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venerdì 5 novembre 2021

La Locanda di Quelli che si urlavano nelle Orecchie

C’era una volta una locanda dove

gli avventori si urlavano sempre alle

orecchie, perché il Diavolo in persona

spronava gli uni a prendersela con

gli altri; e nemmeno l’oste stava zitto,

per non parlare della moglie! gran

pettegola; e lì tutto facea brodo

per tirarsi e parole e insulti e grida.

Perfino i vagabondi che vi entravano -

per un pasto - dovevano far rissa;

e nessuno da lì poi si schiodava,

perché il Diavolo aveva una gran voglia

di sghignazzare a spese di costoro

e, mentre questi litigavan tosto,

ei potea così mettere le zampe

su qualche scrigno o su qualche streghetta.

Una sera soggiunse, invece, un giovine

araldo che, incurante del baccano,

disse: “Il Re è stanco, torna dalla guerra,

chiede ospitalità tra queste mura.

Promette parte del bottino e, infine,

il rango di cavalieri a coloro

che lo vorranno ospitare”. Ma tutti

erano così impegnati a far chiasso

che nessuno sentì e nessun rispose.

Allor l’araldo partì e il Re andò altrove.

Così in quella locanda ancor per anni

e anni si continuò a far litigate,

e tutti erano orribili, ignoranti

e senza un soldo.

Dipinto di Johannes van der Meer (1632-1675), La Lattaia, Pittura fiamminga, Tardo-Rinascimento olandese, 1658-1660. Olio su Tela, 45,4x40,6 cm. Rijksmuseum di Amsterdam.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì V Novembre AD MMXXI.  

Favola poetica - L'Acero vanitoso e l'Abete

Un giorno un acero osservò un abete

che era cresciuto vicino a lui e con

un sogghigno irrisorio gli diceva:

“Sei buffo con quegli aghi penzolanti,

e che sanno d’asprigno e che allontanano

gli uccelletti, che dondolano al vento

e che si riempiono anche di quell’ambra

colante e appiccicaticcia!... Ma guarda

me, invece, così bello ed elegante,

con queste foglie, con questi miei rami

sui quali i passeri accorrono a fare

il nido!... Non so proprio perché a me

vicino sia cresciuto tale mostro!”.

Venne poi Autunno e l’acero si fece

uno stupor di tinte accese e fulve,

sì che ancor più vanitoso derise

dell’abete il virente ramoscello:

“Guardami! Anche le Ninfe mi desiderano,

non sono che il più bello tra i viventi,

gli Olimpi mi incoronano di luce..

e tu.. guardati! Sempre così, oh mostro!”.

Ma venne il verno e a una a una quest’acero

perse tutte le foglie e allor rimasto

spoglio si vergognava, il fitto gelo

sofferendo. “Mio abete, caro amico,

non avrai forse del rancore, vero?...

Vedi: ora io sono nudo e tu hai le foglie;

a me ne presteresti due o tre, quanto

bastano per coprirmi e non gelare?”.

“Nessun rancore” rispose l’abete:

“ma questa è la Natura: entrambi alberi

abbiamo foglie diverse; le mie

resistono all’inverno e non raggelano.

Ahimè, potessi darti qualche mio ago!

Ma non posso… Però voglio dir questo

a te che ti vantavi, ed è che il cuore

dei vanitosi soffrirebber freddo

anche d’estate, quando fosse chiaro

il disinganno della vanità.

Inoltre, a tutti son dati virtù

e difetti: se sei sì bello quando

la Natura si sveglia, accetta d’essere

infreddolito e nudo quando dorme.

Ben fosti vanitoso, non far dunque

che ti roda perfin la trista invidia!”.

Dipinto di Ivan Ivanovič Šiškin (1832-1898), Nel selvaggio Nord (На севере диком), Tardo-Romanticismo, Realismo paesaggistico russo, Movimento dei Peredvižniki (Pittori vagabondi), 1891. Olio su Tela, 161x118 cm. Kyiv National Picture Gallery, Kiev (Ucraina).
Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, Venerdì V Novembre AD MMXXI.

lunedì 18 novembre 2019

Favola - Il Cane da Caccia e il Cinghiale

Non si può mai fuggir dal proprio Fato.
Un cane fu slanciato orribilmente
dal cacciatore; e si trovò per essere
presso la tana, quand'ecco il cinghiale
gli venne incontro. "Fermo!" gridò questi
alla belva da caccia "Calma sùbito
le tue fauci tremende, o dovrò mettere
le mie zanne al tuo collo!". Ma quell'altro
ribatté "No, non posso! io debbo uccidere.
Sinceramente ti risparmierei,
o cinghiale; ma il mio padron ti vuole,
e così gli debbo ubbidire tosto".
"Ma se mi azzanni, tu morirai, me
accompagnando al regno delle Tenebre.
Se, invece, mi risparmi, potrai vivere
con me nella foresta, e qui saremo
buoni amici. Anch'io come te non voglio
morire" disse il cinghiale attendendo
la risposta dal cane che gli disse:
"Oh cinghiale! Tu sei il Re della selva,
e meriti di certo rimanere
qua coi tuoi piccoli, e stare felice
le ghiande divorando delle querce.
Ma io ho un dovere, e per questo mi chiamano
amico. Allor, non prendertela a male....
Ma ti dovrò sgozzare con le fauci
fameliche, e privare i tuoi figliuoli
di te". Sùbito l'altro gli rispose:
"Oh cane! tu sei il più fedele amico
degli uomini. Ma se le cose stanno
così, ebbene, per quanto sarà vano,
difendere io mi dovrò; e il tuo padrone
ti compiangerà morto accanto a quella
povera vittima che sarò proprio io".
Così fu che piangendo e quasi... quasi
da amici, i due si avventarono tosto.
Il cane sgozzò il cinghiale.... Il cinghiale
mise una zanna nel collo del cane.

Hardy Heywood, Hounds First Gentlemen, Tardo-Romanticismo inglese, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XVIII del Mese di Novembre AD MMXIX.

domenica 17 novembre 2019

Favola dei Fiori vanitosi e della Foglia di nessun Conto

Un giorno, in Cina, di tanti anni or sono,
mentre l'Estate splendeva bella e il Sole
alluminava le più sacre terre,
in un giardino, dei fior offendevano,
della lor beltà vantandosi infami,
una povera foglia d'una piccola
pianta, della cui l'aspetto era misero.
"Ah ah!" rideva la rosa "Care viole,
guardate quella foglia.... Non fa ridere?".
"Sì, avete ragione, egregia rosa!"
rispondevano quelle "Ma che sta
a fare quella lì che non ha manco
un fior piccino nel prato del Re?".
"Brave, violette!" tosto borbottò
il velenoso oleandro "Guardate
me: sarò pur venefico ma sono
bello. Chiunque apprezza le mie chiome
fiorite. Ma di lei, è ridevol cosa,
chi si importa? Non ha fiori, ed è lunga,
sgraziata. Prende in giro una camelia
come un pollastro un elegante cigno!".
"Per non parlare di me, fiore bianco
e sacro del ciliegio" disse un altro
fiorellino "Mandiamola via, forza,
che qui rende minor la beltà nostra!".
Ora la foglia che udiva da molto 
tempo codeste ingiurie, ascostamente
piangendo, si disperava. Né poi
poteva ancora staccarsi dall'albero,
e passare a miglior vita. Così volle
in silenzio subire queste offese,
e altre ancora. Ma venne, dopo, Autunno;
e a uno a uno i baldi fiori cominciarono
a cadere, i loro tronchi spogliando
osceni. Resistette sol la foglia,
finché poté. Poi un giorno mentre il Re
dei Cinesi passava a lei vicino
con in mano una tazza di acqua calda,
che gli serviva a scaldarsi dal gelo,
ella cadde diggiù e con un gran tonfo
leggero, terminò proprio nell'acqua.
Forse il calore delle onde pacifiche,
o forse l'ondeggiare tra i bei bordi...
fatto sta che la foglia sentì un bel
sonno profondo, e le sembrò
anche che un non so che le uscisse piano,
piano dall'Anima offesa e buona...
una possa mai udita prima d'ora,
che lentamente le chiuse i dolci occhi.
L'Imperatore, intanto, guardò dentro
la tazza e vide l'acqua diventare
smeraldo, ed esalar dolci vapori
che lo invitavano a brindar con essa.
L'assaggiò, e bevve... poi ne bevve ancora,
e ancora un'altra volta, e sì gli piacque
che diede un sorso anche a quelli del seguito.
Poi, svuotata la tazza, notò in fondo
l'umida foglia, addormentata e fredda,
e chiamandola "Té" la prese in mano
e sùbito la fece imbalsamare.
Dei fiori vanitosi più a nessuno
importò qualche cosa; anzi, essi furono,
colti da secchi che erano, da terra
e buttati nel fuoco in un Tempio
dedicato agli Dei dei bui e tetri Inferi,
finché non si consumaron del tutto
e divennero cenere.
La fola insegna che non è l'esterna
bellezza ciò che più importa, ma l'Anima;
che c'è sempre qualcosa di nascosto
che vince l'altrui superbia e l'orgoglio;
che chi par insignificante spesso
ha in sé linfe melliflue nello Spirito;
e che chi è vanitoso, presto o tardi,
finirà nelle fiamme, e non sarà
mai più.

Gustave Emile Couder, Mazzo di Fiori con Bacche, Tardo-Romanticismo francese, 1899

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Domenica XVII del Mese di Novembre AD MMXIX.



mercoledì 13 novembre 2019

Il Poeta e la Gara delle Belve

C'erano un giorno un lupo, un corvo, un orso
e un Pöeta. Così avvenne che fecero
i tre animali una tenzone "Oh Vate!"
proruppe il lupo "Di' chi tra noi ha
la voce più pöetica e migliore!".
Accettò il saggio äedo e sedette
su di una pietra ad ascoltarli. Volle
inizïare il lupo: porse avanti le orbe
zampe, alzò il muso e fece un ululato
così profondo che tutta la selva
sembrò tremante. Toccò dopo al corvo
che gracchiando più volte come stesse
in un litigio più d'uno scoiattolo
intimorì. Fu la volta dell'orso
il quale emise un orrendo lamento
che in fin al lupo vennero tremori
immani.
Ma mentre questi stolti bisticciavano 
tra loro per avere il premio ambito,
una foglia di quercia cadde giù
dal piccolo rametto, e un po' toccando
il suolo, fece un dolce rumore,
sì che il Pöeta disse "Oh voi che avete chiesto
il mio consiglio! Sappiate che proprio
nessun di voi ha vinta la tenzone,
eccetto questa foglia, poiché chi urla
e fa valere la propria ragione
con la forza sarà sempre minore
a chi, nel mezzo di una gran Tempesta, 
sta fermo e parla leggermente e senza
orgoglio. Voi qui avete data prova
della vostra violenza. Ma la foglia
che è caduta, pur senza fare parte
della gara, ha mostrata di gran lunga
una voce migliore della vostra!".

Frederick Arthur Bridgman, Giuochi di Circo, Tardo-Romanticismo e Orientalismo statunitense, Fine del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Mercoledì XIII del Mese di Novembre AD MMXIX.

lunedì 11 novembre 2019

Il Samurai e lo Shinobi

Una volta in Giappone si incontrarono
prima di una battaglia un Samurai
e uno Shinobi; e iniziarono a discutere.
"Nulla è più grande del Dovere" disse
il guerriero che aggiunse "e nulla è più
dell'Onore". Ma l'altro, astuto e desto,
tosto rispose "No, niente è più forte
della scaltrezza e dell'agilità.
Del resto Onore e Dovere non contano
che per i morti". Avvenne che infuriò
la battaglia. Ora, il cupido avversario
ebbe la meglio; e trovatosi solo
e vinto, il Samurai fece seppoku.
Invece, lo Shinobi avvolto in ombre
e prestando affidamento al suo piè,
corse dietro all'esercito rivale,
e prima che violasse la città
dello Shogun, di Notte, riuscì
a subentrare nell'accampamento.
Qui, dopo aver cercato di nascosto
tra molte tende, alla fine trovò
quella del comandante traditore;
e poscia aver atteso in un cantuccio
che quest'ultimo entrasse nelle spire
del sonno, ora che dormiva, balzò
fuori e gli tagliò di netto l'infame
gola. Allora il rivale, senza più
un condottiero, sùbito si arrese.
Frattanto, lo Shinobi fu coperto
d'oro e fu dato in marito a una nobile
nipote dello Shogun. D'altra parte,
del Samurai nessun si ricordò,
nessun lo pianse estinto, ché la favola
insegna che sovente non importano
il Dovere e l'Onore, quando senza
di questi si può essere utili a se
stessi e agli Altri.

Utagawa Kuniyoshi, Jiraiya combatte un Serpente con l'Aiuto del suo Rospo evocato per Incanto, Xilografia tradizionale nipponica, 1843

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Lunedì XI del Mese di Novembre AD MMXIX.

martedì 22 ottobre 2019

Il Riccio di Castagna e l'Autunno

Un riccio di castagna disse pian,
piano all'Autunno "Se mi stringi, io pungo!".
Ma quegli si fe' due forti risate,
e prese in mano la castagna. Appena
la toccò, si sentì pungere un dito.
"No!... no! stai pure lì dove ti trovi!"
urlò l'Autunno con un gran lamento.
"Allora dimmi: preferisci or essere
punto, o ch'io quatta, quatta men stia zitta?"
domandò la castagna. "Eh! che tu taccia!".
"Dunque, non provocar la mia risposta!".

Un riccio di castagna disse pian,
piano "Quel seccatore se n'è andato! e...",
non finì la parola che due guanti
lo presero e lo misero nel cesto,
insiem ad altri ricci, e altre castagne.
Un po' dopo, alle fiamme rosolando,
il riccio disse "Oh! se avessi risposto
all'Autunno! Oh! se mai l'avessi punto!
Forse mi avrebbe nascosto nel mezzo
delle sue nebbie e con me, tutta Notte
avrebbe fatto veglia! Giusto è dunque
che io m'abbruci, poiché lo allontanai!....
Dunque, non implorar la mia salvezza!".

La fola insegna che è meglio rispondere
e parlare per tempo; e senza pungere,
non aspettare di finir nel fuoco
per cambiar idea e avere dei rimpianti.
Inoltre, solitamente, chi secca
ama; ma chi raccoglie con i guanti,
non ha buone intenzioni.

Caspar David Friedrich, Un Paesaggio in Autunno, Romanticismo tedesco, Prima Metà del Secolo XIX

Massimiliano Zaino di Lavezzaro, Mia Registrata, in Dì di Martedì XXII del Mese di Ottobre AD MMXIX.