalla di argento.

Oh figliuole del Reno, oh ignude Ondine,
così la Sorte vi ridona l’oro
delle vostre conchiglie, e delle fresche
tièpide ripe, e de’ i vostri bracciali,
e della gemma vostra che accarezza
il crìn più biondo, e il seno che è fremente
ne’ il suo cògliere i baci di quest’acqua
che è primigenia e sacra.

Oh voi, non mai temete! Ora uno Spìrito
di Erda più immane, avvolge i Sogni
della nostàlgica e prode Brunilde;
sella il destriero, e salta.
Va… e cavalca… e cavalca, e ne’ il suo ambito
sognàr si avventa in su’ il fuoco perenne;
e la fiamma la spoglia lentamente,
Loge impazzito la ghermisce in un
bacio cinèreo di voluttà antica.
Non rimane che un cènere di donna
nella Notte di un Sogno.


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

Il Sacrificio di Brunilde, per Il Crepuscolo degli Dei di W. R. Wagner, Illustrazione di Arthur Rackham, Fine del XIX Secolo



In Dì di Venerdì XV Aprile dell’Anno del Signore Iddio Gesù Cristo, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI

mercoledì 16 marzo 2016

Febbre di Sogno e di Delirio

Or nella febbre il delìr mio ode un sogno,
febbricitante ei e non più rivestito
di questi ìncubi sòliti a ghermìrmi:
la mia campagna… la mia terra a’ i primi
pètali delle vïòle piccine,
e ei va… e va, co’ i suoi campi e i rigagnòli,
fino dove io non so e non mai saprò,
essa, qui illimitata come steppa
selvaggia e russa - i sconfinati muschi! -
verso un dì. L’orizzonte della sera
forse mi culla, e mi dice che io debbo
dormìr tra le sua braccia, e presso i bei
covoni dell’inverno che trascorre,
biondi nel cupo volto della Luna,
dove v’è il focolare del mio sonno
insonne nella febbre ebbra di lebbre,
i bracieri del Fato e della Vita.
Tintinna un mio pensiero, e non si acquieta;
e sento il mio pastore, il cagnolìn
che ùlula al vento indarno ora attendendo
una carezza. E l’äìrone balza
dalle paglie e dai fanghi suoi al suo nido,
co’ i suoi latrati misteriosi e arcigni,
portando ei i sterpi alla sua famigliola,
Fame perenne della sua Natura.
E io sogno… e sogno io: conto gli astri in cièl,
né ora febbricitato io mi figuro,
né dèbile e né stanco, ma con l’aspra
possa delle betulle tra le vene.
Così il delirio perpetuo prosegue,
e va lontàn… lontano. Lo dirò io
all’alba nuova che sorgerà lenta,
a me portando serenità e Vita;
e dopo questo sogno si apre il Vero.
Danziamo insieme i violini di questo
cinguettìo in una fuga di balletto,
pastorale ei e sublime, oh mente! oh cuore!
E lenta… lenta la sera ricopre
al mio sognàr i boschi, i campi, i monti,
e i fuochi degli aratori sognati;
mentre io qui siedo in sul mio caldo letto,
confuso io e più che stordito, febbrile,
placato dal mio pànico irrequieto,
con i miei cascinali e con le ripe
di questa pròssima a me Lomellina.
Oh mia terra! Oh mia terra! Patria mia!
Oh i nei lunari di questa tua Notte
nella quale la Luna trucca il corpo
delicato e femmineo, e il scialbo seno!
Oh ciprie delle ciglia della sera!
Oh nebbioline padane e sottili!
Oh rogge! Oh rivi! Oh mie rugiade prime
di questa Primavera! E in questo sogno
pur lentamente… lentamente muore
la febbre del mio vespro.
Non temèr se tu tremi, perché tu
respiri. E allora io vivo!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro

George Goodwin Kilburne, Good Mornig, Dear Friends!



In Dì di Martedì XV, e di Mercoledì XVI Marzo Anno del Signore, di Grazia e di Divina Misericordia AD MMXVI  

sabato 20 febbraio 2016

Idillio per un'Alba di Vita e una Notte di Sogno



Nella Luna or il dì tramonta, e ei è roseo

di pàllide camelie, e è il mio orizzonte,

ei, il purpùreo di viole. Oh Vita! Vita!

La Notte vien qui a vestirmi di Sogni,

con i suoi volti oscuri, e con le guance

sue appena... appena tetre, e co' il suo màr

invisìbile e etereo, ordìto in questo

vento sottile, e leggero... leggèr,

Anima in danza dei nembi che dòrmono,

e che qui pàlpitano 

come il mio cuore, 

immane canto 

di questi brìvidi 

notturni, e fiore 

bruno di manto, 

e Spiritelli... e Spiritelli lenti,

che mi sollèticano il sospìr mio

inquieto, e il sonno che spera nell'alba,

rosa di rosso risveglio di prìmula,

il canto mattutìn d'un Trovatore,

che in ricordanze rammenta il veròn

della fanciulla sua, e d'un ghiotto Sogno

eterno e invitto e che si chiama bacio;

e nella Luna a tramontàr va il giorno,

e il mio orizzonte è una camelia rosea

che si schiude nel vespro, e

che non tramonta più.


E fa, dunque, così päùra questo

Ignoto che nasconde sempre un Sogno,

e che si dice Vita? O fola, forse?

O filastrocca di una nonna inquieta?

O canto di una mamma premurosa?

E che Incògnito...Incògnito e sì altrove?

E m'è sublime contàr quanti Sogni

non si sono avverati or che fu l'alba,

e quanti ancora io lambirò co' un labbro

come in un bacio battuto dal tempo

nell'ora del dormìr mio e della Notte,

e so che qui io sognando l'alba almèn

un Sogno mio dimàn s'avvererà;

e quest'alba vien sempre,

eterna come Dio!


Massimiliano Zaino di Lavezzaro




In Dì di Sabato XX Febbraio Anno del Signore, di Grazia e di Divina Misericordia MMXVI